2. È una grande abilità saper nascondere la
propria abilità.
Ad
un certo punto della mia vita, con sommo stupore della Moglie Migliore del
Mondo, ottenni la cattedra di Babbanologia alla
scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. In quanto
Professore, mi capitò di essere spedito dal Preside sulle tracce di bambini
nati Babbani che avevano dato chiari segni di
possedere la Magia. Di solito questa circostanza impensieriva i genitori Babbani, spessissimo li confondeva, talvolta li
terrorizzava, quasi mai li inorgogliva. Era molto difficile per loro
comprendere di avere un figlio che, all’età di tre anni e senza alcun
preavviso, aveva richiamato a sé i giocattoli senza muovere un muscolo, o una
figlia che si divertiva ad intrecciarsi i capelli, quindi intrecciare la coda
del gatto, quindi intrecciare qualsiasi cosa fosse intrecciabile, compresi i
tubi del bagno. Così, nei casi più delicati, mi si riconosceva una competenza
tale da poter trattare con i genitori senza che questi, in uno scatto d’isteria
non troppo dissimile da quello che coglie i Maghi e le Streghe ai primi,
disastrosi esempi di Smaterializzazione, tentassero di prendermi a randellate,
cosa che in un’occasione o due sono arrivati a fare. Un tale riconoscimento delle
mie qualità chiaramente mi lusingava, ma non nascondo che talvolta il pensiero
che qualcuno a scuola volesse liberarsi di me ha sfiorato la mia mente1.
Venni
così in contatto con una sfilza di Babbani dai
comportamenti decisamente interessanti, almeno per uno studioso: una signora
che andai a visitare era ancora convalescente dalla notizia che la figlia
sarebbe entrata ad Hogwarts ed iniziava a tremare
ogni volta che qualcuno pronunciava le parole Mago, Magia o Magenta (quest’ultima sostanzialmente per
un falso allarme); un uomo sulla quarantina invece aveva la scortese abitudine
di torcere il collo a chiunque si proclamasse Mago o Strega, motivo per cui i
suoi figli gemelli preferirono adottare i nomi in codice dalla discutibile
efficacia Goma
e Gresta; e poi c’era il povero Babbano che esibiva il viso paonazzo di chi annaspa sotto
un peso tremendo: nel suo caso, la consapevolezza che il figlio poteva
trasfigurarlo in un coniglio alla prima sgridata. Capite come, in ognuna di
queste incursioni, mi si richiedesse un intervento preciso, diciamo con un
margine d’errore di un pelo di Kneazle.
Ricordo
vividamente una di queste visite. Armato di buona volontà e di una copia di “Babbani &
Baccani: come frequentare i primi ed evitare i secondi”, mi recai in Devon, presso l’abitazione di Maggie Burke, Babbana e madre di Alphonse, un vispo undicenne che aveva
da poco ricevuto la propria lettera da Hogwarts.
Curiosamente, la Signora Burke non solo non sembrava aver mai notato le
stranezze del figlio fino all’arrivo della lettera, ma, adesso che aveva
appreso della sua natura, non se ne mostrava affatto preoccupata. Rimasi
allibito: era, questa, una novità per me. In effetti la Signora Burke era colta
da crucci di tutt’altra natura: ci sarà
freddo ad Hogwarts? Rischia di raffreddarsi? Quanti
maglioni devo dargli? E se cadesse? E se litigasse con qualcuno? E se si
ammalasse? E se esplodesse? Nella sua mente – e non solo nella sua mente:
anche nel suo salottino, mentre io, sprofondato nella sua poltrona a fiori,
sorseggiavo del delizioso tè alla cannella – si agitavano vorticosamente le
domande che ogni madre apprensiva, Babbana o meno, si
pone di fronte all’incombente separazione dal figlio.
Pesano troppo le bacchette?
Affatto. E se gli finissero in un
occhio? Ci vorrebbe notevole impegno
per fargliele entrar tutte. Nessuna rassicurazione da parte mia sortiva il
benché minimo effetto su di lei: dopo venti minuti d’implacabile pulsione
inquisitoria, Maggie Burke era ancora lì, trepidante, a riempirmi la tazza di
tè ogni volta che reputava ce ne fosse troppo poco, e a chiedermi in modo
tutt’altro che metaforico se suo figlio avesse potuto perdere la testa o un
qualsiasi arto mentre era a lezione. Mentre mi affannavo a risponderle che ogni
pratica del genere era ormai caduta in disuso2 e
che Alphonse, verosimilmente, non sarebbe stato decollato, spostai l’attenzione
su un manufatto Babbano che stava in un angolo:
“Posso chiedere di che si tratta?”, le chiesi con vivo interesse.
“Una
racchetta elettrica per le mosche”, mi rispose fiaccamente.
“Oh,
interessante” dissi con giubilo. “Ho sempre trovato terribilmente affascinante
l’elettricità. Sa,” aggiunsi a mo’ di chiarimento, “noi non abbiamo nulla del
genere.”
“No-non
avete elettricità?” chiese lei, visibilmente scossa. Fu come aver dato il pepe
alla Salamandra. Ricominciò a rigurgitare le sue angosce, ora corroborate dalla
certezza che suo figlio non avrebbe avuto come sopravvivere in un cupo castello
senza energia elettrica.
A
questo punto, dovetti riparare nel territorio amico delle frasi di circostanza.
Dopo aver azzardato una citazione di Beda il Bardo,
mi ritirai in buon ordine e da quel momento in poi il mio contributo alla
conversazione si limitò a una serie di «ah sì», « ma no, per Merlino» e «oh ma
cosa mi dice». Quindi chiesi di poter conferire col piccolo Alphonse. Permesso
che mi fu accordato di malavoglia.
