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Autore: Carmilla Lilith    06/06/2013    2 recensioni
I protagonisti delle storie di questa raccolta sono accomunati da un elemento: il fallimento. Come nel ciclo di romanzi progettato (e mai terminato) da Verga, non c'è alcuna rivalsa per questi personaggi, vinti dalle loro debolezze o da cambiamenti che non riescono ad accettare.
Ogni capitolo può essere letto a sé.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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A Kim, il mio anziano cagnolone che ora non c’è più.
Non si poteva desiderare un amico migliore di te.
 

Come sempre Satu Mare ti accoglie a braccia aperte quando vi fai ritorno: al benzinaio dopo la dogana un gruppetto di bambini rom aspetta l’arrivo di qualche macchina, nella speranza che scendano degli sprovveduti a cui chiedere l’elemosina o sfilare il portafoglio, mentre dall’altra parte della strada un piccolo branco di cani randagi si concede un po’ di riposo all’ombra di un edificio abbandonato. Uno dei cani, però, sembra decisamente morto, peccato.
Bentornato a casa, insomma. Persino il giovane doganiere ungherese, quando ha visto il tuo documento d’identità tedesco si è chiesto perché cazzo avessi deciso di tornare. Non te l’ha domandato a voce alta, ma il suo sguardo era più che eloquente. Avresti voluto rispondergli, ma non era il caso: meglio non dire a un poliziotto che sei tornato per commettere un omicidio.
 
La tua Fiesta nera avanza lenta mentre cerchi di evitare, con scarsissimo successo, i crateri nell’asfalto. Rimpiangi le lisce strade tedesche a cui ti eri abituato negli ultimi cinque anni e ancora una volta ti domandi cosa diavolo ti abbia spinto a far ritorno qui. Soltanto pensando alla vendetta che stai architettando riesci a consolarti un po’.
“Ci avresti pensato due volte prima di darmi dell’infame se avessi saputo cosa sto facendo per te” pensi ad alta voce, rivolgendoti a quell’idiota di Sebi.
Quante volte gli avevi detto di decidersi a crescere? Gli avevi persino trovato un posto di lavoro in Germania e lui ti aveva soltanto sfottuto: “Sono i cagasotto come te che se ne vanno all’estero, Andrei. Io non sono come te, io resto”.
Bell’affare che ha fatto restando, dato che ora se ne sta qualche metro sotto terra. Quasi quasi è il caso di andare a trovarlo, giusto per ricordargli quant’è stato cretino.
 
Parcheggi davanti al nuovo cimitero ortodosso e ti accolgono gli immancabili randagi, che subito ti vengono incontro elemosinando un po’ di cibo. Fai a pezzi i resti del panino comprato in autostrada e lo getti a quelle povere creature scheletriche.
Ti dirigi poi all’interno, alla ricerca di quell’idiota del tuo migliore amico. Come sospettavi, la sua famiglia non ha sborsato granché per l’ultima dimora di Sebi, un po’ perché non poteva permetterselo, un po’ perché lo consideravano morto già da un pezzo e spendere soldi per il suo funerale non aveva molto senso.
Szabolcs si sta decomponendo sotto un mucchio di terra ancora umida, su cui troneggia una modesta croce di ferro e una targa che, impietosa, ti ricorda che il coglione aveva solo trentun anni. Sulla tomba c’è soltanto un mazzo di fiori che sta già marcendo.
Non te lo aspettavi, ma scoppi in lacrime. Non si può morire a così giovani, dovrebbe esserci qualche legge universale per proibirlo. Soprattutto non si dovrebbe morire senza aver lasciato nessuna traccia di sé, venendo subito dimenticati da tutti o quasi.
Vinto dal dolore, ti ritrovi in ginocchio a singhiozzare come un poppante e poggi a terra la bottiglia di Jack Daniel’s che hai portato a Sebi. Ti ricordi benissimo della prima sbronza che avete fatto insieme con quella bevanda e di come, dopo quella volta, Sebi non potesse più sentirne nemmeno l’odore. Adesso non può più vomitare, quindi ti pare giusto permettergli di berlo per un’ultima volta.
Mentre piangi vieni raggiunto da uno dei randagi, che comincia a leccarti la mano. Riesci finalmente a riprenderti e ti alzi, raccogliendo la bottiglia e aprendola. Versi tutto il whiskey sulla tomba, dicendo: “Alla tua, amico mio”.
Decidi poi di andartene, non prima di aver chiamato il randagio con te. In cuor tuo sai già che nome darai a quel disgraziato.
 
