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Autore: TaliaAckerman    05/07/2013    9 recensioni
[Revisione in corso]
Primo capitolo della serie del "II ciclo di Fheriea"
Dal diciottesimo capitolo:
"Pervasa da un senso di feroce soddisfazione, Dubhne alzò il braccio destro in segno di vittoria. La folla intorno a lei urlava e scandiva il suo nome, entusiasta. E la cosa le piaceva."
Salve, e' la prima fan fiction che pubblico in questa sezione. Più che una ff però è un romanzo, il mio romanzo, ideato e steso in più di due anni di fatiche e grandi soddisfazioni. Spero vi piaccia^^
Genere: Azione, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'II ciclo di Fheriea'
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OTTO ANNI PRIMA

STATO DEI RE ORIENTALE


Dubhne era seduta sulla sua roccia, tutta intenta a pettinarsi i lunghi capelli castani come suo solito. Intanto guardava di fronte a sé, e il suo sguardo si perdeva all'orizzonte, immaginando gloriose avventure ai confini del mondo.
Lo faceva spesso, di recente; le piaceva stare lassù da sola. Non avere nessun altro intorno che non fosse uno scoiattolo o una rondine canterina. Poteva concentrarsi solo su se stessa, sui propri sogni e i propri segreti più profondi, per quanto potessero essere profondi i segreti di una bambina della sua età.
Levò lo sguardo al cielo; quel giorno non vi si scorgeva una nuvola. Cosa piuttosto insolita, visto che si trovava al confine con lo stato di Tharia, probabilmente il luogo più umido e piovoso del pianeta. In quell'occasione Dubhne aveva avuto fortuna.
Rimase ancora un attimo a scrutare quell'oceano di blu infinito, gli occhi scuri sgranati.
- Dubhne vieni. Io e tuo padre dobbiamo parlarti - una voce secca interruppe il filo dei suoi pensieri. Dubhne si voltò di scatto, e vide dietro di sé il profilo esile e smunto di Camlias, sua madre.
- Ma...- provò a protestare la bambina. Non le andava di tornare a casa. Non proprio adesso.
- Fa' come ti ho detto - tagliò corto sua madre perentoria, poi le voltò le spalle. Sbuffando, Dubhne si affrettò a seguirla.
Camminarono per circa dieci minuti, attraverso campi fioriti e piccole pozze paludose. Così era lo Stato dei Re in prossimità di quello di Tharia: una massa prospera di fiori, insetti, paludi e prati che parevano giungle. I genitori di Dubhne non facevano che lamentarsene, ma alla bambina, che aveva appena più di nove anni, piaceva. Stuzzicava la sua fantasia. Le sembrava di vivere in un sogno.
Camlias dovette richiamarla in più di un'occasione, mentre lei si attardava ad ammirare un ranocchia in uno stagno, il volo di una rondine o un fiore particolarmente bello.
- Vieni, non perdere tempo - la freddava ogni volta.
- Andiamo, mamma! Che cosa c'è?- domandò Dubhne dopo un po', ma Camlias non si fermò.
- Non è il caso di parlarne qui. Vieni... vieni e saprai tutto.
Dubhne avvertì una nota di tristezza nel tono della madre, ma decise di non darci peso. E così continuarono a camminare.

