Storie originali > Soprannaturale
Ricorda la storia  |       
Autore: LilithJow    05/07/2013    4 recensioni
Io avevo sempre odiato la morte, così come le persone che le andavano incontro; quelle che rinunciavano alla propria vita, sperando in un'esistenza migliore, che però non c'era e io lo sapevo bene. Non capii perché nella mia mente si materializzò l'idea di permettere a Sebastian di uccidermi e non era qualcosa di simile a ciò che era successo in precedenza.
Avevo deciso di sacrificarmi per permettere a Simon di vivere e ritenevo che fosse una buona motivazione. Ma allora, una ragione non c'era, eppure lo desideravo comunque. - SEGUITO DI "LULLABIES"
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Lullabies Saga'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 1
"Death comes home"


Non esiste cosa peggiore del silenzio. Quell'assenza di suono che congela ogni muscolo del corpo, che spegne la razionalità, che attiva ogni paura. Il silenzio, quello che distrugge, quello che è assordante, pur essendo muto.

Non è un caso che il silenzio sia sempre associato al dolore e alla morte.

 

In quella fabbrica abbandonata alle porte di Chicago, esso regnava sovrano, interrotto solo dai miei singhiozzi e dalle mie preghiere, che nemmeno più riuscivo a sentire.

«Ti prego, apri gli occhi. Ti prego, ti... Ti prego, Simon. Respira... Ti prego, respira».

Lo scuotevo appena, stringendolo tra le mie braccia. Continuavo ad accarezzargli il viso, imbrattandogli la pelle candida di rosso. Ma nulla accadeva. Lui non si muoveva, non aveva alcun tipo di reazione. Restava semplicemente ed inesorabilmente immobile.

«Scena commovente, davvero». La voce metallica di Sebastian rimbombò in quel grande spazio. D'istinto, strinsi di più Simon a me, come se in quel modo potessi proteggerlo, il che non mi era riuscito per niente bene negli ultimi tempi. Strizzai gli occhi, cercando di scacciare via le lacrime che non accennavano a smettere di colare sulle mie guance, e poi alzai lo sguardo, ritrovando mio fratello in piedi, davanti a me, con un sorriso beffardo stampato in faccia.

Sembrava compiaciuto. La mia sofferenza era il suo spettacolo preferito.

Non replicai. In tal caso, lui avrebbe solo continuato a provocarmi, così da farmi stare peggio, come faceva ogni volta. Come aveva sempre fatto in tutti quei secoli.
Tuttavia, nemmeno la mia non risposta riuscì a fermarlo quella volta. Lo vidi piegarsi sulle gambe, così da essere alla mia altezza, completamente abbandonata sulla pietra fredda e sporca che fungeva da pavimento. «Gli umani sono così effimeri» disse, osservandomi quasi con disgusto. «Basta un niente per annientarli e abbatterli. Uno schiocco di dita, direi». Fece una breve pausa, dopo di che allungò una mano. Ebbe l'intenzione di sfiorare un braccio di Simon e io scattai rapidamente indietro, impedendoglielo. «Non lo toccare» sibilai. Lui abbozzò un sorriso, ironico.

«Hai mai creduto nelle coincidenze, Hazel?» domandò. Non mi diede nemmeno la possibilità di rispondere – non lo avrei fatto comunque – e andò avanti: «Io no, ma mi sbagliavo. Tutto si svolge secondo uno schema preciso. Un grande e perfetto schema di cui tu fai parte. Anzi, voi... Sì, voi siete i tasselli fondamentali». Rise e quello sì che riuscì a rompere il silenzio, in modo violento.

«Riesci a sentirlo, sorella mia? Sta accadendo» esclamò. «Stasera è la sera e tu mi hai servito ciò che volevo su un piatto d'argento. Bella mossa».

«No... No, non può essere» balbettai. Sperai di aver frainteso le sue parole, sebbene non potessero essere più chiare.

La sera.

Quella sera.

La sera del Sacrificio ed esso era stato effettuato, in qualche modo.

«Non essere triste» disse, poco dopo. «Anche tu avrai ciò che vuoi».

Mi morsi piano il labbro inferiore. La sua euforia era irritante. «Riesci a sentire anche questo?» continuò, a gran voce. «Ricordi la leggenda trovata dalla streghetta? Beh, più che trovata, sono stato io a dirle tutto, lei ha solo recitato bene la parte. Serviva una chiave per renderti umana ed eccola qui. La chiave per l'umanità di un Divoratore e il Sacrificio per riportare in vita il nostro Creatore coincidono. Non è ironico?».

Si alzò in piedi, allargando le braccia. Aveva l'aria trionfante e mentre lui saliva la sua scala di gloria, io sprofondavo sempre di più nell'abisso, perché ciò che voleva dire era semplice.