Alphonse
si trovava in una disposizione di spirito diametralmente opposta a quella della
madre. Durante tutta la nostra passeggiata in giardino, non fece che saltellare,
raccontandomi tutto quanto c’era da sapere sulle sue tonsille e sulla
trepidazione con cui aspettava di entrare ad Hogwarts.
Quindi puntualizzai: “È ben strano che non si sia verificato alcun segno di
Magia, prima dell’arrivo della lettera. Di solito i bambini li manifestano ben
prima degli undici anni.”
“Oh,
ma a me son capitate tutte prima, quelle cose.”
Inarcai
le sopracciglia.
“Sì,
c’è stata la volta in cui ho fatto sparire i croccantini di Stu.
Poi quella in cui l’ho fatto volare per qualche minuto. E poi quella in cui…” E
andò avanti ad elencare fieramente le prodezze di cui era stato capace, la
maggior parte delle quali compiute ai danni del povero carlino di casa.
“E
poi ancora -”
“E
come mai non hai fatto cenno delle tue gesta a tua madre?”
Lui
mi rifilò uno sguardo compunto, come se fosse desolato di scoprirmi tanto
stupido da non comprendere le sue palesi ragioni.
“Per
non far preoccupare la mamma”. Stu si affacciò dalla
porta di casa, scodinzolando. Alphonse, intercettatolo, partì di corsa e la
nostra passeggiata finì lì. Non mi dispiacque: avevo saputo quanto mi serviva
sapere, inoltre temevo che la madre, impensierita dall’assenza del bambino,
uscisse da un momento all’altro per setacciare il giardino in cerca dei suoi
resti.
Quando
rientrai per salutare la Signora Burke, che tra l’altro mi aveva fatto dono di
un bellissimo affettaverdure che prevedevo mi sarebbe stato invidiatissimo dai
colleghi3,
lei asserì con convinzione: “Non può partire per Hogwarts”.
Aveva un tono sicuro, a tratti incrinato da una sottile scheggia d’isteria,
della quale peraltro sembrava più che consapevole.
“Perché
no?” chiesi, senza scompormi.
“Perché…
ha avuto il raffreddore”.
Sbattei
le palpebre un paio di volte, in risposta.
“Un
paio di settimane fa” aggiunse. E sorrise, desistendo una volta per tutte
dall’intento di trattenere il figlio in casa.
Sorrisi
anch’io. Quindi le posi la fatidica domanda: “Davvero non si era accorta che
Alphonse aveva abilità che vanno oltre le possibilità Babbane?”
Il
suo sorriso divenne ironico: “Ma certo che mi ero accorta che in lui c’era
qualcosa di speciale. Sapevo anche che me lo teneva nascosto per evitare che
perdessi la testa.” Qui parlò in senso metaforico, certamente. “Altrimenti come
crede che sarei potuta essere così preparata?!”
Le
reazioni dei Babbani alla Magia possono essere varie
e tutte degne d’interesse. Quella volta scoprii che non sempre preferiscono non
sapere. A volte preferiscono fingere di
non sapere. E nascondersi a vicenda i propri talenti. E fingere di non sapere
perché gli vengono nascosti.
Dice
sempre la Moglie Migliore del Mondo, dimostrando grande perspicacia, che è una
grande abilità saper nascondere la propria abilità.
1. Tuttavia potrebbe trattarsi
di suggestione: in quel periodo leggevo moltissimi romanzi gialli, come “Berretto
Rosso Sangue”, “Fate assatanate” e “Quella volta che un anatema squarciò le
tenebre”.
2. Nonostante le lamentele di un
muffito gargoyle che un tempo stazionava al quarto
piano, di fronte alle scale, e che, sputacchiando abbondantemente, usava
rivendicare per sé il titolo di “autorevole pedagogo”. Fu accidentalmente
infranto da un vecchio Custode intento a spolverarlo. Nessuno se la sentì di
sollevare dubbi su quell’”accidentalmente”.
3. Previsione curiosamente
smentita dalla realtà. Non tutti hanno buon gusto.
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Eccomi qui.
Sì, oops, sono passati due Lunedì.
Prima di eclissarmi, mi ritaglio uno
spazietto per ringraziare tutti i recensori, seguaci e preferitori.
Non ringrazio i ricordatori, perché non ce ne sono. E vi dico che il prossimo
aggiornamento dovrebbe arrivare Lunedì prossimo, ma non lo garantisco per via
della sessione d’esami.
Cattiva, sessione d’esami. Brutta e cattiva.
Userei epiteti più coloriti, ma non vorrei si vendicasse.
A presto!
WS
Ma che dico,
aspetta. La frase che dà il titolo al capitolo è tratta dalle Riflessioni morali di quel simpaticone
di LaRochefoucauld.
I Berretti
Rossi, diffusi nel Nord Europa, sono simili a nani e hanno la sgradevole
abitudine di abitare campi di battaglia o un luogo in cui sia stato versato
sangue umano. Sono particolarmente pericolosi per i Babbani
che vagano solitari nelle notti buie. Tutto questo chiaramente è spiegato ne Gli Animali fantastici, non me lo sono
mica inventato. Quello che ho inventato è il testo Babbani & Baccani: come frequentare i primi ed evitare i secondi, nel
caso vi venisse in mente di cercarne menzione nei libri di HP.
Ok, devo
aver concluso. Ciao-ciao!