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Autore: TaliaAckerman    25/08/2013    4 recensioni
[Revisione in corso]
Primo capitolo della serie del "II ciclo di Fheriea"
Dal diciottesimo capitolo:
"Pervasa da un senso di feroce soddisfazione, Dubhne alzò il braccio destro in segno di vittoria. La folla intorno a lei urlava e scandiva il suo nome, entusiasta. E la cosa le piaceva."
Salve, e' la prima fan fiction che pubblico in questa sezione. Più che una ff però è un romanzo, il mio romanzo, ideato e steso in più di due anni di fatiche e grandi soddisfazioni. Spero vi piaccia^^
Genere: Azione, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'II ciclo di Fheriea'
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26




L’atmosfera a tavola quel giorno era leggermente meno serena del solito. Anche se Dubhne, Richard e Camm erano stanchi per il duello e le corse e molto silenziosi, il tono di Archie non suonò molto felice, quando si rivolse sottovoce alla moglie:- Non va bene, Claire, non va bene. I miei mobili, i miei oggetti… non c’è nessuno a cui interessino. La gente si tiene ben stretta quello che ha…
- Puoi andare ad ovest – suggerì Claire in tono pacato, anche se le rughe sulla sua fronte suggerivano una forte preoccupazione. – Sai che là la gente è più ricca…
Archie sospirò, poi riprese:- È un bel disastro… non c’è lavoro… come farei a lasciarvi qui per settimane?
- Non credo che sia un discorso adatto a dei ragazzini – lo interruppe Claire a quelpunto, lapidaria. Scoccò uno sguardo eloquente ai tre ragazzi. – Avanti, uscite pure in giardino quando avete finito. Dei piatti mi occupo io.
Camm si affrettò ad alzarsi, ma Dubhne e Richard rimasero un attimo fermi, dubbiosi. C’era qualcosa nel tono della donna che non li convinceva. – Va… tutto bene?- chiese Richard, aggrottando un sopracciglio.
Archie sorrise paterno. – Tranquilli, non c’è nulla che non va.
I due ragazzi uscirono, anche se ancora non convinti. – Cosa credi che stia succedendo? Non ho mai visto tuo padre così preoccupato… - fece Dubhne, avvertendo un leggero disagio. L’altro alzò le spalle, come per cercare di non pensarci. – Non lo so, Dub. Non lo so.
Raggiunsero Camm nel giardino sul retro, e mentre Dubhne si sedeva tranquillamente sull’erba, i due fratelli, instancabili, raccoglievano da terra le spade, che avevano buttato alla bell’e meglio prima di pranzo.
Sorridendo leggermente, la ragazza rimase a guardare Richard e Camm che duellavano con passione, ma piano piano i dubbi e le incertezze ricominciarono a tormentarla: Archie aveva parlato del proprio lavoro… aveva detto che i compratori in quel periodo scarseggiavano…
Archie Farlow faceva l’artigiano di mestiere: intagliava sedie, tavoli, armadi; costruiva attaccapanni e utensili casalinghi in legno e in terracotta, e a volte i clienti affezionati gli portavano pezzi di mobilio da riparare o che avevano bisogno di essere rilevigati. Fino a qualche mese prima la ragazza aveva sempre visto miriadi di persone ad affollarsi attorno alla sua piccola bottega, poco distante dall’abitazione. L’uomo aveva due aiutanti, Clark Maryson e Wilfred Mit, giovani più grandi di Richard di qualche anno. Era una piccola impresa a conduzione esclusivamente familiare, ma fino a quel momento Archie aveva sempre fatto affari d’oro. E poi, le cose avevano cominciato a cambiare. Dubhne sapeva che Archie aveva dovuto rinunciare all'aiuto di Wilfred qualche mese prima, ma nelle ultime settimane non aveva più visto neanche Clark se non una volta, recandosi in bottega. A volte Richard si assentava per interi pomeriggi per aiutare suo padre con il lavoro, cosa che non era mai successa prima d'allora. Avvolta nella bolla luminosa dei suoi diciassette anni, all'inizio la ragazza non aveva dato peso a quei segnali, sicura che qualunque fosse il problema, si sarebbe risolto prima o poi, ma adesso la sua sicurezza cominciava a vacillare.
Dopo qualche minuto di totale sconforto, la ragazza si costrinse a tornare alla realtà, giusto in tempo per vedere Richard che con mano abile disarmava il povero Camm, e gli puntava la lama di legno sul petto.
– È la terza volta che ti batto in due giorni, fratello - sorrise.
