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Autore: Dira_    08/08/2013    10 recensioni
Sono trascorsi cinque anni da quando Al, Tom e Lily hanno messo fine alla vicenda terribile che ha segnato la loro adolescenza. Grazie al mondo fuori da Hogwarts sembrano essersi lasciato tutto alle spalle. Chi è un promettente tirocinante, chi si è dedicato alla ricerca e chi, incredibilmente, studia.
Un'indagine trans-continentale, il ritorno di un vecchio, complicato amico e una nuova minaccia per il Mondo Magico li porteranno ad affrontare questioni irrisolte.
"Perchè quando succede qualcosa ci siete sempre di mezzo voi tre?"
Crescere, per un Potter-Weasley, vuol dire anche questo.
[Seguito di Ab Umbra Lumen]
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo XXV
 
 
 
With you nothing seems impossible / It all seems to fit the frame
So when I'm crying alone, when I'm cold as a dying stone
Grow me a garden of roses
(Roses, Poets of the Fall)
 
11 Luglio 2028
Somerset, casa di Scott Ross. Mattina.
 
Scott si svegliò perché Lily stava cercando di non urlare al telefono.
La sentiva persino da dove si era rifugiata – in bagno – perché quando cercava di non alzare la voce la aveva comunque bisogno di compensare; per questo sbatteva ogni oggetto avesse a portata di mano, che fosse il dentifricio o l’anta del mobiletto delle pozioni.
Con un sospiro si alzò dal letto, ciabattando fino alla cucina per preparare la colazione; aveva imparato che la cosa che più la calmava era mettere qualcosa sotto i denti.
Dev’essere un retaggio familiare.  
Mentre metteva a preparare il caffè e a tostare qualche fetta di pane guardò fuori dalla finestra; era una bella giornata, e quel weekend dava una Scozia sgombra di nubi.
Un miracolo che non si ripete spesso.
Erano quindi le giornate perfette per far distrarre la sua ragazza e riportarla sui giusti binari.
I miei.
Non si riteneva un tipo possessivo; non lo era  stato nemmeno da bambino con la sua scopa giocattolo – il suo primo amore. Ma Lily … beh, gli faceva pensare ad una casa e a qualche bambino. Aveva vinto il suo cuore e la sua fiducia con una pianificazione da bacio accademico, e lasciarla andare ad allenarsi con Sören senza contrattaccare … no.
Semplicemente, no.
Fece in tempo a far uscire i toast che l’altra marciò in cucina, ovviamente attirata dall’odore del caffè. Scott pensò che non avrebbe mai lasciato che Sören la vedesse con i capelli arruffati, una maglia da uomo a coprirle le gambe e l’espressione di chi avrebbe ucciso per un po’ di zuccheri nello stomaco.
“Brutto risveglio?” Indovinò versandole il caffè.
“Alla grande.” Sospirò bevendone un grosso sorso. Era una fortuna glielo avesse zuccherato prima. “Ero al telefono con la Patil.”
“Ha scoperto di Ben?”   

Lily scrollò le spalle. “Non l’ha scoperto. L’ho chiamata io per dirglielo.”
“Ah.” Emise sorpreso. A quanto aveva capito l’operazione era stata non autorizzata. “Beh, forse l’avrebbe scoperto lo stesso una volta tornata…”
“Non è per quello.” Lily gli lanciò un’occhiata perplessa. “Dovevo dirglielo. Nascondermi sotto un tappeto sarebbe stata la ciliegina finale per giocarmi il suo rispetto.”
Scott rifletté su quanto appena detto, e ancora una volta non riuscì a capire come funzionava la testolina della sua fidanzata. “E non si è arrabbiata?”

“Eccome!” Sbuffò. “Mi ha fatto una lavata di capo terrificante!” Vedendolo confuso, fece un sorriso dolente. “Vedi, la tecnica che ho usato, quella della Legimanzia Inversa, è … beh, pericolosa. Non solo per il paziente, ma anche per lo Psicomago che la compie. Più per lui, in realtà. Scambiarsi i pensieri è un procedimento invasivo e gli effetti collaterali, se la procedura non viene fatta correttamente, sono piuttosto seri.”
Scott annuì, sentendosi improvvisamente molto meno contento che la sua ragazza avesse deciso di aiutare Ben, per quanto la cosa fosse stata nobile e da lei. “Se la metti così, capisco perché era arrabbiata.”
“Penso che dovrò rimettere a posto la sala comune del reparto Thickley per i prossimi tre mesi. Senza magia.” Sbuffò, ma non sembrava troppo abbattuta dalla cosa.  Era fiera di se stessa, realizzò.
“Spero che almeno ne valesse la pena…” Gli sfuggì, e si sarebbe mangiato la lingua quando vide gli occhi brillanti di Lily dardeggiargli addosso.
Non è per quello che ho detto, ma per come l’ho detto.
“Pensi che abbia fatto una cavolata?” Gli chiese infatti, con il tono che urlava allarme lontano due miglia. Scott avrebbe potuto trovare un modo per riparare la cosa se non avesse avuto una ragazza capace di capirlo solo guardandolo in faccia.
A volte era snervante.
“Penso che potevano esserci altre soluzioni che non coinvolgessero direttamente te.” Si limitò a dire, sincero il più possibile. “Potevi insistere con le altre Psicomaghe, potevi chiedere alla Patil di insistere al posto tuo. È il capo-reparto, ha influenza anche in queste cose credo.”
“Non è questo il punto!”
“No, il punto è che volevi provare che eri in grado di farlo, a dispetto dei rischi.” Gli uscì fuori e non riuscì a frenarsi, perché era vero. Lily aveva una perenne ansia da prestazione che le scorreva sotto pelle; un po’ era per via del suo cognome, che portava dietro di sé un bagaglio di eroi e eroine, bastevole per far sentir inadeguato chiunque.

Un po’ è proprio lei. Si crede migliore di parecchie persone, solo non vuole ammetterlo.
L’altra serrò le labbra, ma non ribatté; non era una stupida, e si rendeva conto quando qualcuno gli diceva la verità, per quanto poco piacevole potesse essere.
“Forse.” Ammise. “Forse l’ho fatto, ma mi sono assunta le mie responsabilità perché sono pronta a pagare le conseguenze. Sören…” E si bloccò di colpo.
Sören. Dovevo immaginarmelo. Ha parlato con lui e se n’è uscita con questa storia assurda.
Fu più per rabbia che per reale desiderio di aiutarla, che parlò. “Sören la pensa così anche nel caso fosse successo qualcosa a Ben?”
Era un colpo basso e se ne pentì nel secondo stesso in cui lo pronunciò.
Complimenti Ross. In queste cinquantasei ore dovevi essere il ragazzo perfetto, quello che nessuna ragazza sana di mente pianterebbe … e rischi di farti piantare a colazione.
Lily serrò le dita sul tovagliolo e si alzò di scatto. Sembrava volergli urlare qualcosa, ma si morse di nuovo le labbra, così forte che di certo si fece male. “È meglio che vada.” Borbottò.
“Lily.” Si alzò in piedi anche lui, preoccupato. La sua gelosia si era messa in mezzo, ma non avrebbe permesso che vanificasse tutto il discorso. Perché aveva ragione. “Mi dispiace, è stata una frase proprio da stronzo…”
“Abbastanza.” Il fatto che gli rispondesse era positivo, sperava.

“È che sono preoccupato. Il discorso che ti ha fatto Sören è giusto, non fraintendermi. È solo che mi chiedo se fossi preparata ad affrontare le vere conseguenze.”
Lui di certo non se l’è chiesto. Non sembra il tipo che si fa troppi problemi quando ci sono danni collaterali. Basta vedere quello che ti ha fatto.
Lily si fermò sullo stipite della porta. Non sembrava arrabbiata, ma neppure particolarmente illuminata dalla consapevolezza. “Non mi sono cucita il suo parere addosso, Scott. Sören non c’era quando ho preso quella decisione.” Gli rispose seria. Era in quei momenti che si intravedeva la sua vera ragazza, dietro i sorrisetti e le battute. Una volontà di ferro, come un diamante incastonato in mezzo a tanti pezzetti di vetro. “Sapevo che avrei potuto fare male a Ben, ma sapevo anche che nessuno la stava ascoltando. Io potevo farlo, e l’ho fatto. Non mi pento di questo.”
Non c’era molto altro da aggiungere a quel punto. Di fronte a quell’asserzione, che niente aveva di ribelle o di ‘sono migliore di voi’, capitolò. “Scusami … è solo che mi è sembrato che il parere di Sören fosse più importante del mio, per te.” Confessò, perché la sincerità era l’unica cosa che pagava di fronte ad una Legimante Naturale.
Tanto lo scoprirebbe comunque, in un modo o nell’altro. E altro che brutte conseguenze.
Lily sciolse le braccia – le aveva tenute serrate per tutto il tempo – e gli si avvicinò. “Non dire cavolate.” Mormorò. “Sören è mio amico e tu sei il mio ragazzo.” Fece un sorrisetto. “Ascolto quello che mi dite, ma alla fine faccio come mi pare.”
Scott ridacchiò, perché se era ritornata quella Lily, voleva dire che forse non aveva mandato tutto al diavolo. “Non ne dubito.”