Dopo aver fatto spesa al Real raggiungi il tuo vecchio appartamento in BulevardulSănătăţii e per la prima volta in vita tua sei contento che quello stronzo di tuo fratello ti abbia convinto a non venderlo dopo la morte dei tuoi.
Tu e il tuo nuovo amico pulcioso siete riusciti a evitare tutti i condomini e siete ora rifugiati al settimo piano di un grigio edificio d’epoca comunista, uguale a tutti quelli che compongono il quartiere. Certo, l’interno dell’appartamento è cambiato molto dall’ultima volta che ci sei stato: l’orrenda carta da parati è stata tolta e le pareti verniciate di bianco, le infiltrazioni di umidità sono sparite e non si sente più l’odore di cibo avariato e di alcol, che ti ha sempre dato il voltastomaco. A fatica devi ammettere che tuo fratello ha avuto davvero una bella idea quando ha deciso di ristrutturare l’appartamento per affittarlo.  
Già, tuo fratello. Quando gli hai scritto per domandargli se l’appartamento era libero, dato che pensavi di starci qualche giorno si è limitato a risponderti: “Sì, è libero. Fai come ti pare”. Non ti ha mai perdonato di averlo lasciato solo con vostra madre quando sei andato in Germania a lavore, egoista com’è non ha nemmeno provato a capire che, se non fossi andato all’estero a cercare lavoro, adesso sareste tutti e due sotto un ponte a fare i barboni.
Non ricorda più quando vi facevate forza a vicenda, sognando il giorno in cui sareste divenuti ricchi e liberi di vivere come meglio credevate, sembra abbia dimenticato che l’iscrizione all’università di Bucarest gliel’hai pagata tu. Adesso lui è felice nella capitale e ti evita come la peste perché gli ricordi un passato di cui si vergogna profondamente. La cosa peggiore è che in parte lo capisci, anche tu hai cercato di fuggire da Satu Mare e da ciò che rappresenta: la povertà, la fame e la vergogna.
 
Apri un barattolo di cibo per cani, lo versi in un piatto e, mentre Sebi si serve, accendi una sigaretta osservando dalla finestra il grande paese.
Il sole sta tramontando e le prime luci vengono accese nei grigi grattacieli e in lontananza si erge la Primaria, con le lucine delle antenne televisive che brillano rossastre nel crepuscolo. Ma è il Someș, che scorre apparentmente placido vicino al tuo condominio, ad attirare la tua attenzione. Ti ricordi benissimo di quel bambino annegato, tu e Sebi stavate nuotando poco distante da lui. Sparito in un istante, inghiottito da un mulinello del fiume e riapparso soltanto qualche giorno dopo, il cadaverino gonfio di umidità. I più grandi avevano provato a salvarlo, ma non c’era stato niente da fare. Fare il bagno nel Someș era pericoloso, gli adulti vi avevano avvertito, eppure voi continuavate ad andarci.
Chissà quante volte hai nuotato a pochi passi da una certa condanna a morte e te ne sei fregato, ritenendoti, come ogni ragazzino, assolutamente immortale. Eppure quel bambino era morto, tu lo hai visto sparire, ma hai continuato a pensare che non ti sarebbe mai accaduto niente del genere.
Ora fare il bagno nel fiume è impensabile, inquinato com’è, e ti scopri stranamente sollevato all’idea che nessun bambino verrà più inghiottito dai mulinelli.
 
Ti svegli di soprassalto, rendendoti conto di esserti addormentato sul divano. Eri convinto di aver fatto un pisolino di qualche minuto, ma la stanchezza accumulata nel lungo viaggio in macchina ha avuto la meglio e si è già fatto giorno.
Ti rechi in cucina e scopri che Sebi ha fatto i suoi bisogni sul pavimento. Il povero bastardino ti guarda mortificato e ti lasci scappare soltanto qualche imprecazione, mentre vai alla ricerca di mocio e detersivo per pulire. Non è la prima volta che pulisci del piscio dal pavimento di casa, ma è quasi confortante sapere che ora è quello di un povero animale e non di tuo padre ubriaco.
Decidi poi di portare fuori il pulcioso, sperando che fare due passi ti aiuti a svegliarti.
 
