Terzo
Capitolo
Quando il Dottore, tempo prima, le
aveva detto che il Tardis
aveva tantissime stanze lei ci aveva creduto. Voglio dire, dopo essere
riuscita
a superare il fatto che in una cabina blu della polizia ci fosse una
nave
spazio-temporale, aver viaggiato nel tempo e via dicendo, la parola impossibile era praticamente sparita dal
suo vocabolario. Di fatto, però, non ci aveva pensato
più di tanto, si era
semplicemente limitata all’utilizzare poche stanze: la camera
da letto, la
cucina, il guardaroba per i viaggi nel passato. Il centro commerciale,
ad
esempio, l’aveva scovato sbagliando strada per il bagno.
Non si era mai fermata molto a
riflettere sull’immensità
della cabina blu, troppo presa
dalle meraviglie che poteva scoprire fuori.
Ad ogni modo, ora, mentre teneva per
mano John e osservava
l’infinità di porte davanti a lei, si chiese se
fosse saggio girovagare per la
nave senza avere la più pallida idea di dove fosse.
Certo, il Dottore le aveva detto che
avrebbe trovato
qualsiasi cosa le servisse nelle stanze, ma da lì a gettarsi
a capofitto nel
cuore del Tardis, aprendo porte, incurante di cosa potesse esserci
dentro o del
fatto di avere un bimbo di sette anni al seguito, c’era un
po’ di differenza.
Non voleva metterlo in pericolo,
voleva solo che le ventiquattr’ore
passassero, così lei e il Dottore sarebbero tornati a fare
quello che sapevano
fare meglio: viaggiare.
Non avrebbe potuto essere certa di
tenerlo al sicuro, però:
non aveva la più pallida idea di cosa ci fosse al di
là di quelle porte.
Un’orda di assassini, una macelleria, il forno per fare il
pane… Mille erano i
pericoli, e gli scenari che si stavano formando man mano nella sua
testa non
erano di certo incoraggianti. Non avrebbe dovuto accettare la proposta
di John
così a cuor leggero.
Mentre Rose ragionava, il piccolo era
andato avanti,
guardandosi intorno e sbirciando i corridoi, con la stessa espressione
estasiata
del Dottore mentre pilotava il Tardis.
Le ricordò di quando, con
quel suo sorrisone folle, le aveva
detto di tenersi forte perché la
sua
piccola li avrebbe portati ovunque volessero. Lei aveva riso,
perché parlava della cabina come
della sua ragazza, e lui si era
imbronciato, sostenendo che se avesse continuato così
l’avrebbe offesa e non
era raccomandabile inimicarsi una nave spazio-temporale.
Aveva ridacchiato ancora ed era
andata nel corridoio in
cerca della cucina, senza trovarla.
“Dottore! È
sparita la cucina!” si era lamentata con le mani
sui fianchi, tornando nella sala comandi.
Il Signore del Tempo le aveva rivolto
un sorrisino furbo e
Rose avrebbe giurato di aver visto un lampo di vittoria nel suo
sguardo. “Ti
avevo detto che avresti potuto offenderla” aveva detto
semplicemente, tornando
ad armeggiare sotto la console.
“Mi stai dicendo che
l’ha fatta sparire per vendetta?” aveva
sbottato incredula, sporgendosi per guardarlo in faccia.
Lui aveva alzato lo sguardo, il
compiacimento che sprizzava
da tutti i pori.
“Io te lo avevo
detto.”
Il Dottore adorava avere ragione.
“E come dovrei fare, di
grazia, per prepararmi un the?” aveva
replicato lei scocciata.
“Potresti chiederle
scusa” aveva risposto lui, senza la
minima traccia di sarcasmo.
La ragazza lo aveva guardato
scioccata per un attimo, poi
era tornata in corridoio a “chiedere
scusa ad una macchina”.
Riflettendoci ora, il Dottore le
aveva ripetuto varie volte
che il Tardis era senziente,
semplicemente lei non ci aveva mai fatto caso più di tanto.
L’episodio che le
era tornato alla mente, ad ogni modo, era la prova che
l’astronave ascoltava e
capiva, come quando le aveva chiesto scusa e la porta della cucina le
si era
aperta davanti.
Avrebbe potuto chiedere alla macchina
di non aprire stanze
pericolose, si disse.
In quel momento, si accorse che John
aveva puntato una porta
e stava allungando la manina per aprirla.
“Ti prego, fa che non ci
sia niente di pericoloso!”
bisbigliò supplicante, mentre il ragazzino spariva al di
là dell’uscio.
Un urletto la raggiunse e si
affrettò a varcare la soglia,
pronta al peggio.
Nella stanza non c’erano mostri
marini o punte avvelenate come aveva temuto. Il posto era
enorme e le
ricordava il centro commerciale per la grandezza e l’assoluto
silenzio.
Non c’era
un’anima, solo il Dottore che tendeva il collo per
cercare di vedere la cima delle montagne russe di fronte a loro.
La stanza era un Luna-park.