Lily gli sorrise, tirandoselo contro per la maglietta. “Non essere geloso, ragazzone.” Lo apostrofò mettendosi in punta di piedi per posargli il mento sul petto. “Qui è il punto dove lo ammetti e mi giuri amore eterno.”
Scott rise di nuovo, sentendosi un autentico idiota. “Sono geloso e ti amo.” Ripeté diligente. “Non mi piace che altri ragazzi ti stiano attorno.”

“Sören è diverso.” Scrollò le spalle, sedendosi sul tavolo per continuare a sorseggiare caffè. “Vuoi la sconcertante verità? Non mi vede come una ragazza, sono una specie di … buon esempio per lui. Una bussola delle buone intenzioni.” Fece una smorfietta. “Poverino, eh? Penso di far schifo ad indicare il Nord.”
“Sì, in effetti qualche volte hai avuto problemi a trovarlo…” Scherzò, anche se una parte di sé trovava ancora più inquietante quella definizione; una cosa era avvicinarsi a Lily perché era una bella ragazza, una cosa era farlo perché…
È il suo Nord?
Evitò di commentare però, preferendo chinarsi per un bacio e per sentire le gambe esili allacciarsi alla vita per tirarselo contro. “Non preoccuparti.” Le mormorò baciandole il collo. “Per la Scozia abbiamo il navigatore.”
 
****
 
Londra, Mayfair.
Mattina.
 
Oh, oh-oh I got a love that keeps me waiting
I’m a lonely boy

 
“Cos’è sta roba?”
“Si chiama musica rock, Potty.”
“Lo so che cos’è, mi sto chiedendo perché siamo sintonizzati su una stazione Babbana e non sulla frequenza delle radio auror!”
“Me la sono dimenticata.”
“Malfuretto!”

Era in momenti come quello che Sören sentiva la mancanza dell’agente Estevez; il cameratismo robusto che intercorreva trai tre auror riusciva a metterlo a disagio persino se l’agente Jordan non contribuiva alla conversazione.

Scacciò quel pensiero, perché stava diventando sempre più facile piangersi addosso ed era una cosa che lo disgustava. Guardò invece i tanti palazzi in mattoni rossi che sfrecciavano ai lati della loro visuale, mentre Babbani ignari venivano sorpassati dall’auto di servizio abilmente Disillusa.
“Non cambiarla! Mi piace!” Protestò Scorpius scacciando con uno schiaffo la mano di Potter, intento a guidare come a cercare di cambiare stazione.
“È questo il punto! Sei stonato come una campana, se t’azzardi a cantare…” Lo minacciò ottenendo l’effetto opposto. Ormai anche Sören sapeva che Malfoy era un bastian contrario per natura e non c’era cosa che più lo deliziava che far andare fuori dai gangheri chi gli dava ordini.
Ma io sono qui per amarti, sono invece nato per sanguinare? Ogni volta mi fai aspettare, aspettare, aspettare!” Gridò senza troppe cerimonie, scansando il pugno dell’altro. “Ho un amore che mi fa aspettare, sono un ragazzo solitario!
Jordan fece un mezzo sorriso, distogliendo lo sguardo dal finestrino. “Non la smetterà finché non lascerai in pace quella radio, Jimmy. Fagli finire la canzone, tanto le comunicazioni ci arrivano anche via Specchio Magico.”   
“Proprio così!” Confermò Scorpius con un sorriso beato, servendo un esplicativo segno di vittoria allo sguardo fosco dell’amico. “Siamo stati buttati giù dal letto ad un’ora scandalosa … Pretendo di comportarmi come un deficiente poco professionale.”
“Non è che ti comporti, ci sei proprio.” Grugnì l’altro svoltando su una stradina residenziale; a quell’ora del mattino la città era ancora immersa nel torpore e la fila di macchine parcheggiate e la mancanza totale di esseri umani nei paraggi ne era la prova.
“A me la canzone piace.”
Non fu certo di averlo detto ad alta voce finché tutti si girarono a guardarlo. Tentò pateticamente di non arrossire, perché alla sua età e con il suo passato era ridicolo.  In compenso quando uscirono dalla macchina per poco Scorpius non lo abbracciò. Di certo minacciava di farlo da come gli slogò una spalla con una pacca. “Visto?” Gongolò in direzione di Potter. “Sören ha ottimi gusti in fatto di musica!”
“E chi lo dice?”

“Tua sorella.” Ghignò il biondo, mentre Potter sembrava aver voglia di strangolarli a mani nude.
Sören dovette ammettere che era divertente vederlo perdere le staffe.
“Stronzi.” Sbuffò, gonfiando i muscoli come gli orango che si vedevano nei programmi Babbani alla televisione. Sören dovette trattenere un sorriso mascherandolo da crampo alla mascella. “A proposito di Lils …” Esordì, ignaro della deriva dei suoi pensieri. “Mi hanno detto che ti ha chiesto di insegnarle un po’ di auto-difesa.”
“Sì, stase…” Non lo fece neanche finire.

“Se le torci un capello ti ammazzo.”
Ovviamente.
Inarcò le sopracciglia, e registrò con sorpresa sia Jordan che Scorpius guardarlo in aspettativa. A quanto sembrava i loro alterchi non avevano più parti schierate in un'unica direzione.“Il punto di insegnarle a difendersi è mostrarle come può essere aggredita.” Osservò. “Quindi di cosa stiamo parlando?”
“Pipistrello, sai benissimo di cosa stiamo parlando … mia sorella è una ragazza!” Lo sguardo di puro terrore nel volto dell’altro lo mosse quasi a compassione.
Non puoi volerla proteggere più di me. Quanto me, forse, ma non di più.
“E quindi?” Sì, era piuttosto divertente punzecchiarlo. “Lily è una strega. Ha una bacchetta ed ha una buona capacità magica. Trattarla come se fosse di vetro non la aiuterebbe.” Vedendolo diventare terreo e temendo che avrebbe finito per irrompere nella sala duelli con l’intento di salvare la fanciulla minacciata dal crudele stregone, sospirò. “Potter, la sua incolumità è mia priorità assoluta. Non le succederà niente.”
L’altro sembrò ancor meno convinto, ma sorprendentemente fece una smorfia e chiuse la conversazione incamminandosi verso il palazzo da cui era partita la segnalazione.

Pensavo avrebbe reagito molto peggio.
Scorpius gli si affiancò, battendogli una pacca sulla spalla: sembrava trovare particolare piacere ad usargli quel gesto. “Non farci caso, è una chioccia apprensiva. Tutti i maschi Potter lo sono.”
“Me ne sono accorto.”
“Meglio tardi che mai!” Gli strizzò l’occhio. “Allora … ripetetemi la situazione, perché quando Potty l’ha spiegata stavo cercando di inalare teina e farla funzionare come caffè. Perché siamo qui?”
“Ci è arrivata una segnalazione da parte di …” Jordan, la memoria comune della squadra, estrasse il taccuino e lesse. “Katy Reynard. Pare che si tratti del fratello. È diventato aggressivo, si è chiuso nella sua stanza rifiutando di farsi portare al San Mungo e pare che nei giorni scorsi abbia manifestato episodi di magia incontrollata.”
“Classici sintomi del morbo, insomma…” Scorpius schioccò la lingua. “Oggi proprio una sveglia coi fiocchi.”
“Abita nel secondo palazzo alla fine della strada.” Sospirò Jordan, passandosi una mano sulla nuca e dandogli implicitamente ragione. “Al Camino la donna sembrava agitata. La chiamata è stata fatta venti minuti fa, ed è stata tagliata a metà.”
“Pensate che il fratello l’abbia attaccata?” Intervenne Sören: le casualità di quel genere lo mettevano sempre a disagio. Quando c’era di mezzo un ostaggio era la cosa peggiore.

“Non possiamo escluderlo.” Confermò Potter alzando il cappuccio del giubbotto per ripararsi dalla pioggerella sottile che aveva cominciato a cadere. “Bacchette alla mano e cerchiamo di evitare di svegliare tutto il vicinato. Gli Obliviatori sono dei veri rompipalle quando li fai lavorar di mattina.”
Entrarono così nell’edificio, lanciandosi incantesimi Silenzianti e forzando con facilità la serratura elettronica del posto; lo stabile era signorile e chiaramente Babbano.
“L’appartamento è il numero 12, è al piano terra.” Illustrò Jordan guardandosi attorno, prima di indicare con un cenno della testa la fine del corridoio tinteggiato da poco a giudicare dall’odore. “Là. La porta è aperta.” Aggiunse.
“Okay.” Potter si mise davanti, facendo loro cenno di aspettare. Pescò dalle tasche del proprio giubbotto, incantate con un Incanto di Estensione Irriconoscibile, quello che Sören riconobbe come un Avversaspecchio: erano anni che non ne vedeva uno. Lo spedì a levitare proprio sopra lo stipite della porta.
Una buona idea.
Da lì poterono vedere come lo specchio fosse sgombro di ombre di persone: l’appartamento era vuoto.
“Entriamo.”
L’ingresso era solo l’anticamera di quello che doveva essere successo nel resto della casa. Era stato messo a soqquadro e bruciature di incantesimi striavano la carta da parati di colore vivace.
“Siamo arrivati in venti minuti … Che diavolo è successo?” Mormorò Potter, lanciandolo loro uno sguardo confuso. “E se c’è tutto questo casino, perché nessuno ha sentito niente?”
“Un Mufflatio.” Ipotizzò passando le dita sui segni delle bruciature. “Solo che non capisco chi possa averlo lanciato … non certo la signora Reynard, né tantomeno il fratello, se non era in sé.”
“Ragazzi, venite in cucina.” Li richiamò la voce di Jordan, e Sören aveva sentito quel tono già altre volte; non lasciava spazio a dubbi circa quello che avrebbero visto di lì a poco.

