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Autore: ShioriKitsune    24/06/2013    9 recensioni
In un universo alternativo, Naruto, Sasuke e tutti gli altri sono dei normali ragazzi che frequentano la scuola superiore. Ovviamente, il normali va tra virgolette.
****
[NaruSasu]
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha, Un po' tutti | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Ed eccoci al decimo capitolo! Un solo giorno di ritardo, ma se vi dico che sto preparando della roba per il cosplay e che sono super impegnata, mi perdonate? ç_ç
Colgo l'occasione per spammare la mia nuova bambina, una ff crossover (però non serve conoscere per forza tutti i personaggi, per leggerla) a cui tengo molto. Mi farebbe piacere se qualcuno la cagasse un pochino Q_Q (Shinryaku! Che storia è questa?)

Vi ringrazio per essere ancora qui a leggere, recensire e darmi sostegno. Vi adoro!


* * * * *


Capitolo dieci: Se il passato bussa alla tua porta, sbattigliela in faccia e vattene in vacanza


 

Le successive quattro settimane passarono senza che Naruto e Sasuke si rivolgessero la parola.
 
Che novità.
 
Beh, un po’ l’Uzumaki si era abituato a quella strana altalena che era diventato il loro rapporto. Un giorno amici, l’altro amanti e quello dopo s’ignoravano a vicenda.
Troppo testardi per chiedere scusa o troppo timidi per fare il primo passo?
Quella volta però, non era solo una questione di scuse. Per la prima volta, l’Uchiha aveva toccato un tasto che, per il biondo, era ancora parecchio dolente.
Il suo passato.
Un passato diverso da quello che tutti si aspettavano guardando il suo sorriso. Un passato dal retrogusto amaro e dalle compagnie poco raccomandabili.
Naruto avrebbe preferito dimenticarlo e basta, ma si sa che i nodi vengono sempre al pettine.
Suigetsu si era presentato da lui con l’oggetto che, anni addietro, era diventato quasi un’ossessione: un piccolo ciondolo da donna, in cui era contenuta una foto di famiglia.
La famiglia Uzumaki.
Naruto sospirò, rigirandosi quel piccolo oggetto tra le dita. All’apparenza era un ninnolo come tanti altri, dorato e con delle fantasie floreali incise sulla superficie. All’interno, una donna dai lunghi capelli rossi stringeva tra le braccia un fagottino biondo e, alla sua sinistra, un uomo – biondo anch’esso – le baciava i capelli.
Non era qualcosa di cui si sarebbe vergognato, ma preferiva tenerlo per sé. Preferiva nascondere e dimenticare la storia che si nascondeva dietro quel piccolo pendente.
 
Tre anni prima.
 
«Allora hai deciso di partire?».
Karin incrociò le braccia al petto, tenendo lo sguardo basso.
Da quando era entrata a far parte di quella bizzarra famiglia, non aveva avuto occhi che per quel biondo dall’aria ribelle. Sapere che aveva scelto di lasciarli – di lasciarla – la faceva sentire tradita.
«Sì», borbottò lui, mettendo in una specie di valigia quei pochi abiti che possedeva. «Sono stanco di questa vita, voglio cambiare».
Lei serrò la mascella. «E te ne sei reso conto così, all’improvviso?».
«Non proprio. È che ho capito che non ho bisogno di fare queste cose, di vivere in questo modo a danno degli altri. Io non sono così».
Io non sono così.
Quelle parole rimbombarono nella testa della ragazza dai capelli scarlatti, seguite da una frase che Naruto non aveva detto, ma che gli si leggeva negli occhi.
Non sono come voi.
Karin lo sapeva, lui era diverso. Lui era buono. Ciò che aveva fatto era stato soltanto per riuscire a sopravvivere.
Per riuscire ad andare avanti.
Ma, senza volerlo, era finito in una spirale ancor più nera di quella dalla quale era riuscito ad uscire. Il dolore della morte dei suoi genitori, uccisi perché la loro presenza era scomoda a qualche alto capo di un’associazione criminale. Associazione che Minato – il padre di Naruto – era riuscito a far venire allo scoperto.
E poi, per vendetta, erano stati fatti fuori.
«E il tuo desiderio di vendicare la morte dei tuoi genitori?».
Naruto sorrise – se quello poteva essere definito un sorriso. Gli angoli delle sue labbra si piegarono all’insù, ma tristemente. «A che serve vendicarsi? A che serve spargere altro sangue? I miei genitori non torneranno indietro».
«Ma Suigetsu..».
«Suigetsu non riuscirà a prendere quel ciondolo. Non riuscirà ad entrare lì dentro. Considera nulla quella promessa».
Karin fece un passo avanti, afferrandogli una spalla. «E se dovesse riuscirci?».
Quella era la domanda che Naruto si era posto più di una volta.
“E se dovesse riuscirci?”
E se Suigetsu davvero fosse stato in grado di infiltrarsi nella tana del nemico, studiarne i punti deboli e, come prova, riuscire a riprendere il ciondolo della madre di Naruto?
«Se dovesse riuscirci, deciderò cosa fare. Ma digli di non rischiare la vita per me. Probabilmente nemmeno ci vedremo più».
A quelle parole, il cuore della ragazza sembrò frantumarsi in tanti piccoli pezzi. «Naruto, ti prego».
Quello squittio tremolante convinse il biondo a guardarla. Le posò una mano sulla spalla, gentilmente ma con distacco. «Non ci potrà mai essere nulla tra di noi, Karin. E quello che c’è stato.. dimenticalo. È stato un errore». Fece una pausa, guardandola come per assicurarsi che avesse recepito il messaggio. «Io non sono innamorato di te. Quindi, quando me ne andrò, non cercarmi».
Distrutta, sbriciolata in pochi attimi e da quattro parole in croce.
Si sforzò di deglutire, obbligandosi ad annuire. «Lo so».
«Bene».
E l’Uzumaki tornò a darle le spalle, escludendola dalla sua vista e dalla sua vita.
Si mise lo zaino in spalla, avviandosi verso la porta. «Allora.. buona fortuna».
Karin si conficcò le unghie nei palmi delle mani, imponendosi di restare al suo posto.
E, soprattutto, di non piangere.
«Anche a te.. Naruto-kun».
 
