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Autore: Julia of Elaja    15/09/2013    4 recensioni
"Ti è chiaro ora, Norma?".
Andrew la guardò, e la ragazza capì che forse era arrivato il momento di preoccuparsi, e sul serio; glielo gridavano quegli occhi così impauriti e disperati che in quel momento la fissavano, alienati.
"Ci siamo dentro anche noi?".
"Esatto. Forse avremmo fatto meglio a starne fuori".
E intanto un foglio burciava nel camino, imbrattato dall'inchiostro ormai sciolto che fino a poco prima recitava così:
"Sto arrivando, Miles. Preparati la tomba".
Genere: Mistero, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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La notizia del ritrovamento del cadavere di Matt McCarty arrivò alle orecchie di tutti, a Greentown, in poche ore di tempo, così che la mattina dopo l’argomento di discussione a tavola di tutti i cittadini, durante la colazione, fu esclusivamente quell’importante novità.
La domanda che ora tutti si ponevano era: se Matt McCarty era stato ritrovato cadavere, che fine aveva fatto allora Ilva Stuart?
Forse era lei l’assassina di McCarty? O forse anche lei era stata uccisa?
La polizia perquisì le campagne in lungo e in largo, ma non c’era alcuna traccia di eventuali aggressioni o segni di ruote di macchine tranne quelle della Bmw X3 di Andrew Miles. Nient’altro.
“Secondo me c’è lo zampino degli alieni” era la tiritera di Margaret McLeod, proprietaria di un negozio di ortofrutticoli non molto distante da casa McCarty “Quel povero ragazzo studiava quelle cose lì: doveva aver scoperto qualcosa di davvero importante e gli alieni devono averlo ucciso. E poi, tranciato in due: un essere umano non potrebbe mai uccidere qualcuno in una maniera così orribile!”.
Ma l’ipotesi degli alieni non fu presa minimamente in considerazione dagli inquirenti, nonostante l’insistenza della signora McLeod e di molte altre persone facilmente suggestionabili.
Tutti i sospetti puntavano su Ilva Stuart. E su Andrew Miles e Mary Avery.
Il fatto che i due si trovassero sul luogo del ritrovamento del cadavere era una cosa decisamente strana e sospetta, non solo per l’ispettore Griffith ma anche per il sergente Stahl e molti altri cittadini.
“Non sono stato io!” continuava a gemere Andrew Miles, ancora ricoverato in ospedale in evidente stato di shock “Come ve lo devo dire che conoscevo solo di vista Matt? A malapena ci saremo salutati qualche volta! Ho fatto retromarcia e me lo sono ritrovato sotto la macchina, ma era già morto! Vi sembro il tipo che va segando le persone a metà?!”.
L’ispettore Griffith tuttavia ogni giorno si presentava in ospedale per interrogare lui e Mary, i quali continuavano a ripetere che non c’entravano nulla con tutta quella storia e si erano semplicemente ritrovati il cadavere di Matt McCarty sotto la macchina.
L’intera città era sotto shock: mai e poi mai, nella storia di Greentown, si era parlato di omicidio. E poi, Andrew Miles, a detta di tutti un bravissimo ragazzo, non poteva di certo aver compiuto una cosa così orribile.
Ma la faccenda si fece sempre più torbida e, una volta fuori dall’ospedale, Andrew e Mary passarono un’intera giornata in commissariato, sotto il torchio dell’ispettore Griffith e del sergente Stahl.
“Dove si trovava la notte del dodici Novembre intorno alle ventiquattro?”.
Andrew sbuffò: “Agente, gliel’ho già detto, ero in giro con Eleonore Bogart, la stavo accompagnando a casa sua”.
L’ispettore Griffith, un uomo alto, con sguardo cupo e un bel paio di baffi a manubrio, continuava a guardare in cagnesco il ragazzo mentre fumava il suo sigaro cubano. Era un uomo che aveva sempre saputo trattarsi bene, intransigente e autoritario a detta di tutti, sposato ma senza figli. Un tipo burbero, difficile da convincere, abbastanza testardo e anche un po’ misogino. Insomma, non l’ideale di persona.
