Videogiochi > Final Fantasy VII
Segui la storia  |       
Autore: Yuffietheninja    01/06/2013    3 recensioni
Una giovane ninja che ha sempre cercato la felicità ... Ma un giorno, la sua vita cambierà, e nulla sarà più come prima. Il suo viaggio la porterà a scoprire i segreti del Pianeta, della vita e del proprio cuore.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cloud Strife, Un po' tutti, Yuffie Kisaragi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: FFVII
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 3 – Passi falsi

Quella mattina mi risvegliai ancora più sudata del giorno precedente. Non mi sarei mai immaginata una cosa del genere. Come diamine era possibile poi che fossi io a cantare? È vero, quella canzone aveva un’aria familiare, ma non avevo la più pallida idea di dove potevo averla sentita. Quando vivi nella foresta da chi la impari, dagli alberi? Non ricordavo quasi per nulla le parole.

Accidenti, mi devo impegnare di più per ricordarle … Chissà che leggendole non mi venga in mente dove ho sentito la canzone.

Ciò che più mi straniva era che fosse una canzone d’amore. Quando avevo cominciato a sognarla?

È stato prima di incontrare loro … Che strana coincidenza.

Già, e chi mi diceva che era una coincidenza?

Nel frattempo ero rimasta a letto, semi-sconvolta e con i capelli scarmigliati. Dannazione, dovevo assolutamente darmi una sistemata e vestirmi. Mi dà profondamente fastidio avere i capelli in disordine. Ok, è vero, ho i capelli corti, ma mi dà fastidio comunque. E su questo punto, no comment, so che non ha senso. Il fatto è che avere i capelli lunghi impiccia molto quando devi saltare da un albero ad un altro o quando c’è vento. Ed in cima agli alberi ce n’è parecchio.

Fatto sta che riuscii appena ad alzarmi del letto e ad andare verso il bagno che sentii la porta della stanza aprirsi. Non volevo che mi si vedesse in disordine, almeno mantenere quel poco di dignità che avevo … Sempre che avessi ancora avuto un po’ di dignità. Mi precipitai in bagno e chiusi a chiave la porta. Il pericolo era passato. Tirai un sospiro di sollievo, ce l’avevo fatta. E senza cadere in qualche tappeto, incredibile. Mi voltai soddisfatta, andando verso il lavandino. Peccato solo che lungo la strada inciampai … sì, proprio nel tappetino della doccia. Capitombolai per terra.

“Dannato tappetino …” mugugnai da per terra. Mi alzai un po’ dolorante.

La giornata comincia davveeeero male. Già so che finirà peggio.

Con questa convinzione nella testa, mi sistemai per bene. Mi sciacquai la faccia, mi lavai i denti e mi spazzolai i capelli. “Una ninja ordinata è una ninja vittoriosa”, diceva il mio maestro. Peccato che non avessi mai avuto un maestro, era una frase che mi ero inventata io. Il mio maestro, tristemente, ero me stessa.

Mi guardai allo specchio sorridente, strizzandomi l’occhio. L’allegria, meno male che anche in tempi bui mi era rimasta. Era la mia migliore amica.

Mi autocompatisco per questo.

Uscii dal bagno e scoprii chi era il misterioso visitatore … O meglio, dovrei dire LA visitatrice. Tifa aveva deciso di venire a dare un’occhiata. Diciamo più che altro che non aveva scelta, perché gliel’aveva ordinato qualcuno … Ma bravi, proprio il biondino. Che nervi, non avevo bisogno di un servizio di babysitteraggio. Soprattutto non se era lui il babysitter.

Uscimmo dalla locanda. Fuori faceva un caldo incredibile e il sole era bollente. Non a caso si dice che a Costa del Sol è sempre estate, chissà perché. Ed era Dicembre. Erano già tutti riuniti fuori della locanda, mancavo solo io. Per soddisfazione personale, avrei voluto un giorno svegliarmi per prima. Tanto per vedere la SUA espressione e, perché no, sbatterglielo in faccia. Ma conoscendomi, non ci sarei mai riuscita.

“Scusate per il ritardo, non è suonata la sveglia … E sì, so che non abbiamo una sveglia, è un modo di dire” affermai stroncando sul nascere ogni possibile contestazione.

“Bene, ora che ci siamo tutti direi che possiamo andare, no?” Aerith sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi. Era davvero spontanea, quasi la invidiavo. Mi chiedevo come facesse.