Dannatamente semplice.


Sarei diventata umana, ciò che avevo sempre voluto, ma esserlo senza Simon non aveva alcun senso.

«In realtà» andò avanti Sebastian «non ho mai capito perché è così importante per te. Perché desiderare l'infelicità? Il dolore? L'autocommiserazione? E' questo che gli umani hanno: una vita misera, con una fine ben precisa. Perché desiderare tutto ciò?».

Non mi sorprese sentirlo parlare in quel modo. Il suo disprezzo verso gli esseri umani era sempre stato ai massimi livelli. Non aveva mai avuto compassione, per niente e nessuno, e nonostante tale aspetto, continuava a considerarsi migliore di loro.

Ragionamento ipocrita ed egoista.

«Sei un mostro» sussurrai, prima di poggiare le labbra sulla fronte di Simon. Sebastian abbozzò una risata, sarcastica. «Lo so bene, sorellina» esclamò. «Fino a qualche minuto fa lo eri anche tu, solo che io amo esserlo. Io voglio esserlo».

Si inginocchiò nuovamente e inclinò appena il capo di lato, trafiggendomi con i suoi letali occhi rossi. «Sai qual è la parte divertente?» disse. «Se solo volessi, adesso potrei toglierti di mezzo con un niente. Potrei usare un coltello, o una pistola, o spezzarti il collo oppure, il metodo che preferisco, strapparti via il cuore dal petto. Non lo vorresti? Saresti di nuovo con il tuo stupido animaletto da compagnia».

Io avevo sempre odiato la morte, così come le persone che le andavano incontro; quelle che rinunciavano alla propria vita, sperando in un'esistenza migliore, che però non c'era e io lo sapevo bene. Non capii perché nella mia mente si materializzò l'idea di permettere a Sebastian di uccidermi e non era qualcosa di simile a ciò che era successo in precedenza.
Avevo deciso di sacrificarmi per permettere a Simon di vivere e ritenevo che fosse una buona motivazione. Ma allora, una ragione non c'era, eppure lo desideravo comunque.
Sentii il mio cuore battere, per la prima volta. Fu terribilmente strano, come se il mio corpo non mi appartenesse. Tremai e il mio sguardo si posò sul viso rilassato di Simon.

Simon.

Simon se n'era andato.

Simon non sarebbe mai più tornato.

«Fallo» biascicai, in modo a malapena percettibile. E lui l'avrebbe fatto, se solo qualcosa, o meglio, qualcuno, non fosse intervenuto. Non vidi bene cosa successe, strizzai gli occhi e quando li riaprii, mi ritrovai in un posto fin troppo conosciuto.

Il salotto moderno di casa di Martha mi sembrò fin troppo fuori luogo per la situazione in cui mi trovavo. Era tutto in ordine, tutto perfetto, mentre dentro di me c'era il caos.
Percepii delle mani sulle mie spalle. Appartenevano alla mia migliore amica, me ne resi conto senza voltarmi. A dare ulteriore conferma, si aggiunse la sua voce. Sussurrò il mio nome e poi iniziò a tirarmi. Capii subito il perché lo stesse facendo.
Io stavo ancora cullando Simon tra le mie braccia e, istintivamente, strinsi la presa.

«Lascialo andare, Hazel» disse ancora Martha. Il suo tono sembrava rassegnato.

«No» mormorai. «No!». E poi urlai.

Fu allora che tutto crollò, per l'ennesima volta in così poco tempo.

“Perché il dolore non colpisce mai una sola volta. E' costante, a volte più acuto, altre volte viaggia a livelli più bassi, ma è sempre presente”.

Circa un secolo prima, una ragazza mi aveva detto quella frase. Non le avevo mai creduto, fino a quel momento.

«Hazel...».

«No... No, non... Non posso, non... Io non ce la faccio, non... Non posso... Non posso!».

Piangevo, mi disperavo e avevo il suo corpo senza vita che gravava su di me. Me lo ero portato addosso, quasi del tutto, e stavo bagnando il suo viso con le mie lacrime.
Ero ormai completamente imbrattata di sangue e nemmeno mi importava. Mi stavo lentamente annientando, annullando, con consapevolezza.
Tuttavia, Martha mi tirò nella propria direzione con più forza, afferrandomi entrambe le braccia, e riuscì a distaccarmi quel tanto che bastava da Simon per far sì che noi due ci dissolvessimo. Riapparimmo nella camera da letto, quella dalle pareti verde smeraldo, in cui rare volte ero entrata.