“Senti un po’, ragazzino” borbottò con tono diffidente “Eleonore Bogart non è in città, guarda caso è partita la mattina del tredici. La stiamo provando a chiamare ma non risponde. E i suoi genitori hanno detto di averla vista rincasare la notte tra il dodici e il tredici intorno alla mezzanotte e quaranta. Per quanto ne sappiamo, tu potresti benissimo essere andato ad ammazzare McCarty con lei per poi accompagnarla a casa”.
“IO A MEZZANOTTE ERO SOTTO CASA BOGART”.
“E allora perché diamine la ragazza è salita dopo quaranta minuti a casa sua, eh? Ce l’hai una spiegazione per questo? Cosa inventerai ora?”.
Andrew avvampò: “Ispettore, immagino che lei non abbia mai sentito parlare della parola sesso”.
Griffith dovette interrompere la sua boccata di sigaro e iniziò a tossire violentemente, gli occhi che lacrimavano e il respiro mozzo: “Cosa diamine hai detto, Miles?!” urlò quando riuscì a riprendere fiato.
“Sesso” ripeté il ragazzo, con tranquillità “Sotto casa della Bogart, in  macchina. Se non sa cosa significhi, posso farle un disegnino…”.
“Finiscila Miles” sbottò l’altro digrignando i denti “Chi può testimoniarlo, oltre alla Bogart, eh? Nessuno!”.
“Signore, ci sarebbero le telecamere di sorveglianza della banca affianco a casa Bogart. Se il ragazzo aveva veramente parcheggiato lì sotto come dice, forse potremmo…”.
“Sì, va bene Stahl, grazie” commentò secco l’ispettore guardando in cagnesco il suo sergente.
“In effetti, sì, molto probabilmente le telecamere avranno ripreso tutto. Il che mi scagionerebbe definitivamente”.
L’ispettore e Andrew si scambiarono occhiate colme di astio: “E va bene Miles, puoi andare. Ma se su quei nastri non dovesse esserci traccia della tua X3, ti avverto che non la passerai liscia”.
Andrew, senza proferire alcuna parola, prese la sua giacca, si alzò e uscì dall’ufficio dell’ispettore.
Chiusa la porta del commissariato, tirò un sospiro di sollievo: cosa diamine era successo? Chi aveva ucciso Matt McCarty? Qualche delinquente? O forse davvero Ilva Stuart?
Scosse il capo: la seconda ipotesi era davvero improbabile, Ilva era sempre stata una ragazza strana ma Andrew non la riusciva davvero ad immaginare mentre segava in due il povero Matt. No, decisamente non doveva essere stata lei. Ma chi, allora?
“Andrew!”.
Il ragazzo si voltò, riconoscendo la voce che lo aveva chiamato: “Amy!”.
La bambina gli corse incontro, gettandosi tra le sue braccia “Andrew, mi sei mancato. Cosa ti hanno fatto?”.
Andrew la abbracciò chinandosi verso di lei: “Sto bene, Ame. Non  mi hanno fatto nulla, avevano solo bisogno di farmi alcune domande. Ok?”.
“Ma è vero che Matt McCarty è morto? Il fratello di Lysa?”.
Andrew fece una smorfia: non si poteva nascondere assolutamente nulla a quella bambina; incredibile ma vero, riusciva a scoprire qualsiasi cosa.
“Sì, tesoro. Purtroppo è vero” sospirò nel dirglielo, mentre la prendeva per mano e raggiungeva sua madre e sua sorella sull’altro marciapiede.
“Drew!” Ross gli gettò le braccia al collo “Allora? Ti hanno scagionato?!”.
“Griffith non si fida di me. Mary è ancora dentro, ma io dovrei avere una registrazione di una telecamera che conferma il mio alibi. Secondo il medico legale, Matt è stato ucciso intorno alle dodici e venti, e io a quell’ora ero sotto casa Bogart. Le telecamere della banca dovrebbero aver ripreso tutto”.