Presente.
 
Nonostante la sua partenza, il suo distacco da quella vita e l’abbandono di quella che, per un po’, era stata come una famiglia, Suigetsu aveva mantenuto la promessa che gli aveva fatto quando si erano conosciuti.
Un po’ per gioco, un po’ per dimostrare di essere forte. Ma Naruto aveva sempre pensato che non lo avrebbe fatto sul serio.
Era costretto a rivedere le sue convinzioni.
E, soprattutto, doveva parlargli.
 
Ma non adesso. Mi merito un po’ di vacanza, accidenti.
 
I suoi pensieri cambiarono direzione in un battito di ciglia, soffermandosi sul futuro prossimo e diventando più spensierati.
L’indomani sarebbero finalmente partiti per l’Italia!
L’Uzumaki aveva sempre desiderato vederla, e assaggiare la pizza di cui tanto aveva sentito parlare. Sì, c’era anche lì, ma era surgelata e dal gusto scadente.
Inoltre, avrebbe avuto l’opportunità di stare un’intera settimana in stanza con Sasuke.
Stretto contatto, 24h su 24. Poteva andare meglio di così?
Raccattando le ultime cose, la sua mente iniziò a fantasticare sugli ipotetici sviluppi di quella situazione.
Arrossì lievemente, ma fu costretto a risvegliarsi quando sentì suonare il campanello.
 
Chi diavolo sarà mai, a quest’ora?
 
Quando aprì la porta, sul suo viso si formò un cipiglio confuso. «E da quando tu bussi?».
Konohamaru aveva un’aria triste. Le mani nella tasca e lo sguardo basso ne erano una prova.
Naruto sbatté le palpebre. Non ricordava di aver mai visto quel marmocchio giù di morale. «Va tutto bene?».
«Sì», borbottò l’altro. «Sono solo annoiato al pensiero di dover rimanere da solo un’intera settimana. E soprattutto mi scoccia che tu potrai mangiare la pizza e io no».
Il biondo si lasciò andare ad una fragorosa risata, scompigliando i capelli del più piccolo. «Tutto qui? Oh, andiamo! Ti manderò una foto di me che addento, se ti va».
Konohamaru si aprì a sua volta in un ghigno, dandogli un pugno amichevole sul braccio. «Baka! Definisci “addentare”, non vorrei ritrovarmi sul cellulare foto compromettenti».
L’Uzumaki rimase immobile, mentre il vero significato di quella frase gli entrava nel cervello. Prima sbiancò, poi diventò rosso come un peperone. «Konohamaru Sarutobi!».
L’altro iniziò a sghignazzare. «Sembri mia madre adesso. E comunque.. non stai negando!».
Naruto sgranò gli occhi. «Ti uccido!».
E così, dopo l’ultima scazzottata della giornata, Naruto si preparò mentalmente per la settimana che lo attendeva, sorridendogli complice.
Peccato che invece, a Sasuke, quella stessa settimana alzava un bel dito medio.
 
