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Autore: ValeryJackson    03/09/2013    10 recensioni
Skyler aveva sempre avuto tre certezze nella vita.
La prima: sua madre era morta in un incidente quando lei aveva solo sette anni e suo padre non si era mai fatto vivo.
La seconda: se non vuoi avere problemi con gli altri ragazzi, ignorali. Loro ignoreranno te.
La terza: il fuoco è un elemento pericoloso.
Tre certezze, tutte irrimediabilmente distrutte dall'arrivo di quel ragazzo con gli occhi verdi.
Skyler scopre così di essere una mezzosangue, e viene scortata al Campo. Lì, dopo un inizio burrascoso, si sente sé stessa, protetta, e conosce tre ragazzi, che finiranno per diventare i suoi migliori amici. Ma, si sa, la felicità non dura in eterno. E quando sul Campo incombe una pericolosa malattia, Skyler e i suoi amici sembrano essere gli unici a poterlo salvare.
Una storia d'amore, amicizia, dolore, azione, dove per ottenere ciò che vuoi sei costretto a combattere, a lottare, e ad andare incontro alle tue peggiori paure.
Ma sei davvero disposto a guardare in faccia ciò che più ti spaventa?
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Stoll, Leo Valdez, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti, Travis & Connor Stoll
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Girl On Fire'
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Il legno sembra fermo, ma è sottoposto a pressioni interne che, lentamente, lo spaccano. La ceramica si rompe, facendo subito mostra dei suoi cocci rotti. Il legno no. Finché può, rimane intatto, nasconde. Si lascia torturare ma non confessa.
Ecco, Skyler Garcia era di legno.
Skyler aveva solo quindici anni, eppure in quel brevissimo lasso di tempo, ne aveva passate tante. La vita, infatti, aveva scelto una via più complicata per lei, rendendole tutto più difficile.
Skyler, appunto, aveva solo quindici anni. Bella, di media statura, magra ma con delle curve formose, aveva la pelle color caramello, qualità ereditata dalla madre. Anche i capelli li aveva ereditati dalla madre. Lunghi, scuri, non erano né ricci né lisci, ma erano leggermente mossi da delle piccole onde che le incorniciavano il volto. Ma la cosa di cui andava più fiera erano gli occhi. Marroni, di quel marrone intenso, penetrante, erano attraversati da delle striature dorate, che li rendevano lucidi e quasi di vetro.
Skyler, in fondo, era una bella ragazza, se non fosse stato per il fatto che era un maschiaccio. Più che un maschiaccio, era una ribelle. Ma era stata abituata così.
La sua famiglia era un po’ strana. Sua madre, ad esempio, era per metà messicana. Sua nonna, però, era per metà messicana e per metà Canadese, mentre suo nonno era per metà messicano e per metà italiano. Quindi lei, in fondo, era una sorta di americana/messicana/italiana/canadese. Di suo padre, invece, non sapeva niente. Non l’aveva mai conosciuto, e non aveva idea se fosse vivo o morto. Sapeva solo che le aveva abbandonate quado lei era ancora piccola, e, sebbene la madre non ne avesse mai parlato male, lei lo odiava. O meglio, lo ignorava.
Ma non è questo l’importante.
Sua madre era una gran lavoratrice. Faticava molto, e faceva di tutto pur di non far mancare niente alla figlia. Era dolce, buona e gentile. E amava Skyler con tutto il suo cuore. Aveva solo sette anni quando se ne andò.
La madre lavorava in un’officina di un paesino nei pressi di Los Angeles. Era l’unica donna lì, ma era amata ed apprezzata, essendo una delle più brave meccaniche in zona. Una sera, Skyler se lo ricorda, si trovava all’officina.
Era tardi, e lei ed altri tre ragazzi erano rimasti lì per qualche ora extra. Skyler era con lei, seduta in un angolo a giocare con la sua bambola di pezza, o per lo meno quello che di più vicino aveva ad una bambola di pezza, e cioè un piccolo straccio legato con un fiocco rosa e con una pallina da tennis al posto della testa. La chiamava Miss Pezzetta.
Dopo una certa ora, la madre aveva deciso di andarsene. Aveva raccolto le sue cose, aveva preso per mano la figlia e si era avviata verso l’uscita. Non appena furono arrivate al loro pick-up, Skyler aveva iniziato a gridare qualcosa.
