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Autore: TaliaAckerman    11/07/2013    9 recensioni
[Revisione in corso]
Primo capitolo della serie del "II ciclo di Fheriea"
Dal diciottesimo capitolo:
"Pervasa da un senso di feroce soddisfazione, Dubhne alzò il braccio destro in segno di vittoria. La folla intorno a lei urlava e scandiva il suo nome, entusiasta. E la cosa le piaceva."
Salve, e' la prima fan fiction che pubblico in questa sezione. Più che una ff però è un romanzo, il mio romanzo, ideato e steso in più di due anni di fatiche e grandi soddisfazioni. Spero vi piaccia^^
Genere: Azione, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'II ciclo di Fheriea'
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CITTÀ DEI RE, CAPITALE DI FHERIEA


- Dubhne, Dubhne svegliati!- un sussurrio entusiasta la destò improvvisamente. Ancora assonnata, la ragazza tentò di abituarsi all’improvvisa luce del sole.
– Che… che cosa c’è, Claris?- chiese un po’ intontita. Ma avrebbe dovuto capire. Ormai era da giorni che il loro viaggio continuava. La ragazza esclamò:– Siamo arrivati! È lei, Dubhne… Città dei Re!
Dubhne si fece d’un tratto sveglissima. Il nodo che le serrava lo stomaco da giorni parve rafforzarsi fino a farla esplodere, mentre con ansia si volgeva a guardare davanti a sé. Rimase letteralmente folgorata: la capitale di Fheriea era lì, si stagliava contro il limpido cielo primaverile. Torri, bastioni, palazzi immensi e altissimi. E le mura, spesse quasi cinque metri, che percorrevano l’intero perimetro della città. Mentre il carro oltrepassava gli imponenti portoni, Dubhne represse a stento un brivido di timore quasi reverenziale. Dunque è questa la grande capitale… pensò, guardandosi attorno ammaliata.
Al loro ingresso, una folla di persone si era disposta ai lati della strada per accoglierli con ammirazione. Ma Dubhne era così esterrefatta da non accorgersi delle grida, gli applausi e i commenti delle persone. Almeno finché Claris non le batté una mano su una spalla.
– E dai, Dubhne. Sono qui per noi, non vedi? Avanti, salutali!
Dubhne impiegò qualche secondo per comprendere le parole della Combattente. Poi, lentamente, posò di nuovo gli occhi sulla gente a terra. C’erano uomini, donne, anziani e una miriade di bambini. Applaudivano entusiasti, come se stessero accogliendo i loro eroi. La ragazza si alzò in piedi, imitando gli altri, e timidamente iniziò a muovere le mani in segno di saluto. Una bambina si divincolò dalle braccia della madre e si avvicinò ancora di più, lanciandole un fiorellino di campo. Dubhne lo afferrò al volo un attimo prima che sprofondasse nel fango e alzò la testa stupita; la bambina rideva, sembrava felice. Guardandola, la ragazza avvertì lacrime di panico e disperazione salirle agli occhi, mentre un nodo le serrava la gola impedendole di parlare.
Grazie, avrebbe voluto dire. E invece rimase lì in piedi, ferma in mezzo agli altri ragazzi. Claris accanto a lei rideva e si sbracciava, salutando conoscenti, vecchi amici e ammiratori. Fissandola, Dubhne avrebbe disperatamente voluto essere come lei: forte, imperterrita e determinata. Così coraggiosa da poter affrontare con leggerezza persino i Giochi. E invece si ritrovava se stessa, intrappolata in quel corpo che mai aveva visto battaglie, ancora presa dai ricordi e dal terrore per il futuro. Ma doveva rassegnarsi.
Rimase lì in piedi a salutare ancora per molto tempo.