L’imprecazione soffocata di Potter fu infatti il sottolineare lo spettacolo che si trovarono davanti; la signora Reynard era distesa a terra, morta. La bacchetta, che doveva aver cercato di raggiungere, giaceva spezzata sotto il tavolo della colazione ancora imbandita.
Scorpius distolse lo sguardo, pallido in volto. “Per tutti gli Inferi…” Mormorò a mezza bocca. “Siamo arrivati troppo tardi.”
“Non c’era modo di arrivare prima.” Si sentì in dovere di far notare, chinandosi sul corpo della strega e voltandolo. “Una Maledizione Senza Perdono.” Classificò quando vide il volto rigido e contorto in una smorfia sorpresa. Le chiuse le palpebre con una mano. “Un’esecuzione pulita.”

“È stato il fratello?” La supposizione di Jordan era legittima, eppure qualcosa gli diceva che non era quella la pista giusta da seguire. Si alzò, sorpassando i tre e si diresse verso le due camere da letto; scartò quella con l’arredamento femminile, in favore di quella che doveva essere del mago. Qualche minuto dopo uscì con una teoria.
Lo sapevo.

“Gli effetti personali del Signor Reynard sono spariti. Mancano la sua bacchetta, dei vestiti dall’armadio e dietro la porta c’è lo spazio della dimensione di una valigia compatta. La valigia non c’è.”
Scorpius capì subito dove voleva andare a parare. “Se aveva perso il controllo come ha fatto ad avere la lucidità necessaria a prendere le sue cose, uccidere la sorella … e andarsene?”
Annuì. “C’era una terza persona qui. Qualcuno che ha portato via Reynard … E che è arrivato poco prima di noi.” E non c’era bisogno che spiegasse chi aveva ucciso una donna a sangue freddo senza lasciare traccia alcuna.
John Doe era la risposta più ovvia.

 
****

Londra, San Mungo.
Ora di colazione.

 
Ted arrivò con la colazione di Benedetta.
Per la prima volta in quei giorni non sentì il bisogno di mettersi le mani nei capelli quando vide la bambina, perché fu accolto da due paia d’occhi guardinghi, ma non spaventati.

“Ciao Benedetta.” La salutò in italiano grazie ad un Incanto Traduttore che sperava di aver eseguito a dovere. “Come ti senti oggi?”
La bambina non rispose ma lo capì da come gli diede attenzione; notò anche che aveva con sé il pupazzo che le aveva regalato. Se lo teneva a lato, tenendolo per una delle zampe anteriori e la cosa gli diede uno sconcertante senso di soddisfazione e dolorosa tenerezza.
Forse non ho motivo per arrabbiarmi con Lily e con le sue trovate. Forse proprio no.
Si sedette sulla solita sedia, occhieggiando la ciotola di porridge e il succo di arancia sul tavolo della bambina. “Non mangi? È buono.”  
L’occhiata scettica che gli venne servita gli fece capire che neppure una bambina cresciuta con una cucina diversa e dunque poco esperta delle colazioni britanniche era facilmente raggirabile. “Neanche a me piace molto.” Confessò. “Ma se ci metti un po’ di miele diventa buonissimo.” Inarcò le sopracciglia. “Vogliamo provare?”
Benedetta si morse le labbra, scoccandogli un’occhiata valutativa; al di là della paura che ancora provava – gliela leggeva nella postura e nel fatto fosse ancora schiacciata trai cuscini – era incuriosita. 
“Sì.”
Sentirla parlare, anche se con una semplice sillaba, ebbe il potere di fargli venire gli occhi lucidi. Deglutì, frugandosi nella tasca della giacca e tirandone fuori un barattolo di miele.

Non ti interfacci con un bambino se non sei preparato e con tutte le volte che ho visto Jamie sputare la zuppa d’avena in faccia ad Harry…
Stappò il barattolo e lasciò colare la densa sostanza dorata dentro la ciotola, osservando divertito la bambina leccarsi le labbra. Girò poi il cucchiaio e se lo infilò in bocca. “Delizioso!” Esclamò con l’espressione più convincente del suo repertorio.
Benedetta fu lesta a dare una vigorosa cucchiaiata quando posò l’utensile sul tavolino.
Jamie e Lily me lo strappavano di mano … È educata.
C’era tutto un mondo di informazioni che doveva imparare su sua nipote, e scoprirle così non gli dispiaceva.
Anzi, forse è il metodo migliore…
“Ti piace?”
Dopo una lieve esitazione Benedetta annuì. “Sa di biscotti al miele.” Sentenziò, ed aveva una vocetta chiara e tranquilla. Ne fu sollevato.
Significa che non ha vissuto allo stato brado come avevamo pensato …
Quando si vide porgere il cucchiaio la guardò sorpreso. “No piccola, è tutto per te.”
“Tu non hai fame?” Era confusa quanto lui. “Non mangi?”
Ted realizzò di colpo il motivo per cui la bambina esitava nel gettarsi sul pasto.
Pensa che non ce ne sia abbastanza per entrambi … Con suo padre doveva dividere tutto, razionare il cibo.
Inspirò, sorridendole al suo meglio. “Ho già fatto colazione a casa, non preoccuparti. Mangia tranquilla.”
Benedetta non se lo fece ripetere, spazzolando la ciotola e bevendo tutto di un fiato l’aranciata che aveva fatto zuccherare dalla magi-infermiera.
Non credo ci sia niente di male a viziarla. Merlino solo sa come non lo sia da tempo … o forse non lo è stata mai.
Quando tolse il vassoio dal letto per posarlo sul comodino, la domanda della bambina – legittima, assolutamente tale, ma che aveva sperato di rimandare – lo bloccò sul posto.
“Dov’è il mio papà?”
Avrebbe preferito dover affrontare un Ungaro Spinato con una brutta giornata che dover rispondere. Si voltò sentendosi il cuore in gola perché i grandi occhi dorati della bambina volevano delle risposte.
Ed io non so se riuscirò a dargliele…
 
“Ehi Lupin, stai qua?”


Essere salvato dal gong doveva esser quello; sentire la voce di Flynn Linn e sapere di potersela dare a gambe per un motivo del tutto legittimo.
“Flynn, ehi.” Salutò la strega, mentre Ben si rintanava fulminea sotto le coperte. L’inglese era davvero una lingua così spaventosa alle orecchie di quella bambina? “Stavamo facendo colazione.”
“Spero di non disturbare allora!”
Merlino, no.

“Hai bisogno di parlarmi?” Chiese rapido, avvicinandolesi.
La ragazza lo scrutò, forse perplessa dal suo atteggiamento, ma per fortuna si astenne dal commentare. “Sicuro. Ho notizie su…” Guardò Benedetta. “… quindi non capisce una parola?”
“Non sa l’inglese, no.”
“Strano, suo padre lo era.” Obbiettò l’altra, e dovette ammettere che un’obiezione sensata.

Ma non credo capirò mai cosa passasse nella testa di Lunastorta…
“Andiamo di là.” La guidò, perché anche se Benedetta non li capiva non era giusto tagliarla fuori dalla conversazione ed agire come se non fosse presente nella stanza. “Torno subito. Vado a parlare con questa signorina … Sarò qui fuori, va bene?” Disse in italiano, e fu felice di vedere la bambina annuire e rilassarsi appena.
“Beh, abbiamo fatto progressi!” Esclamò Flynn dandogli una pacca sulla spalla. “È grandioso!”
“Lo è.” Confermò con un sorriso. “Anche se il merito non va a me, ma ad un’amica.”

“Di chiunque sia, è una buona cosa che lo scricciolo sia finalmente tra noi … Lunedì ci servirà tutta la sua collaborazione.”
“Già.” Non aveva scordato come trascorso quel fine settimana, un paio di funzionari del Ministero assieme ad uno Psicomago sarebbero venuti a valutare Benedetta. La sola parola gli dava la nausea.

“Hai notizie sulla famiglia?” Doveva esser quello il motivo per cui Flynn era venuta fin lì, lasciando il disordine esplosivo del  suo ufficio.
La strega annuì con espressione soddisfatta; sperò fosse un buon segno. “Ci ho messo del tempo, ma ho dovuto smuovere la macchina burocratica di ben due paesi … e  credimi, quella italiana è persino peggio della nostra.” Sbuffò. “Comunque. La dritta sulla sua nazionalità mi ha aiutata parecchio … ho contattato direttamente l’ufficio Mannari di Roma.”
“Lo hanno anche loro?”