Sonia Miles trasse un gran sospiro: “Che brutta storia. Orribile".
“Speriamo si risolva in fretta… notizie di Norma?”.
“Oh, sì, ha chiamato stamattina per sapere di te… le ho detto che appena saresti tornato a casa l’avresti chiamata”.
“Vado direttamente a casa sua. Oh, naturalmente la macchina mi è stata sequestrata in quanto elemento implicato nelle indagini… non so quando potranno ridarmela”.
“Abbiamo sempre l’utilitaria! Useremo quella, che problema c’è?” la madre gli sorrise dandogli una pacca sulla spalla.
“Coraggio, andiamo a casa!” Andrew prese in braccio Amy e assieme alle altre due donne si avviò verso casa sua, il passo tranquillo e rilassato mentre nella sua testa c’era una guerra in corso.
Cosa era successo la notte del dodici a Greentown?
 
 
*
 
 
China sui libri da circa due ore, Norma Hutch cercava di ripetere l’immenso programma del suo imminente esame di anatomia patologica, con scarso successo: la sua testa era altrove, troppo presa dal pensiero dell’omicidio McCarty per poter ripetere le patologie infartuali epatiche.
Il campanello suonò nel preciso istante in cui chiuse il libro con un colpo secco:  udì alcune voci provenire dalla cucina, ma non riuscì a riconoscerle.
Le ronzava la testa e le tempie le pulsavano sgradevolmente. Tutto quello di cui necessitava al momento era una tazza di camomilla.
Alzandosi pigramente dalla sua sedia, infilò le ciabatte e si diresse con passo strascicato in cucina.
Ma già uscendo dalla camera riconobbe le voci che interlocuivano in cucina.
“Sono pazzi, questo è il punto! Non possono tenere per giorni un ragazzo sotto il torchio, è assurdo! E poi, che peccato avresti fatto tu, eh? Hai investito il cadavere, se fossi stato tu l’assassino saresti stato così idiota da chiamare loro? Avanti, Andrew, sono tutti una massa di idioti là dentro!”.
“Sono d’accordo con te, Greg”.
Andrew. Era la sua voce!
Norma sentì le gambe tremarle incontrollatamente: cosa avrebbe dovuto fare? Abbracciarlo? Ignorarlo? Saltargli al collo e piangere tutte le lacrime represse in quei giorni? L’ultima volta che si erano incontrati lui le aveva urlato contro di lasciarlo in pace. Ma, d’altronde, era la sera del ritrovamento e lui era decisamente fuori di sé…
Senza nemmeno rendersene conto, Norma si ritrovò in cucina pochi istanti dopo.
“Andrew” mormorò, fermandosi sull’uscio della porta e fissandolo con le braccia incrociate.
Il ragazzo era seduto su una sedia, i gomiti appoggiati sul tavolo e il capo chino, le mani che carezzavano il capo. Nello stesso istante, il ragazzo sollevò la testa di scatto e fissò Norma a bocca aperta.
“Norma” boccheggiò.
La ragazza gli si avvicinò e gli fece un sorrisetto incerto: “Ti hanno rilasciato, finalmente”.
“Proprio ora!” esclamò Andrew, forse a voce un po’ troppo alta “Quel Griffith mi ha tenuto per ore dentro!”.
Fissò la sua interlocutrice che gli era ormai davanti e lo fissava  a metà tra l’arrabbiato e il sollevato.
“L’importante è che tu sia qui”.
I due si abbracciarono all’istante, mentre Greg e Giudith commentavano dicendo “Povero ragazzo” e “Giudith, offri qualcosa di caldo a Andrew, prepara una cioccolata calda!”.
“No, grazie!” intervenne il ragazzo sciogliendosi dall’abbraccio dell’amica “Preferirei una camomilla. Mi ci vuole qualcosa che mi aiuti a rilassarmi, ho i nervi a fior di pelle”.