***
 
«Io non so nemmeno una parola d’italiano», borbottava Choji, con il gomito appoggiato alla maniglia del trolley.
Shikamaru sbuffò. «Ma che ti frega dell’italiano, non è che devi parlare con qualcuno».
«Beh, devo pur sempre chiedere indicazioni per i ristoranti, non ti pare?».
L’altro sbuffò, roteando gli occhi.
«Pensi sempre a mangiare, Choji!», s’intromise una stizzosa Sakura, trascinandosi dietro una valigia enorme e rosa come i suoi capelli.
«E tu sei sempre così gentile, Sakura!».
Certo, solo con chi non la conosce”, pensò Shikamaru, distogliendo lo sguardo.
Poco a poco, iniziarono a presentarsi tutti gli alunni delle classi coinvolte nel viaggio di istruzione e davanti all’entrata dell’aeroporto si creò un grosso trambusto.
Sasuke, in disparte, si lanciava occhiate a destra e a manca, timoroso dell’arrivo di quella cozza di Ino Yamanaka.
Quando aveva saputo che anche la sua classe sarebbe andata in gita, per un momento aveva tentennato sul da farsi. Poi ricordò che avere l’opportunità di andare a fare un viaggio in Italia non era cosa di tutti i giorni, e così aveva deciso di andarci, ma tenendo le distanze. In fondo, non era chissà quale amante della compagnia inutile.
Ma era anche un altro il motivo che lo spingeva a guardarsi dietro come se fosse inseguito da un randagio bavoso: nemmeno Naruto era ancora arrivato.
 
Non sto aspettando il suo arrivo. Voglio solo tenermi alla larga da lui il più possibile.
 
Fin quando non sarete costretti a dividervi la stanza”, gli ricordò la vocina sadica nella sua testa, che zittì prontamente infilandosi le auricolari.
Dall’ultima volta che aveva parlato con il dobe, le cose erano leggermente cambiate.
Beh, più che leggermente.
La sua rabbia era cresciuta e così il suo orgoglio, e stentava a credere al fatto che soltanto un mese prima si era arreso a quello strano sentimento che provava per lui.
Non sarebbe più successo, Naruto non meritava la sua fiducia.
Ma, nonostante questo, la sua curiosità non era calata di molto. Voleva spiegazioni, voleva capire ciò che Suigetsu gli aveva raccontato. Voleva la verità.
Poi, tutt’a un tratto, l’immagine di un volto particolare gli annebbiò il cervello.
Quell’uomo dallo sguardo gelido, criptico. Gli metteva i brividi soltanto a pensarci.
Chi era? E che ruolo aveva avuto nel passato di Naruto?
Tutte quelle domande sarebbero rimaste senza risposta, perché di certo non sarebbe andato dall’Uzumaki a chiedere spiegazioni, di nuovo, per essere mandato al diavolo, di nuovo.
Magari, però, avrebbe potuto assumere un investigatore privato..
 
Tsk.
 
«Sasuke-kun!».
Quel timbro di voce ocheggiante e petulante poteva appartenere soltanto a due persone. E se la prima non era ancora arrivata..
«Che vuoi, Sakura?».
L’Haruno aveva avuto una cotta per lui per tutto il periodo delle medie e per i primi due anni delle superiori. Da quando però l’Uchiha l’aveva rifiutata, facendole fare una pessima figura davanti a tutta la scuola e costringendola a rinchiudersi nel bagno delle ragazze, a piangere, per cinque ore abbondanti, lei non gli aveva quasi più rivolto la parola, se non per costrizione o necessità impellenti.
Sembrò stizzita dal suo tono apatico, ma nascose il pulsare della vena sulla fronte con un sorriso ancor più inquietante. «Sai dov’è Naruto?».
 
Perché diavolo lo chiedi a me? Ho per caso la faccia di uno che sa dov’è Naruto? Cosa sono, la sua guardia del corpo?
 
«No».
La rosa rimase immobile, le sue risposte secche troncavano un qualsivoglia tipo di approccio. Prese un respiro profondo, ripetendo a se stessa che se Sasuke non le chiedeva dettagli – ad esempio “Perché cerchi Naruto?” o “Dovevi dirgli qualcosa di importante?” – non era per forza perché non gli interessava ciò che aveva da dire.
Illusa.
«Volevo ringraziarlo!».
«Ah».
Silenzio.
«Non mi chiedi perché?».
Anche un “Dovrei?” sarebbe stato meglio della secca risposta che sarebbe arrivata nel giro di qualche secondo.
«No».
La ragazza sospirò. «Riesci ad articolare una risposta composta da più di un monosillabo?».
«No».
 
