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Autore: TaliaAckerman    03/08/2013    3 recensioni
[Revisione in corso]
Primo capitolo della serie del "II ciclo di Fheriea"
Dal diciottesimo capitolo:
"Pervasa da un senso di feroce soddisfazione, Dubhne alzò il braccio destro in segno di vittoria. La folla intorno a lei urlava e scandiva il suo nome, entusiasta. E la cosa le piaceva."
Salve, e' la prima fan fiction che pubblico in questa sezione. Più che una ff però è un romanzo, il mio romanzo, ideato e steso in più di due anni di fatiche e grandi soddisfazioni. Spero vi piaccia^^
Genere: Azione, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'II ciclo di Fheriea'
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17




Alesha procedeva lentamente, esausta.
Il tramonto era passato da un pezzo, ma Terix continuava a proseguire, in sella al suo magnifico cavallo bruno. Le due donne avevano galoppato per tutto il giorno, anche se Alesha con qualche difficoltà. Era una fortuna per lei aver imparato a montare i cavalli quando era piccola, perché non sarebbe mai stata capace di imparare tutto in una mezza giornata. Di certo non poteva considerarsi un’esperta, ma da sempre con i cavalli aveva una certa dimestichezza. Forse era per l’ammirazione e la passione che la giovane nutriva per loro, ma tutti i cavalli che Alesha si erta trovata davanti non avevano provato neanche una volta a disarcionarla. In verità, per il più delle volte era stata lei con la sua goffaggine a procurarsi i tagli e gli sfregi per le cadute dalla sella.
– Fermiamoci qui – disse infine Terix, con gran sollievo della ragazza.
– Qui? – fece in un secondo momento questa, perplessa. In effetti, la radura dove avrebbero riposato non era proprio quello che si definisce ospitale. L’erba secca e pungente cresceva incolta sul terreno, e gli alberi fitti che le circondavano avevano decisamente un ‘che di inquietante. – Ma… potrebbero esserci dei letjak nelle vicinanze…- tentò di protestare, preoccupata.
– Andrà benissimo – tagliò corto la donna, scendendo da cavallo con noncuranza. – Basterà fare silenzio e non addentrarsi nel folto degli alberi. I letjak temono la luce del fuoco, sai?
- Certo, ma…- cominciò Alesha, ma un’occhiata di Terix la costrinse a tacere. Tesa, la giovane Ariadoriana smontò dal proprio destriero e si sedette a terra. Terix, vicino a lei, armeggiava con pietre e bastoncini. – Che fai?
- Accendo un fuoco no? È a te che fanno paura i letjak…
Alesha arrossì, ma non replicò e si avvicinò alla propria accompagnatrice. – Lascia che ti dia una mano.
Dopo una frugale cena a base di pane e formaggio, Terix lanciò ad Alesha una coperta.
– Tieni. Fatti una bella dormita, se siamo fortunate domani riusciremo a percorrere gran parte dello Stato dei Re. Speriamo che il nostro fuoco continui a bruciare per tutta la notte. Ma se senti dei rumori, non perdere tempo: svegliami e scappa. I Letjak non si fanno tanti scrupoli quando adocchiano una preda.
Alesha rabbrividì. Si stese sull’erba morbida, e all’istante le sue membra si rilassarono. Poi, Terix chiese con voce stranamente dolce:- Era tua sorella quella?
Alesha comprese all’istante, con una stretta allo stomaco, che la donna stava parlando di Dubhne.
– No, non era mia sorella - rispose addolorata. – Era solo un’amica.
La più grande amica di sempre.
L’indomani, la ragazza aprì gli occhi piuttosto presto.
Accanto a lei, Terix aveva già cominciato a prepararsi.
– Ah, vedo che sei sveglia – sorrise la donna. – Ottimo. Allora tra poco possiamo ripartire.
– Ma e… la colazione? – chiese Alesha, allarmata. L’altra la fissò con una punta di commiserazione. – Dove pensi di essere, nella locanda più lussuosa di Città dei Re? Uno: non abbiamo fino al prossimo anno per raggiungere l’Ariador. Due: nella sacca ho messo tutto il cibo che ci entrava, e non è comunque abbastanza. Quindi fammi il favore di non lamentarti.
Alesha alzò le mani. – Va bene, va bene, chiedevo solo… - Terix la scrutò un istante, poi le due risalirono a cavallo per riprendere il viaggio. Alesha non riuscì a trattenere le lacrime. Un’altra fascia della sua vita era terminata.

