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Autore: TaliaAckerman    03/08/2013    3 recensioni
[Revisione in corso]
Primo capitolo della serie del "II ciclo di Fheriea"
Dal diciottesimo capitolo:
"Pervasa da un senso di feroce soddisfazione, Dubhne alzò il braccio destro in segno di vittoria. La folla intorno a lei urlava e scandiva il suo nome, entusiasta. E la cosa le piaceva."
Salve, e' la prima fan fiction che pubblico in questa sezione. Più che una ff però è un romanzo, il mio romanzo, ideato e steso in più di due anni di fatiche e grandi soddisfazioni. Spero vi piaccia^^
Genere: Azione, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'II ciclo di Fheriea'
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Quando finalmente a Dubhne fu permesso di uscire dall’isolamento, il carattere della bambina era definitivamente, irrimediabilmente cambiato. Benché si sforzasse in tutti i modi di non pensarci, la morte della madre l’aveva segnata come nessun avvenimento mai accadutole. Nemmeno l’essersi dovuta trasferire alla sartoria di Célia. Nemmeno il fatto di essere stata brutalmente picchiata da Dills, Charlons e gli altri. Davanti a quella terribile perdita, ogni altro avvenimento perdeva importanza.
Quanto ad Alesha, le due ragazze non erano più riuscite ad avvicinarsi, non dopo l’episodio che era avvenuto nelle cantine. Dubhne non riusciva a parlare con nessuno, nemmeno alla propria migliore amica per chiederle scusa.
E così la bambina era di nuovo sola.
La vita in solitaria era più dura di quanto ricordasse. Non aveva nessuno con cui sedersi a pranzo per fare quattro chiacchiere. Non aveva un’amica con cui confidarsi. Non aveva qualcuno che la proteggesse dalla disperazione che aleggiava nel mondo. Non sentiva neanche più la fatica per i faticosi turni di lavoro. Il proprio corpo non le apparteneva più. Per la bambina esisteva solo più il dolore.
E poi accadde.
Era una giornata di sole, una delle poche splendide giornate invernali. Con la scusante di avere un leggero mal di pancia, Dubhne aveva ottenuto da Kall il permesso di saltare il pranzo. La bambina stava distesa sul proprio lettuccio, gli occhi fissi al soffitto. Quel giorno, dopo tanto tempo di pura disperazione, la sua mente si era beatamente svuotata. La ragazzina provava solo una terribile voglia di riposare.
– Dubhne – chiamò ad un tratto una voce fredda. Triste. Rassegnata.
La bambina capì al volo che si trattava di Alesha, ma non guardò dalla sua parte. Non ci riusciva. – Voglio restare sola.- disse con voce atona, rivolta al muro.
– Non tenterò di farti cambiare idea. – fece Alesha tristemente. – E credo che fra poco tempo sarai accontentata - Fece una pausa.
Dubhne non parlò. Cercava di sembrare disinvolta, ma in realtà pendeva dalle labbra dell’amica.
- Tra due giorni me ne vado.
La bambina spalancò gli occhi, inorridita.
– E per andare dove? – esclamò voltandosi di scatto dopo pochi secondi. Ma non ottenne risposta.


Dubhne si precipitò in corridoio. Dov’era finita Alesha?
Non è possibile! pensò con rabbia la bambina. Non è possibile. Non anche questo!
Dopo qualche minuto di inutili ricerche, passò davanti alla sala dei telai. Ma certo! Kall le avrebbe sicuramente dato spiegazioni.
– Che cosa vuol dire tutto questo? - proruppe la ragazzina infuriata, letteralmente catapultandosi nella stanza. Il sorvegliante alzò lo sguardo dal proprio lavoro e sorrise:- Ah, vedo che sei ancora viva allora…
- Che cosa vuol dire?
- Ma tu non dovresti essere di là con Heixa?
- Che cosa vuol dire?- urlò lei, sull’orlo di scoppiare a piangere.
Kall allora cambiò espressione, si alzò e le si avvicinò. Per la prima volta da quando si conoscevano l’uomo la guardò negli occhi con affetto paterno. Poi, senza preavviso, si chinò sulla sua figuretta smilza e la abbracciò.