«Mamma! Mamma! Miss Pezzetta! Miss pezzetta è rimasta dentro!»
La mamma l’aveva guardata, con un misto di sconforto e stanchezza. «Tesoro, non puoi farne a meno per stasera?»
«No, mamma! Io non riesco a dormire senza! E tu lo sai. Lei è la mia bambola preferita.»
La mamma aveva sbuffato, rassegnata. «E va bene. Sali in macchina, vado a riprenderla. Ma solo perché sei tu, micha
E così, mentre Skyler saliva in macchina, la madre era tornata indietro, correndo verso l’officina e sparendo dietro la sua enorme porta rossa. È in quel momento che è successo.
Si trattò di un attimo. Un solo e semplice secondo, e si era scatenato l’inferno.
Qualcosa era esploso. Skyler non sapeva di per certo cosa, non l’aveva mai capito. Ma sapeva con certezza che era accaduto. Perché lei c’era. L’aveva visto.
L’officina era andata in fiamme, e con lei tutto ciò che c’era dentro. In poco tempo erano arrivati i pompieri, che avevano tentato di spegnere il fuoco.
Skyler non ricordava esattamente cosa aveva fatto. Molto probabilmente era scesa dalla macchina, e si era precipitata di corsa verso l’officina. Voleva entrare. Qualcuno deve averla bloccata. Sicuramente avrà urlato il nome della mamma.
Ecco, quella era stata l’ultima volta che l’aveva vista. Era stato otto anni prima.
Ora Skyler viveva con lo zio. Zio Ben, il fratello della madre. Dopo la sua morte era stata affidata a lui la custodia della bambina. I nonni erano contrari, ma, a quanto pareva, la donna aveva lasciato un testamento, o per lo meno una testimonianza scritta in cui chiedeva apertamente l’affidamento della figlia al fratello. Inutile descrivere il malcontento dei nonni. Come biasimarli, d’altronde. Lui era arruolato nei Marines, e loro non erano gli unici a ritenerlo incapace di occuparsi di una bambina di soli sette anni. Molti sostenevano che fosse per via del suo lavoro, ma Skyler sapeva che non era così. Per quanto rispettato, lo zio Ben non era mai piaciuto a nessuno. Era un tipo abbastanza riservato.
Comunque, dopo un acceso dibattito, l’affidamento fu assegnato, e Skyler andò a vivere con lo zio in una piccola casa sul lago nei pressi di Baltimora. O meglio, della parte brutta di Baltimora.
La loro casa era piccola, ma accogliente, e lo zio faceva di tutto per farla sentire a proprio agio. Avevano anche instaurato un bellissimo rapporto, e, dopo aver perso ogni contatto con i nonni, lui era diventato l’unica famiglia che lei avesse mai avuto, e lei la sua. Erano un tutt’uno. Skyler e zio contro tutti. E ad entrambi andava bene così.
Il luogo dove vivevano non era dei migliori. Era un quartiere di delinquenti e di criminali, e il bullismo, lì, era all’ordine del giorno. Molti lo definivano “il nuovo Bronx”. Skyler lo definiva semplicemente il Porcile. Ma in fondo non potevano andarsene. Per questo suo zio, fin dai sette anni, aveva pensato bene di allenarla come un vero soldato. Skyler era ancora piccola, ma aveva ricevuto lo stesso addestramento di un componente dei Marines, con tanto di flessioni e tecniche di autodifesa. Aveva irrigidito i muscoli e sviluppato un forte senso di concentrazione e degli ottimi riflessi. Skyler, poi, era iperattiva, e questo, anche se può sembrare strano, l’aveva aiutata molto per le tecniche di combattimento. Ora, a quindici anni, sarebbe capace di stendere un giocatore della squadra di football senza problemi. Anche se non l’ha mai fatto. Quando vivi in un quartiere come quello impari a farti i fatti tuoi. Skyler aveva capito molto presto che se non dai fastidio a nessuno, loro non danno fastidio a te, e che l’unico modo per non avere problemi è quello di passare inosservati.
Non che Skyler ci riuscisse, ovvio. Era davvero difficile non notarla. Nessuno la salutava, e lei non aveva amici, ma tutti nutrivano una sorta di rispetto nei suoi confronti, e nessuno l’aveva mai attaccata. Conoscevano la sua storia, e la lasciavano in pace. L’unica volta in cui qualcuno l’aveva infastidita è stato in prima media, quando un ragazzo di seconda l’ha presa in giro offendendo sua madre. Skyler semplicemente gli ha rotto il naso. È stata punita, e quel ragazzo ha perso molto sangue, ma ne è valsa la pena. Nessuno ha mai più osato parlarne.