Ti accorgi presto che uscire non è stata una buona idea. Il Sebi a quattro zampe corre felice poco distante da te, ma tu sei in preda al dolore, perché ogni angolo ti ricorda dell’altro Sebi: il grande parcheggio sotto casa tua dove vi ritrovavate con la vostra compagnia e dove, a turno dietro i cassonetti, vi siete sverginati con una puttana; il bar dove vi ubriacavate durante la settimana, in attesa del week end per andare in discoteca; il parco pubblico dove spacciavate e, in quel parco vicino alla chiesa riformata, l’angolo dove, a quanto ti hanno detto, hanno ammazzato di botte il tuo migliore amico.
Ti è bastato percorrere poche centinaia di metri per distruggerti e, mentre cerchi di esorcizzare il dolore giocando con Sebi al lancio del legnetto, non riesci a non immaginare quell’ungherese alto e ben piazzato che viene pestato a sangue da chissà quante persone. Vorresti tanto credere che l’abbiano ammazzato perché stava provando ad uscire dal giro dello spaccio, ma sai che non è così. Con ogni probabilità l’idiota aveva cominciato a tenere per sé più soldi del dovuto e lo hanno sgamato subito.
L’ultima volta che l’avevi sentito, circa due mesi fa, ti avevo detto di voler sposare Anita e il pensiero che Szabolcs si sia fatto ammazzare solo per trovare i soldi per sposarsi con quella grandissima troia della sua fidanzata ti impazzire.
Tiri il legnetto il più lontano possibile e ne approfitti per sederti sull’erba bagnata, dato che le panchine sono piuttosto malconce. Pensi che non sarebbe male l’idea di passare a far visita ad Anita, chissà che non ne ricavi qualche indizio sugli assassini di Sebi.
 
La sera decidi di andare a mangiare fuori per poi metterti alla ricerca di Anita, anche se sai già che non sarà un’impresa particolarmente difficile.
Prima di andare via ti assicuri che Sebi abbia cibo a sufficienza e gli accarezzi brevemente la testolina pelosa. Nel pomeriggio gli hai fatto il bagno e gli hai comprato collare e guinzaglio, sentendoti finalmente bene perché avevi qualcuno di cui prenderti cura. Ti senti persino un po’ a disagio al pensiero che il bastardino resterà ad aspettarti per tutta la notte e, mentre ti dirigi verso la fermata dei taxi, non puoi fare a meno di rivolgere il tuo sguardo alto, verso il tuo appartamento.
Speri solo che Sebi non si senta troppo solo.
 
Il taxista ti lascia in Piața Libertății come gli hai chiesto. Paghi l’irrisoria cifra di dodici Lei e scendi, diretto verso la pizzeria Grandissima.
Come ti aspettavi, i parcheggi sono tutti occupati e la piazza centrale pullula di persone, per la maggior parte giovani lavoratori come te che hanno fatto ritorno in patria per le vacanze pasquali. Sbuffi, invidiandoli profondamente: sono passati anni da quando hai festeggiato Pasqua in maniera decente, andando a Messa a mezzanotte e strafogandoti di zuppa, roulade e sarmale il giorno dopo a pranzo. Poco importava se quelle leccornie le dovevi preparare tu, il pranzo di Pasqua era uno dei pochi momenti in cui la tua sembrava una famiglia normale, i cui membri si riunivano intorno al tavolo a mangiare e chiacchieravano pigramente di futili argomenti proposti dalla televisione accesa.
Ormai anche quella fragile illusione di serenità è andata distrutta e tutto ciò che ti si prospetta in questi giorni sono pasti solitari,  dato che da quando lavori all’estero hai perso di vista quasi tutti i tuoi amici. I pochi con cui hai mantenuto i contatti vivono stabilmente in Germania e in Francia e non fanno ritorno in Romania nemmeno per le feste, come te stanno cercando di da un passato che non merita di essere ricordato.
La sensazione di solitudine si ancora più forte quando, in pizzeria, siedi ad un tavolo da solo e consumi la cena in totale solitudine. Ti senti come osservato e giudicato dalle allegre famigliole o dalle chiassose combricole di amici presenti nel locale e il disagio diventa quasi insopportabile, tanto che fatichi a mangiare.
Soltanto quando vai a pagare e vedi il tuo portafoglio pieno di soldi, ricordi cosa ti ha spinto a prendere le distanze dalla tua città e ti senti, finalmente, sollevato.
 