Peterson Cambrel camminava spedito, in volto un’espressione soddisfatta. Malcom Shist era arrivato, finalmente. E con lui tutto il suo seguito di Combattenti. Trattenne a stento una risata; era curioso di scoprire quali bestie il rivale avesse reclutato pur di tenere testa al suo Jackson Malker.
I corridoi del palazzo riservato agli schiavisti erano deserti, non c’era ancora traccia né di Carly Tohr, né tantomeno di Allison Pets.
Bifolchi, pensò acidamente Peterson, cominciando a scendere le scale. Era possibile che quell’anno gli unici padroni di Combattenti a presentarsi fossero lui e Malcom Shist? Non che fosse un gran problema, ovviamente, lo avrebbe spazzato via, ma la presenza di altri contendenti rendeva la cosa più eccitante. Dopotutto, c’erano ancora quattro mesi di allenamento che li separavano dai Giochi. Sì, qualcuno sarebbe arrivato.
Face un rapido cenno ai soldati che erano di guardia al portone e lo spalancò. Immediatamente gli giunsero alle orecchie gli schiamazzi della folla in lontananza, radunata nella via centrale per accogliere i Combattenti della squadra di Malcom Shist.
Peterson percorse le strade della città a memoria, d’altronde la capitale di Fheriea era diventata come una seconda casa per lui. Da anni ormai non tornava a far visita a Sasha, la sua città natale, nonché capitale di Tharia. Non che lo desiderasse, ovviamente: Città dei Re era più spettacolare, più grandiosa, più adatta al suo nome e alla sua fama. Ormai Peterson era abbastanza ricco da considerarsi agiato quanto un nobile. Parziale merito di Jackson Malker, ovviamente.
Camminando velocemente verso le mura, l’uomo abbozzò un sorrisetto. C’erano momenti in cui ancora non si capacitava della fortuna che aveva avuto incontrandolo. Erano passati quasi cinque anni da quel giorno, eppure Peterson ricordava tutto alla perfezione. Non c’era voluto molto per capire che Jackson Malker poteva significare un svolta nella storia dei Giochi. Apparteneva al Popolo Rosso, una delle etnie che abitavano le terre al di là del mare. E questo spesso già rappresentava una garanzia. Tutti nel continente settentrionale sapevano che quegli uomini avevano una naturale predisposizione all’utilizzo delle armi. Dote dettata dalle loro leggi di sopravvivenza: confinati dalle propaggini del grande deserto a vivere sulle aride rive a ovest dello stretto di Bakar, fino all’arrivo di Will Cambrest i Malajoros si erano mantenuti vivendo di caccia, qualche sporadica coltivazione e guerra. Decisamente molta guerra. Fino alla loro sconfitta da parte delle Cinque Terre e del Bianco Reame, avevano mantenuto le loro tradizioni e usanze sanguinarie. Successivamente alla guerra la loro ferocia era stata mitigata dalle unioni matrimoniali con i numerosi coloni che avevano cercato fortuna in quelle terre, non avendola trovata altrove. Alcune generazioni di meticciato, unite alla presenza minacciosa dei soldati di Fheriea che per cento anni avevano sorvegliato i popoli del sud per prevenire nuove guerre, avevano fatto in modo che i rapporti con le Cinque Terre si distendessero progressivamente. Con il passare dei decenni era andato formandosi addirittura una sorta di primitivo ceto mercantile. Ma il dono della morte era rimasto nel sangue di alcuni e Jackson Malker era decisamente uno di quelli. Era figlio di un signore della guerra del deserto e come tale era stato cresciuto.
Peterson raggiunse infine il corteo che aveva festeggiato l’arrivo dei Combattenti. La calca era così rumorosa che neppure lui, alto più di un metro e ottanta, riuscì a scorgere molto. Malcom doveva essere lì da qualche parte, lo si capiva dal rumore che le ruote del carro emettevano strisciando sul terreno. Irritato, si sollevò un poco aggrappandosi alla colonna di pietra di un porticato e aguzzò lo sguardo. E allora li vide. Più di venti Combattenti, tutti fieramente in piedi sul grande carro che li aveva trasportati, attorniati dalla folla. Scorse James Sangster in prima fila, mentre con la solita aria altera osservava gli abitanti di Città dei Re. Accanto a lui c’era la ragazza dei pugnali, che più volte in passato aveva dato problemi ai suoi ragazzi. Più in là scorse facce nuove, qualche giovane uomo già visto in passato e alcuni ragazzini. Non gli sembrò di scorgere nessuno di potenzialmente pericoloso. Meglio così.
D’un tratto, la sua attenzione fu attirata dalla giovane che accanto a Claris – ricordò il suo nome all’improvviso – stava salutando timidamente. Non aveva un aspetto ordinario per una Combattente. Aveva il viso morbido e pieno, anche se non paffuto, un corpo ancora armonioso, non magro e scattante. Anche i vestiti curati e in ordine non suggerivano un passato particolarmente turbolento. Peterson Cambrel ridacchiò sottovoce: non sarebbe durata neppure un istante nell’Arena. Soddisfatto, l’uomo balzò di nuovo in strada e si avviò verso i propri alloggi.
Era come se Jackson avesse già vinto. Come se lui avesse già vinto.