Ma i problemi di Skyler erano altri. Suo zio era spesso via per qualche missione, e lei rimaneva più di una volta a casa da sola, costretta a vedersela con il mondo. A nove anni ha imparato a cucinare. A dieci a farsi il bucato. Si sentiva sola e triste. Non dava colpe allo zio per questo. In fondo era il suo lavoro, e lui lo faceva soprattutto per lei. Ma era frustrante. A scuola era anche peggio. Non sapeva cosa rispondere a domande del tipo “Dove sono i tuoi genitori?” oppure “Chi si occupa di te?” senza rendere pubblica la stranezza della sua situazione. Era sempre quella diversa. La meticcia. L’americana che non era americana. Quella con la madre morta e il padre assente. Quella che combinava guai in classe e che non riusciva a concentrarsi sulla lezione. Quella che è stata espulsa da una miriade di scuole. La dislessica e l’iperattiva. Dopo un po’ impari che confonderti con gli altri semplicemente non funziona, soprattutto nel suo caso. Se la gente continua ad additarti, allora tanto vale dargli qualcosa da guardare. Strisce rosse fra i capelli? Perché no! Gli anfibi con l’uniforme della scuola? Ma certo. Il preside diceva: “Dovrò chiamare i tuoi genitori, signorinella”. E Skyler rispondeva: “Buona fortuna”.
Era così, la sua vita, e Skyler ormai ci aveva fatto l’abitudine.
Scese dall’autobus, che la lasciava a pochi isolati da casa. Era stata tutto il tempo con la fronte appoggiata al finestrino, seduta da sola con le cuffiette nelle orecchie, ed aveva fatto appena in tempo ad accorgersi che doveva scendere.
Prese il suo zaino e se lo coricò in spalla, incamminandosi verso casa. Dall’aspetto che aveva, molti avrebbero pensato che fosse una ragazza rock. Ciocche rosse, giacca di pelle e anfibi, camminava a testa bassa sperando di non incrociare lo sguardo di nessuno, ma comunque con passo fiero. In realtà, invece, in quel momento stava ascoltando Wherever you will go dei The Calling, ed era solo una delle tante canzoni romantiche che la facevano sognare. Amava rilassarsi così. Con la musica e basta. In molti l’avevano capito, per questo ogni volta che la vedevano con le cuffiette nelle orecchie la lasciavano stare.
Non ci mise molto per arrivare a casa, come al solito. Giusto il tempo di tre canzoni.
La sua casetta era piccola, ma confortevole. Posta proprio sulle sponde del lago, era una piccola struttura di legno su due piani, tutta bianca. Dentro, la casa era arredata con dei semplicissimi mobili in mogano, che davano un che di rustico all’abitazione. Le uniche cose che davano un po’ di colore al tutto, se così lo si può definire, erano le statuette indiane che lo zio aveva sul comò e sugli scaffali della libreria, fra tutti i libri. Ben aveva una specie di fissa per queste cose. Diceva che ogni figura, ogni ciondolo, aveva un significato, uno scopo. Il Bisonte rappresentava l’abbondanza. L’Orso era il simbolo dell’introspezione. La Tartaruga della saggezza. Con il tempo, seguendo i suoi insegnamenti, anche Skyler aveva imparato ad associare ogni animale ad una di queste cose. Non perché ci credesse davvero, diciamo che era solo un modo per sentirsi più vicina a lui, al suo modo di pensare.
Lui, infatti, portava sempre una collanina con il ciondolo di un’aquila in volo in un cerchio. Diceva che serviva per raggiungere la perfezione. Lo aveva sempre lì, appeso al collo, insieme alla catenina con la piastrina di metallo con su scritti tutti i suoi dati che portavano tutti i militari. La sua, però, era speciale. Ben, infatti, vi aveva appeso il ciondolo di una palma. «Per ricordarmi che dopo ogni guerra c’è sempre il paradiso» aveva detto. Non se ne separava mai, da nessuna delle due.