“Pare che abbiano avuto a che fare con tribù di Mannari da ben prima di noi inglesi … dalla Roma Antica o giù di lì. Pensa che ai tempi dei romani non era neppure così terribile essere affetto da Licantropia. Erano…” Vedendo che la guardava con impazienza tagliò corto. “… vabbeh, per farla breve mi sono messa in contatto con il loro ufficio. Ben risulta registrata da loro. Benedetta Vanni, nata a San Quirico d’Orcia il primo Giugno di sei anni fa…”
“Quindi ha sei anni.” L’aveva fatta più piccola di quello che era. “Ed ha preso il cognome della madre.”
“Già … Se non avessimo saputo il nome per intero sarebbe stato un bel casino rintracciare le sue origini.”
Doveva decisamente offrire una cena a cinque stelle a Lily. “Sei riuscita a trovare sua madre?”

Flynn fece una smorfia che gli rese chiaro il motivo per cui stava scuotendo la testa. “È morta quando aveva pochi mesi … Incidente stradale.”
Dannazione.
“Era un Mannaro anche lei? Una strega…?”
“No, Babbana.” Sospirò. “Mi secca dirlo, ma c’era da aspettarselo, no?”
I maghi difficilmente fanno figli con i Mannari.
Non rispose, preferendo girargli un’altra domanda. “E il resto della famiglia? Hai detto che è nata a … beh, in quel posto.” Che non sapeva pronunciare né sapeva dove si trovasse. “… Non ha nessuno lì? Nonni, zii?”
Flynn si strinse nelle spalle. “Vacci piano, segugio, non sono arrivata così lontano … L’unica cosa che so è che l’unico contatto per le emergenze di Benedetta erano i suoi genitori.” Fece una smorfia. “Non un granché d’aiuto allo stato attuale delle cose.”
Ted si passò una mano trai capelli, sbirciando nella stanza lasciata socchiusa, per dare modo alla bambina di sapere che era rimasto davanti alla porta. “Come possiamo scoprire se c’è qualcun altro?”
La ragazza lo guardò con aria impotente. “Non ne ho idea, dato che la madre era Babbana … Non vengono presi i dati familiari dei Babbani che si sposano con i Mannari. Basta un nome e so che è assurdo, ma…”
“Si erano sposati?” Una lampadina accesa sopra la sua testa sarebbe stata una perfetta rappresentazione di quel che provava al momento. “Con rito Babbano, suppongo.”
“Beh, visto che la tipa era Babbana e Lunastorta non era un mago …”
“Allora ci deve essere traccia nei registri matrimoniali del Comune in cui si sono sposati!” L’avrebbe abbracciata, ma supponeva non fosse il genere di gesto da farsi con una donna che conosceva a malapena, per quanto sua principale alleata in quella battaglia. “Basta andare a controllare … Si possono trovare i parenti Babbani di Benedetta!”
“Sì, beh…” Concordò perplessa l’altra. “Ma chi se lo fa un giro in Toscana?”

Ah, è in Toscana. Centro Italia, mi pare.
Le sue conoscenze geografiche erano patetiche, esattamente come quelle della stragrande maggioranza dei maghi. Era una lacuna che l’aveva sempre imbarazzato moltissimo.
Specie perché Thomas non vede l’ora di sottolinearla ad ogni festa comandata.
“Io. Ci andrò io, non c’è problema.” Sarebbe andato anche in capo al mondo pur di trovare una flebile traccia di famiglia per quella bambina.
La sua famiglia sei tu.
Lo era, certo, ma non poteva farcela da solo; non doveva farcela da solo, perché la sola idea di avere tra le mani la vita di Benedetta gli faceva mancare il respiro.
Flynn gli lanciò un’occhiata indecifrabile. “Ti servono rinforzi? I miei incantesimi traduttori fanno schifo, ma non credo dovresti andare da solo.”    
Concordando, la mente andò subito a James; il compagno avrebbe fatto sembrare quella storia un’allegra scampagnata, facendolo così sentire più sereno e pronto ad affrontare spiacevoli sorprese. Era lui che avrebbe voluto al suo fianco, nessun altro.
… ma Jamie lavora. Ha un caso terribile tra le mani, non ha tempo per Passaporte e viaggi nel Vecchio Continente.
“Devo organizzarmi, ti farò sapere…” Le sorrise. “Grazie.”
Dopo essersi accomiatato da Flynn rientrò, ma non ebbe la forza di riprendere la conversazione con Ben.
Se solo riuscissi a trovare la famiglia della tua mamma …
Glielo dirò. Ma non adesso.
Sorrise alla bambina, sedendosi sul ciglio del letto. “La signorina di prima è un’amica.” Le spiegò. “Sta cercando la tua famiglia…” Non era una bugia dopotutto. Era la verità ed era anche una risposta alla domanda precedente. “Mi ha detto che sei nata in Toscana. Non ci sono mai stato, è un bel posto?”
Da come Benedetta si illuminò intuì di aver appena trovato un argomento di conversazione.
Non era mentire: era solo allontanare lo spettro di Lunastorta da quella stanza … e non riusciva a sentirsi in colpa quanto avrebbe voluto.



****

Boston, ufficio SAGITTA.
Ora di pranzo.

 
Rico sentì a malapena aprirsi la porta della sala audio-video del SAGITTA, e fu solo quando sentì il familiare profumo costoso di Ama Gillespie avvolgerlo che si rese conto di avercela alle spalle.
“Sergente!” Esclamò togliendo i  piedi dalla postazione e travolgendo così un paio di bicchieri di caffè vuoti. “Err, stavo…”
“Guardando le registrazioni a circuito chiuso delle banche in cui sono stati scoperti i conti di John Doe.” Terminò per lui quasi a dargli una giustificazione del momento di sonnolenza. “Lo so. Mi stavo chiedendo se non avessi bisogno di un secondo paio d’occhi.”
Eh?
Per la sorpresa rischiò di non rispondere. “Io … sì, sicuro!” Si stropicciò gli occhi arrossati. “Non faccio altro da ore, avrei proprio bisogno di un secondo parere … Stanco come sono potrei vedere Johannes sbracciarsi sul monitor e non accorgermene.”
La ragazza annuì, sedendosi e portando la sua attenzione sul monitor sofisticato su cui stavano scorrendo immagini che a lui sembravano uguali da ore. La tecnologia Babbana era una manna dal cielo per certi versi, ma per altri era maledettamente noiosa.

Non  potremo evolverci ancora un po’ e implementare uno di quei programmi di riconoscimento facciale che hanno i poliziotti Babbani?
Forse è chiedere troppo. Magari neanche esistono. Magari solo nelle serie tv.
Sbadigliò ma non arrivò nessuna reprimenda sul contegno da tenere quando si indossava un’uniforme: l’altra era completamente concentrata sul video.
Ha preso a cuore questa storia… È per Prince?
Tiene a lui più di quanto pensassi.
Non erano in rapporti tali perché potesse farle domande però. Si limitarono quindi a restare gomito a gomito, in silenzio, cercando di dare una mano al collega oltre-oceano.
Fu dopo un’oretta che Ama quasi saltò dalla sedia, un movimento così poco da lei che gli fece prendere un colpo. “Eccolo!” Esclamò indicando una figura in trench che si dirigeva con tranquillità verso uno dei cassieri appena liberatisi.
Rico, sfogliando i fascicoli con tutti gli identikit dell’uomo, riuscì a trovare la faccia corrispondente. Era sorprendente che Ama l’avesse riconosciuto al primo colpo.
Neppure tanto se consideriamo che è l’uomo che ha ucciso suo padre…
Si avvicinò allo schermo. “E non è solo.” Osservò indicando una donna poco discosta.
“Mi sembra di averla già vista…” Mormorò Ama guardandola di profilo; a Rico non ricordava nessuna sospetta, né volto noto della Thule. Era una strega piuttosto bella, sulla quarantina, dai capelli color inchiostro e l’incarnato pallido – si capiva persino con la bassa risoluzione della videocamera. I vestiti erano di foggia magica, così come il mantello.
Strega. Ed europea … nessuna strega americana si veste così.
Ama si morse il labbro. “Chiama mia madre.” Disse. “Se non la ricorda, ha comunque accesso a tutti gli ex fascicoli della Anti-Thule … ci metteremo meno a trovare un collegamento, se c’è.”
 
****
 
 
Diagon Alley, Accademia Magica di Duello.
Pomeriggio.

 
Sören controllò per quella che forse era la centesima volta la saletta privata che aveva affittato all’Accademia di Duello: doveva essere perfettamente sicura, perfettamente attrezzata e perfettamente…
“Sören, amico mio, l’abbiamo allestita assieme e controllata due volte.” La voce paziente di Dionis interruppe la sue riflessioni. “Lily avrà un allenamento sicuro.”
“Lo so.” Rispose imbarazzato, voltandosi verso il maestro duellante che gli sorrideva divertito dallo stipite della porta. “Voglio solo essere…”
“Sicuro.” Gli fece eco. “Non credi che questa parola sia stata fin troppo abusata?”