Seccato, l’altro si voltò, puntellando la spada a terra.
– Dai, Dubhne. Se pronta a sfidarmi… di nuovo? - chiese Richard in tono beffardo.
– Pensavo che la lezione di stamattina ti fosse bastata – sogghignò la ragazza.
– Veramente siamo noi che abbiamo battuto te, per una volta - le fece notare Camm soddisfatto. Dubhne, arrossita, stava già per rispondergli per le rime, quando Richard la interruppe:- Allora, accetti?
Le porse la spada di Camm e sorrise, un sorriso decisamente affascinante. Per la prima volta da mesi, a Dubhne tornò in mente il viso dell’
altro Richard che aveva conosciuto, quando lavorava alla sartoria del signor Tomson. E rivedendo nella mente il viso magro e sconfitto di quel ragazzo che, pur non offrendole la propria amicizia, l’aveva quasi salvata da una delle dure punizioni di Tomson, provò uno sconfinato senso di tenerezza e malinconia, assieme ad un brivido sulla schiena. Non era passato un giorno da quando era arrivata a Chexla senza che la ragazza ricordasse i dolori patiti a Célia.
Non ci devi pensare, si disse poi, risoluta. Afferrò la spada di Camm e si mise in posizione.
– Avanti!- esclamò, scagliandosi verso l’avversario. I due amici due amici combatterono felicemente per diversi minuti, correndo, arretrando e saltando nel piccolo giardino dell’abitazione. Dubhne, a malincuore, dovette ammettere che Richard era davvero migliorato in quegli ultimi giorni.
Beh, non ha alcuna importanza. Lo batterò lo stesso.
Ma ad un tratto, successe qualcosa di strano: Camm, seduto su una grossa pietra, alzò gli occhi dal combattimento e guardò oltre la staccionata. Sembrava preoccupato.
Fuori, in piedi nella via centrale di Chexla c’era un uomo sui cinquant’anni, tutto intento ad osservare il duello fra Dubhne e Richard. Aveva un aspetto leggermente insolito: era alto e piuttosto tarchiato, la carnagione scura e coperta di cicatrici. Ciuffi di capelli corvini, striati di grigio sulle tempie, gli incorniciavano il volto serio e dai tratti spigolosi, e gli occhi piccoli brillavano di nero totale. C’era qualcosa nel suo sguardo che aveva un ‘che di arcigno.
Anche Richard rivolse l’attenzione al nuovo venuto, interrompendo di botto il duello. Il ragazzo, Dubhne e Camm rimasero per qualche istante a fissarlo, senza saper bene che fare.
– Avete… avete bisogno di qualcosa?- chiese Richard, esitante. L’uomo non rispose, e dopo qualche attimo fece un piccolo cenno di diniego e si voltò, tornando a mischiarsi tra la folla.
Si era trattato di un mezzo secondo, eppure Dubhne era certa di averlo visto sorridere. Turbata, la ragazza si rivolse agli altri due:- E quello chi cavolo era?- domandò.
Camm non disse nulla, continuando a squadrare il punto in cui l’uomo era sparito, ma Richard posò una mano sulla spalla della ragazza. – Non ne ho idea. Adesso… forse è meglio se rientriamo.
Dubhne annuì meccanicamente, e i tre si affrettarono a tornare in casa. I ragazzi si diressero verso il soggiorno, ma Dubhne non li seguì. Si diresse invece verso la propria camera da letto; aveva bisogno di restare un po’ da sola. Immersa nel silenzio, seduta sul proprio materasso di piume, si concesse finalmente di riflettere. Il lavoro di Archie, i problemi, i soldi… e poi quell’uomo misterioso che li aveva osservati in giardino…
Chi era? si chiese la giovane, avvertendo una sorta di vaga tensione. Non ha importanza. Probabilmente non lo rivedrai mai più… Allora Dubhne ripensò all’espressione di Archie mentre discuteva con Claire quel giorno a pranzo, e i dubbi non fecero che aumentare. Le cose non stavano andando per niente bene. Il lavoro scarseggiava, e la crisi che aveva costretto i suoi genitori ad abbandonarla era arrivata fino a Chexla. Fino ad Archie Farlow.
Nascose il viso fra le mani. Non si poteva certo definire disperata, ma quel senso di oppressione nel petto non le dava tregua. Abitava in quella città da nove anni, e mai le era successo nulla di simile. E come al solito quando era preoccupata, la ragazza pensò ad Alesha.