“Ci credo, povero caro!” commentava la signora Hutch mentre riempiva di acqua bollente una tazza abbastanza capiente. Norma faceva lo stesso al suo fianco.
“E allora, cosa si dice in commissariato?” chiese la ragazza, aprendo un pensile e tirandone fuori due bustine di filtrato per la bevanda “Hanno qualche sospetto che sia fondato, oltre a quello idiota riguardo te e Mary?”.
Andrew scosse il capo: “Parlavano di Ilva, ma solo perché non è stata ancora ritrovata ed è l’ultima persona che è stata vista con Matt.  Ma per ora non ci sono altri sospetti”.
Norma sospirò: “Questa faccenda mette veramente i brividi. Segato in due, sembra quasi un film dell’orrore!”.
“Puoi dirlo forte!” intervenne suo padre “La gente è matta, ve lo dico io! Io ogni giorno ho a che fare con certi idioti all’ospedale, l’altro giorno ad esempio una signora si è precipitata in Anestesia e Rianimazione per far anestetizzare il suo cane. Voleva dieci fiale di valium!”.
“Dieci fiale di valium?” Giudith sbatté le palpebre perplessa “Ma quanti anni aveva?”.
“Mah, secondo me aveva abbondantemente superato i settanta. Doveva essere alquanto suonata”.
Scuotendo il capo, la signora Hutch porse la tazza colma di camomilla a Andrew mentre commentava: “La gente sta impazzendo sempre più! Non ci sono più persone normali su questo pianeta! Stanno impazzendo tutti, uno ad uno! Dev’essere qualche sostanza nell’aria, o forse in quello che mangiamo! Pensaci, Greg, la percentuale di tumori è incrementata del dieci per cento rispetto all’anno scorso e in più la gente diventa sempre più matta!”.
“Vieni, andiamo di là” sussurrò Norma prendendo Andrew per mano e dirigendosi in camera sua mentre suo padre replicava all’osservazione della madre.
“Tua madre ha ragione, comunque: qui tutti impazziscono a vista d’occhio! Prendi Griffith: si è accanito su di me in maniera insana!” sbottò Andrew dopo aver posato la tazza colma di camomilla sulla scrivania e gettandosi a peso morto sul letto della ragazza.
“Già. E io sto impazzendo appresso a questo dannato esame” Norma fece un cenno all’enorme volume di anatomia patologica, ben chiuso, sul quale Andrew aveva posato la sua tazza.
“Allora, baby, cos’è accaduto qui tra la gente normale? Qualche novità?” chiese Andrew, virgolettando le parole “gente” e “normale”.
“Le solite stupidaggini” rispose Norma con tono spiccio “La notizia del cadavere di McCarty ormai è l’unico argomento di discussione in giro, ne parlano persino i professori in università. In quanto a Ilva Stuart, la maggior parte della gente pensa che lei sia l’assassina e che il caso verrà chiuso una volta riacciuffata dalla polizia. Ma io non penso che Ilva sia un’assassina”.
“Proprio quello che ho pensato io questa mattina” mormorò Andrew mettendosi a sedere “Non è il tipo di persona che compie omicidi. Ma, d’altronde, la gente è matta. Potrebbe aver avuto un momento di follia e ha ammazzato il povero Matt. No?”.
“Papabile come opportunità. Eppure non mi convince” Norma sorseggiò della camomilla dalla sua tazza, poi la posò anche lei sulla scrivania, andandosi a sedere accanto a Andrew.
“Qualcosa mi dice che anche Ilva ha fatto una brutta fine” commentò, guardando il suo amico con un misto di preoccupazione e ansia.
Lui fece spallucce: “E chi lo sa, baby. Ma per quanto mi riguarda, ho chiuso con i ritrovamenti di cadaveri!”.
Norma annuì: quella situazione era preoccupante e l’aveva profondamente scossa.
Un omicidio, a Greentown! Cos’altro sarebbe accaduto?