Uscito dalla pizzeria ti avvii verso il club Kaméleon, dove lavora Anita. Mentre attraversi il parco in Piața Libertății non puoi fare a meno di voltarti verso il Dacia e un’espressione carica di disgusto compare sul tuo volto. La facciata in stile liberty è in gran parte nascosta dall’impalcatura, l’ennesimo tentativo di recuperare lo splendore dell’edifico simbolo della città. Non è la prima volta che l’hotel viene sottoposto a degli interventi di ristrutturazione, ma già immagini che siano destinati a fallire come i precedenti, che si sono sempre rivelati delle truffe per sottrarre denaro pubblico e lasciare invariate le disastrose condizioni del Dacia. Ancora una volta l’hotel è l’emblema della città, che si sta disgregando davanti all’indifferenza generale dei suoi cittadini, costretti ad andarsene all’estero per non dover morire di fame nella loro città natale. Una vera e propria diaspora, che ha diviso famiglie e amicizie, ponendo fine a quel minimo di solidarietà umana che esisteva ai tempi del comunismo.
Volti le spalle all’edificio e, mentre attraversi il parco cittadino, noti come sia ironico che non ci siano fondi per salvare l’hotel Dacia, ma le aiuole siano maniacalmente curate.
 
Ti concedi una passeggiata e noti che tutti i bar sullaStrada Petőfi Sándor sono stracolmi. Svariati gruppetti di giovani camminano per strada, chiacchierando ad alta voce e bevendo birra.  
Riesci a entrare al Kaméleon soltanto perchè allunghi duecento Lei al buttafuori, tanta è la ressa all’interno del locale. Ti dispiace un po’ per quei cretini che hanno speso buona parte del loro stipendio per comprare vestiti firmati per riuscire ad entrare e sono invece rimasti fuori, privi di denaro con cui corrompere i buttafuori.
Fosse poi questo gran posto, pensi tra te e te, mentre ti dirigi al bancone in cerca di Anita. Si tratta di una discoteca piuttosto piccola, le cui mura sono pacchianamente dipinte di viola e arancione, persino le tinte dei divanetti sono a dir poco sgargianti, tra verde pistacchio e bianco brillante.
Avanzi a fatica tra la folla e finalmente arrivi al bancone, riconoscendo subito la fidanzata di Szabolcs. I vostri rapporti sono sempre stati pessimi, ma non puoi negare che si tratta di una bella ragazza, formosa e con brillanti occhi azzurri.
Quando si accorge di te sbianca di colpo, come se avesse visto un fantasma. Resta immobile ed è un altro barman ad occuparsi della tua ordinazione, mentre lei viene richiamata da una sua collega, che la intima a spicciarsi con le ordinazioni.
Sorridi, continuando a fissarla, mentra attendi che ti servano la tua Timisoerana e non puoi che gioire della sua inquietudine.
 
Passano diverse ore e tu sei ancora lì accanto al bancone, intento a fissare la povera Anita, che appare sinceramente preoccupata.
Ti sei allontanato poche volte, giusto per apparire uno stalker. Hai fatto un giretto in mezzo ai corpi sudati in mezzo alla pista, sei andato in bagno a pisciare e sei uscito a fumare. Niente di cui preoccuparsi, un classico cliente solitario che invece di annoiarsi a casa ha deciso di annoiarsi al club. Anche se Anita parlasse della sua preoccupazione con i suoi colleghi, nessuno le darebbe peso.
“Che diavolo ci fai qui?” ti domanda, ad un certo punto, avvicinandosi.
“Bevo, non posso?” domandi, fingendo indifferenza. Ti fissa con disprezzo e fa per andarsene, quando la chiami.
“Che vuoi?” ti domanda, gelida. “Portami un’altra media, già che ci sei” le rispondi.
Anita fa ritorno poco dopo e ti porge il boccale di birra e, dopo che l’hai pagata, ti bisbiglia: “Spero che ti vada di traverso, pezzo di merda”. Sorridi, sollevando il bicchiere e accenando un brindisi e lei si allontana, non prima di averti fulminato con lo sguardo.
Avresti potuto aspettarla fuori, la stronza, ma ti saresti privato del piacere di vederla così nervosa. Decidi di uscire e di aspettarla fuori, dato che ormai manca meno di un’ora alla chiusura del locale.
 
