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Autore: Shadowhunter    04/07/2013    2 recensioni
Adelaide Green non sapeva di essere destinata a grandi imprese prima di incontrare due strani ragazzi con dei bastoncini fluorescenti che riescono a compiere delle cose straordinarie, fuori dal normale. La ragazza si trova ad affrontare una verità inattesa e sconvolgente: nel mondo esistono delle persone con dei poteri speciali e lei non è soltanto una di quelle, ma è la Discendente, la persona più potente mai vista sulla faccia della terra.
Riuscirà a eseguire il suo ruolo o il peso delle sue scelte la distruggerà?
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LA CAVE



Adelaide stava camminando su una spiaggia dorata, accompagnata da una leggera brezza che soffiava fra i suoi capelli e che faceva svolazzare il suo vestito azzurro ghiaccio. I gabbiani volavano sul mare, sbattendo ritmicamente le ali per mantenersi in equilibrio nell’aria. L’oceano era blu scuro come le notti più buie e senza stelle.
Una persona era in piedi di fronte a lei e le rivolgeva le spalle. Era una ragazza e aveva dei capelli rossi come il rame. Indossava un completo totalmente nero e in mano teneva un coltello dalla lama intrisa di sangue. Ai suoi piedi c’era una donna distesa con un grosso taglio sul ventre. Da quella distanza sembrava morta.
Facendo due piccoli passi e trattenendo il fiato, Adelaide si avvicinò e vide i capelli color miele che avrebbe riconosciuto ovunque.
Quella era sua madre.
Smise di respirare e le ginocchia cedettero sotto il peso del suo corpo. Batté contro la sabbia e l’acqua bagnò il tessuto del suo vestito, però a lei non importava. L’unica cosa che riusciva a pensare era l’ultima volta che aveva visto sua madre, il bianco cadaverico della sua pelle sotto le luci dell’ospedale. Gli occhi cominciarono a bruciarle e le lacrime le rigarono le guance. Dei singhiozzi scossero tutto il suo corpo e le mani cominciarono a tremarle.
“Tu saresti la Discendente? Ridicolo” disse la rossa, posizionando le mani in pugni lungo il corpo. Sputò per terra, la saliva che cadde vicino al corpo della madre di Adelaide, e continuò a parlare con voce sprezzante. “Credo che in un combattimento tu non sopravvivresti neppure cinque secondi, tantomeno eseguire un compito di quella portata”.
Adelaide fece per risponderle fra le lacrime, ma non ci riuscì: la sua voce era bloccata in fondo alla gola e non voleva raggiungere le labbra. Portò le mani al collo e provò ad emettere un suono, senza nessun risultato.
Intanto, la rossa rideva, una risata fredda che le provocò dei brividi lungo la spina dorsale.
“Io dovevo essere la Discendente, non tu. Io sono la ragazza dai capelli rossi che viene descritta negli Annali, non tu. Tu sei una ragazza normale con degli insulsi capelli marroni e non sai neppure usare i tuoi poteri. Sei così debole che non riesci a superare la morte di tua madre dopo dieci anni. Non meriti di avere il titolo di Discendente. Per questo ti ucciderò”.