“Allora, che si fa, ci si divide di nuovo?” chiese Red XIII.

“Direi di sì, ancora ci stanno cercando, non è sicuro viaggiare tutti insieme” rispose Cloud.

“Ehi, piano, SOLDIER, perché devi decidere sempre tu?!” gridò Barret. Si sentiva aria di discussione … “Fantastico”, pensai con un sorrisetto che non prometteva nulla di buono. Cloud mi vide, e io girai subito la testa facendo finta di niente. Poi pensai che forse mi sarebbe convenuto entrare nelle sue grazie. E si sa, quale metodo migliore per ingraziarsi gli uomini, specialmente se orgogliosi, se non dargli ragione?

“Beh, andiamo, in fondo è il capo, lo saprà cos’è più giusto. E poi, se ti dà fastidio che scelga lui, perché hai approvato a farlo coordinatore del gruppo?”.

“Ha deciso da solo, non gliel’ha chiesto nessuno!”. Ok, l’uomo mitragliatore restava fermo sulla sua posizione. E Cloud mi guardava.

Cosa vuoi? Non ti sto aiutando così a vuoto, se è quello che pensi. Ogni cosa ha un suo secondo fine, imparalo.

“Senti, io qui sono l’ultima arrivata, ma mi permetto di dire che se non ti va bene, te ne vai”. Non l’avessi mai detto. Il finimondo. Quello cominciò a gridarmi contro, utilizzando un linguaggio anche piuttosto … colorito, insomma. Tifa ed Aerith tentarono di bloccarlo, altrimenti, sarebbe venuto ad ammazzarmi in un accesso d’ira. Mi limitai a guardarlo perplessa, dargli le spalle ed allontanarmi a testa alta.

“Ma questo fa sempre così? È matto o cosa?” chiesi al biondo, che per tutta risposta mi guardò perplesso e mi disse: “Dimmi la verità, hai deciso di farti ammazzare da Barret?”.

“Se mi uccidessero per ogni volta che faccio così, a quest’ora sarei morta e resuscitata un buon centinaio di volte”. Red mi fecce cenno di finirla lì, le ragazze erano riuscite a calmare Barret e Cloud … era decisamente perplesso.

Sì, caro, sono una ragazzaccia che provoca la gente anche se è il doppio di me. Problemi?

Alzai gli occhi al cielo. Certe cose potrei anche risparmiarmi dal pensarle.

Riuscimmo finalmente a giungere ad un accordo: ci saremmo divisi. Toccava decidere le squadre. Ero sicura che sarei stata liquidata con le ragazze, si sarebbero messe a parlare di cinema, vestiti e ragazzi e avrei fatto la figura dell’imbecille emarginata. E invece no, udite udite. Per l’ennesima volta, il SOLDIER aveva deciso di prendere me e il leone con lui. Ero allibita. Il gruppo si separò, fissando come prossimo punto d’incontro North Corel, per poi andare al Gold Saucer.

“Andiamo al Gold Saucer? Intendi il gigantesco parco dei divertimenti al centro del continente?” chiesi con occhi sognanti.

“Sì, il posto più agevole per incontrarci è North Corel, già che siamo lì possiamo fare un salto al Gold Saucer” mi rispose Cloud. Ero al settimo cielo, era da quando ero bambina che sognavo di andare in quel posto. Sarà anche stato costruito dalla Shinra, ma era un posto troppo bello per non desiderare di andarci.

“Ho sentito che è colmo di attrazioni interessanti. Sarà piacevole stare lì per un po’”.

“Stai scherzando, Red? PIACEVOLE? Sarà divertentissimissimo, altro che piacevole!”.

“Mi chiamo Red XIII … Fa nulla, ci rinuncio”.

“Evita di sprecare tempo a ripeterglielo”.

“Oh, andiamo, ti ho anche difeso prima, almeno sii un po’ più gentile! Non chiedo molto! Non ti sto chiedendo di togliere il muso e sorridere gridando quant’è bella la vita, voglio che mi tratti con un po’ di gentilezza! Sono una persona, pretendo di essere trattata come tale!”.

“Hai finito di lagnarti?! E prendi fiato quando parli!”. Ecco, lo sapevo, non era possibile trattare con lui senza entrare in un loop e discutere all’infinito. Per fortuna Red XIII ci interruppe, ricordandoci che il nostro obiettivo era andare a North Corel, e non passare la giornata a Costa del Sol a litigare.

