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Autore: Kilian_Softballer_Ro    05/08/2013    4 recensioni
Immaginate il tipico scenario post-apocalittico. Il frutto di un esperimento ha ucciso praticamente tutta la popolazione della Terra, e soltanto un riccio è sopravvissuto.
O forse non solo....
Cercando di ignorare i ricordi del passato, Shadow si ritrova a dover combattere e indagare su cosa è accaduto e cosa sta ancora accadendo.
Storia liberamente ispirata a un libro di Stephen King e con una forte presenza di OC, miei e di altri autori.
Spero apprezziate. Buona lettura!
Genere: Drammatico, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Shadow the Hedgehog, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Il mattino dopo si svegliò con la strana sensazione che qualcuno lo avesse incatenato. Si scosse, finché un gemito non gli fece capire cosa fossero davvero quelle “catene”.
Durante la notte Dodgeball era tornato ad attaccarsi a lui, stavolta stringendolo con le braccia e le gambe come un koala al suo albero. Adesso, nonostante l’agitarsi di Shadow, dormiva ancora, in quel modo profondo e impossibile che hanno tutti i bambini e gli adolescenti del mondo.
Con tutta la delicatezza di cui era capace (non molta) il riccio nero sciolse l’abbraccio e uscì cautamente dal sacco a pelo. Era ancora molto presto, e nonostante fosse piena estate faceva freddo.
Shadow riaccese il fuoco e stava per mettersi alla ricerca di qualcosa di commestibile nello zaino, quando Dodgeball cominciò a parlare.
-          No…Silver voglio dormire...con te…
Si girò di scatto. Il riccetto artigliava il sacco a pelo con le dita, come se dovesse esserci qualcuno accanto a lui che voleva trattenere.
-          Non…via no….poi non…ti alzi più…
-          Sssssssh – l’altro gli sfiorò la fronte cercando di calmarlo. – Non c’è nessuno, Dodgeball. Dormi.
-          Nononono! – Il bambino scoppiò a piangere. Questo mandò Shadow a un passo dalla crisi. Non era mai, assolutamente mai stato in grado di gestire qualcuno che piangeva. Men che meno un moccioso. A parte….A quel punto fermò i pensieri, costringendosi a tornare al presente. I ricordi dopo. Ora doveva pensare a quel che stava succedendo.
D’istinto, aprì il sacco a pelo e prese Dodgeball fra le braccia, tentando di farlo tornare a un sonno silenzioso. L’effetto fu però quello contrario. Il bambino, sballottato, fece ancora un paio di versi, poi sbatté le palpebre e si svegliò.
-          Shadow? – Borbottò cercando di mettere a fuoco.
Il più grande non riuscì a mascherare il suo sollievo. – sì?
Dodgeball si aprì in un enorme sorriso. Sembrava non avere neanche mezzo ricordo di quello che stava sognando un attimo prima. – Ho fame!
 
I giorni seguenti furono un vero capovolgimento per Shadow, dopo tutte quelle settimane di silenzio e solitudine. Si era trovato in ogni possibile situazione movimentata, ma l’accudire un bambino ventiquattrore su ventiquattro le batteva tutte.
Non che Dodgeball facesse il sostenuto o cose del genere. Sembrava talmente entusiasta del fatto di non essere più solo che gli avrebbe obbedito ciecamente anche se si fosse trattato di dare fuoco alla città. Lo seguiva dovunque lui andasse, a meno di non ricevere il preciso ordine di restare all’accampamento, sempre con quel sorrisone allegro. Era cambiato radicalmente da quel primo momento di paura e fame in cui l’altro lo aveva trovato.
E anche Shadow stava cambiando, anche se non se ne accorgeva. Forse era il fatto di avere qualcosa da fare costantemente, in ogni minuto, oppure la nuova (seppure piuttosto assillante) compagnia che non lo costringeva a parlare da solo come un folle, ma i suoi ricordi si stavano allontanando, centimetro dopo centimetro. Di giorno. Di notte tornavano ad assalirlo come avvoltoi, tenendolo sveglio o presentandosi sotto forma di incubi, da cui si svegliava ansante e sudato.