Alesha, la più grande e fedele amica che avesse mai avuto. E rivedendo nella propria mente gli occhi così dolci e liquidi dell’amica, provò immediatamente un lieve senso di tranquillità.
Oh, Al… tu che cosa faresti al posto mio? Il fatto è che… qui a Chexla mi trovo bene come non mai, e il solo pensiero che la mia felicità si dissolva mi fa male al cuore… So che è stupido, ma non riesco a stare calma.
Dubhne riaprì gli occhi, e subito si sentì un’ingenua. Doveva piantarla di rivolgersi ad Alesha come se fosse una sorta di amica immaginaria. Lei era partita, anni prima, e ora viveva nell’Ariador. Chissà se era riuscita a trovarsi un lavoro migliore… E se invece avesse lavorato ancora per il signor Tomson? Un’altra quantità di dilemmi interiori si aggiunse nel suo cuore. La giovane si sentiva in colpa, anche sapendo che era una sensazione immotivata. Eppure lei ora era lì, amata da Archie e Claire come una figlia; aveva due amici inseparabili, una vita normale. Mentre Alesha…
- Dub, vieni, è ora di cena…- chiamò d’un tratto Camm dall’altra stanza. La giovane alzò di scatto la testa, e guardando fuori dalla finestra si rese conto che le proprie riflessioni dovevano essere durate molto di più di quanto avesse pensato. Fuori il sole era già tramontato da un pezzo. Ombre color indaco si allungavano nel cielo ancora azzurrino, e verso est la luce aranciata del tramonto si era definitivamente spenta. Controvoglia, Dubhne si rimise in piedi e si avviò verso la sala da pranzo.
Stai tranquilla.


L’indomani, Dubhne si svegliò più presto del solito. Ma dieci buone ore di sonno avevano decisamente giovato all’umore della ragazza, che ora si sentiva decisamente rinfrancata. Si alzò dal letto sbadigliando, e avvolgendosi nel proprio scialle uscì in silenzio dalla stanza. Camminò fino alla porta d’ingresso e, una volta nel giardino, si sedette sull’erba. Adorava quel momento della giornata. Il sole, non ancora completamente sorto, irradiava una tenue luce dorata, e il cielo si presentava sempre limpido e leggero. Una brezza leggera accarezzò il viso della ragazza, che inspirò profondamente.
– Ciao, Dubhne. Già sveglia eh? – La voce era quella calma e riposata di Archie. La ragazza si voltò sorridendo, e l’uomo si sedette accanto a lei. – Mi piace la luce che c’è a quest’ora. – replicò, fissando l’orizzonte. Archie la imitò. I due rimasero un attimo fermi, senza parlare; poi Archie riprese:- Ti ho vista turbata ieri.
– Non ha importanza; ora sto meglio.
– E per via di Richard, o Camm?
- No, loro non c’entrano. E’ che… non so. – Dubhne sospirò, e alla mente le si riaffacciò l’immagine dell’uomo misterioso. – Ho una brutta sensazione.
Archie aggrottò la fronte. – Una brutta sensazione?- ripeté. La ragazza rifletté un istante, poi disse:- Riguardo a voi. È che… io ho una paura matta di perdervi.
Appena dopo aver pronunciato quelle parole, Dubhne si sentì molto stupida. Ma a sorpresa, Archie sorrise. – Non succederà, Dubhne. Davvero, non succederà mai.
Lei, rincuorata, annuì. – Non aver paura, Dubhne. – Archie l’abbracciò, e Dubhne si sentì meglio. Ripensando a tutto ciò che Archie aveva fatto per lei, si sentì scaldare il cuore. Poi l’uomo si separò da lei e disse:- Vado a prepararti la colazione, d’accordo? – La ragazza annuì, e lui si allontanò in direzione della casa. – Grazie mille,
papà.
Era una delle prime volte che Dubhne lo chiamava a quel modo. Archie si fermò in mezzo al cortile. Sembrò per un attimo sul punto di volgersi verso di lei, ma poi continuò a camminare. Con un mezzo sorriso, Dubhne tornò a guardare l’alba. Archie era davvero come un padre per lei, anzi, le rivolgeva addirittura attenzione che Michael non aveva mai neanche preso in considerazione. Eppure, ricordando la propria casetta ai confini con Tharia provò una dolorosa fitta di nostalgia. Amava Archie e Claire incredibilmente, ma nessuno mai avrebbe potuto farle dimenticare le sue origini.
Andiamo Dubhne. Non è il momento di abbandonarsi ai sentimentalismi.
La ragazza si rialzò e seguì Archie dentro casa.




  
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