Anche Skyler aveva una collana. Un piccolo ciondolo, appeso ad un cinturino di cuoio. Rappresentava un cavallo alato che attraversava un anello. Lo zio le aveva spiegato che quello serviva per stare bene con se stessi. Skyler non sapeva se era vero, ma le piaceva pensare che lo fosse.
Entrò in casa, lasciando automaticamente l’IPod sul comò e buttando lo zaino a terra, come faceva ogni volta.
Si tolse la giacca di pelle. «Zio! Sono a casa!» urlò, mentre la appendeva all’attaccapanni.
Dovette aspettare alcuni secondi per ottenere una risposta. «Cucina!» fu tutto ciò che lo zio le disse.
Skyler sospirò e si diresse in cucina. Quando entrò dentro, però, non vide nessuno. «Ma dove sei?»
«Sotto il lavandino.»
Skyler non disse niente. Si limitò ad aggrottare le sopracciglia e a sbirciare sotto il lavello. Lì, lo zio era sdraiato a pancia in su, maglietta e pantaloni sporchi di grasso, che armeggiava con alcuni tubi.
Nel tentativo di girarne uno, però, gli scivolò di mano, producendo un rumore sordo. Ben imprecò in spagnolo, al ché Skyler si lasciò scappare un risolino.
«Che stai facendo?»
Lo zio sospirò e si tirò su a vedere. Anche il viso era sporco di grasso. «Ricordi che ti dicevo che il tubo perdeva?»
Skyler annuì.
«Beh, ho provato a ripararlo. Ma a quanto pare non lo sto facendo nel modo giusto» disse, indicando il tubo a terra, che ora giaceva in una piccola pozza d’acqua.
Skyler rise. «Dà qua, faccio io!» esclamò. Aiutò lo zio ad alzarsi e prese il suo posto. Era sempre stata lei il meccanico bravo, in famiglia. Suo zio si limitava solo a cucinare.
Chiuse gli occhi in due fessure ed esaminò bene la situazione. Prima di iniziare, però, si legò i capelli in una coda. Lo faceva sempre quando doveva sperimentare, aggiustare, creare. Avere i capelli legati la aiutava a pensare. Molti potrebbero giudicarla una cosa strana. Per lei era semplicemente l’unico modo per concentrarsi.
Armeggiò per qualche minuto con la chiave inglese e in men che non si dica il tubo fu riparato.
«Ecco fatto!» esclamò, soddisfatta, tirandosi in piedi e aprendo il lavandino, per vedere se funzionasse. «Come nuovo» disse, con un sorriso.
Lo zio le si avvicinò scettico e fece la stessa prova. Lo rifece un’altra volta, tanto per esserne sicuro. Sospirò. «L’ho detto io, che non ero bravo» ammise, sconsolato.
Skyler sorrise. «I lavori di manutenzione non hanno mai fatto per te.»
Lo zio si finse offeso. «Oh, beh, scusami se non so riparare uno stupido lavandino. È sempre stata tua madre quella brava in queste cose. Io mi limitavo ad osservare.»
Skyler lo guadò. Un grosso groppo le era appena salito in gola, ma non voleva darlo a vedere. Si limitò ad abbozzare quello che doveva sembrare un sorriso e a voltarsi dall’altra parte.
Guardò fuori dalla finestra. Il sole stava già tramontando, e fra poco sarebbe stata ora di cena.
«Come è andata oggi a scuola, Skyler?» chiese lo zio, tanto per aprire un discorso.
Skyler strinse gli occhi. Oh, cavolo! Proprio l’ultima domanda che avrebbe voluto sentire.
«In realtà…» cantilenò, voltandosi lentamente, con un tono un po’ troppo acuto. «Non è andata esattamente come previsto
Lo zio la guardò ed inarcò un sopracciglio. «Definisci come previsto.»
«Beh, ecco, io…» iniziò a giustificarsi lei, ma alla fine si rese conto che non sarebbe servito a niente. Sbuffò. «Ho preso una nota disciplinare.»
«Cosa?» Lo zio sembrava più scioccato che indignato. «Come, Skyler? Un’altra?»
«Oh, ma non è stata colpa mia! È stato Mark Tames ad istigarmi! Se lui non mi avesse detto niente io non lo avrei mai picchiato.»
«Lo hai picchiato?»
«Sì, ma se lo meritava! Ha iniziato a dire delle cose spregevoli ed io non potevo far finta di niente!»