Cosa che spesso succedeva anche a Dodge. L’unica differenza erano i pianti e i gesti inconsulti che faceva durante il sonno, svegliando spesso anche il suo compagno di letto. Le loro notti erano agitate come non mai, ma Shadow non si era ancora deciso a prendere un altro sacco a pelo. Aveva come il sospetto che, se per caso avesse cercato di dormire separato da quel piccolo riccio, se lo sarebbe probabilmente ritrovato a strisciargli nel sacco a pelo di notte, col rischio di non riconoscerlo e di finire per aggredirlo o sparargli. Era meglio andare avanti così.
 
Un giorno il riccio nero decise di tornare a fare scorta di cibo nel supermercato, e Dodgeball lo seguì trotterellando di buon grado. Quel suo atteggiamento positivo e accomodante normalmente non gli dava fastidio, ma quel giorno non era del tutto normale. Era una delle giornate cattive. Quelle in cui i ricordi non ne volevano sapere di stare al loro posto nemmeno durante il giorno e continuavano a tornare. Quelle in cui l’ottimismo era lontano anni luce dalla sua mente,e spesso e volentieri lo infastidiva. Ecco, era uno di quei giorni.
Per questo non disse al bambino di seguirlo durante la “spesa”. Lo lasciò nella corsia dei giocattoli, intimandogli di non muoversi per nessuna ragione, e si allontanò, massaggiandosi le tempie nel tentativo di tornare in sé. Doveva concentrarsi. C’era un trucco che funzionava di solito, quando i ricordi erano talmente pressante da fargli venire il mal di testa, come quel giorno. Qual era il trucco? Ripetere all’infinito qualcosa di monotono. Una filastrocca. Possibilmente stupida.
-          C’era una volta un re seduto sul sofà che disse alla sua serva”Raccontami una storia” e la storia incominciò – recitò fra sé e sé. – C’era una volta un re seduto sul sofà che disse alla sua serva raccontami una storia e la storia cominciò. C’era una volta un re seduto sul sofà che disse alla sua serva-
Sbucò nella corsia degli articoli per la prima colazione e gli passò totalmente dalla mente cosa stessero facendo il re o la serva sul sofà, quando vide la ragazza.
Una giovane echidna arancione stava scegliendo pacchetti di cibarie dagli scaffali. Non era bellissima, o appariscente, in un’altra situazione non l’avrebbe guardata nemmeno di striscio, ma era lì ed era viva. Tanto bastò a farlo bloccare, con la bocca spalancata e la mano che correva d’istinto alla pistola.
L’echidna sembrò sentire quell’ultimo passo e si voltò nella sua direzione. La sua espressione calma si trasformò in una di stupore, gemella di quella del riccio. Spalancò la bocca e  gli occhi azzurri, e pacchi e scatole le caddero dalle mani.
-          Chi…diavolo sei tu? – Esclamò Shadow, riprendendosi.
-          P-potrei farti la stessa domanda – balbettò lei. – Oddio, ma sei vero? Oppure sono diventata pazza e sto sognando?
Era brutto ammetterlo, ma lui si stava chiedendo la stessa cosa. – Tu non puoi essere reale….E’ più di una settimana che sono qui, dovrei averti vista!
La ragazza puntò il dito oltre le spalle del riccio. – Se io non sono reale…quello cos’è?
Shadow girò gli occhi e sobbalzò sentendo Dodgeball aggrapparglisi alla gamba. Il bambino aveva l’aria spaventata, e saettava gli occhi da lui alla ragazza.
-          Non ti avevo detto di restare là? – Esclamò Shadow, più preoccupato che irritato dalla sua disubbidienza. Non sapeva se poteva fidarsi di quella sconosciuta, non voleva il piccolo riccio troppo vicino.
-          Chi è lei? – Piagnucolò Dodge invece di rispondergli, indicando l’echidna. Lei cercò di mascherare la sorpresa per quel nuovo venuto (un occhio adulto sarebbe stato in grado di accorgersene all’istante) e gli sorrise.
-          Ciao, piccolo – disse chinandosi verso di lui. – Io mi chiamo Tikal. Anche tu devi avere un bel nome, per essere così carino. Ce l’hai?
-          Mi chiamo Dodgeball – mormorò lui, ancora incerto, ma non molto. L’aria tranquilla della giovane stava facendo effetto. Sorrise anche, appena appena.