“Forse.” Concesse passandosi una mano trai capelli, che non si sarebbero comunque mossi di un millimetro. Milo poteva lagnarsi quanto voleva, ma durante un Duello avere ciocche di capelli ad oscurare la visuale era un errore che poteva costare caro.
A parte il fatto che nessuno rischierà la vita qui, stasera.
“Sei nervoso.” Attestò il rumeno avvicinandoglisi. “Lo capisco … ma Lily è in buone mani.”
“È un parere di parte, temo.” 
Si sentiva nervoso, e non solo perché di lì a pochi momenti Lily avrebbe varcato la porta pretendendo che le insegnasse come difendersi da tutto quello che di orribile c’era al mondo – perché era quella la sua missione, nessun dubbio.

Le persone che hanno aderito al progetto delirante a cui partecipa Johannes ci stanno sparendo da sotto il naso…
Ed era l’ennesima cattiva notizia.
“Tutto a posto?” Dionis gli posò una mano sulla spalla, guardandolo con gli occhi di un amico e fu per riguardo a lui che accantonò quella serie di pensieri.
“Sì, non preoccuparti … piuttosto, come sta Alexandra?” Riuscire a ricordarsi il nome della figlia dell’amico era notevole dato che aveva la testa da tutt’altra parte.
Dionis si aprì in un sorriso entusiasta da padre al settimo cielo. Come da copione si tolse una foto dal portafoglio che ritraeva la creaturina più minuscola e strillante che avesse mai visto.“È una meraviglia, vero? È perfetta!” Soggiunse accarezzando il riquadro lucido con un pollice. “Lo so, lo dicono tutti i padri, ma lei lo è davvero.”
Gli sorrise di rimando. “Lily mi ha detto che è diventata la principessina di famiglia.”
L’altro ridacchiò. “La famiglia di Roxie prende le nascite estremamente sul serio. Credo di aver partecipato a qualcosa come venti cene celebrative nell’ultimo periodo.” Si batté lo stomaco con un sorrisetto. “È una fortuna che il mio lavoro sia un esercizio fisico continuo.”

Sören gli sorrise di rimando. “Sono contento per te.” E lo era davvero; la felicità di Dionis Radescu gli dimostrava che il mondo non era un posto buio come aveva pensato per la maggior parte della sua vita.
Possono accadere anche cose belle.
“Solo che adesso dobbiamo scegliere il padrino e la madrina. In Romania non è così importante, ma in Inghilterra pare che sia una questione di vita o di morte. Abbiamo già ricevuto venti candidature …” Fece una smorfia. “Penso che faremo un padrino e una madrina. Così, secondo Roxie, eviteremo incidenti diplomatici … Certo, mi piacerebbe che almeno il padrino fosse rumeno…”
“È cosa così impossibile?” Lo stuzzicò, perché parlare di sciocchezze era molto più sano che ricontrollare per l’ennesima volta che la pedana da allenamento non fosse scivolosa o accidentata.
Dionis gli lanciò un’occhiata eloquente. “Diciamo solo che i miei fratelli, vedendo il vento che tira, si sono tirati indietro.”
“Capisco.” Non capiva, ma era quello che si doveva dire in certi casi. “Buona fortuna?”
“Me ne servirà.”


“Ehi duellanti, sono nel posto giusto?”
 
Sören fu felice di avere la schiena rivolta alla porta, perché data l’espressione divertita dell’amico doveva esser come minimo trasalito. La voce di Lily era abbastanza squillante per prendere di sorpresa anche un estraneo.
Figuriamoci te, che l’aspettavi da tutta la giornata.
Si voltò, notando che aveva sostituito i tacchi vertiginosi con cui di solito si muoveva fuori dal San Mungo con un vecchio paio di scarpe da ginnastica dall’aria comoda. Anche il resto dei vestiti era dimesso e fatto per adattarsi al corpetto d’allenamento.
Mi ha dato retta.
“Ciao Lily.” Le sorrise. “Ti vedo diversa.” La prese in giro.
“Vuoi dire nana.” Stette al gioco rivolgendogli un sorriso d’apprezzamento. “Niente tacchi, niente minigonne. Sono stata brava?”

“Bravissima.” Replicò con la stessa serietà, prendendole la borsa con il ricambio; la sentì pesante e le rivolse un’occhiata perplessa.
“Ah, dopo Scott viene a prendermi. Non passiamo da casa, andiamo dritti in Scozia con la sua auto.” Spiegò. Si guardò attorno con aria incuriosita, prima di voltarsi verso di lui. “Che dici, cominciamo?”
Sì, prima che Scott ti venga a prendere.
Scacciò con sconcerto e imbarazzo quel moto di gelosia – formulato peraltro come una lagna infantile – schiarendosi la voce. “Certo, Dionis ti mostrerà dove puoi cambiarti…”
L’altro sorrise con l’aria di chi aveva appena dato una sbirciata ai suoi pensieri e li aveva giudicati esilaranti. Fece poi cenno di seguirlo. “Vieni Lily, ti faccio scegliere un corpetto della tua misura.”

“C’è rosa?” Alle loro espressioni scoppiò a ridere. “Dai, ragazzi, scherzavo! Lo sanno tutti che il rosa è un’atrocità con i miei colori.” Gli mostrò la lingua, ma Sören registrò anche la conseguente occhiata pensierosa.
Sto bene. Non pensare altrimenti. Ti prego.
“Ti aspetto qui.” Fece cenno verso la pedana. “Ci sono alcune cose che devo finire di mettere a posto…”
Dall’espressione esasperata di Dionis intuì che sarebbe stata una lunga lezione; e, temeva, per colpa sua.
 
Sören le era sembrato un fascio di nervi; del resto, quando era entrata nella sala Duelli l’aveva quasi visto saltare in aria, come se qualcuno gli avesse messo uno dei fuochi d’artificio di zio George sotto il sedere.
Sorrise a Dionis, che le passò un corpetto di cuoio morbido indicandole con un cenno della testa gli spogliatoi femminili. “Questo dovrebbe essere della tua misura. Se ci sono problemi fammelo sapere, te ne prendo un altro.”
“Grazie e…” Esitò, poi decise che l'amico comune quale era un buon terreno comune su cui indagare. “Ren sta bene? Mi è parso un po’…”
“Nervoso? Sta mordendo il freno.” Sogghignò l’altro. “È per te, sai. Vuole aiutarti, ma è in ansia da prestazione.”
“Andiamo bene!” Alzò gli occhi al cielo, comunque lusingata. Sören l’aveva sempre trattata come una principessa, persino durante i suoi peggiori malumori o le sue crisi di impulsività dannosa. La faceva sentire coccolata anche se non si erano scambiati che pochi gesti d’affetto.“Però…” Considerò il corpetto tra le mani e l’onestà di Dionis; erano entrambi affidabili. “Pensi che abbia fatto male a chiedere a lui?”
Dionis rifletté per alcuni momenti, prima di scuotere la testa. “No, penso tu abbia fatto bene. Sören è un duellante di alto livello, ma è in grado di ricordarsi le basi … quelle che poi serviranno a te. E tiene a te. Farebbe di tutto per farti sentire al sicuro.”
Lily sorrise di rimando, cercando di non mostrare troppo disagio: dietro l’espressione amichevole dell’altro vi leggeva una sorta di reprimenda, e non era certa di voler sapere di cos’era colpevole secondo il codice dei Cavalier Serventi.

“Lo so.” Disse. “E credimi, gli sono riconoscente.” Aggiunse sullo stesso tono. Dovette funzionare perché l’espressione dell’altro si addolcì.
“Sii paziente con lui.” Le consigliò. “Se ha ricevuto la mia stessa formazione si trasformerà in un insegnante insopportabile.”
Lily sbuffò. “Non ce lo vedo a minacciarmi di fare venti flessioni.”
Dionis le servì un sorrisetto divertito. “Aspetta a vedrai.”

Quando torno nella saletta Sören la stava aspettando; era molto più nel suo elemento lì, in uniforme e con la bacchetta sguainata, che vestito alla moda e in mezzo alla confusione di un pub. Era un dato di fatto che non sarebbe mai cambiato e che non doveva cambiare.
O non sarebbe Ren.
 “È della tua misura?” Le chiese indicando il corpetto. “Ti ci senti a tuo agio?”
“Direi di sì.” Mosse le braccia per mostrargli la mancanza di impaccio. “È normale che mi senta come se avessi una coperta di piombo addosso?”
“È il materiale di cui è fatto.” Confermò controllando che gli allacci fossero stretti. Quell’improvvisa vicinanza – Sören non era mai il primo ad iniziare il contatto – la sbalestrò un po’, ma cercò di ignorare la cosa.

Dopotutto sta solo controllando che non mi cada di dosso.
“Serve per respingere gli incantesimi?” Ipotizzò per dire qualcosa. Sören, con i capelli tirati all’indietro e l’espressione seria sembrava sempre più grande della sua età.
Mi fa sentire una bambina…
“Solo quelli minori. È la tua bacchetta che deve fermarne la maggior parte.” Le spiegò pratico stringendo l’ultima cinghia sul fianco fino a quasi toglierle il respiro.
“Sarebbe un po’ strettina…”
“Deve esserlo.” Tagliò corto, poi vedendo la sua espressione sospirò. “Il corpetto è la tua protezione principale, almeno finché non riuscirai a deflettere completamente i colpi. Se lo allenti rischi che l’incantesimo penetri attraverso il tessuto e raggiunga la pelle. La magia non si ferma ai tessuti, cerca la carne viva.”
“… fa piacere saperlo.” Deglutì. “Credo che non correrò il rischio.”
Sören le rivolse un mezzo sorriso. “Sei pronta?”
No, per niente. Sto per prenderne come un ciocco di legno.