“Non con te”, sarebbe meglio dire. Sparisci, piattola.
 
«Te lo dico lo stesso!».
 
Ma chi te l’ha chiesto?
 
«Mh».
Sakura si aprì in un sorriso felice. «Grazie a Naruto, adesso sto con Sai!».
 
Ma non m’intere- oh, aspetta, lo sapevo già. Perfetto, così non dovrò neanche sforzare di nascondere la faccia sorpresa, visto che non c’è.
 
«Mhm».
La rosa mandò al diavolo i suoi buoni propositi e digrignò i denti, sbattendo un piede per terra. «Oh, ma insomma, Sasuke! Non dici niente? Non sei nemmeno un po’ geloso?».
Beh, se era una reazione che Sakura voleva, l’avrebbe avuta.
L’Uchiha voltò il capo verso di lei, mentre la sua espressione si trasformava poco alla volta.
Da impassibile a confusa, da confusa a divertita, e poi scoppiò a ridere.
Il che, per lui, era abbastanza strano.
Quando Naruto arrivò, si trovò davanti quella scenetta che, se qualcuno gli avesse raccontato, non avrebbe mai dato per vera. Inclinò il capo, guardando prima Sakura e poi Sasuke. «Che succede qui?».
Lei serrò la mascella, offesa. «Chiedilo a quest’idiota!», gridò, girando sui tacchi e andando via come un toro infuriato.
Poco dopo l’Uchiha smise di ridere e si accorse della presenza del biondo. Affilò lo sguardo, tornando serio e infilandosi di nuovo gli auricolari.
L’altro, in risposta, sbuffò. «Hai intenzione di fare così per sempre?».
Nessuna risposta.
«Ohe, Sas’kè!».
Gli diede uno scossone, ma tutto ciò che ebbe in risposta fu uno sguardo truce e un gestaccio con le dita.
 
Sembra che far pace, stavolta, sarà più dura del previsto.
 
Dopo un altro tentativo andato a vuoto, si allontanò da lui per avvicinarsi al gruppetto della sua classe, seccato e leggermente meno entusiasta di qualche minuto prima.
Kiba gli gettò un braccio sulle spalle. «Ehi, Uzumaki, cos’è quell’aria triste? Stiamo andando a toccare con mano le bellezze italiane, intendi?».
A Naruto venne da ridere e, alzando lo sguardo, intercettò quello di Hinata a pochi passi da loro. Aveva sentito Kiba e stava sorridendo anche lei. Non con scherno, ma con velato affetto.
Il biondo ringraziò di averla come amica.
 
Dopo aver effettuato il check-in e tutti quei noiosissimi controlli di routine, riuscirono – dopo la bellezza di tre ore circa – a salire sull’aereo e prendere posto.
Ovviamente, la sfiga volle che Sasuke non ottenne il tanto bramato posto accanto al finestrino, ma quello all’estremità, dalla parte del corridoio.
 
Spero solo che in uno dei due posti di fianco non ci sia Ino.
 
Ma quando un biondo dobe arrivò con la pretesa di farlo passare, accompagnato da Sakura a cui era stato assegnato il posto al centro, vide Choji e Ino che si sporgevano dai sedili davanti e Kiba che, diviso da lui solo dalla corsia di passaggio, urlava rivolgendosi a Naruto, fu costretto a sgranare gli occhi.
 
Sono finito dritto all’inferno.
 
***
 
«..E così io le ho detto “Ehi, tesoro, va bene una botta e via, ma non sono tipo da storia seria”. Quella per poco non piangeva, ma che posso farci? Cioè, dico, mi hai visto?».
Sasuke stringeva con forza i braccioli della sua poltrona, lo sguardo sgranato e fisso su un punto imprecisato davanti a lui.
Erano passate solo quattro ore di volo e già non ne poteva più.
Kiba e Naruto non avevano smesso di chiacchierare un secondo; Choji ascoltava, interveniva a volte e faceva cadere le briciole dei panini che con regolarità tirava fuori sulle gambe dell’Uchiha; Shikamaru litigava con Sakura, che si ostinava a voler accendere il cellulare per chiamare Sai e poi c’era Ino, che lo fissava in silenzio dallo spazio tra un sedile e l’altro.
Forse quella era la cosa peggiore.
«Non ti sembra di aver esagerato, baka? Potevi essere più gentile, almeno», disse l’Uzumaki in risposta, continuando un discorso che Sasuke si stava forzando di ignorare.
Non gli interessava quello che avevano da dirsi, e poi cosa, non potevano farlo in un altro momento?
Sospirò, esasperato, quando incrociò – per la ventesima volta o giù di lì – lo sguardo ficcanaso della biondissima Yamanaka.
 