Per un istante, Dubhne fu così stupita da non riuscire a muoversi ma poi, esitante, circondò le spalle del sorvegliante con le braccia, mentre le lacrime cominciavano a sgorgarle dagli occhi.
– Piangi, piangi finché vuoi... – la rassicurò lui a bassa voce, dandole dei leggeri colpetti sulla schiena.
La bambina si separò leggermente da lui. – Dove porteranno Alesha? – chiese con un filo di voce.
– Non le faranno niente di male, tranquilla. – rispose Kall con voce rassicurante. – E’ stata trasferita in una filiale del signor Tomson nell’Ariador. Ormai è abbastanza matura per questo. La decisione è stata presa proprio ieri.
Nell’Ariador. Così lontano.
Dubhne tentò in tutti modi di frenare le lacrime, poi crollò di nuovo fra le braccia del sorvegliante.
- Ma non possono mandarla via! – mugolò. – Non possono! Era l’unica cosa che mi tenesse legata a questo posto!
- Lo so, lo so…- rispose Kall, sempre tenendola stretta a sé. Poi le scostò una ciocca di capelli dal viso. – Ma adesso vai alla sala dei ricami. Vai, o ti ritroverai nei guai con Heixa.
Dubhne annuì, ma una terribile consapevolezza la colpì: non avrebbe potuto parlare all’amica, quel pomeriggio. Già, perché “disturbare la quiete” sotto la sorveglianza di Heixa significava restare a bocca asciutta per l'intera giornata. E, visto che la bambina era già dimagrita abbastanza negli ultimi periodi, infrangere un’altra volta le regole avrebbe potuto significare anche la morte.
Disperata, Dubhne uscì dalla stanza e si diresse a tutta velocità verso la sala dei ricami. Nel frattempo, la sua mente girava vorticosamente.
Alesha. Sua madre. Lentamente, la ragazzina stava perdendo tutto.
Trattenendo per miracolo le lacrime, arrivò a destinazione, sotto l’occhio attento di Heixa.
– Sei in ritardo. – le fece notare questa in tono irritato appena la vide. – Che cosa ti è preso?
Dubhne strinse rabbiosamente i denti ma non rispose, sedendosi per terra e afferrando un fazzolettino di stoffa da ricamare.
Cercando disperatamente di non guardare nella direzione di Alesha, intrecciò ago e filo per due, tre, quattro, cento volte.
Intanto, Heixa osservava il lavoro delle apprendiste con aria insopportabilmente soddisfatta, muovendo qualche critica pungente ogni tanto. Dubhne tentò di tenere gli occhi posati esclusivamente sul proprio lavoro, ma a volte il suo sguardo semplicemente scattavano sul viso intento dell’amica.
Al, ti prego. Guarda da questa parte. Guarda!
Ma non c’era nulla da fare: la ragazza stava immobile, gli occhi chini sul proprio operato, le guance rigate da minuscole lacrime. A Dubhne cominciarono a tremare le gambe. Non ce la faceva più. Era più di quanto la bambina potesse sopportare. Non solo sua madre era appena morta, lasciandola in uno stato di puro sconvolgimento. No, ora avrebbe perso anche la sua migliore amica. La sua unica amica.
Prima che potesse fermarle, le lacrime di esasperazione cominciarono a scenderle sulle guance rosee da bambina. Non sapeva come avrebbe fatto a resistere lì a Célia senza Alesha a sostenerla. Era stata già abbastanza dura la morte di sua madre. Perché ora il fato aveva deciso di sottrarle anche l’ultima persona che la tenesse coi piedi attaccati a quel mondo?
Eppure, la parte più ingenua e ottimista del suo cuore osava pensare che forse, Alesha non sarebbe stata costretta ad andarsene. Forse… il signor Tomson avrebbe cambiato idea, oppure avrebbe scelto Shosanna o qualcun’altra al posto suo.
Non essere ridicola! ringhiò una voce nella mente della bambina. Alesha se ne andrà e tu non puoi fare nulla per impedirlo! Le sfuggì un singhiozzo sommesso. Grazie al cielo, nessuno se ne accorse. Controllati, pensò Dubhne, infuriata per la propria debolezza.