 

Erano ore che camminavamo. ORE, infinite ore. Non ne potevo più. E come al solito cominciai a lamentarmi.

“Uffaaaa, quanto ancora dobbiamo camminare? Io sono stanca! E poi non abbiamo un mezzo di trasporto? Faremmo molto prima! E poi c’è un sole terribile, fa caldo e la mia pelle è sensibile ai raggi solari, rischio di ustionarmi!”.

“Qualcos’altro? Milady vuole anche un principe a cavallo e un castello pieno di tesori?” disse Cloud irritato dalle mie lamentele.

“Beh, i tesori non mi dispiacerebbero … Sarei disposta a sposarmi il principe, prendermi i tesori e poi scappare”.

“Opportunista …”.

“Ti ringrazio, è bello vedere che gli allenamenti danno frutti …”.

“Pensavo fosse una dote naturale, sapere che ti impegni anche non ti fa onore … Per essere davvero brava ad essere rompiscatole lo devi essere di natura”.

Red sospirò, si era rassegnato a dover sentire le nostre discussioni. Senza accorgercene eravamo arrivati sulle rotaie del Monte Corel, e davanti a noi (dietro per me che camminavo all’indietro) c’era un ponte alzato, davanti al quale erano fermi Aerith, Tifa e Barret. Cominciai a correre verso di loro per capire come mai non lo avevano abbassato, interrompendo sul più bello la discussione. Non mi ero accorta che le rotaie facevano un rumoraccio quando ci correvo sopra, ed alcune travi erano anche traballanti. Cloud, che invece se n’era accorto, mi gridò di fare attenzione e di non correre, ma io andai avanti noncurante. Ad un certo punto una delle travi cedette ed io caddi. Sotto c’era il vuoto. Pensavo che fosse la fine, quando ad un tratto sentii una mano stringere la mia. Aprii gli occhi chiusi nella paura e alzai lo sguardo. Cloud mi aveva presa al volo. Mi tirò su e sospirò.

“Te l’avevo detto di non correre … Ti sei fatta male?” mi chiese.

“No, però per un attimo ho avuto paura di essere vicina alla morte … Piuttosto, come hai fatto a capire che le travi erano pericolanti?”.

“Te lo spiego io: si vedeva che traballavano, facevano rumore ed in più sono molto vecchie … Bastava fare due più due” disse Red XIII.

“Se non c’ero io, quest’ora eri già all’altro mondo …” disse Cloud con una sorta di orgoglio nella voce. Sembrava quasi soddisfatto di avermi salvato, almeno così ero in debito con lui.

Bella mossa, Kisaragi, ora può chiederti di fare qualunque cosa.

E per di più, ero stata salvata da un uomo, quello che odiavo di più al mondo. Ah, no, quello è mio padre. Riassestata la situazione, riprendemmo il cammino e raggiungemmo gli altri, che non si erano accorti dell’“incidente”.

“Ragazzi, eccovi! Come mai ci avete messo tanto?” chiese la fioraia.

“Sorvolerei su questo punto, i due qui presenti hanno deciso di entrare in una eterna discussione” rispose il leone.

“Lui provoca, io rispondo, mi pare logico” dissi. Il biondino fece scena muta.

“Il ponte è alzato e pare non ci sia modo di abbassarlo … Non sappiamo come andare dall’altro lato del fiume” spiegò Tifa.

“Avete provato con quella casetta laggiù? Forse lì ci sono i comandi per azionare il ponte”. Indicai una casetta quasi interamente nascosta dal pendio della montagna, parecchio lontana, che nessuno aveva notato. Fare la ninja mi aveva insegnato a prestare molta attenzione ai dettagli. Andammo a controllare tutti insieme la casetta: ed in effetti dentro c’erano proprio i comandi del ponte. Purtroppo nessuno di noi sapeva come azionarlo.

“Ragazzi, fate fare a me, so come farlo partire!” dissi con fierezza.

“E quale leva bisogna tirare?” chiese Aerith osservandomi con curiosità.

“Oh, non lo so, ma a forza di muoverle prima o poi troverò quella giusta!” risposi convinta. Peccato solo che gli altri non concordassero con il mio metodo.

“Non vorrai mica bloccarlo?! Togliti di lì e non toccare nulla!” mi disse testa-a-punta. Che odio.

“Perché, tu hai un metodo migliore? Vai, prego, alzalo se ne sei in grado”.