***

Adelaide si svegliò, richiamando l’ossigeno per riempire i polmoni. Mentre respirava attraverso il naso e la bocca per inalare più aria possibile, la lampada sopra la sua testa si accese e la accecò. Chiuse immediatamente gli occhi e dietro le palpebre rivide il fascio di luce bianco che aveva colpito la finestra della sua camera e che l’aveva ridotta in mille pezzi. Lungo le braccia sentì per la seconda volta le schegge che si conficcavano nella sua carne e il sangue che scorreva lungo le ferite.
Riaprì gli occhi, pieni di paura, e si guardò le mani tremanti. Il sangue era scomparso e le ferite erano soltanto delle linee bianche lungo l’avambraccio. Passò un dito sopra una cicatrice, meravigliata.
“Buongiorno” disse qualcuno.
Adelaide alzò la testa e si ritrovò a fissare gli occhi completamente neri di un ragazzo sulla ventina. Era seduto su una sedia accanto a lei, un bastoncino trasparente fra le mani. Indossava una tenuta mimetica, come se dovesse andare in guerra da un momento all’altro. Aveva i capelli cortissimi e il naso molto pronunciato. Dietro di lui c’era uno specchio in cui la ragazza riuscì a vedere il suo riflesso.
Era seduta su un letto con le lenzuola bianche e i suoi capelli volavano da una parte all’altra della testa. Un boccolo le copriva l’occhio grigio come l’argento e indossava una maglietta e un paio di jeans che non le appartenevano.
Da dove sono spuntati questi vestiti?, si chiese.
Si guardò intorno e vide una dozzina di letti uguali al suo disposti in due file e i muri le ricordavano le pareti di una grotta a causa del loro color rame. Nel centro della sala c’era un disegno sul pavimento che rappresentava una stella dorata a sette punte.
“Come ti senti?” le chiese il ragazzo.
Lei non gli rispose perché era troppo occupata a spostare lo sguardo da una parte all’altra della stanza con gli occhi pieni di terrore. La consapevolezza di essere stata rapita saliva lentamente lungo la sua gola, però lei cercò di reprimerla.
È un incubo, non c’è altra spiegazione logica.
Premette fortemente le unghie delle dita sul palmo della mano e serrò le palpebre, sperando che il dolore la svegliasse e la riportasse in camera sua da suo padre. Appena riaprì le palpebre, però, si rese conto che si trovava ancora in quella stanza.
Quella era la vita reale.
E lei era stata catturata.
“Sai che hai lo stesso nome di una città australiana? Credo che te l’abbiano detto in molti, però sono sicuro che nessuno di quelle persone ci sia mai stato oppure sia a conoscenza che viene anche chiamata City of Churches, cioè Città delle Chiese” disse il ragazzo, passando il pollice avanti e indietro sulla superficie del bastoncino.
La ragazza lo guardò, un’espressione confusa e terrorizzata che faceva capolino sul suo viso. Anche se nella stanza faceva un freddo polare, le sue mani e la sua fronte erano madide di sudore. Fece per chiedergli come mai sapesse il suo nome, però venne interrotta da un rumore di passi.
“Buongiorno, Adelina! Spero che ti sia ripresa dalla botta di ieri” esclamò Brandon, avvicinandosi ai piedi del letto insieme alla ragazza bionda che aveva avuto il dispiacere di conoscere il giorno precedente. I capelli del ragazzo erano tirati indietro con almeno un chilo di gel.
Adelaide si allontanò il più possibile da loro, appoggiando le spalle contro lo schienale del letto. Vedendoli, rivisse nella mente il momento in cui il biondo, con un movimento del bastoncino trasparente, la aveva incatenata al terreno e ricominciò a sudare freddo.
“Oggi non ti torceremo un capello. Promesso” affermò la ragazza. Quel giorno indossava un vestito bianco a balze che svolazzava da una parte all’altra a ogni suo passo e un fiocco giallo spuntava fra i suoi capelli color platino. “Scusami se ieri non mi sono presentata. Io sono Victoria”.
Adelaide annuì lievemente, non sapendo cosa dire.
“Per quello che è successo ieri a casa tua…”. Il ragazzo sconosciuto calpestò il piede di Brandon per incitarlo a continuare il discorso. “Mi dispiace. Non era mia intenzione far del male a tuo padre…”
“Cosa?” esclamò la ragazza, scattando in piedi all’improvviso.
Stranamente né Victoria né l’altro ragazzo intervennero quando lei afferrò e tirò l’orlo della maglietta di Brandon per avvicinarlo alla sua faccia. “Cosa hai fatto a mio padre? Dimmelo!” In quel momento la rabbia sostituì la paura e la confusione di prima e la ragazza cominciò a vedere rosso. “Dimmelo subito!”
“Ecco… Tuo padre…” Fece un respiro profondo. “Dopo aver distrutto il vetro della finestra, Victoria ed io ci siamo arrampicati e abbiamo raggiunto camera tua. In quel momento eri distesa in una pozza di sangue sul pavimento e la prima cosa a cui abbiamo pensato è salvarti. Victoria si è inginocchiata accanto a te e ha cominciato a toglierti le schegge di vetro più grandi dalla pelle.