                                                                                ***

La bambina si svegliò che non era ancora l’alba. Si trovava in infermeria, per la seconda volta da quando era arrivata a Célia. Soltanto che quella volta non ci sarebbe più stata Shosanna a prendersi cura di lei. E di Alesha, ormai le rimaneva solo il ricordo.
La bambina tenne gli occhi fissi su una parete, rivolta con la schiena su un lato del piccolo lettino e cercando di non pensare alla persona cui aveva appena detto addio.
Alesha. La sua più grande e unica amica. La bambina aveva perso tutto.
– Dubhne… - chiamò ad un tratto una voce canzonatoria.
La ragazzina ebbe un tuffo al cuore. Avrebbe desiderato non sentire mai più quel tono deliziato. Esitante ed assolutamente impreparata, rimase immobile.
Fa’ finta di dormire.
– Dubhne, lo so che sei sveglia… - continuò Dills, imperterrito.
Dubhne non rispose, paralizzata dal terrore. Che cosa diavolo ci faceva lui lì?
– Non importa – fece il ragazzo in tono petulante. – Sai, avrei voluto parlare un po’ di quell’imbranata della tua amica. Siamo tutti davvero contenti che se ne sia andata. Insieme a te, stupida piagnucolona, stava diventando davvero insopportabile.
Non fare rumore. Stai calma. Non rispondere. Controllati, Dubhne. Dills non oserà toccarti. È un codardo.
– Ah, va bene, non vuoi parlarne. Ti capisco: perdere l’unica persona che riesce a sopportarti dev’essere un duro colpo…
Visto che la bambina non reagiva, Dills la provocò:- E di tua madre che mi dici?
Controllati.
– Mi piacerebbe davvero sapere di cosa è morta quella sgualdrinella…
- CHIUDI QUELLA BOCCA! – urlò Dubhne, perdendo il controllo. Veloce, la bambina si sfilò da sotto le coperte e si gettò sul ragazzo che le stava di fronte. – Maledetto… bastardo…!- scandiva, scaraventandogli addosso tutta la propria furia. – Non… ti sembra… di… aver già fatto abbastanza?
La bambina riuscì a tirargli un pugno in pancia. Ringhiando, Dills la afferrò per le spalle, e i due rotolarono sul pavimento. - Prendi questo!
La bambina ricevette un ceffone in piena faccia. Non era la prima volta che Dubhne si ritrovava in una situazione simile, ma quella volta era diverso: lei voleva combattere. Desiderava con tutta se stessa di punire Dills per tutto il male che le aveva fatto, desiderava annullarsi nel proprio dolore, colpirlo, colpirlo, infliggergli almeno una parte della sofferenza che lui le aveva provocato.
Il ragazzo urlava, la bambina piangeva per le percosse ricevute, ma nessuno dei due era disposto a mollare l’avversario. E proprio quando Dubhne credette di essere sul punto di svenire, una voce interruppe la zuffa.
- Dubhne, Dills! Mio dio… che state facendo? – esclamò una donna, scandalizzata. I due si interruppero all’istante e Dubhne tremò: Deka.


- È stata Dubhne a cominciare! – dichiarò Dills in tono concitato, appena il signor Tomson ebbe messo piede nell’infermeria.
– Dills ha insultato mia madre! – lo interruppe rabbiosamente Dubhne, guardando Dills con odio. Ma Deka si intromise:- Sentimi bene, ragazzina: quale che sia la ragione, le persone civili non si azzuffano tra loro come animali!
- Lo dica a lui! – urlò Dubhne indicando il ragazzo, che aveva iniziato a sogghignare – Qualche mese fa lui e la sua banda mi hanno quasi ridotta in fin di vita!
- E tu hai provocato solo guai da quando sei arrivata!
- Silenzio! – intervenne ad alta voce Tomson, prendendo Deka per un braccio. – Con Dubhne ne parlo io.
La bambina ebbe un fremito, ma non distolse lo sguardo. – Dills mi ha provocata.
– Zitta – la freddò l’uomo. Poi si rivolse a Deka:- Tu, riporta il ragazzo al dormitorio. Immediatamente.
– Ma cosa, cosa…? – protestò Dubhne, irata. – Volete dirmi che non riceverà punizioni?
- Esatto, proprio così – rispose Tomson in tono gelido.
Prima che Dubhne potesse ribattere, si chinò su di lei, la faccia spaventosamente contratta. – Ascoltami bene, Dubhne. Io non sono più disposto a sopportare te e le tue maniere da psicopatica. Quindi, o tu accetti le nostre regole, oppure giuro che ti sbatto fuori di qui e ti lascio a morire di fame. È chiaro?
- E allora lo faccia! Preferisco crepare piuttosto che rivedere la sua faccia!
Il colpo arrivò forte e improvviso, colpendo la bambina su una guancia. Dubhne barcollò e avvertì pizzicarle gli occhi per il bruciore, ma non si scompose.
– Esci da questa stanza immediatamente – sibilò Tomson. – Heixa! – gridò poi. – Vieni qui subito!

