Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: TaliaAckerman    08/08/2013    3 recensioni
[Revisione in corso]
Primo capitolo della serie del "II ciclo di Fheriea"
Dal diciottesimo capitolo:
"Pervasa da un senso di feroce soddisfazione, Dubhne alzò il braccio destro in segno di vittoria. La folla intorno a lei urlava e scandiva il suo nome, entusiasta. E la cosa le piaceva."
Salve, e' la prima fan fiction che pubblico in questa sezione. Più che una ff però è un romanzo, il mio romanzo, ideato e steso in più di due anni di fatiche e grandi soddisfazioni. Spero vi piaccia^^
Genere: Azione, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'II ciclo di Fheriea'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
19




Deka irruppe nello studio del signor Tomson come un furia.
– È scappata! – gridò, trafelata. – Dubhne è scappata! Non la trovo da nessuna parte!
Il signor Tomson rimase un attimo a squadrare la sorvegliante, incredulo.
– CHE COSA? - tuonò poi, come se avesse registrato le sue parole con qualche secondo di ritardo.
Deka, muovendo un passo indietro intimorita, balbettò:- Io… sono andata nella sua cella per portarle il pranzo e… lei non c’era più! Lo giuro!
Ricomponendosi un poco Tomson nitrì, più per il fastidio che altro. In effetti, della sorte della bambina non gli era mai importato un granché, ma il fatto che lei gli fosse sfuggita da sotto il naso… beh, sarebbe stato lo zimbello di tutti. Si voltò verso l’imponente libreria del proprio studio, ignorando completamente la sorvegliante. Da quando aveva messo piede nella sartoria, Dubhne non aveva fatto altro che creare problemi. Prima di allora non erano mai accaduti episodi come l’imbarazzante inconveniente che si era verificato al momento della partenza della ragazza ariadoriana, Alesha; per non parlare delle zuffe con gli altri apprendisti. Dopo la colluttazione in infermeria di alcuni giorni prima, Tomson aveva naturalmente preso provvedimenti anche nei confronti di quel Dills o come diavolo si chiamava, benché con Dubhne avesse finto il contrario. Eppure, solo lei aveva avuto la sfrontatezza di rivolgerglisi in modo così privo di qualunque rispetto e sottomissione alla sua autorità. Affondò le unghie nella carne delle mani per la rabbia. Tentava di non darlo a vedere, ma quella ragazzina misera e indomita lo aveva ferito nell'orgoglio. Finora, nessuno dei suoi apprendisti era riuscito a fuggire dalla sartoria. In verità, nessuno aveva mai avuto neanche il coraggio di provarci: nella maggior parte dei casi quei ragazzi non avevano né una casa né una famiglia; li avrebbe attesi una vita per strada, e i boschi attorno a Célia erano selvaggi e pericolosi per chiunque avesse voluto avventurarvisi. Nella sartoria ciascuno poteva contare su pasti caldi e un letto fisso.
– Io… chiamo Kall e gli altri per cominciare le ricerche?- chiese esitante Deka, che era rimasta in silenzio fino a quel momento.
L’uomo tacque, poi prese una decisione. A labbra strette rispose:- No.
– Come, scusate?
- No – ripeté Tomson alzando lo sguardo. – Diremo agli apprendisti che siamo stati noi a cacciarla. Per… cattiva condotta. Qualsiasi cosa succeda, non dovranno mai sapere che è scappata. Mi hai capito bene?
Deka aggrottò le sopracciglia, senza capire. Poi scosse la testa. Meglio non contraddire il signor Tomson. Alzò la testa e proferì:- Come desiderate.