Quando finirà questo tormento?
 
Iniziava a pensare che, in mezzo a quegli svitati, non si sarebbe goduto il viaggio nemmeno un po’.
Si guardò intorno con nonchalance, cercando un posto libero – un qualsiasi altro posto libero – quando si sentì picchiettare sulla spalla destra. Si voltò lentamente, quasi pregando che a chiamarlo fosse Sakura e non Naruto.
«Teme, fammi passare. Devo andare a cercare la signora hostess per avere delle noccioline. Sai, le mie le ho finite».
Sasuke chiuse gli occhi, prendendo un profondo respiro, e si alzò senza rivolgergli la parola. Decise, visto che era già in piedi, di fare un salto alla toilette per sciacquarsi la faccia e per darsi una pausa delle chiacchiere senza fine di quell’animale.
Ma quando fece per scostare la tenda divisoria che l’avrebbe condotto al bagno, si scontrò – letteralmente – con l’Uzumaki. Grugnì, infastidito da quel contatto indesiderato e fece per scansarlo, ma questi gli afferrò il polso costringendolo a fermarsi.
«Mollami subito», ordinò, fulminandolo con lo sguardo. Ma la stretta sembrò farsi, come per dispetto, ancora più salda.
Si guardarono negli occhi, sfidandosi a vicenda.
Se fosse stato per Naruto, l’avrebbe baciato in quello stesso momento, infischiandosene che qualcuno, entrando, avrebbe potuto vederli.
Se fosse stato per Sasuke, l’avrebbe pestato a sangue in quello stesso momento, infischiandosene che qualcuno, entrando, avrebbe potuto vederli.
Insomma non erano, come si dice, sulla stessa lunghezza d’onda.
Alla fine a spuntarla fu Sasuke. Strattonò il braccio, liberandosi dalla presa dell’altro e sbattendosi la porta del minuscolo bagno alle spalle.
 
Dannato idiota.
 
Se la prese con calma, sciacquandosi il viso e lavandosi le mani, guardandosi allo specchio e maledicendo quelle occhiaie che lo facevano somigliare troppo ad Itachi. Quando uscì, Naruto era ancora lì ad aspettarlo.
«Ma si può sapere che vuoi?».
L’Uzumaki incrociò le braccia al petto. «Saremo in stanza insieme, che ne dici di comportarci come persone normali?».
«Io mi comporto sempre così».
Il biondo aprì la bocca per controbattere, ma la richiuse subito dopo.
 
Touché, maledetto asociale.
 
«Bene. Allora che ne dici di comportarci come facevamo.. prima?».
I loro occhi si incontrarono per qualche secondo per poi rivolgersi altrove, imbarazzati.
A Naruto non piaceva quella situazione. Non voleva comportarsi con lui come “prima”. Prima che si rendesse conto di provare per l’Uchiha molto più di un semplice affetto.
Ma se lo sarebbe fatto andare bene, almeno per il momento. Una non-quasi-amicizia era pur sempre meglio di niente.
Sasuke mugugnò una qualche risposta che l’altro non riuscì ad afferrare. Inclinò il capo, confuso, mentre quello incrociava le braccia al petto e sbuffava. «Eh?».
«Ho detto», ripeté, fulminandolo con lo sguardo. «Che posso provare a tollerarti e rivolgerti la parola, se serve. Niente di più».
L’Uzumaki si aprì in un sorriso radioso. «Bene, è un buon’inizio. Affare fatto?».
L’altro osservò, con la fronte aggrottata, la mano che il biondo gli stava porgendo. Doveva stringerla?
«È così che si fa quando si sancisce un accordo, non te l’hanno mai detto?».
«Non ho mai sancito accordi».
«Beh, c’è sempre una prima volta». Dopo aver aspettato per altri pochi attimi che Sasuke si desse una mossa, Naruto gli afferrò la mano e l’agitò piano, un paio di volte.
E nessuno dei due avrebbe potuto negare di aver sentito la strana scossa d’elettricità che c’era stata nel momento in cui le loro dita si erano sfiorate.
Si guardarono negli occhi ancora una volta, prima che il moro ritraesse la mano.
Mentre si allontanava, tornando al suo posto, Naruto lo sentì borbottare qualcosa che somigliava ad un “«Però non ti allargare»”.
Dopo qualche secondo, lo raggiunse con un mezzo sorriso dipinto sulle labbra.
 
Ti avrò, teme. Costi quel che costi.


   
 
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