“Assolutamente sì!”
“Prima di tutto la posizione.” Iniziò l’altro. “Fammi vedere come tieni la bacchetta.”
“Sai come tengo la bacchetta!”
“No, non lo so.” Inarcò le sopracciglia. “A meno che tu non usi sempre gli stessi movimenti per tutti i tipi di incantesimo, cosa che dubito tu faccia. Ogni incantesimo inconsciamente porta ad assumere una posizione diversa, a seconda dei movimenti della bacchetta usati.”
Lily si morse le labbra, capendo il punto della faccenda. “Ma non ho mai lanciato un incantesimo da Duello…”
Sören la guardò ironico. “Non dirmi che non ha mai provato a Schiantare uno dei tuoi parenti.”
Lily arrossì, e rispose al sorriso. “Veramente era una Fattura Orcovolante…” Lo corresse, lusingata dal fatto che l’altro ricordasse l’episodio felice in cui aveva messo in riga suo fratello James e quel cretino del cugino Freddy. “Devo lanciartene una?”

“Non credo ne saresti in grado.” Il sorrisetto di Sören era quello di chi la considerava una specie di cagnetto buffo che provava a mordergli l’orlo dei pantaloni. Per quanto volesse tirargli uno schiaffo in testa, doveva ammettere che non era così fuori luogo. “Per ora limitiamoci alle posizioni. Posizione e movimento della bacchetta. Non pronunciare la formula magica.”
Lily obbedì, tirando fuori la bacchetta e ricordando i movimenti della bacchetta che servivano per la Fattura. Durante l’azione qualche scintilla rossa uscì dalla bacchetta e Lily pregò intensamente che l’altro non intuisse quanto la presa in giro l’aveva stuzzicata.

“Va bene, ferma.” La stoppò abbassandole il braccio. Aveva smesso di sorridere e questo di certo non era un buon segno.
Okay, quanto ho fatto schifo?
“Ho sbagliato qualcosa?”
Sören fece un mezzo sospiro non molto incoraggiante. “No, se quello che volevi fare era evocare una nuvola di fumo.”
Ho fatto decisamente schifo.

“Ma anni fa ci sono riuscita!”
“Eri arrabbiata perché ti avevano nascosto i regali di Natale.” Sì, se lo ricordava. “Lì sono state le tue emozioni a prendere il sopravvento.”
“Ma la magia funziona con le emozioni!”
“Sì, anche.” Concesse. “Ma durante uno scontro l’ultima cosa che devi fare è usarle. Non sono affidabili e non ti fanno rimanere lucida.” La guardò. “Con queste premesse forse puoi prendere di sorpresa un avversario, ma non avere la meglio.”

… okay, ha senso.
“Quindi devo partire dal punto zero. Wow.”  
“Devi imparare come hai imparato altre tipologie di incantesimi. Non credo che aspetti di sentirti arrabbiata per lanciare un Wingardium Leviosa.”
“No.” Ridacchiò. “Ma mi spiace dirtelo Ren … il nucleo della magia offensiva di un Potter è perdere le staffe.”
“E tu sei soltanto una Potter?”
Lily aprì la bocca e la richiuse, presa in contropiede: erano quelli i momenti in cui si rendeva conto quanto l’amico sapesse di lei, di come riuscisse a capirla e seccarla con una sola frase.
Non aspettò la sua risposta, prendendole il polso e abbassando il braccio di qualche centimetro. Come insegnante  era molto più naturale nel contatto fisico, meno in impaccio.
Non le dispiaceva.
“Iniziamo dalla posizione. È troppo alta,  devi essere bilanciata quando lanci un incantesimo dell’intensità di una Fattura, o rischi di perdere l’equilibrio per il contraccolpo.”
“In effetti quella volta sono finita a gambe all’aria!”
Sören annuì. “Oltretutto questa posizione ti aiuterà a tenere la guardia all’altezza dei tuoi punti vitali.”
Lily diede un’occhiata al suo braccio; non lo aveva mai tenuto così basso. “Ma sono abituata…”
“L’abitudine si può correggere.” La fermò con tono deciso. Questo Dionis doveva aver inteso quando parlava di inflessibilità. “La proveremo finché non la farai tua.”

“Potrebbe volerci un bel po’ … sono una testa dura.” Lo avvertì e non seppe se disperarsi o sentirsi rassicurata quando le venne restituito uno sguardo tranquillo ma irremovibile.
“Non me ne vado da nessuna parte.” Le riposizionò il braccio che intanto, ovviamente, aveva alzato. “Dal principio.”


****
 
Ufficio Auror. Ora di Cena.
 
Harry stava per varcare la soglia del proprio ufficio ed iniziare così il suo fine settimana quando Grace lo richiamò indietro.
“Capo, c’è una chiamata via Fuoco Magico per lei.”
Harry strinse tra le labbra un’imprecazione, voltandosi verso la ragazza, la cui unica colpa era essere latrice di cattive notizie. Per sopportare i suoi malumori avrebbe avuto diritto ad un cesto di frutta ad ogni fine mese. “Dì che sono già uscito.” Sentenziò senza mezzi termini; non vedeva l’ora di togliersi la divisa di dosso e dividere il divano con le battute salaci e la presenza di sua moglie.

Chiedo troppo?
La ragazza esitò. “Capo … è una chiamata dall’America, e mi ha detto che qualsiasi…”
“Vado subito.” Tagliò corto, ringraziandola con un sorriso per non essersi lasciata intimidire.  

Il camino portatile sopra la sua scrivania – non aveva più l’età né la posizione per accovacciarsi di fronte al focolare, a meno che non fosse a casa – perdeva fumo e quando lo aprì una serie di fiamme baluginarono violente.
“Buonasera Nora.” Salutò l’amica. “Mi hai trovato appena in tempo, stavo per andarmene.”
“Meno male.” Tagliò corto quella. Sembrava scossa e questo lo mise in allarme.

“Che succede?”
“Sören è lì? Vorrei che lo chiamassi nel tuo ufficio.”
“Oggi è andato via prima … aveva degli impegni con Lily, non c’è.” Non si prodigò in spiegazioni, certo che non fosse il momento. “Perché?”
“Abbiamo delle notizie … notizie che lo riguardano in prima persona.”
Harry si grattò la fronte, incerto su come muoversi e cosa chiedere. Se era una questione personale, a regola non avrebbe dovuto far domande, limitandosi a contattare il ragazzo.
Ma Sören non è un agente qualunque…
“Spero non si tratti di brutte notizie.” Iniziò prudente. “Posso essere d’aiuto?”
La strega fece un sospiro. “Sai che vi stiamo aiutando a controllare i conti bancari che John Doe ha aperto qui in America. A differenza delle banche europee, le nostre hanno delle telecamere a circuito chiuso. E imbattendoci nel nastro di una banca di Baltimora abbiamo scoperto uno dei collaboratori di John Doe … Se non direttamente il mandante. Ha prelevato da uno dei conti in sua compagnia.”
Non era un buon segno che la cosa riguardasse direttamente Sören. “Si tratta della Thule?” Indovinò, perché era la prima opzione che gli veniva in mente.

Del resto, Von Hohenheim era solo la punta dell’iceberg.
“No.” Lo stupì. “O almeno, non credo che quella persona lavori sotto l’egida della setta. Non l’ha mai fatto, come non è mai stata affiliata.”
Quella persona…

“Di chi si tratta?”
“Abbiamo confrontato delle vecchie foto segnaletiche di quando ero nell’anti-Thule.” Si vedeva come la donna fosse stanca di portare solo cattive notizie. Il problema era che quel particolare compito non si sceglieva mai, ma ti veniva imposto. “Credimi, ho controllato per esserne sicura mille volte … ma il confronto tra le segnaletiche e i nastri di sorveglianza della Banca non lasciano scampo a dubbi.”
“Di chi si tratta?”
“Di Sophia Von Hohenheim.” Fece una pausa, ed Harry vi lesse tutto ciò che doveva, perché la frase seguente non lo prese di sorpresa. “La madre di Sören, Harry.”
 