-          Dodgeball. E’ strano. Mi piace. - Tikal alzò gli occhi sull’altro riccio. – Invece non so ancora come ti chiami tu, signor….
-          Si chiama Shadow. Però non lo devi chiamare signore, sennò sembra vecchio. – E il bambino ridacchiò di gusto.
-          Hai ragione. – Anche l’echidna rise leggermente. Shadow aggrottò la fronte, ma non era più così preoccupato. Dopotutto sembrava innocua. Però aveva ancora alcune cose da chiederle, pericolosa o no.
-          Su, Dodge, vai a farti un giro, io e Tikal dobbiamo parlare – disse quasi distrattamente, senza spostare gli occhi da lei.
-          Va bene. Ciao ciao, Tikal. – Il ragazzino si staccò da lui. – Shadow?
-          Sì?
-          Perché hai la pistola?
Il nero abbassò lo sguardo, rendendosi solo allora conto di avere l’arma stretta nella mano destra. – Oh. - Avrebbe potuto sparare alla ragazza in un attimo. Sarebbe bastato un secondo di sorpresa di troppo. – Niente. Vai, vai.
Il riccetto trotterellò via, e Shadow tornò a concentrarsi sulla ragazza. – Stabilito che non sei un’allucinazione, potresti dirmi per favore chi diamine sei?
-          Direi che potrebbe utile. Okay, come ho detto mi chiamo Tikal. Vengo dal Maine. Laureanda in psicologia pediatrica, se ti interessa. – Allargò le braccia. – Almeno prima di tutto questo disastro.
-          E cosa ci fai qui?
-          Ho viaggiato per un po’, e questo è il posto più accogliente che abbia incontrato. Così ho deciso di fermarmi. Ma dimmi….tu, invece. Chi sei, cosa fai e perché sei qui. Avanti.
-          Mi chiamo Shadow. E sono qui più o meno per le tue stesse ragioni, ma abitavo a Washington. – Non aggiunse altro. Quasi tutto il resto era parte di ciò che non voleva ricordare.
-          E quel bambino…Dodgeball…è tuo fratello?
-          Oh, no. Assolutamente no. L’ho trovato qui. Credo sia orfano. Era solo e così l’ho preso con me.
-          Sembra un gesto da persona molto…buona.
Shadow fece un sogghigno amaro. – Già. Se hai un concetto strano di persona buona.
 
Mentre i due stavano ancora parlando, Dodgeball stava ubbidendo all’ultimo ordine del suo ( come lo definiva lui nella propria testa, in segreto. Il diretto interessato non doveva saperlo, magari si sarebbe arrabbiato) nuovo fratello maggiore. Ovvero si stava facendo un giro.
Quel posto non gli era sconosciuto. Ci era venuto qualche volta con Silver.
Oh, se faceva ancora male pensare a Silver.
Scosse la testa e si diresse deciso verso il settore dei libri, sapendo perfettamente dove si trovava. Si fermò dove c’erano quelli per bambini, sistemati alla sua altezza, ma, come aveva sempre fatto, lanciò un’occhiata anche dietro lo scaffale, dove c’erano quelli per adulti. Alcuni a volte avevano dei titoli buffi. Una volta ne aveva trovato uno intitolato “Lo hobbit”, che era una parola buffa davvero: non esisteva! Ma Silver non gli aveva permesso di sfogliarlo. Diceva che era troppo piccolo per capire.
Scosse la testa di nuovo per scacciare ancora quel pensiero e si concentrò sul posto dov’era, senza sapere quanto somigliante fosse a Shadow in quel momento di ricordi.
Si era ormai abituato alla vista dei morti di ogni genere, perciò non si preoccupò quando vide il cadavere di un giovane riccio (maschio o femmina, non sapeva dire: i capelli rossi erano corti, ma non abbastanza da definirlo di sicuro un maschio ) seduto a terra, con la testa china su un libro che aveva appoggiato alle gambe. Shadow gli aveva insegnato a non aver paura dei morti, perché non potevano fargli nulla. Per cui dedicò tutta la sua attenzione ai titoli dei libri da grandi.
Poi il cadavere girò pagina.
 
-          Tutto questo è pazzesco – sospirò Tikal raccogliendo lo scatolame che aveva lasciato cadere prima. - Come è possibile che io non abbia mai neanche intravisto nessuno di voi due? In quale quartiere vi siete fermati?