Cominciò ad analizzare le leve, ed ero convinta che avremmo fatto notte a guardare le leve colorate.

Ma che carine, peccato che ne dobbiamo scegliere solo una. E tanto già so che farai la conta per decidere quale abbassare.

Alla fine si decise ad abbassare la leva gialla, ed il ponte cominciò a scendere. Mi rodeva incredibilmente, come aveva fatto ad indovinare al primo tentativo?!

“Visto? Bastava pensarci un attimo”.

“Tieniteli per te i tuoi pensieri! È stata tutta fortuna!” ero davvero arrabbiata. Uscii dal capanno e mi misi in un angolo a guardarmi nell’acqua. Che ODIO. Arrivò Red XIII.

“Che ti è preso? Hai dato di matto là dentro. Perché ti sei arrabbiata tanto?”.

“Non lo so. Mi dà fastidio che abbia ragione in ogni singola dannatissima cosa. È fastidioso. No, aspetta, fastidioso è poco”.

“E tu pretendi sempre di avere l’ultima parola in capitolo. Direi che su questo punto andate molto d’accordo, motivo per il quale non la smettete di litigare” osservò il leonlupo.

“È lui che comincia, è sempre lui! E chiudiamo qui il discorso, non ho voglia di andare oltre”. La verità è che volevo chiudere il discorso perché non sapevo nemmeno io cosa mi fosse preso. Quando il gruppo si riunì, nessuno accennò al mio comportamento. Si ribadì solo il punto di incontro, poi ci dividemmo di nuovo e ci rimettemmo in marcia. Non dissi più una parola fino a North Corel. Mi volevo sotterrare.

 

Arrivammo a North Corel non molto dopo, forse un paio d’ore. Gli altri erano già lì, e Barret era circondato da un gruppetto di gente del luogo. Sembravano ostili, da quello che mi parve di sentire dicevano cose come: “Hai fegato a tornare qui!” e: “È colpa tua se North Corel è ridotta così!”. In effetti, la città non era proprio in buono stato. Sempre se si poteva chiamare quella città. Più che altro era un ammasso di tende locato vicino ad un reattore Mako. Il complesso delle due cose non la rendeva certo una vista piacevole. Barret si lasciava picchiare dai quei tizi, e non ne capivo il motivo, grosso com’era li poteva stendere tutti in un colpo.

Tanto siete tutti uguali, fate gli orgogliosi e siete i primi a subire.

Diceva di essere dispiaciuto. Beh, se la colpa era veramente sua, dire che era dispiaciuto non era decisamente abbastanza. Alla fine la gente del luogo si rese conto che non valeva nemmeno la pena perdere tempo a parlarci. Venne da noi sconsolato, dicendoci che era colpa sua se la città era ridotta in quello stato.

Ma dai, non l’avevo intuito.

Poi il mitragliatore umano se ne andò via correndo. La gente del luogo, per colpa sua, era ostile anche con noi, non eravamo i benvenuti. Solo un vecchietto ci disse che la funivia per il Gold Saucer stava per arrivare e ci indicò la strada per la stazione. Ci recammo lì e trovammo Barret.

“Si può sapere perché tutti qui in città ce l’hanno con te? Cosa hai fatto di male?” chiese Aerith, visibilmente dispiaciuta per il trattamento subito da Barret.

“È colpa mia se la città è stata distrutta …” rispose.

“Cos’è successo, Barret?” chiese Cloud. Non voleva mollare. Come sempre d’altronde. Era un impiccione, non erano affari suoi.

“La mia città si trovava qui …”.

“Perché si trovava? Non è forse questa?” obiettò Red XIII.

“Fino a circa quattro anni fa, in questa zona c’era la mia città, Corel. In quel periodo, Corel era una città che usava solo il carbone. Non conoscevamo il Mako. Un giorno, la Shinra ci propose di costruire un reattore. Eravamo tutti a favore. Tutti tranne il mio migliore amico, Dyne. Alla fine, a forza di suppliche e persuasioni riuscimmo a convincerlo a far costruire il reattore. Sembrava andasse tutto bene, ma … Un giorno, mentre eravamo fuori città, la città venne bruciata dalle truppe della Shinra. Quando tornammo, non c’era più nulla da fare …”.

“Perché la Shinra ha bruciato Corel?!”.

“SOLDIER, pensavo che dopo un po’ di tempo nella Shinra avessi capito come funzionano le cose lì dentro. Quelli vedono i pericoli zampillare da ogni dove, spuntare come funghi. Avranno pensato ad un attacco terroristico o cose del genere” dissi.