                                                                                ***

Chiusa nella cella d’isolamento per la terza volta, Dubhne cominciò sinceramente ad impazzire. Diversamente dalle due volte precedenti, non si rintanò a piangere in un angolo. No, la bambina camminava in tondo, imprecando di tanto in tanto.
– Maledizione! – esclamò, colpendo la porta con un pugno. Poi, ringhiando, si accasciò sul pavimento. Non ne poteva più. Da quando sua madre era morta, la vita nella sartoria era diventata quasi insopportabile. Un’incredibile quantità di tragedie si era susseguita a ritmo davvero sconcertante. E la ragazzina non era più disposta a tollerarlo.
Fu allora che un pensiero, sciocco, folle, irrealizzabile, le si affacciò nella mente.
Fuga.
– Piantala Dubhne! – gridò la bambina rivolta a se stessa. – Non resisteresti più di due giorni là fuori!
Ed era vero. D’altronde, come avrebbe potuto? Senza cibo, acqua e vestiti pesanti, allontanarsi da Célia sembrava un’impresa impossibile. E per andare dove, poi? Da sua padre? Dubhne non ci pensava neanche. Dal giorno della morte di Camlias, l’uomo si era fatto vedere a Célia soltanto una volta, e l’approccio tra lui e la figlia non era stato dei più calorosi. La bambina si sentiva più abbandonata e sola che mai. Non aveva un posto dove fuggire. Eppure…
Dovunque è meglio che qui.
Dubhne si alzò di scatto, invasa tuto a un tratto da una determinazione nuova. Non avrebbe vissuto in quella prigione un giorno di più.
Spinta da un folle desiderio di libertà, si avvicinò alla finestrella e la spalancò. Era più stretta di quella delle due celle precedenti. Dubhne guardò il proprio corpo, deformato dalla fame e dalle sofferenze. Era abbastanza magra per tentare.
Posso farcela. E, se proprio non dovessi, vorrà dire che resterò qui. Cauta, la bambina infilò la testa nella fessura. Nessun altro apprendista sarebbe riuscito a passare, ma lei doveva provarci. Se un sorvegliante fosse entrato in quel momento, per lei sarebbe stata la fine. Ma ora alla bambina non importava. Con qualche difficolta, riuscì a far scivolare anche le spalle attraverso la finestra. Ma ora veniva la parte più difficile. – Stupida!- esclamò sottovoce.
– Come diavolo farò a non rompermi la testa, cadendo?
Non dire sciocchezze. Non è abbastanza alto perché tu possa farti male. Ormai era arrivata a metà strada. Ma proprio allora, i suoi fianchi s’incastrarono fra i bordi della finestra. No. Oh, no!
La bambina tirò, tirò più forte che poté, reggendosi al davanzale esterno, e poi, finalmente, rovinò a terra con un tonfo. Era nel giardino sul retro della sartoria, dove gli apprendisti ricevevano il permesso di lavarsi.
Sì. Sì, sì, sì! Ce l’ho fatta!
Era libera. Ma non era ancora finita. Furtiva, e senza dimenticare la prudenza, Dubhne sgusciò fra i corridoi deserti della sartoria. Era notte fonda. Soltanto un volta la bambina fu costretta a fermarsi e a nascondersi, cioè quando Heixa spuntò da chissà dove, in direzione della propria camera da letto.
Dannazione! Dubhne cercò di non respirare, e rimase ferma dietro un angolo, immersa nell’oscurità. Quando finalmente Heixa fu scomparsa, prese un gran respiro. Era il momento. Gettando all’aria ogni prudenza, saettò fuori dal proprio nascondiglio, imboccando uno, due, tre corridoi, fino a ritrovarsi alla porta d’ingresso. A quel punto, incredula per ciò che era riuscita a fare, voltò il viso in direzione del dormitorio.
Mi spiace per quello che è successo, Shosanna. Ma sappi che io ti ho perdonata. D’altronde, avevi ragione: Dills mi odia davvero, ora ne sono certa. Mmm… avrei dovuto lasciarle un biglietto.
Non perdere tempo!
Giusto.
Lasciatasi alle spalle ogni dubbio e indecisione, la bambina raccolse le chiavi dall’apposito scaffale, fece scattare la serratura e uscì nella notte.
Quasi frastornata dalla felicità, Dubhne attraversò di corsa le vie buie e semideserte della città, ignorando totalmente gli sguardi sospettosi dei pochi passanti notturni. Quando poi, finalmente, raggiunse il limitare del bosco, la bambina si voltò un ultima volta verso Célia; era pronta ad abbandonare quel luogo per sempre. Dove sarebbe andata non lo sapeva.
Esitò un istante, poi Dubhne sparì fra gli alberi.




  
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