Guardò lo zio, con tono di supplica. Lui la squadrò un secondo, la fronte aggrottata in un cipiglio di disappunto. Poi distolse lo sguardo. «Spero che almeno tu gli abbia rotto il naso.»
Skyler corrucciò le sopracciglia, sconcertata. «Dovevo rompergli il naso?»
«Ma certo!» Lo zio sembrava indignato. «Insomma, ti sei presa una nota disciplinare per questo. Spero almeno che tu abbia dimostrato a quel tipo chi è che comanda!»
Skyler sorrise, sollevata. «Quindi non sei arrabbiato?»
«Oh, sono furioso! Una nota disciplinare è sempre una nota disciplinare. E per quanto io voglia sapere tutti i dettagli e il modo in cui l’hai picchiato, non posso fartela passare liscia.»
«Oh, andiamo, Ben! Se lo meritava, te l’ho detto!»
«Mi dispiace, Skyler. Stasera lavi i piatti tu, e non si discute.»
Skyler non lo fece. Sapeva che quando lo zio decideva una cosa, non si poteva disobbedire. Si limitò a guardarlo, in un misto di stupore e angoscia.
Lo zio se ne accorse, e le sorrise dolcemente, baciandole la fronte. «Vado a farmi la doccia» le disse. «Poi scendo e cucino io. Va bene il sushi?»
Skyler mise il broncio, incrociando le braccia. «Voglio i tacos.»
Lo zio rise. «Bene, e tacos siano!» Detto questo, si avviò su per le scale, per poi chiudersi dietro la porta del bagno.
Skyler si mosse dalla sua posizione solo quando sentì sgorgare l’acqua della doccia.
Sbuffò, frustrata. «Stupida scuola!»
 
Ω Ω Ω
 
Skyler si era appena diretta in cucina. Come promesso, lo zio aveva cucinato i tacos, e ora, per punizione, a lei toccava lavare i piatti.
Si legò i capelli e sbuffò. Meglio mettersi subito all’opera. Prima iniziava, prima poteva buttarsi sul divano a guardare la tv. Magari trasmettevano qualche incontro di wrestling.
Una volta finito di lavare l’ultimo piatto, alzò lo sguardo per rimetterlo nella credenza. Mentre alcune ciocche sfuggivano dalla sua coda ribelle e le ricadevano sul viso, una strana cosa bianca attirò la sua attenzione. Aggrottò la fronte, mettendo a posto il piatto, poi si sfilò i guanti e prese quella che aveva tutta l’aria di essere una busta. Sopra c’era una scritta.

PER IL SOLDATO BENJAMIN GARCIA
DIPARTIMENTO DELLA DIFESA DEGLI STATI UNITI
 
Skyler non ci pensò due volte. Aprì la busta e ne lesse il contenuto. Si sentì mancare il fiato. Come un automa, si mosse verso il soggiorno, dove si trovava lo zio, senza mai staccare gli occhi dal foglio.
Una volta lì si fermò sulla soglia della porta.
«Oh, eccoti, finalmente!» esclamò lo zio, sentendola arrivare. Si alzò dal divano e si voltò. «Mi stavo giusto chiedendo quanto ci mettevi a…»
Si bloccò all’istante, non appena si rese conto di ciò che la nipote aveva in mano. Solo a quel punto Skyler alzò lo sguardo. «Ti hanno arruolato» mormorò, quasi con un filo di voce. Trattenne una lacrima e stavolta urlò. «Devi partire per l’Afghanistan!» Sembrava quasi un’accusa.
Lo zio la guardò dolcemente e fece un passo verso di lei. Skyler però ne fece uno indietro. «Perché non me l’hai detto?»
«Skyler, era così difficile. Non sapevo come dirti che sarei dovuto andare.»
«Starai via per sei mesi.» La sua voce era rotta. Ce la stava mettendo tutta per non scoppiare a piangere.
«Lo so» mormorò lo zio. «Ma devo andare.»
«Non sei obbligato» singhiozzò la ragazza. Una lacrima le rigò la guancia, ma lei non si preoccupò neanche di asciugarla. Tanto sapeva che presto ne sarebbero arrivate altre.
Lo zio la guardò con dolcezza, accarezzandole la gota con il dorso della mano. «Oh, mi hija. Sai che non ho scelta. È il mio lavoro, devo andare.»