Quando poi, quasi quattro ore dopo, Heixa concesse alle ragazze di abbandonare il loro lavoro, Dubhne si alzò e attese che Alesha la raggiungesse all’ingresso.
E invece, chissà perché, quando la giovane le passò davanti, Dubhne si rese conto di non riuscire a parlarle. Le sfuggì solo un basso squittio, e Alesha – solo per un istante – si voltò verso di lei Poi proseguì oltre, verso il refettorio.
Mio dio. Mio dio, che mi succede?
Sconfitta e decisamente scoraggiata, la ragazzina seguì le altre apprendiste verso la sala da pranzo.
Coraggio, si disse. Coraggio, devi affrontare l’imbarazzo e la paura. Ne va della tua amicizia con Alesha. Almeno tenta di salutarla come sua compagna.
Ci avrebbe provato.


Mangiando pranzo, il giorno dopo, Dubhne si sentiva così depressa che temette di essere sul punto di vomitare. Per quanto si sforzasse, i muscoli facciali davvero non riuscivano a funzionare. In quel momento Alesha, probabilmente, stava raccogliendo le proprie cose… e poi sarebbe partita. Senza lasciare traccia.
Avanti vai! Vai o te ne pentirai per tutta la vita!
E allora, la bambina scattò. Senza neanche considerare Deka e gli altri sorveglianti, si alzò dalla tavolata e schizzò verso il cortile. Non avrebbe detto addio ad Alesha senza neanche essersi riappacificata con lei. Non lo avrebbe mai permesso.
Percorse i corridoi della sartoria come in un sogno, e quando finalmente intravide il profilo di Alesha, immersa nella gelida luce di mezzogiorno, sorrise. Attorno alla ragazza c’erano il signor Tomson, Kall, e poi una donna alta e robusta che teneva per le briglie due grossi cavalli purosangue. Prima che qualcuno potesse fermarla, o anche solo accorgersi di lei, Dubhne gettò le braccia al collo dell’amica.
– Ti prego, perdonami! – esclamò piangendo la bambina. – Ti prego, scusami! Io non voglio che tu te ne vada!
Il signor Tomson, fra l’imbarazzato e l’inviperito, guardò prima Dubhne, poi la signora dei cavalli.
– Io… sono estremamente mortificato – fece in tono incerto, ma nella sua voce si avvertiva una nota di furore represso.
– Non si preoccupi - ribatté l’altra sorridendo. – So che cosa significa perdere un’amica.
Ma Alesha non ascoltò né l’uno né l’altra. Accarezzando i capelli di Dubhne come una mamma, disse in tono dolce:- Non ti preoccupare, Dub. Parto, ma non ti lascio sola. Sarò con te nei tuoi sogni.
Kall, qualche metro più in là, pareva stesse trattenendo un leggero sorriso.
– Hai capito? Stai tranquilla – continuò Alesha, e la bambina annuì, anche se a fatica.
– Ci proverò, Al. Ma mi mancherai tanto…- singhiozzò affondando il viso nella spalla dell’amica. Lei le accarezzò la fronte e fissò gli occhi limpidi in quelli neri della bambina. – Tu devi resistere, amica mia. Tu ce la farai. Perché hai la passione per la vita, Dubhne. Tu puoi fare molto in questo mondo. Hai la forza e il coraggio per percorrere tanta strada. E non ti arrendere. Non ti arrendere mai.
– Adesso vieni via! – le interruppe Tomson, tirando la ragazza per un braccio.
– No!
- Signore, dia loro soltanto un minuto…
La donna con i cavalli gesticolava, Dubhne piangeva, e Kall tentava inutilmente di separarla da Alesha.
– Tieni duro, Dub! – esclamò Alesha mentre veniva letteralmente trascinata via da Tomson. – Ci rivedremo un giorno, te lo prometto!
- Alesha!
- Vieni via Dubhne, avanti.
L’ultima immagine che Dubhne riuscì a vedere prima di svenire fu quella di Alesha che, montando goffamente il destriero nero, si allontanava sempre di più dalla sartoria, fino a rimanere solo più un piccolo puntino all’orizzonte.
Sarò con te nei tuoi sogni.



  
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