“Infatti. Il reattore fu trovato danneggiato e si pensò ad un attacco terroristico. La Shinra incendiò la città per punirli … Ma loro non c’entravano nulla …”.

“È terribile …” commentò Tifa.

“Odio la Shinra … Ma più di loro odio me stesso. Se non avessi convinto Dyne ad approvare la costruzione del reattore, non sarebbe successo nulla …”.

“Non è stata colpa tua, Barret. Tutti ci siamo lasciati ingannare dalla Shinra”. Tifa tentava di consolarlo. Avrebbe fatto meglio a lasciar perdere.

“Non è stata solo distrutta la città … Quel giorno è morta anche mia moglie Myrna …”.

Il conducente ci gridò di sbrigarci a salire se volevamo andare al Gold Saucer. Barret e Cloud salirono.

“La verità è che la colpa è tutta di Barret. Non avrebbe mai dovuto fidarsi della Shinra. Va sempre a finire così, distruggono tutto ciò che vedono. Ed io … io ne so qualcosa. Non solo Corel ha patito per colpa loro” e con questa frase sibillina, che lasciò intendere forse qualcosa del mio passato, salii sulla funivia, seguita dalle ragazze e Red XIII.

 

Il viaggio in funivia non era stato affatto piacevole. Barret era sgarbato con tutti, voleva essere lasciato in pace, e gli altri non dissero una parola. Mi misi a fischiettare una musichetta allegra, così, tanto per. Mi stavo annoiando a morte. Ma a quanto pare, se giravano a Barret era vietato anche quello. Mi beccai un “Ma la vuoi smettere?!” nell’orecchio, dato che era toccato a me sedermi vicino a lui. O meglio, mi ero messa lì perché non volevo stare in piedi, e la panca era una sola.

Arrivammo finalmente al Gold Saucer. Il mondo del divertimento e dello spasso. Ero … sia al settimo cielo per essere in un luogo del genere, sia schifata dal fatto che quel posto fosse stato costruito dalla Shinra. Per usare uno dei miei termini, ero eccifata, eccitata e schifata. Fatto sta che forse alla fine l’eccitazione prevalse. Scesi dalla funivia, inciampando in un gradino che non avevo notato. Persi un po’ l’equilibrio, sembrava fossi riuscita a rimettermi in piedi, e invece … Capitombolai per terra, travolgendo in un colpo Red XIII e Cloud. Quest’ultimo sembrava abbastanza irritato.

“Ma vuoi stare attenta a dove metti i piedi?!”.

“Scusa scusa, sono inciampata, non ho visto il gradino …” tentai di giustificarmi. Beh, in effetti il gradino non l’avevo davvero visto.

“Ma dove hai la testa, fra le nuvole?!”. Intanto Red mugugnava da sotto di spostarsi.

“Ti ho chiesto scusa, mi dispiace! Mi ero distratta a vedere tutte queste luci e non ho guardato per terra …”.

“Ho notato … Ti potresti gentilmente alzare?” disse tentando di riacquistare la calma. Intanto Red aveva abbandonato ogni tentativo di farsi sentire.

Aerith mi diede una mano ad alzarmi, chiedendomi se mi fossi fatta male, mentre Tifa aiutò Cloud. E sentii di nuovo quella sensazione così strana. Quel fuoco dentro, la rabbia … era uguale, se possibile mi sentivo bruciare di più. E non me ne davo ragione. Distolsi lo sguardo per non pensarci e cominciai a guardare il pavimento.

“Yuffie, mi sembri un po’ rossa … Sicura di stare bene?” mi chiese Aerith. Nel frattempo Red XIII, finalmente libero, tentava di riacquistare il fiato, mentre Barret si era messo in un angolo fregandosene altamente di tutti.

“Rossa, dici? Mah, sarà il caldo … Con tutte queste luci, farà almeno 40° … Mi sembra di essere tornata a Costa del Sol” dissi cercando una scappatoia. Aerith mi guardò perplessa.

“Ma come fai ad avere caldo?” mi chiese squadrando il mio vestiario. In effetti, poteva sembrare ridicolo. Anzi, ERA ridicolo.

“Non lo so, ma sono sempre stata molto calorosa!” troncai il discorso. Andai da Red XIII e mi scusai anche con lui per averlo investito, chiedendo se stesse bene. Mi rispose che dovevo essere un po’ sorda, perché non avevo sentito che mi chiedeva di alzarmi.

