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Autore: Yahohel    17/09/2013    3 recensioni
Il Dottore mangia larve velenose ed è costretto a tornare bambino per ventiquattr'ore. Sarà compito di Rose prendersi cura di lui.
“Buona fortuna Rose” disse il Dottore mentre cominciava a illuminarsi “Da quello che mi ricordo, ero un bambino piuttosto pestifero” sorrise, mentre l’intero Tardis veniva invaso di luce e la ragazza fu costretta a chiudere gli occhi.
[baby!Doctor][Rose/Ten]
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 10, Rose Tyler
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Terzo Capitolo

 

Quando il Dottore, tempo prima, le aveva detto che il Tardis aveva tantissime stanze lei ci aveva creduto. Voglio dire, dopo essere riuscita a superare il fatto che in una cabina blu della polizia ci fosse una nave spazio-temporale, aver viaggiato nel tempo e via dicendo, la parola impossibile era praticamente sparita dal suo vocabolario. Di fatto, però, non ci aveva pensato più di tanto, si era semplicemente limitata all’utilizzare poche stanze: la camera da letto, la cucina, il guardaroba per i viaggi nel passato. Il centro commerciale, ad esempio, l’aveva scovato sbagliando strada per il bagno.

Non si era mai fermata molto a riflettere sull’immensità della cabina blu, troppo presa dalle meraviglie che poteva scoprire fuori.

Ad ogni modo, ora, mentre teneva per mano John e osservava l’infinità di porte davanti a lei, si chiese se fosse saggio girovagare per la nave senza avere la più pallida idea di dove fosse.

Certo, il Dottore le aveva detto che avrebbe trovato qualsiasi cosa le servisse nelle stanze, ma da lì a gettarsi a capofitto nel cuore del Tardis, aprendo porte, incurante di cosa potesse esserci dentro o del fatto di avere un bimbo di sette anni al seguito, c’era un po’ di differenza.

Non voleva metterlo in pericolo, voleva solo che le ventiquattr’ore passassero, così lei e il Dottore sarebbero tornati a fare quello che sapevano fare meglio: viaggiare.

Non avrebbe potuto essere certa di tenerlo al sicuro, però: non aveva la più pallida idea di cosa ci fosse al di là di quelle porte. Un’orda di assassini, una macelleria, il forno per fare il pane… Mille erano i pericoli, e gli scenari che si stavano formando man mano nella sua testa non erano di certo incoraggianti. Non avrebbe dovuto accettare la proposta di John così a cuor leggero.

Mentre Rose ragionava, il piccolo era andato avanti, guardandosi intorno e sbirciando i corridoi, con la stessa espressione estasiata del Dottore mentre pilotava il Tardis.

Le ricordò di quando, con quel suo sorrisone folle, le aveva detto di tenersi forte perché la sua piccola li avrebbe portati ovunque volessero. Lei  aveva riso, perché parlava della cabina come della sua ragazza, e lui si era imbronciato, sostenendo che se avesse continuato così l’avrebbe offesa e non era raccomandabile inimicarsi una nave spazio-temporale.

Aveva ridacchiato ancora ed era andata nel corridoio in cerca della cucina, senza trovarla.

“Dottore! È sparita la cucina!” si era lamentata con le mani sui fianchi, tornando nella sala comandi.

Il Signore del Tempo le aveva rivolto un sorrisino furbo e Rose avrebbe giurato di aver visto un lampo di vittoria nel suo sguardo. “Ti avevo detto che avresti potuto offenderla” aveva detto semplicemente, tornando ad armeggiare sotto la console.

“Mi stai dicendo che l’ha fatta sparire per vendetta?” aveva sbottato incredula, sporgendosi per guardarlo in faccia.

Lui aveva alzato lo sguardo, il compiacimento che sprizzava da tutti i pori.

“Io te lo avevo detto.”

Il Dottore adorava avere ragione.

“E come dovrei fare, di grazia, per prepararmi un the?” aveva replicato lei scocciata.

“Potresti chiederle scusa” aveva risposto lui, senza la minima traccia di sarcasmo.

La ragazza lo aveva guardato scioccata per un attimo, poi era tornata in corridoio a “chiedere scusa ad una macchina”.

Riflettendoci ora, il Dottore le aveva ripetuto varie volte che il Tardis era senziente, semplicemente lei non ci aveva mai fatto caso più di tanto. L’episodio che le era tornato alla mente, ad ogni modo, era la prova che l’astronave ascoltava e capiva, come quando le aveva chiesto scusa e la porta della cucina le si era aperta davanti.

Avrebbe potuto chiedere alla macchina di non aprire stanze pericolose, si disse.

In quel momento, si accorse che John aveva puntato una porta e stava allungando la manina per aprirla.

“Ti prego, fa che non ci sia niente di pericoloso!” bisbigliò supplicante, mentre il ragazzino spariva al di là dell’uscio.

Un urletto la raggiunse e si affrettò a varcare la soglia, pronta al peggio.