A quanto pare il Tardis
l’aveva ascoltata, seguendo più o
meno la scaletta che si era prefissata: vestiti, pappa e giochi. Avrebbe dovuto ringraziarla.
“Grazie”
bisbigliò incerta, ma sincera. Le sembrò quasi di
sentire un ronzio in risposta.
“Allora” fece ad
alta voce affiancando il bambino “Su quale
giostra vuoi salire per prima?”
John si guardò un
po’ intorno, indeciso su quale scegliere
tra le tante, ma alla fine il suo sguardo tornò su quella
che lo aveva
affascinato dall’inizio: le montagne russe.
Rose ridacchiò e lo prese
per mano “Forza allora, andiamo!
Allons-y!” disse, ripensando ai momenti in cui era il Dottore
a dirlo con un
filo di malinconia.
“Cosa significa
allons-y?” chiese il bimbo curioso,
strappandole un sorriso, mentre camminavano.
“È francese,
significa “andiamo”. Il mio amico lo dice
sempre” rispose lei addolcendo lo sguardo.
“Il Dottore?”
ricordò lui.
“Il Dottore”
confermò lei senza aggiungere nulla.
John non chiese, probabilmente
intuendo la sua
preoccupazione, nonostante i suoi sette anni. Rose non era veramente
preoccupata,
sapeva che il Dottore stava bene, era solo tornato bambino dopotutto, ma le mancava ugualmente.
Si sforzò di sorridere,
prendendo il bimbo in braccio per
farlo sedere nel vagoncino. Prese posto e abbassò la sbarra,
indecisa su come
procedere. Se non c’era nessuno a controllare i comandi, come
avrebbero
azionato la giostra?
Le avrebbe fatto comodo il cacciavite
sonico del dottore, al
momento.
Dopo pochi secondi, ad ogni modo, la
macchina prese a muoversi,
all’inizio lentamente, poi sempre più veloce.
A quanto pare il Tardis era del tutto
automatizzato. O
semplicemente l’aveva vista in difficoltà e aveva
deciso di intervenire. Non
era da escludere la seconda opzione, perciò la
ringraziò di nuovo a bassa voce.
Il vagone aveva cominciato a salire e
gli urletti eccitati di
John le stavano facendo venire un gran mal di testa. Si chiese se tutti
i
bambini urlassero in maniera così acuta o fosse una
caratteristica tipica del
Dottore. I gridolini folli erano una sua prerogativa anche da adulto, dopotutto.
Aggiunse anche questa alla lista
delle cose che il bimbo
aveva mantenuto dopo il ringiovanimento.
La macchina aveva raggiunto la cima,
nel frattempo, e Rose
ebbe giusto qualche secondo per ricordarsi di mantenere un minimo di
dignità e
non lasciarsi andare a urli di terrore. Si aggrappò alla
sbarra con entrambe le
mani, per sicurezza.
“John?” lo
chiamò preoccupata. Aveva sette anni, e a
quell’età
teoricamente non si poteva salire sulle montagne russe. O almeno questo
era
quello che aveva imparato dai film, con il cartello per
l’altezza minima e via
dicendo. “Credo sia meglio tu ti tenga forte. Andremo un
tantino veloci” disse
accennando un sorriso.
“Mi piace andare
veloce!” ribatté eccitato l’altro,
guardando avanti, pronto alla discesa.
Rose non fece in tempo a dire altro
che il vagone precipitò.
Erano
ovviamente
sempre ben ancorati alle rotaie, ma l’impressione era quella
di cadere fino a
sfracellarsi al suolo. Fu relativamente breve, giusto il tempo per
urlare e
credere di essere a un passo dalla morte, per poi rallentare fino a
fermarsi.
Raggiunto il blocco, Rose si
voltò verso il posto al suo
fianco, per controllare che il Dottore fosse seduto ancora
lì e non fosse
volato via, dato che per tutta la discesa aveva totalmente ignorato la
barra
metallica ed era abbastanza magro da sgusciarne fuori.
Era ancora lì con i
capelli sparati da tutte le parti e un
sorriso da un orecchio all’altro.
“Lo rifacciamo?”
Prevedibile.
*
Dopo qualche altro giro – e
con qualche si intende fino a
quando il Dottore non si fu stancato di tuffarsi nel vuoto a tutta
velocità
– stavano di nuovo passeggiando mano nella mano tra le varie
giostre, in cerca
della successiva su cui salire. John era indeciso e Rose si era
stancata di
andare avanti e indietro tra Il Tiro a
Segno e l’autoscontro, in attesa che il piccoletto
si smuovesse.
“Facciamo
così” disse Rose bloccandosi “scelgo io:
prima
andiamo a uno e poi all’altro” disse semplicemente.
Il bimbo saltellò in
direzione del tiro a segno, contento
che il problema fosse finalmente risolto.
Lo stand era esattamente come quelli
del tiro a segno sulla
Terra, tranne che le pistole erano laser. La ragazza sperò
fortemente che il
bambino non decidesse di puntarsela, o puntargliela,
contro.