“Scusami, ma in fondo, l’importante è non essersi fatti male, no?” dissi sorridendo e ridacchiando. Un atteggiamento finto quanto le promesse della Shinra. Ma dovevo pur ingraziarmeli, e questo era l’unico modo.

Riassestata la situazione, ci avviammo alla biglietteria. Pagammo il biglietto: ben 3000 gil. Che ladri, si vede che siamo comunque in territorio Shinra. Finalmente entrammo: ci trovammo in una piazzetta gialla con tanti tubi che portavano alle zone del parco. Il giallo era un colore che mi dava sui nervi, ma se si trovava su soldi o Materia, allora diventava il mio colore preferito. Colore delle Materia = mio colore preferito. Semplice come cosa, no?

Barret era alterato dallo stare in un parco divertimenti. Cominciò a gridare che stare lì non aveva senso, che non era il momento di divertirsi e bla bla bla. Fanfarone, era un vero fanfarone. Ma chi lo ascoltava quando parlava? Io no di certo. Per fortuna decise di andare a sbraitare altrove. Saltò in uno dei tubi e via. A volte il cielo ti fa dei piccoli regali.

Cominciai ad osservare i vari simboli delle zone … Battle Square, Chocobo Square, Wonder Square … ce n’era per tutti i gusti. Non sapevo davvero da che parte incominciare. Ero trepidante, volevo andare in giro e divertirmi. E perché no, magari anche fuggire da quella banda di pazzi.

Non puoi ancora, dimentichi le Materia. Senza quelle, tu non ti schiodi di qui.

Sospirai, pensando a quanto ancora mi sarebbe toccato stare con loro. Decisi di fare la conta per decidere dove andare prima. Cominciai a contare fino a quaranta. Ma persi il conto.

“Uhm, a che numero ero arrivata? Era ventidue o ventitré? E poi quale piazza stavo indicando?” sussurrai tentando di ricordare, mettendo la punta dell’indice sulle labbra e alzando gli occhi. Cloud mi si avvicinò.

“Che diamine stai facendo?”. Gli avrei risposto che non era affar suo, ma mi diedi una controllata. Dovevo ingraziarmeli, la priorità era quella.

“Decidevo dove andare … È che non sono mai stata qui, fosse per me visiterei tutto! Ma il tempo è poco e non posso vedere tutto insieme … Solo che non so da dove incominciare!”. Facendo finta di niente, ricominciai a contare. Cloud mi guardava con un misto di curiosità e perplessità, e non accennava ad andarsene. Pensavo che volesse qualcosa, ma dato che non parlava, ci pensai io, anche se questo mi fece perdere di nuovo il conto.

“Mi devi dire qualcosa?”.

“Chi, io?”

“No, io. Certo, tu, vedi altre persone che mi stanno appiccicate come la colla?”.

“Non ti sto appiccicato come la colla!” disse voltando lo sguardo al muro.

“Allora, si può sapere cosa vuoi o no?” mi stava irritando, o parlava o mi lasciava in pace.

“Ecco … Mi chiedevo se volessi andare a fare un giro per il Gold Saucer” sussurrò cominciando a guardare per terra.

“Con gli altri? Mah, non saprei, ma in generale …”.

“Non con gli altri, con me”. Stavolta fu il mio turno a cominciare a fissarlo.

“Prego?” mi aveva spiazzato. La cosa puzzava. Ci doveva essere qualcosa sotto.

“Ho detto se …”.

“L’ho capito cosa hai detto, non sono sorda!”.

“Allora?”.

“Beh, tanto in giro ci volevo andare, a questo punto … Basta che non cominci a sbraitare come al solito!” dissi fingendomi offesa. In realtà mi sentivo … felice. Non so perché, ma quando me l’aveva chiesto, il mio cuore aveva cominciato a battere all’impazzata. Non capivo. Cosa mi stava succedendo?

“Fare un giro non vuol dire rimanere impalata con lo sguardo assente” mi disse Cloud, svegliandomi da uno stato di quasi catalessi. Cominciammo il nostro giro andando alla Speed Square. Qui incontrammo un tizio chiamato Dio, che ci disse di essere il proprietario della struttura. Era un tipo piuttosto strano. Era vestito con un … perizoma. Rivoltante. SOLDIER gli chiese se avesse visto un tizio vestito di nero e quello rispose che era passato di lì cercando una certa “Black Materia”. Quando se ne andò tirai un sospiro di sollievo, se non altro perché non c’era più quella vista nauseabonda.