-          Nel parco al centro della città.
-          Davvero? – Sembrava confusa. – Non sapevo ci fossero case nel parco.
-          Quali case? – Adesso era il turno di Shadow di sembrare confuso. – Aspetta. Tu vivi in…una delle case?
-          Beh, certo. E’ molto più comodo che accamparsi per strada come facevo mentre viaggiavo. – Lo guardò come se fosse ovvio.
-          Ma non ti…impressiona? Intendo…probabilmente hai spostato i suoi precedenti abtanti per poter abitare quella casa. Loro prima avevano una vita lì. Non fa effetto.
-          Certo che fa effetto. Ogni giorno. Ma è una cosa a cui bisogna fare l’abitudine. Dopotutto, questo è il posto dove dobbiamo vivere. Spostare….morti e prender quello che prima era loro fa e farà sempre parte delle nostre giornate.
-          Molto poetico.
Tikal rise. Anche Shadow si concesse un sorrisetto, ma non durò a lungo. Solo finché non avvertì l’urto di qualcosa che si precipitava contro la sua gamba.
-          Shadow! C’è…C’è…- Era Dodgeball, ansante. Ansante, con le lacrime agli occhi e in piena crisi di panico. – E’ là! Sta…Sta…
-          Dodge? – Il riccio nero spalancò gli occhi. – Ehiehiehi, calma, ragazzino, calma.
-          Ma….ma c’è! E’ là!
-          Ma cosa c’è? – Tikal guardò il bambino negli occhi. Che cosa hai visto là?
-          C’è….c’è uno morto! Che legge!
Shadow alzò gli occhi al cielo, esasperato. – Dodge, te l’ho già spiegato, se osno morti non possono farti nulla. Anche se sono morti leggendo.
-          Ma…ma questo gira le pagine!
I due adulti si scambiarono uno sguardo sconcertato. – Di solito, se un morto legge è probabilmente vivo – disse Tikal lentamente.
-          Già – convenne Shadow, ma sollevò di nuovo la pistola in posizione di guardia. – Ma qui niente va come al solito, giusto?
Alla vista dell’arma, il piccolo riccio scoppiò a piangere ancora più forte. La pistola veniva sempre fuori quando Shadow aveva paura di qualcosa. E se Shadow, addirittura Shadow aveva paura, nei suoi ragionamenti infantili sentiva di doversi spaventare più di quanto già lo fosse.
L’echidna, svelta, lo prese in braccio. Dodgeball non protestò, anzi si strinse fiducioso a quel qualcuno che lo voleva consolare. Anche se si trattava di una sconosciuta.
Tikal si rivolse di nuovo a Shadow. – Che cosa facciamo?
-          Andiamo a vedere cosa sta succedendo. Chiariamo la faccenda.
Lei annuì. – Dov’è che hai visto quel….quel morto, Dodge?
-          Do-dove c’erano i libri…
-          So dov’è quel settore, andiamo.
Il terzetto si avviò lentamente, circospettamente verso lo scaffale da cui poco prima Dodgeball era fuggito. Quando furono solo a pochi passi di distanza, Shadow fermò Tikal e le fece cenno di restare dov’era. Quindi, con i passi silenziosi che aveva imparato ad usare tanto tempo prima, si avvicinò alla corsia e girò l’angolo.
C’era, in effetti, un riccio seduto a terra. Ma solo un bambino avrebbe potuto scambiarlo per un cadavere. “Diamine” fu il suo primo pensiero “quel ragazzino mi farà venire un infarto prima della prossima settimana”. Innanzitutto girava le pagine del libro che aveva in grembo. Poi dalle sue orecchio spuntavano i fili di una coppia di cuffie, che spandevano musica a volume talmente alto che riusciva a sentirlo perfino. E poi respirava. Diamine.
Però , anche se non era quello zombie per cui si era praticamente preso un colpo, era pur sempre qualcosa di cui preoccuparsi. Era qualcuno di vivo. Il secondo in un giorno.
“Tutto questo è folle” disse la parte della mente di Shadow che  lo faceva sentire più pazzo ogni giorno che passava. “ TU sei folle. Questa è un’allucinazione da cui fra poco ti sveglierai. Oh sì. Toccherai quel tizio e lui svanirà e tu avrai la certezza di essere pazzo”.