Devi attendere ben un’ora e mezza prima che la giovane mora esca dal locale e sei quasi stupito che non abbia cercato intenzionalmente di ritardare la sua uscita. Forse crede che tu abbia desistito, o forse si è semplicemente rassegnata, chissà.
Ti nota quasi subito e, dopo una breve esitazione, decide di raggiungerti. La guardi con malcelato disprezzo, come fai da quando ha cercato di sedurti, se così vogliamo dire, nonostante si stesse già frequetando con Sebi. Quando lo avevi raccontato al tuo migliore amico, lui non ti aveva creduto e  i vostri rapporti erano lentamente peggiorati.
Sai che il colpo di grazia alla vostra amicizia lo avevi dato tu, trasferendoti in Germania, ma anche Anita aveva fatto la sua parte, sparlando di te ogni volta le fosse possibile. Sei piuttosto sicuro che abbia tradito Sebi più volte, ma ormai non conta più.
“Che vuoi, Andrei? Farmi le tue condoglianze?” ti domanda, a bruciapelo.
Sorridi, trattenendo a stento l’istinto di spaccarle la faccia, e ti limiti a rispondere:”No, Anita. Voglio soltanto sapere se tu sai qualcosa”.
“Se pensi di vendicarlo sei molto più idiota di quanto credessi”.
“Non voglio il tuo parere, voglio soltanto capire che cosa sai”.
“Lo puoi immaginare da solo, Andrei. Ha cominciato a tenere per sé un po’ troppi soldi e Tasi si è incazzato. Gli avevo detto di stare attento, ma non mi ha ascoltata” risponde Anita, confermando le tue ipotesi. Tuttavia il suo tono assolutamente indifferente ti sta facendo andare su tutte le furie, tanto che sibili: “Sai che ti voleva sposare, vero?”
La giovane annuisce brevemente, lasciandosi scappare un’amara risatina. “Fidati, non avevo chiesto nulla del genere, è stato lui a insistere. Sei stato tu a mettergli in testa tutte quelle stronzate dei progetti per il futuro e del lavoro serio, sei contento di com’è andata a finire?!”
Non riesci più a trattenerti e la colpisci con un violento pugno in pieno viso, facendola cadere a terra. Preso dal panico ti guardi intorno, ma nessuno presta caso a voi due: molti giovani sono davanti all’entrata del locale, ma pensano agli affari loro, fumando e ridendo. Sono lontani, distratti.
Fissi Anita con disprezzo e non provi nemmeno a soccorrerla. “Sei soltanto una grandissima stronza” le dici, prima di allontanarti. Fai a malapena qualche passo, quando la senti chiamarti, la voce rotta dalla lacrime di dolore.
Ti volti e vedi che si è rialzata e ti sta fissando furibonda: “Non hai idea del casino in cui ti sei cacciato, stronzo!” ti minaccia. 
Ti volti senza nemmeno risponderle.
 
Mentre attraversi il ponte Golescu, decidi di fermarti un istante e ti accendi una Marlboro ammirando l’alba che rischiara le scure acque del Someș.
Fino a due settimane fa il tuo migliore amico era vivo e, ora lo sai, stava veramente provando a tirarsi fuori dalla merda. Forse, se avesse avuto più tempo, sarebbe riuscito nel suo intento e non avresti mai ricevuto la telefonata di sua madre che, più con rassegnazione che dolore, ti annunciava la sua morte.
Vorresti davvero sapere come sarebbero andate le cose, anche se pensarci è soltanto una tortura inutile. In fondo, era rimasto come quando eravate bambini: aveva visto il pericolo e aveva ignorato i consigli degli amici, aveva continuato a sguazzare nel suo Someș personale, ingenuamente convinto che lui ne sarebbe uscito incolume.
Pensi, tuo malgrado, che anche a tu stai facendo lo stesso: Daniel Tasi ha parecchi uomini hai suoi servizi, ed è alquanto improbabile che tu riesca a vendicare la morte di Sebi senza rimetterci la pelle. C’è un motivo per cui non hai detto a nessuno delle tue intenzioni, dato che tutti avrebbero sicuramente cercato di fermarti, ma non è questo che vuoi. Devi nuotare nelle tue acque oscure e, se affogherai, nessuno avrà nulla da rimproverarsi.
 