“Rose!” la
chiamò John “vincerò un pupazzo per
te” promise
solenne.
Lei ridacchiò, mentre il
piccolo si metteva gli occhiali
protettivi e puntava la pistola sulla prima sagoma di un alieno pieno
di
tentacoli. Era strano vedere il Dottore con un’arma in mano,
anche se
giocattolo. Era da sempre abituata a lui, disarmato, con il suo
cacciavite
sonico.
Probabilmente non ricordava
più cosa lo aveva portato da
adulto a disprezzare le armi, e a evitarle il più possibile.
O forse si stava
semplicemente godendo il gioco come qualunque bambino della sua
età. Rose non
avrebbe saputo dirlo, ma poteva dire con certezza che il vero Dottore
cominciava a mancarle sempre più, nonostante tutte le
analogie che
evidentemente c’erano.
Un rumore la riscosse. John aveva
abbattuto con successo
anche la terza sagoma aliena e attendeva con ansia il suo premio. Un
braccio
meccanico prese uno dei pupazzi nella teca – un Judoon di pezza enorme – e lo
porse con molta gentilezza al
bambino.
In men che non si dica si
ritrovò il Dottore davanti che,
con tutta la solennità del momento, le tese il giocattolo.
Rose lo prese e
abbracciò tutta contenta il ragazzino, dimenticandosi per un
attimo del
ringiovanimento e di tutti i problemi collegati. Piccolo o grande, lui
era il suo Dottore e sapeva che le
sarebbe
mancato una volta tornato adulto, esattamente come ora le mancava il
Signore
del Tempo tutta pazzia e viaggi con il Tardis.
“Dove andiamo
ora?” chiese la ragazza prendendolo per mano.
“Alle macchinine
dell’autoscontro” rispose eccitato John
“Allons-y!”
aggiunse poi, guardandola.
“Allons-y!”
ripeté lei. Era sempre il suo Dottore.
*
L’autoscontro era stato
divertente per certi versi,
terrificante per altri.
Dopo aver scelto le macchine, rosa
per lei blu per il Dottore
– era un vero e proprio maniaco del
blu! –
avevano fatto qualche giro di prova, dandosi colpi soprattutto per
sbaglio.
Dopo un po’ John aveva cominciato a prenderci gusto,
spintonandola più che
poteva e Rose si era ritrovata a fuggire inseguita da un bimbo che
rideva e le
lanciava frasi intimidatorie in Gallifreyano senza rendersene conto
minimamente.
Era stato divertente, mal di schiena
a parte, vederlo così
spensierato come in quel momento ed anche rilassante in un certo qual
senso.
Non era abituata a vederlo sorridere
così spontaneamente,
senza tutte quelle preoccupazioni che gli appesantivano lo sguardo, e
certamente le sarebbe mancato questo aspetto del Dottore,
rifletté, mentre
raggiungevano la porta.
Forse ci sarebbero potuti tornare, un
giorno, per vedere se
l’espressione libera e felice l’aveva solo da
bambino o poteva guadagnarla
anche da adulto. Sarebbe stato divertente.
“Ci possiamo
tornare?” chiese improvvisamente John, quasi
leggendole nel pensiero “Ci sono tante giostre che non ho
ancora provato, e
vorrei mangiare ancora lo zucchero filato” aggiunse dando un
morso alla nuvola
rosa che aveva in mano e sporcandosi fin sopra ai capelli. Qualche
pezzetto
volò anche sopra al Judoon che il bimbo teneva sottobraccio.
Era un disastro.
“Certo, ci
torneremo” promise Rose prendendolo per mano “Ma
ora credo che a qualcuno di noi serva una lavata” aggiunse
facendogli l’occhiolino.
Il bimbo
s’imbronciò risultando ancora più
adorabile con la
faccia tutta coperta di appiccicoso zucchero rosa. La ragazza
ridacchiò.
“Andiamo, so
dov’è il bagno”.
Note dell'Autrice:
Ciao a tutti! Sono qui come promesso con il Terzo Capitolo e mi scuso ancora per aver posticipato l'aggioramento. Sappiate che anche così ho terminato il capitolo giusto 10 minuti fa, il tempo di rileggerlo, e l'ho pubblicato. Spero comunque di riprendere le pubblicazioni una volta a settimana (anche se quasi sicuramente mi ridurrò domenica, lunedì e martedì a scrivere x__x).
Per quanto riguarda il numero dei capitoli, credo che in tutto saranno cinque, più epilogo e prologo. Non mi sento di prolungare troppo questa storia, anche perchè il ringiovanimento dura 24 ore e credo di aver individuato i punti base. L'epilogo sarà comunque molto aperto, e potrebbe darmi l'opportunità di scriverne un'altra sulla stessa linea. Poi si vedrà :)
Detto questo, spero vi sia piaciuto anche questo capitolo, e che vi vada di lasciarmi una recensione, lo apprezzerei molto <3
A Martedì prossimo! (si spera)
Baci,
L.