Ero in piedi, di fronte a lei che mi fissava con un'espressione dispiaciuta, che in quel momento odiai con tutte le forze a me rimanenti. La mia vista era offuscata dalle lacrime, ma ciò non mi impedì di tentare di scansarla e dirigermi verso la porta ricoperta di vernice bianca e ben sigillata.
Quell'intenzione, però, non giunse al termine. Martha mi bloccò di nuovo, tenendomi per le spalle.

«Devo andare» biascicai. «Non... Non posso lasciarlo da solo, lui non vuole mai stare da solo, non... Devo stare con lui».

«Hazel».

Se solo lo avesse ripetuto un'altra volta, in quel tono, per giunta, avrei seriamente iniziato ad odiare il mio nome.

«Per favore...» mormorai ancora.

«Sei ferita» replicò lei, ignorando le mie suppliche. «Hai bisogno di darti una ripulita e di riposare».

Martha: sempre lucida e razionale. Come ci riusciva?

Io nemmeno mi ero accorta di essere ferita, ma mi fece notare come un grosso taglio era aperto sulla mia fronte e sulla coscia sinistra.
Abbassai per un attimo lo sguardo, osservando le mie mani ricoperte di sangue. Quando lo rialzai, incrociai i suoi occhi azzurri, che tentavano di essere di conforto. «Sono umana» sussurrai.

«Lo so».

Come faceva a saperlo rimase un mistero, ma non me ne stupii. Non per il momento. Lei era a conoscenza di un sacco di cose prima di me.

«Martha...» biascicai. Quella mia frase nemmeno ebbe l'opportunità di venir pronunciata. Non ebbi più la forza di parlare, né di fare qualsiasi altra cosa. Nemmeno lei parlò più, si prese solo cura di me, spostandomi per la stanza quasi fossi una bambina. Io non ero mai stata trattata così, non ne avevo mai avuto bisogno, fino ad allora.

Martha mi medicò le ferite, le ricoprì con delle garze bianche e cerotti. Dopo, mi trascinò in bagno, ficcandomi nella vasca enorme che aveva. L'acqua bollente riuscì a rilassare almeno il mio corpo, almeno per qualche minuto.
La mia mente rimase costantemente rivolta a Simon, al pensiero del suo corpo steso a terra, a pochi metri di distanza da dove mi trovavo. Più volte pregai Martha di lasciarmi perdere e di permettermi di andare da lui, ma non acconsentì.
Nella mia nuova condizione, non potevo fare nulla per raggirarla. Non ci riuscivo neanche prima, con tutti i miei poteri; solo pensare di farlo allora sembrò un paradosso.

Una volta completamente ripulita e rivestita da una camicia da notte bianca, Martha mi ordinò di mettermi a letto. Seppur restia, le obbedii. La vidi sparire per qualche minuto e quando tornò, reggeva in mano una tazza di ceramica, fumante.

«Che cos'è?» chiesi.

«Qualcosa per aiutarti a dormire».

«Non ne ho bisogno».

«Io credo di sì».

«Dormire, Martha... Non so nemmeno se ne sono capace. Non ho mai dormito».

«E' più facile di quel che pensi. Bevi questo e chiudi gli occhi».

Aveva tutta l'aria di una madre autoritaria. Tuttavia, sotto gli sguardi severi che si sforzava di fare, riuscivo a scorgere in lei un velo di insicurezza e instabilità, lo stesso che ricopriva me, pesantemente.

Mi porse la tazza. La presi distrattamente tra le mani, fissando il liquido giallognolo al suo interno. Doveva essere una tisana o una camomilla. Avevo visto Simon prenderla un paio di volte, ma non lo aveva mai aiutato a dormire. Ero pressapoco sicura che non avrebbe funzionato nemmeno con me, soprattutto in un momento come quello.

Scossi appena la testa, abbandonando il piccolo recipiente sul comodino.

«Non voglio dormire» sussurrai. «Non ci riuscirei nemmeno. Voglio... Voglio andare di là e...».

«Me ne occupo io di lui» mormorò Martha, in risposta.

«No, devo...».

«Non devi fare niente, Hazel, a parte andare a letto e riposare. Dammi retta, per favore. Ti aspettano cose atroci e quel che davvero devi fare è essere pronta quando arriveranno e non stanca e spossata».

Mi fulminò con lo sguardo e mi parve che il suo tono di voce si fosse fatto più severo. Non aggiunse altro e io non potei ribattere, poiché si volatilizzò in uno sbattere di palpebre.

«Martha...» cantilenai, andando verso la porta. Ovviamente, era chiusa a chiave dall'esterno.

Ero intrappolata in quella stanza, mentre il mondo fuori iniziava a sgretolarsi completamente e, con esso, anch'io.

  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: LilithJow