Il riccio nero esitò solo un secondo, poi toccò la spalla dell’altro.
Non svanì. Trasalì e alzò gli occhi, alzando d’istinto il libro che aveva in mano quasi potesse usarlo come arma. Shadow si rese conto, in quel secondo di sbalordimento che ebbe, di tre cose. Primo, quel riccio esisteva davvero e quindi probabilmente lui non era così pazzo. Secondo, era molto giovane. Terzo, era una ragazza. I due si guardarono negli occhi.
-          Chi cazzo sei tu? – Urlò la ragazza alzandosi in piedi, sempre con il libro sollevato. Le cuffiette caddero a terra vicino al loro lettore cd, ancora emettendo la melodia di prima, ora riconoscibile: Stayin’ Alive, dei Bee Gees.
-          Ferma un attimo, chi cazzo sei tu!
-          Ah, non lo so: non posso neanche starmene a leggere tranquilla che un pazzo psicopatico con una pistola tenta di farmi venire un infarto, quindi non mettere su quell’aria da fuori di testa e dimmi chi sei.
Shadow sospirò seccato. – Sono un altro sopravvissuto. E tu? Lo sei o sei morta?
-          Ti sembro morta?
Il riccio la squadrò per un attimo. Era pallida, e vestita completamente di nero, il che accentuava molto il suo pallore. Quindi sì, forse agli occhi di un moccioso di neanche sei anni poteva anche sembrare morta. – Conosco una persona a cui lo sei sembrata.
Lei sbuffò, scuotendosi i corti capelli rossi via dagli occhi gialli. – Ah sì? E chi era, visto che qui non c’è nessuno di vivo oltre a noi? Il tuo ego che ha deciso di andare a fare due passi? E’ abbastanza grande da riuscirci, sai.
-          Tikal? Dodge? Potete venire, non c’è nessun pericolo.
I due sbirciarono da dietro lo scaffale, lei preoccupata, lui, ora che il panico era svanito, incuriosito proprio come doveva essere un bambino.
-          Oh, dio. – La ragazza rossa aveva spalancato gli occhi, sbalordita. – Oh, signore del tempo, quanti siete?
-          Sei uno zombie? – Esclamò Dodgeball. Stava tornando ad aprirsi nel solito sorriso enorme. Buon segno.
-          Ancora?
-          E’ lui che ti ha trovato per primo. – Shadow sogghignò. La sconosciuta guardava il bambino come se lo stesse odiando fin nel profondo. – Non ti piacciono i bambini?
-          Non se mi prendono per un cadavere ambulante.
-          Okay, okay, fermatevi un attimo. – Tikal alzò la mano che non stringeva Dodgeball come a stopparli. – Tutto questo è assurdo, ma  dobbiamo darci una calmata. Tutti quanti. Io, Dodge, tu, Shadow, e tu…
-          Alice. Alice Cross.
-          Alice. Ho una proposta. Venite a casa mia. Davanti a una tazza di tè potremo spiegarci e parlare, con calma.
Alice guardò Shadow. – Ho qualche possibilità di rifiutare?
-          Non credo.
-          Fantastico. – Sbuffò e prese a infilare in una borsa nera che aveva a tracolla il libro e il lettore cd.
Il riccio nero si passò una mano sugli occhi. Sapeva che avrebbe dovuto sentirsi seccato come quella ragazza (non avrebbe mai pensato che prendere un tè con due sconosciute e un bambino potesse essere una proposta ragionevole), ma non riusciva, si sentiva solo estremamente confuso. E poi come continuava a ripetersi, quella non era una situazione normale.
E minacciava di diventare sempre più assurda.                                             

Ho già paura che i lettori mi inseguano all'urlo di STERMINARE! STERMINARE! E siamo solo al secondo capitolo!O.O
Lo so, lo so. non dovrei essere così pessimista. Ma è più forte di me, anche se spero che non sia un capitolo COSI' pessimo. con tutti questi personaggi che spuntano, poi.....
Fra parentesi Alice non è mia. E' un personaggio di eritrophobia (sì, sempre lei <3 ) e spero di averlo reso abbastanza bene. Non mi assassynare, se no ç_ç
A presto, a tutti!
Ro =)
  
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