«Ma non puoi lasciarmi qui.» Altre lacrime le rigarono le guance. «Come farò senza di te?»
Lo zio allargò le braccia, nel quale lei si buttò a capofitto. «Non pensarlo nemmeno, okay? Tu sei forte, sei la ragazza più tosta che io abbia mai visto. Non ho mai incontrato nessuna più capace di te. So che te la caverai benissimo anche da sola.»
«Ma sei mesi»  replicò Skyler, stringendo nei pugni la maglia dello zio. «Non sei mai stato via per sei mesi.»
Ben le accarezzò i capelli, tentando di consolarla. «Lo so, è tanto tempo. Ma, ehi, se ci pensi non è poi così brutto, no? Potremmo tenerci in contatto attraverso il computer per più di una volta al mese. Potrei scriverti qualche lettera. E poi, dai, ogni cosa ha un inizio e una fine. Questi sei mesi passeranno molto più in fretta di quanto pensi.»
Skyler si staccò dall’abbraccio e si asciugò le guance con il dorso della mano. «Quando parti?»
Lo zio sospirò. «Fra tre giorni.»
«Bene» annuì lei. Era strano che piangesse. In fondo lo zio partiva spesso per lavoro, e quella non era di certo la prima volta che restava a casa da sola. Eppure stavolta avvertiva un vuoto dentro sé, come se avesse appena perso la parte più importante del puzzle. Forse perché lui non glie l’aveva detto. O forse semplicemente perché era stanca di dover sempre affrontare tutto da sola, senza nessuno che le desse conforto.
Si diresse sul divano, continuando ad asciugarsi le guance. Fra poco lo zio avrebbe iniziato le raccomandazioni, ripetendole la lista di tutte le persone di cui si poteva o non si poteva fidare. Avrebbe iniziato a dirle dove comprare la spesa, dove prelevare soldi, dove andare a passeggiare. E poi avrebbe concluso il tutto con un «Te quiero, mi hija.» Proprio come faceva sempre.
Si stesero entrami sul divano ed accesero la tv. Skyler si accoccolò fra le braccia dello zio, e strinse forte i pungi, tentando di non piangere mentre annusava la sua maglietta.
Scelse lei il film, quella sera. Volle vedere Titanic. Forse perché quel film le piaceva tanto nonostante l’avesse visto un milione di volte. O forse perché così aveva una scusa per dare libero sfogo alle lacrime.



Angolo Scrittrice.
Hola gente!!
Credevate davvero di esservi liberati di me? Muahahahah! Eh no, miei cari. Sono ancora qui, stavolta con una nuova fanfiction!
Non so dirvi esattamente come mi sia venuta l'ispirazione, so soltanto che, al mare, ho acceso il computer e ho iniziato a scrivere questa... cosa. Poi, andando avanti, ho pensato. Perchè non pubblicarla? Magari piace...

La domanda ora è: Vi piace? D: So che non è molto per giudicare una storia, e che questo è solo un prologo.
Ho intenzione di pubblicare il prossimo capitolo, ma non dopo aver saputo se ne vale davvero la pena. Vi piace questo nuvo personaggio? Che ne dite di Skyler?
Ovviamente, in questa storia ci saranno dei personaggi inventati da me, ma non preoccupatevi: ci saranno anche i nostri amatissimi semidei, come Percy, i fratelli Stoll, Piper, Leo... e poi ancora Chirone, e Grover. Non temete!
Ho tentato di creare una storia che non uscisse completamente dall'universo di zio Rick, ma ci ho messo del mio. Tutti i suoi personaggi sono in secondo piano, e qui i veri protagonisti sono i miei. Uno di loro, come avrete ben capito, è Skyler. Gli altri li scoprirete con il tempo.
Mi raccomando, fatemi sapere se può interessare. Mi basta anche un semplice commentino, bello o brutto che sia.
Tengo molto a questa storia, e spero che con il tempo possa piacere. Intanto, ringrazio tutti quelli che ora stanno leggendo questo Angolo Scrittrice, perchè vuol dire che avete cliccato la mia storia, perchè la trovate interessante o perchè non avete niente da fare, non importa. Ma soprattutto, perchè non avete chiuso il pc non appena avete letto questa parte in grassetto.

Siete la mia forza!! ;*
Spero di ricevere presto vostre notizie!
A presto
Un bacio <3

ValeryJackson
  
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