Raggiunsero la catapecchia dove vivevano poco tempo dopo. Ad attenderle sulla soglia c'era il padre di Dubhne, un uomo alto e dall'aria malaticcia. Accanto a lui c'era anche un tipo piuttosto basso, con unti capelli castani e un fisico tarchiato. I due stavano discutendo animatamente, e a Dubhne parve di cogliere le parole "bambina" e "lavoro duro" mentre si avvicinava.
Anche se Dubhne era ancora troppo piccola per capirlo, lei e i suoi genitori rischiavano di morire di fame un giorno sì e uno no. Era cominciato tutto qualche anno prima, quando l'economia di Tharia e regioni confinanti era definitivamente andata incontro al declino. Il terreno estremamente umido era stato ulteriormente danneggiato dalle continue alluvioni verificatesi in quel periodo, e come se non bastasse negli ultimi tempi si era diffusa un'epidemia che aveva colpito pecore e bestiame. E i genitori di Dubhne, agricoltori come tanti altri, avevano perso tutto.
- Avanti, Dubhne. Ti devo parlare - attaccò Michael serio. La bambina sbuffò. - Sì, sì, questo l'ho capito... allora, che cosa c'è?
Suo padre non sorrise, e Dubhne si chiese se era il caso di iniziare a preoccuparsi.
Michael continuò:- Dubhne, vedi... Tua madre ed io stavamo pensando... insomma, ormai sei troppo grande per stare sempre qui confinata in casa quindi... Beh, innanzi tutto lui è il signor Tomson - disse indicando l'uomo a suo fianco. Questo le porse la mano sorridendo, mostrando canini particolarmente appuntiti*.
Dubhne si ritrasse dietro la madre, intimorita, e Tomson scoppiò a ridere. Michael tentò di imitarlo, ma gli uscì solamente una specie di nitrito.
- Siamo un po' maleducati, eh ragazzina?- chiese il signor Tomson asciugandosi gli occhi con una mano. E giù a ridere.
Dubhne, a disagio, non trovava nulla di divertente in quella situazione. Si strinse più forte a sua madre.
- Il signor Tomson è il proprietario di una sartoria della città di Célia e... avrebbe proprio bisogno di un'altra assistente. Quindi... quando è passato di qui ieri mattina e mi ha parlato dei suoi problemi... ho proposto te. Partirai appena sarai pronta.
- No!- gridò Dubhne, ancora prima di comprendere appieno le parole del padre. Non capiva che cosa stesse succedendo. Perché all'improvviso i suoi genitori volevano separarla da tutto ciò che aveva amato?
Quasi senza accorgersene scoppiò a piangere, e non seppe che fare per frenare le lacrime. Sua madre, che fino a quel momento non era intervenuta, si chinò su di lei e le accarezzò la testa, parlando velocemente:- Per favore, tesoro... fa' come ha detto tuo padre. Vieni a prendere le tue cose...- e la accompagnò dentro casa.
Dubhne continuava a singhiozzare. - Io proprio non capisco!- balbettò. - Ma che cosa sta succedendo?
Camlias la abbracciò. - Non fare domande Dubhne. E' per il tuo bene che lo stiamo facendo. Il signor Tomson si prenderà cura di te, va bene? E poi noi ti verremo a trovare! Célia non è così lontana, sai?
Dubhne pianse più forte, stringendosi a lei. Poi sua madre la prese per mano e la condusse in camera sua. - Avanti, asciugati gli occhi tesoro. E preparati.
- Non voglio andare mamma. Non voglio andare!- gridò Dubhne.
- Sssst Dubhne. Stai calma. Là a Célia starai molto meglio che qui, te l'assicuro. Avrai pasti caldi ogni giorno, e un letto vero in cui trascorrere la notte. Vedrai, andrà tutto bene.
Dubhne non annuì, e non tentò nemmeno di asciugarsi il viso. A che sarebbe servito?
Camlias le preparò un fagottino, che conteneva tutti gli averi della bambina: una coperta, una bambolina di pezza e un paio di sandali per le giornate estive. Poi uscirono in giardino.
- Oh, ecco qui la nostra apprendista prossima a partire!- esclamò il signor Tomson, quasi la partenza della bambina fosse una cosa da festeggiare.
- Su, Dubhne, vai a salutare tuo padre...- la incitò dolcemente Camlias, spingendola in avanti con una mano. Ma lei si puntellò a terra con i piedi, non muovendosi d'un passo. In quel momento odiava suo padre per quello che le stava facendo, per ciò di cui non le aveva mai fatto accenno prima. Michael parve mortificato, ma la bambina non se ne curò. Se proprio doveva andarsene tanto valeva farlo subito.
Mosse qualche passo in direzione del signor Tomson, poi non ce la fece più e tornò indietro. Con due ampie falcate raggiunse sua madre e le si gettò in braccio, piangendo come una disperata. - Aiutami mamma, ti prego! Non voglio andarmene di qui, non posso andarmene! Giuro che lavorerò, farò qualsiasi cosa, ma ti prego fatemi restare!
Mentre il signor Tomson sbuffava infastidito, il padre di Dubhne dovette avere pietà di quella creaturina spaurita, perché si avvicinò a Camlias e prese in braccio la bambina.
- Coraggio, Dubhne - le disse per calmarla. - Se ci pensi bene non è una cosa così grave, no? Guarda il lato positivo...
Ma lei ne aveva abbastanza. I suoi genitori non avevano fatto altro che ripeterle sempre le stesse cose. - Non ci sono lati positivi!- ululò, con una voce così acuta da sfiorare la follia. - Voi... mi state abbandonando, ecco che cosa state facendo!
Ma Tomson non la lasciò lì a dibattersi ancora a lungo. Con di sottofondo i singhiozzi di sua madre, la strappò a forza dalle braccia del padre, che inutilmente tentò di stamparle un ultimo bacio su una guancia. Tuttavia, portare via Dubhne si dimostrò un'impresa molto più difficile del previsto. Per quanto il signor Tomson fosse un uomo grosso circa il triplo di lei, la bambina si divincolava con una furia tale da sembrare impazzita, senza contare che tutti quei capelli color della terra bagnata consentivano una visuale a dir poco penosa.
Sarà meglio tagliarglieli al più presto, pensò l'uomo mentre la trascinava tentando di farle meno male possibile. L'uomo e la bambina fecero tutto il tragitto verso Célia, lui insultandola e menandole schiaffi di avvertimento, lei ad urlare e a maledire ogni cosa che le passava davanti.
- Aiuto! Aiuto, aiutatemi!- strillava ad intervalli di circa mezzo secondo, rivolta a nessuno in particolare, ma con la vaga speranza che qualcuno di caritatevole venisse a salvarla.
- Allora, vuoi o no star zitta?- tuonava il signor Tomson con altrettanta rabbia, praticamente tirandosela dietro per i capelli.
E alla fine, quando finalmente apparvero le prime case di Célia, Dubhne capì che non avrebbe mai potuto tornare indietro. Al pensiero si sentì irrimediabilmente affranta, tanto da cessare all'istante di muoversi. Il signor Tomson fu così sorpreso dal repentino cambiamento che quasi mollò la presa sulla sua collottola.
Asciugandosi con rabbia le lacrime, Dubhne alzò lo sguardo su quella città estranea che di lì in avanti sarebbe stata la sua casa.


*Oddio non è un vampiro!



Note dell'autrice: che dire? Questo era il primo capitolo, spero vi sia piaciuto:) Ci vorrà un po' perché la vicenda si colleghi pienamente al titolo (un bel po'). Per chi se lo stesse chiedendo, il nome si pronuncia Dabne. Se vi è piaciuta lasciate una recensione, se non vi è piaciuta... beh, anche. Sarò lieta di ricevere consigli, ammonizioni e opinioni. Timidi saluti, Joanna Lannister^^
  
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