BOSCO HARDIST ORIENTALE


Sola, nella piccola radura, Dubhne aprì gli occhi. Era tarda mattinata. Il sole brillava già alto sopra le cime degli alberi e i fruscii che per tutta la notte avevano tormentato la bambina erano finalmente cessati.
Dubhne tirò sul col naso, poi si alzò lentamente. Ripensando alla notte prima, la ragazzina si chiese dove avesse trovato la follia e il coraggio di fare ciò che aveva messo in atto.
Non ha importanza. Perché ora tu sei libera. Sei libera, finalmente.
Già. Ora né il signor Tomson, né Dills, né Charlons avrebbero più potuto farle del male. Mai più.
Inebriata dall'irrefrenabile desiderio di libertà, aveva messo fra sé e la sartoria più distanza possibile; non si era diretta verso le colline dove sorgeva la sua casa, al contrario, era proceduta nella direzione opposta, addentrandosi nella boscaglia che segnava il confine nord di Célia. L’eccitazione per un gesto così eclatante l’aveva resa temporaneamente immune alla paura della notte, della solitudine, delle belve feroci che potevano attenderla nascoste nell’oscurità della foresta. Solo quando, alla fine, era crollata esausta nella radura dove ancora si trovava la paura aveva iniziato a farsi sentire. Ma a quel punto la stanchezza aveva avuto la meglio e la bambina era sprofondata nel sonno. Al momento non le importava sapere dove sarebbe andata, dove avrebbe vissuto, di cosa si sarebbe nutrita. Il bosco era ricco di ruscelli e ripari, alberi da frutta anche. Con un po’ di fortuna se la sarebbe cavata.
Spazzolandosi via la terra dai vestiti, la bambina ricominciò a camminare. La fatica non era – ancora – un problema per lei: alla sartoria era stata abituata ai ritmi di lavoro più faticosi.
Devo trovare un ruscello per bere un po’ d’acqua.
Procedendo letteralmente a caso, la bambina si mosse fra gli alberi a tentoni per parecchi minuti. E poi, quando già stava cominciando a preoccuparsi, Dubhne udì l’amato rumore dell’acqua che scorreva tra le rocce. Aguzzando l’udito come poteva, la ragazzina seguì lo scrosciare dell’acqua fino a ritrovarsi nei pressi di un fiumiciattolo. Sollevata, intinse le mani unite nel ruscello, e bevve come una spugna finché non si fu dissetata. Poi si lasciò a sedere sull’erba, guardandosi intorno.
Quello dove si trovava era un luogo davvero bellissimo: il rigagnolo d’acqua si allargava in quel punto, formando una sorta di laghetto, e l’erba verde e tenera ovattava i passi della bambina e degli altri piccoli animali della foresta.
D’un tratto, un fruscio e un rumore di rametti spezzati le fecero raggelare il sangue nelle vene. Lì, alla sue spalle, proprio vicino a lei. La bambina si immobilizzò. Potevano essere Heixa o il signor Tomson venuti a cercarla, o peggio.
Avvertì dietro di sé un ringhio sommesso e, terrorizzata, deglutì. Poi, piano, cercando di tenere a freno la paura, si voltò.
Quel che vide la pietrificò: davanti a lei c’era un letjak grande, feroce, glaciale, assetato di sangue. Un letjak come quelli delle storie che le aveva raccontato Alesha. La bambina non aveva dubbi. Era lungo quasi due metri; il pelo castano-dorato sembrava gonfiarsi sulla gobba che gli inarcava la schiena, che nel punto più alto doveva ergersi per un’altezza di almeno un metro e mezzo. Un paio di zanne color dell’avorio pendevano ricurve dalla gengiva superiore. Aveva occhi freddi, chiari, screziati di blu agli angoli. La stava squadrando come fa un cacciatore con la preda e Dubhne capì di essere morta.
Passò un istante, poi la ragazzina cominciò a correre.
La bestia si lanciò al suo inseguimento, famelica e assassina, e quando la ragazzina inciampò comprese che la propria fine era vicina. Ma le lacrime non ebbero il tempo di sgorgarle dagli occhi. Perché il dolore di quelle fauci che si chiudevano su di lei non arrivò mai.
La ragazzina non si era procurata nemmeno un graffio. Aveva del sorprendente, ma era vero.
Incredula, Dubhne abbassò il braccio con cui si era coperta gli occhi. E ringraziò il cielo per la grazia ricevuta. Perché in piedi di fronte a lei c’era la sagoma muscolosa di un uomo, un cacciatore probabilmente, e voltandosi dietro di sé la bambina poté vedere dietro di sé il cadavere immobile del letjak, con una freccia conficcata nel globo oculare.