Arrivi a sotto casa stordito dall’alcol e dalla mancanza di sonno. Tutto ciò che vuoi è metterti a letto e recuperare le forze, perché stanotte ti metterai sulle tracce di Tasi e finalmente potrai utilizzare la tua nuova pistola, comprata appositamente per l’occasione.
Imprechi tra te e te, ricordandoti che prima di concederti il meritato riposo dovrai portare fuori il povero Sebi, che ormai avrà la vescica gonfia come un palloncino.
Preso dai tuoi pensieri, non ti accorgi dell’uomo che è appena sceso dalla sua Mercedes nera e che ti sta venendo incontro  estraendo una pistola dalla sua giacca.
Non fai nemmeno in tempo a reagire quando l’uomo di arriva di fianco e ti punta l’arma alla tempia. Tasi non si è nemmeno scomodato e ha mandato Gabor, uno dei suoi scagnozzi, a fare il lavoro sporco, Puoi scommettere che sia stata Anita ad avvisare Daniel del tuo arrivo e lui, che già voleva vendicarsi per il tuo abbandono cinque anni fa, ha colto la palla al balzo.
Mentre il colpo esplode riesci a pensare soltanto al consiglio che ti aveva dato Sebi dopo la prima scazzotata che avevate fatto a scuola: “Bevici su un po’ di palinka, vedrai che passa tutto!”, invece realizzi che non basterebbe tutta la palinka del mondo per dimenticare il dolore che provi per non aver saputo difendere Sebi, nemmeno quello a quattro zampe, che ancora aspetta nel tuo appartamento.
 
È il commissario Gyorgy a occuparsi del caso del tuo omicidio. Non si stupisce particolarmente quando scopre che non esiste alcun testimone oculare del delitto: stranamente, quando si tratta di un caso che riguarda Tasi, l’omertà regna sovrana.
Sospira, mentre apre la porta del tuo appartamento, si chiede perché un giovane pieno di speranze, con un buon lavoro all’estero, sia tornato soltanto per farsi ammazzare.
Resta stupito, Gyorgy, quando in cucina trova un magrissimo cane che lo osserva spaventato. Il commissario tende la mano all’animale, che si avvicina diffidente.
“Cosa ci fai qui, cucciolo?” domanda l’uomo, accarezzando la testa a Sebi. Il cane si limita a fissarlo e scodinzola debolmente.
Saresti felice di sapere che, nel momento in cui il commissario Gyorgy ha deciso di adottare il cucciolo pulcioso, almeno uno dei Sebi avrà un futuro decente.
 

L’angolo dell’autrice

 

Salve a tutti! Questo racconto è una sorta di esperimento: era parecchio che non mi cimentavo con qualcosa di così lungo, senza contare che non avevo mai usato la seconda persona per scrivere un racconto. Anche lo stile è cambiato un po’ e non so bene che cosa pensare di questo lavoro, spero che vi piaccia!
Inizialmente la storia doveva partecipare al contest “La città e il noir” indetto da ElleSinclaire sul forum di Efp, ma non sono riuscita a rispettare il numero minimo di pagine previsto dal bando, purtroppo.
Qualche piccola nota: il nome Szabolcs è di origine ungherese, etnia molto presente nella città di Satu Mare. I luoghi descritti sono tutti realmente presenti nella città, il cui nome può essere tradotto in italiano come “Grande Paese”.
I sarmale sono un piatto tipico rumeno, degli involtini di verza ripieni di riso e carne (ne mangio a tonnellate), mentre la palinka è una grappa, generalmente fatta in casa, a base di mele, pere o entrambe.
Il Real di cui si parla nel testo è un ipermercato di origine tedesca molto diffuso nell’Europa dell’est. Con mio sommo dispiacere l’Auchan sta assorbendo la maggior parte dei negozi di questa catena.
Detto ciò, ribadisco il mio amore per la città di Satu Mare, che considero alla stregua di una seconda casa, anche se da questi racconti potrebbe non sembrare. Presto, comunque cambierò ambientazione per i miei racconti.
A presto,

Carmilla Lilith.

 
   
 
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