“Esistono davvero uomini che girano con quella roba addosso?! Orribile. Davvero, è piuttosto sconcertate” commentai.

“Attenta, ci sono telecamere ovunque, magari in questo momento ti sta ascoltando e sta mandando della gente a prenderti per quello che hai detto” rispose il biondino riprendendo a camminare.

“Ehi, non è carino da parte tua!”.

“Non voglio essere carino”.

“Allora avevo ragione a pensare che c’era un motivo per cui mi hai chiesto di venire!”. Si fermò.

“Sì, c’è un motivo. Non hai ancora detto a nessuno da dove vieni, chi sei, quanti anni hai …”.

“E secondo te lo vengo a dire a te? Hai fatto male ad illuderti. Ed impara a farti gli affari tuoi, non mi pare che tu sia tanto meglio. Nemmeno tu hai mai detto niente di te”.

“Sei davvero maleducata. Tua madre non ti ha insegnato a rispondere decentemente?”. Quelle parole mi fulminarono. Sul mio volto si disegnò un’espressione di tristezza e malinconia.

“Io … Io non ho mai avuto … una madre” balbettai. Cloud sembrò quasi dispiacersi per avermi fatto quella domanda.

“Mi dispiace, non l’avrei immaginato … Non …”.

“Perché, secondo te uno gira per il mondo a fare la ladra se ha una casa e una famiglia?!” gli gridai. Non avevo intenzione di rivelargli nulla, ma l’avevo fatto. Era andata. Ora mi aspettavo la raffica di domande. A cui ovviamente non avrei risposto.

“ … Sì, hai ragione. Scusami se te l’ho fatta ricordare. E comunque, capisco come ti senti”.

“Che vuol dire che mi capisci?” chiesi con un velo di tentennamento nella voce.

“Anche mia madre è morta … Ma nel mio caso, avevo sedici anni … In compenso, non ho mai conosciuto mio padre”. Incredibile. Allora anche lui aveva un cuore.

“Tu … sei orfano …”. Calò il silenzio. Mi sentivo in colpa per aver aperto quel discorso. Tra l’altro, avevo scoperto che non aveva nessuno. Ora cominciavo a capire perché si comportava così freddamente. Ma nemmeno lui riusciva a rimanere composto in una situazione come quella. Sentii di dover aggiungere qualcosa. E così, decisi di dirgli quanti anni avevo.

“Cloud … Mi hai chiesto quanti anni ho prima. Beh, ne ho sedici”.

“Sedici?! Come sarebbe a dire sedici?!” disse sconvolto.

“Sarebbe a dire quello che ho detto. Ho sedici anni”.

“P-Pensavo fossi più grande …”.

“Ah sì? Perché, tu quanti ne hai invece?”. Ora che avevo parlato doveva parlare lui. Ad occhio, avrei detto che ne avrà avuti diciannove.

“ … Ventuno”. Spalancai gli occhi e cominciai a fissarlo. Toppato. Aveva cinque anni più di me. Ora capisco l’attitudine a fare il capo e a trattarmi male, in confronto a lui ero una bambina. E lo ero anche senza fare confronti. Non solo per fisico, anche per testa.

“Caspita … Beh, sei messo male: ventun’ anni e ti diverti a fare il bambino con le ragazzine”. Evvai, la provocazione quotidiana.

Mi mancava oggi. Beh, presto o tardi sarebbe arrivata.

Non si arrabbiò più di tanto, stranamente. Sembrava ancora scioccato dal fatto che fossi più piccola di quel che pensava. Riprendemmo finalmente a camminare.

Era ora, mi si stavano paralizzando le gambe.

Andammo alla Wonder Square. Una meraviglia. C’era una struttura che sembrava quasi un casinò, e io volevo vederla. Ad un certo punto un gatto a cavallo di un Moguri gigante ci si avvicinò.

“Ehi, sembri un po’ giù! Che succede? Vuoi una predizione del futuro?” disse il gatto a Cloud. Ormai avevo fatto l’abitudine ad animali che parlano. Era un gatto nero con il muso, la punta della coda e la pancia bianca, una corona in testa, un mantello rosso, dei guanti bianchi e un paio di stivaletti. Sembrava il re di Fantasilandia. Ridicolo.