Nella stanza non c’erano mostri marini o punte avvelenate come aveva temuto. Il posto era enorme e le ricordava il centro commerciale per la grandezza e l’assoluto silenzio.

Non c’era un’anima, solo il Dottore che tendeva il collo per cercare di vedere la cima delle montagne russe di fronte a loro.

La stanza era un Luna-park.

A quanto pare il Tardis l’aveva ascoltata, seguendo più o meno la scaletta che si era prefissata: vestiti, pappa e giochi. Avrebbe dovuto ringraziarla.

“Grazie” bisbigliò incerta, ma sincera. Le sembrò quasi di sentire un ronzio in risposta.

“Allora” fece ad alta voce affiancando il bambino “Su quale giostra vuoi salire per prima?”

John si guardò un po’ intorno, indeciso su quale scegliere tra le tante, ma alla fine il suo sguardo tornò su quella che lo aveva affascinato dall’inizio: le montagne russe.

Rose ridacchiò e lo prese per mano “Forza allora, andiamo! Allons-y!” disse, ripensando ai momenti in cui era il Dottore a dirlo con un filo di malinconia.

“Cosa significa allons-y?” chiese il bimbo curioso, strappandole un sorriso, mentre camminavano.

“È francese, significa “andiamo”. Il mio amico lo dice sempre” rispose lei addolcendo lo sguardo.

“Il Dottore?” ricordò lui.

“Il Dottore” confermò lei senza aggiungere nulla.

John non chiese, probabilmente intuendo la sua preoccupazione, nonostante i suoi sette anni. Rose non era veramente preoccupata, sapeva che il Dottore stava bene, era solo tornato bambino dopotutto,  ma le mancava ugualmente.

Si sforzò di sorridere, prendendo il bimbo in braccio per farlo sedere nel vagoncino. Prese posto e abbassò la sbarra, indecisa su come procedere. Se non c’era nessuno a controllare i comandi, come avrebbero azionato la giostra?

Le avrebbe fatto comodo il cacciavite sonico del dottore, al momento.

Dopo pochi secondi, ad ogni modo, la macchina prese a muoversi, all’inizio lentamente, poi sempre più veloce.

A quanto pare il Tardis era del tutto automatizzato. O semplicemente l’aveva vista in difficoltà e aveva deciso di intervenire. Non era da escludere la seconda opzione, perciò la ringraziò di nuovo a bassa voce.

Il vagone aveva cominciato a salire e gli urletti eccitati di John le stavano facendo venire un gran mal di testa. Si chiese se tutti i bambini urlassero in maniera così acuta o fosse una caratteristica tipica del Dottore. I gridolini folli erano una sua prerogativa anche da adulto, dopotutto.

Aggiunse anche questa alla lista delle cose che il bimbo aveva mantenuto dopo il ringiovanimento.

La macchina aveva raggiunto la cima, nel frattempo, e Rose ebbe giusto qualche secondo per ricordarsi di mantenere un minimo di dignità e non lasciarsi andare a urli di terrore. Si aggrappò alla sbarra con entrambe le mani, per sicurezza.

“John?” lo chiamò preoccupata. Aveva sette anni, e a quell’età teoricamente non si poteva salire sulle montagne russe. O almeno questo era quello che aveva imparato dai film, con il cartello per l’altezza minima e via dicendo. “Credo sia meglio tu ti tenga forte. Andremo un tantino veloci” disse accennando un sorriso.

“Mi piace andare veloce!” ribatté eccitato l’altro, guardando avanti, pronto alla discesa.

Rose non fece in tempo a dire altro che il vagone precipitò.

 Erano ovviamente sempre ben ancorati alle rotaie, ma l’impressione era quella di cadere fino a sfracellarsi al suolo. Fu relativamente breve, giusto il tempo per urlare e credere di essere a un passo dalla morte, per poi rallentare fino a fermarsi.

Raggiunto il blocco, Rose si voltò verso il posto al suo fianco, per controllare che il Dottore fosse seduto ancora lì e non fosse volato via, dato che per tutta la discesa aveva totalmente ignorato la barra metallica ed era abbastanza magro da sgusciarne fuori.

Era ancora lì con i capelli sparati da tutte le parti e un sorriso da un orecchio all’altro.

“Lo rifacciamo?”

Prevedibile.

*

Dopo qualche altro giro – e con qualche si intende fino a quando il Dottore non si fu stancato di tuffarsi nel vuoto a tutta velocità – stavano di nuovo passeggiando mano nella mano tra le varie giostre, in cerca della successiva su cui salire. John era indeciso e Rose si era stancata di andare avanti e indietro tra Il Tiro a Segno e l’autoscontro, in attesa che il piccoletto si smuovesse.

“Facciamo così” disse Rose bloccandosi “scelgo io: prima andiamo a uno e poi all’altro” disse semplicemente.

Il bimbo saltellò in direzione del tiro a segno, contento che il problema fosse finalmente risolto.