L’uomo sembrava preoccupato. Fece un passo verso di lei che, istintivamente, indietreggiò.
– Chi sei? – chiese il cacciatore, esitante. – Sei sola? Ti sei persa?
Dubhne non rispose, intimorita. E se l’uomo fosse stato un amico del signor Tomson? L’avrebbe riportata alla sartoria in catene? Oppure l’avrebbe rapita e costretta ad uccidere Letjak come una cacciatrice?
Che cosa devo fare?
Parla!
- Mi… mi chiamo Dubhne. – balbettò la ragazzina. – Io… io… - Non poteva perdere tempo: doveva inventarsi in fretta una bugia. – Io… sono qui con mio fratello maggiore. – mentì spudoratamente.
L’altro aggrottò le sopracciglia. – Ah sì? E lui dov’è? Hai bisogno di aiuto?
Senza sapere da nove le nascesse tutta quella diffidenza, Dubhne scosse la testa.
– No, è che… anche lui è un cacciatore come voi e… beh, un letjak ci ha sorpresi, io mi sono spaventata e sono scappata... grazie per l’aiuto.
– Figurati.
D’un tratto, l’occhio di Dubhne cadde sulla faretra ricolma di frecce del cacciatore e un’idea le colpì la mente.
– Ehm, in effetti mio fratello ha finito poco fa le frecce e… visto che voi ne avete tante… potreste darmene una?
L’uomo spostò lo sguardo dalle frecce alla ragazzina, dubbioso. Poi, lentamente, ne estrasse una dalla faretra. Fece per passargliela, poi aggrottò la fronte: - Siete venuti a cacciare… e lui ha finito le frecce? Idiota! si rimproverò lei, cercando di pensare ad una scusa credibile. – Stava inseguendo uno di quegli animali, ma era veloce e… mio fratello non è ancora esperto e…
– E va bene, tieni. Ma fai attenzione; non è un giocattolo.
– Contateci – Dubhne ostentò il proprio sorriso più radioso, mentre con garbo riceveva la piccola freccia in dono. Il cacciatore fece per voltarsi e andarsene, quando si voltò un’ultima volta e chiese:- Sei sicura di star bene?
- M-ma certo! – si affrettò ad esclamare lei, sorridendo. – È solo che… - l'uomo la stava guardando in modo strano e la cosa la riempiva di disagio. - Oh! Sento mio fratello che mi chiama… dev’essere preoccupato… Vado via, ma grazie per l’aiuto!
- Di niente! – ancora un po' perplesso l’uomo si voltò e la salutò con la mano. – Stammi bene e buona fortuna!
Quando il cacciatore fu sparito definitivamente fra gli alberi, Dubhne tirò un sospiro di sollievo. Non solo era ancora libera, ma era anche riuscita anche ad ottenere una freccia come arma! D'altronde, se avesse voluto sopravvivere nei boschi almeno qualche settimana avrebbe dovuto imparare a cacciare, e alla svelta. Non animali grandi e pericolosi come i letjak, certo, ma avrebbe benissimo potuto accontentarsi di piccole prede come limbos o shirin. Ricordava bene le rare volte in cui suo padre era tornato dal mercato cittadino portandone con sé un esemplare ancora intero sottobraccio che, se cucinato a dovere, rappresentava un ricco pasto per gente come loro. Dubhne sarebbe stata in grado di riconoscerli. Già, poteva farcela. E bacche e corsi d’acqua certamente non mancavano in quella foresta prosperosa.
E ora la bambina aveva anche trovato una meta. Dopo lunghe riflessioni, aveva deciso che avrebbe tentato di raggiungere Alesha nell’Ariador. Sì, l’avrebbe trovata e avrebbero vissuto nella sua stessa città. Trovare una famiglia disposta ad ospitare una povera e sventurata bambina come lei non sarebbe stato poi così difficile. Forse in Ariador le persone non erano tutte orribili come a Célia.
Sì, la ragazzina poteva farcela. Avrebbe dovuto faticare, correre qualche rischio e camminare tanto, ma con un po’ di buona volontà ce l’avrebbe fatta. Dubhne sorrise, felice di non trovarsi più rinchiusa nella sartoria.
Silenziosa come una creatura della foresta, la bambina riprese a camminare.





Note: hola gente ^^ Questo era il diciannovesimo capitolo, spero vi sia piaciuto :) Tra parentesi, vorrei ringraziare sentitamente Mars_16, che ha da poco inserito la mia storia nelle seguite. Grazie! E grazie anche a Marty_598, che sta continuando a recensire :) Mi farà piacere sentire le opinioni di tutti, per cui recensite se vi va :D

Per i Letjak ammetto di esseri ispirata alle tigri dai denti a sciabola; dovrebbero risultare un po' a metà tra questi felini antichissimi e i mannari selvaggi del Signore degli Anelli.

warg tigre-denti-a-sciabola

Alla prossima, Talia.
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: TaliaAckerman