“Predici il futuro? Sei anche in grado di dirci dove si trova una persona? Stiamo cercando un certo Sephiroth”.

“Cloud, andiamo, non crederai ad un gatto! E poi, queste cose del futuro sono tutte farlocche”.

“Come scusa?! Adesso ti faccio vedere!” il gatto cominciò a fare un balletto strano, per poi darci un foglietto.

“… <> … Aspetta un attimo, cosa c’entra questo con quello che ti ho chiesto?!”. Mi scappò una risata, e presi a canzonare il gatto.

“No no no, aspetta, ci riprovo!”. Fece di nuovo il balletto e ci diede un altro biglietto.

“<> Guarda, lascia perdere, non possiamo sprecare tempo” disse Cloud.

“No, questa volta sento che è quella buona!”. Il balletto fu ancora più veloce. Ci diede l’ennesimo biglietto.

“Ma che diamine …?”.

“Fa’ un po’ vedere, voglio leggere anch’io! <> Che vuol dire?!”. Lo sapevo, era farlocco.

“Hmm … Non è mai uscita una predizione del genere. Non so se sia bene o male … Voglio venire con voi per scoprirlo!” disse il gatto.

“Come scusa?! Andiamo, non lo lascerai mica venire! Non abbiamo bisogno di un altro fenomeno da baraccone!”. Mi ero autodefinita un fenomeno da baraccone, accidenti alla mia boccaccia.

“Silenzio, hai una voce irritante!” mi gridò il gatto. Tentai di corrergli incontro per tirargli il collo, ma Cloud mi disse di darmi una calmata. Aggiunse che non avevamo bisogno di lui.

“Non mi importa, dite quello che volete, io vengo con voi! A proposito, il mio nome è Cait Sith!”. E così, il gatto ci si incollò. Che diamine voleva da noi, gli avevamo detto di no.  Era fastidioso. E poi, come si permetteva di dire che la mia voce è irritante?!

Andammo alla Battle Square. Cloud voleva parlare con quel Dio e il luogo che ci aveva dato come riferimento per trovarlo era proprio quello. Appena arrivammo trovammo una brutta sorpresa. Una scia di sangue. L’atmosfera era spenta, sembrava che la Morte stessa fosse passata a fare razzia di uomini. Un fante della Shinra giaceva esanime alla base della scalinata che conduceva alla struttura principale. Sul petto aveva segni di arma da fuoco.

“Cosa sta succedendo qui? Il Gold Saucer è sempre stato un posto tranquillo, perché sono venuti a fare guai? Non è che verranno a darci la colpa per questo?” Cait cominciava a dami sui nervi con tutte quelle domande. Tra l’altro, non era un luogo piacevole dove chiacchierare. Noncurante dell’avvertimento di Cait Sith, Cloud decise di salire all’arena, per vedere com’era la situazione lì. Non avevo affatto intenzione di restare da sola, perciò lo seguii. Venne con me anche il gatto. All’interno era ancora peggio: era stata fatta una strage. Tutti morti per colpi di arma da fuoco. C’era una delle hostess ancora viva nascosta dietro al bancone. Era riuscita a salvarsi. Le chiedemmo cos’era successo. Ci spiegò che era arrivato un uomo con una mitragliatrice al posto di una mano e aveva cominciato a sparare. Io e Cloud ci guardammo allucinati: poteva davvero essere stato Barret? Insomma, da quello che risultava era l’unico con quelle caratteristiche.

Mentre eravamo lì, arrivò Dio. Tentammo di spiegargli la situazione, ma non ci credette. Pensò che la colpa fosse stata nostra. Tentammo di scappare all’interno dell’arena, ma venimmo a trovarci in un vicolo cieco. Gli uomini della sicurezza ci presero e ci portarono via. Ci portarono in una sala di pietra, con una voragine nel pavimento. Attorno a questa, c’era un anello con una scritta: “Portale per il paradiso”. Poi fummo presi da dei robot. Stringevano piuttosto forte. Mi faceva male il braccio destro. Cominciai a gridare di lasciarmi, che mi stava facendo male, ma niente. Dio disse che era il momento di pagare per ciò che avevamo fatto. Il robot che mi teneva si avvicinò alla voragine. Ad un certo punto, mollò la presa e precipitai nel vuoto. L’ultima cosa che ricordo è un tonfo sordo, poi il buio più totale.

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Final Fantasy VII / Vai alla pagina dell'autore: Yuffietheninja