Dubhne aveva sempre pensato che Chexla fosse una città rispettosamente grande. Ora capiva di essersi sbagliata. Città dei Re, quella era una grande città. Non un semplice agglomerato di case e palazzi. C’erano piazze, monumenti, fontane, botteghe, locande, armerie, ogni sorta di emporio o negozietto alimentare. Non fosse stato per il motivo della sua permanenza nella capitale, Dubhne sarebbe stata piuttosto entusiasta di dare un’occhiata in giro. Claris le aveva raccontato che si poteva incontrare qualsiasi tipo di persona in quelle immense vie, dai nobili delle Isole Crimsief ai cugini dei regnanti di Tharia. Luoghi in cui Dubhne mai aveva messo piede e, alcuni, di cui non aveva mai nemmeno sentito parlare.
Mentre il carro si apprestava a raggiungere gli alloggi dei Combattenti, la ragazza scorse persino dei ragazzini appartenenti alla Gente Bianca correre di qua e di là.
– È bella, vero?- le chiese Claris con un sorriso soddisfatto. Dubhne non rispose; era senza parole.
Malcom, appena ebbe deciso che il popolo si fosse goduto abbastanza la vista dei suoi guerrieri, spronò i cavalli ad andare più veloce. Dubhne quasi inciampò per il repentino cambio di velocità.
– Ma ora… dove andiamo?- chiese ansiosamente.
Claris spiegò:- A palazzo Cerman. È là che stanno tutti i Combattenti. Ci sono cinque piani, uno per ogni squadra, anche se quasi mai tutte e cinque partecipano contemporaneamente ai Giochi...
Dubhne deglutì.
– Ci sarà anche quella di Peterson?- domandò con un fremito.
– Certamente – il tono di Claris era rilassato. – Loro arrivano primi tutti gli anni e si sistemano sempre all’ultimo piano. Cioè quello più grande - sbuffò. Dubhne si chiese come facesse a restare così calma. Poi si rese con stupore conto di una cosa. – Ma quindi… ogni Combattente avrà un alloggio per sé?- chiese curiosa.
– E certo!- confermò Claris. – I Giochi Bellici sono prestigiosi, cosa credi? Che penserebbe la gente se scoprisse che i Combattenti dormono stipati tutti assieme?
Dubhne non replicò. Avrebbe potuto stare un po’ da sola, almeno. D’un tratto Claris interruppe i suoi pensieri:- Ah, credo che ti taglieranno i capelli quando arriviamo. È una tradizione, sai…
Dubhne ci mise qualche secondo a registrare quelle parole. Poi lo stomaco le si chiuse. Istintivamente si passò una mano sui lunghissimi capelli castani.
No, pensò.




Note: allora, beh... so di non aver ancora spiegato cosa siano realmente i Giochi, ma presto (più o meno) lo scoprirete, non l'ho dimenticato. Grazie a chi ha già lasciato recensioni e, sì, anche a chi si è limitato a leggere silenziosamente. Spero che la mia storia vi appassioni:) Baci, Joanna^^
  
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