Lo stand era esattamente come quelli del tiro a segno sulla Terra, tranne che le pistole erano laser. La ragazza sperò fortemente che il bambino non decidesse di puntarsela, o puntargliela, contro.

“Rose!” la chiamò John “vincerò un pupazzo per te” promise solenne.

Lei ridacchiò, mentre il piccolo si metteva gli occhiali protettivi e puntava la pistola sulla prima sagoma di un alieno pieno di tentacoli. Era strano vedere il Dottore con un’arma in mano, anche se giocattolo. Era da sempre abituata a lui, disarmato, con il suo cacciavite sonico.

Probabilmente non ricordava più cosa lo aveva portato da adulto a disprezzare le armi, e a evitarle il più possibile. O forse si stava semplicemente godendo il gioco come qualunque bambino della sua età. Rose non avrebbe saputo dirlo, ma poteva dire con certezza che il vero Dottore cominciava a mancarle sempre più, nonostante tutte le analogie che evidentemente c’erano.

Un rumore la riscosse. John aveva abbattuto con successo anche la terza sagoma aliena e attendeva con ansia il suo premio. Un braccio meccanico prese uno dei pupazzi nella teca – un Judoon di pezza enorme – e lo porse con molta gentilezza al bambino.

In men che non si dica si ritrovò il Dottore davanti che, con tutta la solennità del momento, le tese il giocattolo. Rose lo prese e abbracciò tutta contenta il ragazzino, dimenticandosi per un attimo del ringiovanimento e di tutti i problemi collegati. Piccolo o grande, lui era il suo Dottore e sapeva che le sarebbe mancato una volta tornato adulto, esattamente come ora le mancava il Signore del Tempo tutta pazzia e viaggi con il Tardis.

“Dove andiamo ora?” chiese la ragazza prendendolo per mano.

“Alle macchinine dell’autoscontro” rispose eccitato John “Allons-y!” aggiunse poi, guardandola.

“Allons-y!” ripeté lei. Era sempre il suo Dottore.

*

L’autoscontro era stato divertente per certi versi, terrificante per altri.

Dopo aver scelto le macchine, rosa per lei blu per il Dottore – era un vero e proprio maniaco del blu! – avevano fatto qualche giro di prova, dandosi colpi soprattutto per sbaglio. Dopo un po’ John aveva cominciato a prenderci gusto, spintonandola più che poteva e Rose si era ritrovata a fuggire inseguita da un bimbo che rideva e le lanciava frasi intimidatorie in Gallifreyano senza rendersene conto minimamente.

Era stato divertente, mal di schiena a parte, vederlo così spensierato come in quel momento ed anche rilassante in un certo qual senso.

Non era abituata a vederlo sorridere così spontaneamente, senza tutte quelle preoccupazioni che gli appesantivano lo sguardo, e certamente le sarebbe mancato questo aspetto del Dottore, rifletté, mentre raggiungevano la porta.

Forse ci sarebbero potuti tornare, un giorno, per vedere se l’espressione libera e felice l’aveva solo da bambino o poteva guadagnarla anche da adulto. Sarebbe stato divertente.

“Ci possiamo tornare?” chiese improvvisamente John, quasi leggendole nel pensiero “Ci sono tante giostre che non ho ancora provato, e vorrei mangiare ancora lo zucchero filato” aggiunse dando un morso alla nuvola rosa che aveva in mano e sporcandosi fin sopra ai capelli. Qualche pezzetto volò anche sopra al Judoon che il bimbo teneva sottobraccio. Era un disastro.

“Certo, ci torneremo” promise Rose prendendolo per mano “Ma ora credo che a qualcuno di noi serva una lavata” aggiunse facendogli l’occhiolino.

Il bimbo s’imbronciò risultando ancora più adorabile con la faccia tutta coperta di appiccicoso zucchero rosa. La ragazza ridacchiò.

“Andiamo, so dov’è il bagno”.


Note dell'Autrice:

Ciao a tutti! Sono qui come promesso con il Terzo Capitolo e mi scuso ancora per aver posticipato l'aggioramento. Sappiate che anche così ho terminato il capitolo giusto 10 minuti fa, il tempo di rileggerlo, e l'ho pubblicato. Spero comunque di riprendere le pubblicazioni una volta a settimana (anche se quasi sicuramente mi ridurrò domenica, lunedì e martedì a scrivere x__x).
Per quanto riguarda il numero dei capitoli, credo che in tutto saranno cinque, più epilogo e prologo. Non mi sento di prolungare troppo questa storia, anche perchè il ringiovanimento dura 24 ore e credo di aver individuato i punti base. L'epilogo sarà comunque molto aperto, e potrebbe darmi l'opportunità di scriverne un'altra sulla stessa linea. Poi si vedrà :)
Detto questo, spero vi sia piaciuto anche questo capitolo, e che vi vada di lasciarmi una recensione, lo apprezzerei molto <3
A Martedì prossimo! (si spera)
Baci,

L.
   
 
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