****
 
Sören porse a Lily un bicchiere d’acqua e sperò che non glielo tirasse in testa. Da come lo afferrò e trangugiò grata doveva aver scampato l’attacco, ma non era sicuro di esser fuori pericolo.
Forse aveva un po’ esagerato.
Al momento l’amica era seduta al lato della pedana e aveva la smorfia sofferente di chi sentiva ogni singolo muscolo dolere. Era rimasta zitta per tutto il tempo, dandogli retta e correggendo per almeno due ore ogni singola posizione sbagliata.
È sempre stata testarda. In questo caso depone a suo favore.
“Come ti senti?” Le chiese, incerto se sedersi accanto a lei o meno. “Vuoi un altro bicchier d’acqua?”
“Quante ossa ha il corpo umano?” Gli venne chiesto per tutta risposta.
“Circa duecento.”
“Bene, mi fanno male tutte e duecento.” Mugugnò stendendosi sulla pedana. Aprì gli occhi. “Sei cattivo.”
Il tono non era arrabbiato e Sören realizzò che anche se aveva esagerato, trattandola come se fosse una specie di soldato, Lily non ce l’aveva con lui. Era un sollievo. Le si sedette accanto, slacciandosi il corpetto per permettere all’aria fresca di farlo finalmente respirare. Aveva tenuto il respiro sospeso per tutta la durata dell’allenamento.

È stato difficile anche per me.
Lily rotolò su un fianco, come se fosse un comodo letto di piume e non una pedana di legno. “Sono così senza speranza?” Chiese a bruciapelo.
“No.” Rispose con altrettanta rapidità. “Sei partita da zero, e l’arte del Duello non è tra le più semplici … ma hai buoni riflessi ed una forte intesa con la tua bacchetta. Migliorerai.”
“Mah!” Sbuffò soffiandosi via una ciocca di capelli: anche sudata e con l’aria distrutta gli sembrava la donna più bella del mondo. Era un problema, rifletté distogliendo lo sguardo. “È la tua parola di maestro o una speranza da amico?”

“Tutte e due.” Si strinse nelle spalle. “Riposati questo fine settimana. Se sei d’accordo riprenderemo lunedì.”
“Riposarmi…” Mormorò distratta, servendogli poi un sorrisetto. “Definisci riposo.”
Una fastidiosissima fitta di gelosia e di rabbia gli scaldò lo stomaco: non era un bambino, sapeva benissimo che Lily era in intimità con Scott.

È normale, dato che è il suo ragazzo.
Tuttavia realizzarlo lo faceva sentire … arrabbiato. Doveva aver fatto una faccia infastidita, perché Lily lo guardò perplessa. “Tranquillo, non intendo scalare le Highlands … Me ne starò buona, anche perché davvero, sono distrutta.”
Ha frainteso.
“Spero di non avervi rovinato il weekend.” Gli uscì fuori e si sarebbe preso a pugni – sì, sul serio – quando realizzò l’idiozia che aveva appena detto.
“Perché dovresti averci rovinato … Oh.” Realizzò orribilmente e fu altrettanto terribile notare come adesso Lily fosse divertita. “Non preoccuparti, io e Scott non siamo per il sesso sfrena…”
“Preferirei non parlare di questo argomento.” Sbottò alzandosi in piedi come se qualcuno l’avesse messo sotto Imperio. “Se non ti dispiace.”  

“No, figurati… cioè, se sei a disagio lo capisco.”  
Il sesso non mi mette a disagio!
“Non è l’argomento il problema.” Chiarì sperando che Dionis, o qualunque altra persona sulla faccia della terra venisse lì e mettesse fine ai suoi tormenti. “È che non voglio parlarne con te.”
Per Faust. Complimenti. Ribadiscilo, tanto per non lasciare dubbi.
Lily adesso lo stava guardando come se gli fossero spuntate due teste e dannazione, era una LeNa; se avesse forzato un po’ la mano avrebbe capito il vero motivo delle sue difficoltà.
Non voglio pensare a te e Scott che fate sesso. Non voglio pensare a ciò che non potrò mai avere.
Per fortuna sembrò accontentarsi della sua spiegazione. “Okay.” Replicò alzandosi a sedere e spazzolandosi i pantaloni. “Hai tracciato una linea, sei stato chiaro. Scusa.”  
A terminare quel momento penoso fu la suoneria di un cellulare – ormai le sapeva riconoscere. L’amica doveva esserselo portato dietro dagli spogliatoi, forse in attesa della chiamata dello scozzese.
“Ciao ragazzone!”
Appunto.

Faceva male aver avuto Lily per tutto un pomeriggio, una Lily che gli aveva dato completa e totale attenzione, e vedersela portare via per un weekend romantico.
Beh, potrai sempre passare il tuo fine settimana a lavorare su Johannes e la sua brutta abitudine di uccidere e rapire.
Ad ognuno il suo.
L’irritazione, Milo lo diceva sempre, lo faceva diventare acido.
“Sì, arrivo subito … dieci minuti, okay?” Lily, ignara dei suoi pensieri – grazie a Merlino – staccò l’orecchio dal ricevitore per guardarlo. “Gli dico di salire ed aspettarmi?”
“No, abbiamo finito.” L’ultima cosa che voleva era doversi rapportare a Scott Ross. Era certo che non sarebbe stato in grado di usargli la solita cortesia. Per eufemizzare.
Lily ripeté la frase al suddetto. “Dice di salutarti.” E poi chiuse la chiamata. “Allora vado a cambiarmi.”
“Buon fine settimana.”

“Ren, sei sicuro che vada tutto…”
“È tutto a posto.” Avrebbe preferito trapassarsi con una delle alabarde che decoravano la sala che darle un’impressione diversa. “Buon fine settimana.” Ripeté con tono definitivo, e Lily finalmente parve capire l’antifona perché annuì e gli sfiorò la spalla con una mano.

“Anche a te.”
Almeno non si è accorta di niente.  Meglio passare per bacchettone che farle capire cosa vorresti farne del saluto del suo ragazzo.
 
“Ehi piccola!”
Lily sorrise a Scott, scoccandogli un bacio mentre scivolava nel sedile anteriore della decappottabile dell’altro. Adorava quella macchina, l’impianto stereo potente e sentire il vento trai capelli. “Com’è andata?”

“Dolorante e con il morale sotto i tacchi.” Rispose mitigando la frase con un sorrisetto. “Una prima lezione da manuale!”
“Sono … contento?” Chiese incerto facendola ridacchiare; ce la stava mettendo tutta per non mostrarsi preoccupato o troppo ansioso, gliene doveva dare atto. La discussione di quella mattina era servita. Lo ricompensò  così con un secondo bacio, stavolta più lungo.
“Devi esserlo. È andata bene.” Lo rassicurò. “Pronto per la Scozia?”
“Sempre!”
Mentre Scott guidava esperto tra le strette strade di Londra, Lily non riuscì a condividere il suo stato d’animo rilassato e pronto al weekend. Gli strinse la mano al di sopra del cambio ma aveva la testa da tutt’altra parte. Con la mente era rimasta a quella sala da Duelli e alla reazione di Sören.
Era solo una battuta … Forse ho un po’ esagerato, e lui è sempre così serio …
Solo che non era quello il punto.
 
Spero di non avervi rovinato il weekend.
Non è l’argomento che mi mette a disagio. È che non voglio parlarne con te.
 
Non le era servito essere una LeNa per decifrare il comportamento dell’amico. Aveva messo un muro tra di loro, e non per pudore. Lo aveva messo perché si era arrabbiato.
È geloso.
La sua poteva essere un’intuizione femminile; era l’essere LeNa che però glielo aveva confermato.
 
****
 
Scozia, Hogsmeade.
Casa di Ted Lupin & James Potter. Ora di cena.
 
“Ho ordinato la pizza!”
Ted fu accolto da quel proclama allegro e anche se era un fan della cucina di James, dovette ammettere che quella sera era una sera che preludeva a cucina da asporto e birra.

Il suo ragazzo era infatti stravaccato sul divano, in pantaloncini da corsa e canottiera logorata dai troppi lavaggi, mentre fuori la brezza serale rinfrescava l’ambiente. Lo salutò con un cenno della testa. “Non mi reggo in piedi … e cucinare fa venir caldo.” Fece un gesto vago, girando ‘Quidditch Oggi’ del mese. “Giornata di merda.” Aggiunse.
“Come mai?” Chiese calciando via le scarpe e sprofondando nel divano accanto a lui. “Lavoro?”

“Oh, sai, il solito … pare che qualcuno ci freghi da sotto il naso le persone che si sono fatte coinvolgere nel progetto Demiurgo.”
“Che sarebbe?”

“Quella stronzata dove tutti hanno finito per ammalarsi della roba del sergente Flannery.” Riassunse sommariamente, sospirando subito dopo. “Il pipistrello è convinto si tratti di John Doe … è ossessionato, ma non riesco a dargli torto. Quando c’è un cadavere di mezzo, la firma sembra sempre la sua.”
Ted gli accarezzò la gamba, sapendo che non c’era molto che si potesse commentare. “Ben sta molto meglio.” Disse invece. “Parla, ed oggi ha mangiato tutta la sua zuppa d’avena.”
“Grande! Ehi, le ho preso un libro da colorare giù a Diagon Alley … Credi che le possa piacere? Potrei portarglielo domani!” Gli sorrise, e la sua felicità era sincera e così consolante che avrebbe voluto rifugiarvisi. Preferì invece crollare definitivamente e posargli la testa sulle ginocchia.