C’era da aspettarsi di tutto, dopo quel macabro ritrovamento.
La gente iniziò a rincasare prima la sera e i bambini non si vedevano più in strada dopo le sei del pomeriggio. Greentown aveva paura. C’era qualcuno malintenzionato là fuori e bisognava stare con gli occhi aperti, costantemente.
La polizia si ritrovò in quei giorni ad affrontare un’ondata di telefonate, che puntualmente arrivavano dal crepuscolo in poi, di persone che dicevano di aver visto un uomo aggirarsi nei dintorni munito di sega elettrica; una coppia di anziani fu così insistente al riguardo che, mandata una pattuglia a controllare la situazione, si scoprì che il tanto temuto personaggio altri non era che il falegname Arnold McKenzie, che aveva appena finito di riparare un’anta di un armadio in una casa lì vicino.
“Signora, la prego di non disturbarci la prossima volta!” aveva detto con tono sgarbato l’ispettore Griffith, il solito sigaro in bocca e il fido sergente Stahl alle calcagna.
“Signore, sono le otto di sera”.
“E allora, Stahl?”.
L’uomo, basso e con un'incipiente calvizie, abbassò il capo: “Vede, signore, oggi è il compleanno di mio figlio e vorrei poter arrivare in tempo a casa per poterlo festeggiare”.
“Sì, d’accordo, puoi andare. E visto che ci sei, accompagnami al commissariato”.
“Certo, signore!”.
L’autopattuglia che li aveva accompagnati era andata via da pochi minuti e i coniugi Swanson che li avevano fatti trafelatamente arrivare lì erano tornati in casa, con tanto di doppia mandata di chiavi.
“Questo posto è veramente da brividi” commentò Griffith entrando in macchina, mentre osservava attento le ombre dei faggi sulla strada e la fioca illuminazione sul viottolo.
“Oh, sì signore, ho pensato la stessa cosa quando siamo arrivati qui poco fa” rispose prontamente Stahl mettendo in moto la macchina.
Accesi i fari, con un colpo dell’acceleratore per dare man forte alla frizione difettosa, la macchina partì sbottando di tanto in tanto.
“Questa storia è da matti, Stahl” cominciò Griffith “Un ragazzo segato in due perfette metà e la sua amica scomparsa. Miles è innocente, Avery ha anche un alibi di ferro dato che quella sera era a casa dei suoi zii e ci sono ben tredici testimoni a confermarlo… allora chi diamine ha ucciso McCarty?”.
“La Stuart, signore?” suggerì timidamente Stahl.
“Sì, la Stuart” commentò l’altro aspirando una boccata di sigaro “Potrebbe essere lei. Ma quella ragazza non mi convince, Stahl, non credo sia il carnefice ma forse potrebbe essere un’altra vittima anche lei”.
“Lei crede, signore?”.
Griffith annuì, lo sguardo perso per le lunghe fila di faggi: gli sembrava di essere in un romanzo, uno di quelli di Agatha Christie, dove il brillante Hercule Poirot riesce sempre a trovare l’assassino e a sciogliere ogni dubbio. Ma, purtroppo, lui non era Hercule Poirot e quella era la realtà, non un romanzo di successo.
“Si direbbe, Stahl, che questa situazione sia molto simile a… FRENA STAHL! FRENA!”.
La macchina si fermò di botto a centro strada: il sigaro cadde di bocca a Ivan Griffith che, tremante, scese dalla macchina mentre uno spaventato Stahl chiedeva balbettando “Signore? Cosa s-s-suc-c-ede?”.
L’ispettore camminò ancora verso un faggio alla sua destra, il buio non gli consentiva di distinguere chiaramente la sagoma accasciata lì poco dinanzi a lui.
Quando fu abbastanza vicino, si chinò a fissare il giovane volto di Ilva Stuart che, esanime, esibiva un’espressione raccapricciante, la bocca ancora aperta in un silenzioso e disperato richiamo d’aiuto.
   
 
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