“All’improvviso abbiamo sentito un rumore di passi e la voce di tuo padre che chiamava il tuo nome. Io sono saltato giù dalla finestra con te in braccio e ho raggiunto il furgoncino, dove ti ho riposto, mentre Victoria è rimasta a intrattenerlo”.
Adelaide mollò la presa su Brandon e puntò un dito contro la ragazza, che aveva fissato il pavimento durante tutto il discorso. Gli occhi le ardevano e sentiva la rabbia ribollirle nelle vene. “Cos’è successo dopo?”
Victoria mantenne lo sguardo fisso sui suoi stivali e disse in un filo di voce: “Appena tuo padre ha aperto la porta di camera tua e ha visto il sangue per terra, ha afferrato un paio di forbici dal tuo cassettone e li ha puntati contro di me. Io ho reagito, usando i miei poteri e infliggendogli una scossa. Lui è svenuto e, prima di sbattere la testa contro il tappeto del pavimento, la sua nuca ha colpito il bordo del cassettone.
“Mi dispiace tantissimo, Adele. Giuro che volevo solo difendermi, non era mia intenzione ferirlo” concluse Victoria. Brandon le accarezzò il braccio per confortarla.
“È morto?” chiese Adelaide. Le lacrime le pizzicarono le palpebre, però lei si impose di non scoppiare a piangere.
“No. L’abbiamo portato qui insieme a te e l’abbiamo medicato. È sano e salvo e ti sta aspettando da più di cinque ore nella tua stanza. Credo che ti debba spiegare molte cose” affermò il ragazzo sconosciuto.
La mia stanza?“Posso andare a parlargli?”
“Se lo vuoi. Victoria, puoi accompagnarla tu? Io e Brandon dobbiamo incontrarci con Blake a momenti per discutere dei nuovi sviluppi”.
Victoria annuì e la strattonò, invitandola a seguirla. Adelaide si liberò dalla presa e si limitò a camminare dietro di lei finché non si fermarono davanti a un’apertura grande come un caminetto sul muro. Si guardò dietro le spalle e vide che Brandon e l’altro ragazzo non si vedevano da nessuna parte.
Erano spariti, scomparsi, poof.
“Questa è la via più breve per raggiungere gli alloggi al secondo e al terzo piano e la cucina. Da piccoli, io e mio fratello Jamie usavamo questo passaggio per rubare una fetta di torta dopo cena oppure ci nascondevamo dai nostri genitori. Prima tu”.
Adelaide la guardò con un’espressione dubbiosa, non sapendo se fidarsi o meno di lei. Victoria notò il suo cambio d’umore e decise di andare per prima. Quando attraversarono lo stretto passaggio, si ritrovarono di fronte a un enorme stalagmite e a una scala a chiocciola che correva intorno ad esso. Lo spazio era illuminato da delle torce appese ai muri, creando degli strani giochi di ombre sulle pareti.
Wow.
“Impressionante, vero?” affermò Victoria, cominciando a salire su per le scale.
Forse anch’esse erano dello stesso materiale dello stalagmite, però Adelaide non lo domandò perché un’altra questione le tormentava la mente. “Chi è il ragazzo che è andato via insieme a Brandon?”
“Si chiama Nick ed è praticamente il nostro capo, anche se ha solo un paio di anni in più di noi. Da quando è morto suo padre, cerca di ricoprire il suo ruolo nel migliore modo possibile. Per adesso se la sta cavando” terminò il discorso facendo spallucce.
“Cos’è questo posto?”
“Si chiama la Cave. È un complesso di grotte e gallerie sotterranee. Il padre di Nick lo ha scoperto durante una spedizione circa vent’anni fa e ne è rimasto così affascinato che ha deciso di costruirci la sede dei Vaganti.”
“I Vaganti?”
“Non ne sai proprio niente, eh? Comunque, siamo arrivati” affermò Victoria, indicando un’apertura circolare sul muro del diametro di quasi un metro. Non si riusciva a capire cosa c’era oltre, perché lo spazio era immerso nel buio. Neppure le torce lungo la scalinata riuscivano ad illuminare quel poco che bastava per intravedere qualcosa.
“Dobbiamo proprio entrare là dentro?” chiese Adelaide, sperando che Victoria non la stesse portando in qualche cella per rinchiuderla a vita. Odiava gli spazi bui e angusti e quello si poteva facilmente classificare fra quelli.
“È l’unico modo per raggiungere tuo padre” ammise Victoria, strisciando dentro l’apertura. “Vieni”.
Adelaide fece un respiro profondo e seguì la ragazza, annegando nell’oscurità.




Nota dell'Autrice:
Scusatemi per l’immenso ritardo, ma negli ultimi mesi ero presa dalla scuola e da altri progetti. Per quelli che seguono la mia storia, spero che questo capitolo vi piaccia :)
Il prossimo capitolo verrà pubblicato fra due settimane (se non ci sono dei contrattempi).
  
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