“Sì, le piacerà di certo…” Mormorò. “Domani glielo portiamo assieme.”
“Woah Teddy!” Esclamò l’altro, compiaciuto quanto sorpreso; era infatti raro si lasciasse andare a quei gesti. Di solito accadeva il contrario. “Dove sono le cattive notizie?”
Bestiolina intuitiva.
Decise di vuotare il sacco. “Benedetta sta bene, e sappiamo anche da dove viene. Italia, Toscana … un paesino. Il problema è che l’unico modo che ho di rintracciare i suoi parenti è cercarli … nel Mondo Babbano. Sarà come cercare un boccino in un reparto di decorazioni natalizie.”
Le dita di James gli passarono trai capelli e un moto di colore, ben più allegro di quello con cui era entrato, le seguì. “Mi rimangio la palma di giornata di merda.” Sbuffò. “Quindi devi andare in Italia?”

“Nei prossimi giorni, sì. Prima di lunedì, possibilmente … sai, arriveranno…”
“I ministeriali, lo so.” Terminò per lui. “Non dovrei essere io a dirlo, visto che sono uno di loro, ma quelli della Divisione Bestie mi stanno sull’anima che non ti dico.”
“Figurati a me.” Borbottò: avrebbe finito per addormentarsi se l’altro non avesse smesso di coccolargli la testa in quel modo. Non riusciva però ad avere la forza di farglielo notare. “Mi muoverò domani.”
“Vengo con te.”
Se l’era aspettato e ne era felice, tuttavia James era forse stressato quanto e più di lui. “Hai bisogno di goderti il weekend, lascia perdere.” Doveva essere maturo e piantarla di comportarsi come un ragazzino bisognoso.

Visto che sei tu quello più adulto dei due.
Uno strattone improvviso al suo povero cuoio capelluto lo fece quasi sobbalzare dal dolore. Guardare dal basso il suo ragazzo e vederlo contemplare l’ipotesi di tirargli uno ceffone in testa fu un po’ inquietante.
“ … sì?” Gli uscì poco intelligentemente.
“Rimanere a casa come una mogliettina ansiosa? Vaffanculo Teddy, proprio una gran pensata.”
“Jamie…”
“Di sto cazzo.” Concluse. “Vengo con te, non era una proposta.”

L’aumentare delle imprecazioni voleva solo dire che l’altro era in dirittura di una crisi di collera delle sue, quindi capitolò. Non aveva voglia di mantenere una posizione in cui non credeva per primo. “Scusa.” Emise con il suo tono più mite. “Sto cercando di tenere sotto controllo la situazione dando meno incomodo…”
“Di che diavolo stai parlando?” Sbuffò esasperato. “Senti, quella ragazzina ha bisogno di una mano e ne hai bisogno tu. Fine della storia.”

“Fine della storia…” Ted passò un braccio attorno alla vita dell’altro e strinse. Se aveva imparato qualcosa nei primi anni di burrascoso assestamento tra di loro, era che James Sirius Potter sapeva sempre prenderlo di sorpresa. E in positivo.
“È meglio che mi alzi…” Disse dopo un po’, quando la tensione della giornata era scivolata via per far posto al torpore. “Sto per addormentarmi.”
James lo tirò di nuovo giù. “La pizza è buona anche fredda.”  

A quello proprio non poteva ribattere.
 
****
 
Il Paiolo Magico, dopocena.
 
Milo notò prima la bottiglia accanto al principino e poi il principino.
Sören se ne stava al bancone della locanda, a fissare i meandri del suo vuoto personale, ma per fortuna la bottiglia sembrava appena iniziata.
L’ho beccato al preludio di una sbronza?
“Ohi, hai mangiato qualcosa?” Gli chiese, sedendoglisi accanto.
Non si voltò nella sua direzione, ma parve riconoscerlo da come non si mise in allerta com’era suo solito quando qualcuno entrava nel suo spazio vitale. “Haggins.” Fece una pausa. “Disgustoso.”
“È stomaco di pecora bollito che t’aspettavi?” Diede un colpetto alla bottiglia. “Sai, dovresti passare all’erba. Il tuo fegato ringrazierebbe e sciacqua via i pensieri che è una meraviglia.”

“Funziona anche con quelli persistenti?”
Ahi.  
Milo era molte cose: un Magonò, un violinista, una lama veloce e un tipo che era entrato nel radar di un mago sexy come l’inferno e c’era rimasto per motivi che esulavano dalla sua comprensione.
Ma la cosa per cui era più portato in quel periodo, sembrava, era ascoltare gli sproloqui del suo datore di lavoro.
Lo mollo a sé stesso per quarantotto ore e lo ritrovo al bancone.
“Dovremo cambiare albergo. Questa bettola sta diventando stretta.” Disse riempiendo il bicchiere e vuotandolo tutto di un fiato.
Perlomeno il whisky sa sceglierselo.
“È un posto come un altro.” Replicò impietoso. “Se vuoi puoi cercarti una sistemazione migliore. La pagherò.”
Non è questo il punto, coglione. Tu mi devi venir dietro!

“E certo, se poi ti prendi qualche schifezza continuando a star qui, chi è che dovrà preoccuparsi che tu non muoia?”
“Il San Mungo.”
L’Associazione Mondiale delle Balie mi autorizza a prenderlo a calci in culo?

“Non vorresti ricevere Zenzero in un ambiente che non contenga scarafaggi?” Lo punzecchiò, perché non poteva sbattergli la testa contro il legno del bancone. Non avendo reazioni percepibili continuò. “Oggi era la vostra prima lezione, com’è andata?”
Un silenzioso fragoroso accolse la sua domanda.
“Benissimo vedo.” Si frugò nelle tasche e si concentrò nel compito di preparare il perfetto spinello. Era un buon modo per fingere di non aver notato come l’altro volesse strangolarlo. “Dai, che è successo?”
Sören fece una smorfia, contemplando il bicchiere vuoto, prima di rabboccarlo con un cenno di quella sua straordinaria – e inquietante – mano. “Le ho detto che non voglio sentir parlare di sesso tra lei e Scott Ross.”
Dovette trattenersi con tutte le forze per leccare la cartina e non scoppiargli invece a ridere in faccia. “Okay. E come ci siete arrivati a parlare di lenzuola?”

“Non ne ho idea.”
Ecco, mi sembrava.

“Beh, fare la figura del fidanzatino geloso di certo avrà aiutato a farle capire l’antifona.”
Sören gli scoccò di colpo un’occhiata allarmata. “Non può aver capito che sono geloso.”
Mio Dio. Un moccioso.
Accese lo spinello e ne diede un vigoroso tiro, sentendo il sapore dolciastro scivolargli sulla lingua e pizzicargliela con gentilezza. Era sempre un buon modo per iniziare in fine settimana. “Principino, mi rincresce distruggere la tua reputazione da stoico … ma se le hai abbaiato che non vuoi sentir parlare di lei e del suo ragazzo che ci danno dentro come conigli, cosa che sono certo facciano visto il tipino…”
Era così divertente sentirlo ringhiare. Era probabile che neanche si rendesse conto di farlo. “ … beh, sei stato sgamato.”
“No.” Scosse la testa, quasi a sottolineare il concetto. “Non la conosci, penserà che mi sono imbarazzato per via dell’argomento.”

Non è una rincoglionita della tua risma, principino, quindi no, se hai fatto il ragazzino offeso e tradito se ne sarà accorta eccome.
Decise però di non infierire. Era magnanimo, lui. “Ed è meglio fare la figura del verginello che farle capire quello che provi per lei?”
Magnanimo a modo mio.
Sören gli scoccò un’occhiataccia, ma vuotò il bicchiere e annuì. “Sì, è meglio.”
Scosse la testa, perché il mondo andava a rotoli per colpa di gente del genere.

Sarebbe tutto molto più semplice se si scopasse un po’ di più e si pensasse un po’ di meno.
“Sarebbe così assurdo entrare in gioco?” Lo incalzò, perché era curioso; com’era possibile amare qualcuno al punto da non volerlo?
Non è un controsenso? Cazzo se lo è.
“Sì, se non conosco le regole.” Scosse la testa, spingendo la bottiglia nella sua direzione ed alzandosi in piedi. Quella sera non era da sbronza triste: l’avrebbe quindi passata a rimuginare da solo, e cupamente, come l’eroe tragico che era. “Buona notte.” Gli augurò prima di allontanarsi.
Milo sbuffò, e una piccola parte di sé, quella buona parte di solito silenziosa, non riuscì a star zitta.
“Le regole non contano un cazzo, Sören. Non in questa roba.” Chiamarlo per nome gli faceva sempre un po’ strano. Era abbattere una barriera che non era sicuro dovesse esser abbattuta.
Ma fanculo.
L’altro si voltò, guardandolo tra il sorpreso e qualcosa di vagamente simile allo speranzoso. Non sapeva perché, ma faceva male a guardarsi.
Tutti vorremmo essere amati da far schifo, è tutto lì.
“E allora cosa conta?”
Allargò le braccia. “Quando lo scopri, fammelo sapere.”
Perché servirebbe anche a me saperlo.
 
****
 
 
Note:

Chiedo ancora mille scuse per il ritardo, ma vacanze di mezzo!

Comunque qualcosina (ina ina) si sta smuovendo sul lato Lily/Ren … più la solita barcata di notiziacce generale.
Qui la canzone del capitolo. Questa la canzone ascoltata e amata da Sy.
  
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