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Autore: Fabio93    27/09/2013    2 recensioni
Il mondo è finito, eppure Kal, Dorian e pochi altri sopravvissuti continuano a vivere, camminando fra le rovine di una realtà popolata di creature pericolose e inquietanti. Ogni alba si porta via la notte, e la notte spesso ti porta via con sé. Eppure, in un mondo in cui ogni giorno non è altro che una lunga marcia fino al tramonto, c'è ancora chi sa vedere attorno a sé la speranza.
Genere: Avventura, Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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III

 

Il vento frustava l'erba alta, passando fra gli steli come un sospiro malinconico. Era la voce dell'inverno, ancora lieve, ma che presto sarebbe cresciuta assieme al freddo. Il sole era alto nel cielo, splendeva pallido dietro un sottile strato di nubi.

La vasta prateria era silenziosa, il paesaggio come privato dei propri colori. In mezzo a quel mare d'erba, sotto la luce grigia di un mezzogiorno autunnale, Kal guidava il suo gruppo, avanti, sempre in avanti e senza guardarsi indietro.

Se si fosse girato avrebbe visto Dorian aiutare Norman a camminare, cercando di tenere il passo, praticamente trascinandosi dietro il boscaiolo ferito. Erano passati tre giorni dall'attacco, ma erano usciti dalla foresta solo nel pomeriggio del secondo. Si erano mossi in fretta e per fortuna senza altri spiacevoli incontri, ma poi le forze di Norman erano venute meno.

Dorian e Ruben facevano a turni per sorreggerlo, mentre la malattia lo consumava dall'interno. Kal non aveva voluto saperne. Sarebbero venuti da lui, quando avessero avuto bisogno, nel frattempo aveva altro a cui pensare, per esempio a trovare un rifugio per quando il tempo si sarebbe inasprito.

Come richiamati dai suoi pensieri, passi svelti e leggeri gli si avvicinarono.

-Kal?- era la voce di Gwen.

Lui non rallentò, ma la donna gli si affiancò, cocciuta.

-Kal!-

-Che c'è?-

-È il momento.-

Lui si girò a guardarla. Aveva il volto smunto, gli occhi scuri arrossati e stanchi. Una bella donna con indosso troppa fatica e troppa stanchezza.

-È giunto da un pezzo, Gwen.-

-Lo so, era una cosa inevitabile. Ma ora Norman non riesce nemmeno più a reggersi in piedi...ci rallenta tutti e potrebbe diventare pericoloso da un momento all'altro, ormai.-

-E allora perché lo hai medicato, maledizione?! Potevamo farla finita nel bosco: sarebbe stata più semplice per tutti, anche per lui!- stava alzando la voce, ma non gli importava.

Gli altri membri del gruppo li seguivano in silenzio, ma sapevano benissimo di cosa stavano parlando. Tutti sapevano e tutti tacevano.

-L'ho curato- fece Gwen, avvicinando il viso al suo -perché è quello che ci si aspettava facessi. Lo so: le ferite di un vampiro sono una sentenza di morte, ma fin quando il ferito non è sul punto di trasformarsi...beh, ucciderlo sembra un omicidio agli occhi degli altri!-

-E adesso cosa sarebbe?-

-Non lo so...un atto necessario. Di pietà, anche...-

Kal non riuscì a trattenere una breve risata.

-Ti prego, dimmi che non credi a queste cazzate...-

Gwen lo guardò fisso negli occhi per qualche secondo, prima di rispondere. Il vento le tirò i capelli e passò oltre, ululando.

-No, non ci credo. Ma è così che funziona. Gli altri si fidano di me perché sanno che non li abbandonerò quando li vedrò feriti. E si fidano di te perché hai la forza di fare ciò che è necessario...ma devi farlo quando è necessario. O di te avranno solo paura.-

Fu il turno di Kal di non rispondere. Dalle sue spalle giunse l'esile lamento di Norman. Doveva soffrire come un cane, il poveraccio, ma non aveva nemmeno le forze per urlare.

-E perché dovrei farlo io?- chiese infine, ancora deciso a non lasciarsi blandire.

-Può non essere bello, ma è ciò che ci si aspetta da te. Dorian non si darà per vinto finché Norman non cercherà di azzannarlo alla gola e lo stesso vale per Ruben, coi suoi ideali di cavalleria. Tu sei una specie di capo, per tutti noi, anche se nessuno lo ha detto...se vuoi rimanerlo, devi essere disposto a fare quello che gli altri non osano.-

-Ah, 'fanculo...!-

Kal si fermò e si girò. Alessandra, Amanda e John lo superarono senza fiatare. Dorian e Ruben, nella retrovia, lo videro, ma continuarono ad avanzare al ritmo malfermo del compagno ferito. Non c'era altro da fare, comunque.

-Fermo. Mettilo giù.- disse a Dorian, quando il trio fu a pochi passi da lui.

Il Falco, che stava reggendo il boscaiolo, scambiò un breve sguardo con Ruben.

-Ti ho detto di metterlo giù.-

-Ti sei stancato di portarlo in spalla?- fece Dorian, sarcastico.

Norman fissava il terreno ai suoi piedi, pallido e magro, sembrava lo spettro di sé stesso.

-Fa' come dice, Dorian. Lo vedi anche tu come sta...- gli disse Ruben, a bassa voce.

Lui scosse la testa, le labbra ridotte ad una fessura, ma poi decise di obbedire.

-Stendiamoci qui, da bravo...- disse a Norman, aiutandolo a sdraiarsi sull'erba.

Quando ebbe finito, tornò ad incrociare lo sguardo di Kal. Non c'era più rabbia, fra loro due, solo una triste consapevolezza. Una riappacificazione voluta dall'inevitabile.

Kal s'inginocchiò sul compagno ferito, la mano sinistra poggiata sull'elsa della spada. Norman respirava a fatica, rantolando; la sue pelle era pallida e tesa come pergamena secca, tranne attorno alla ferita, dove si era fatta invece gonfia e maleodorante. Lo guardò negli occhi febbricitanti: punte dorate avevano iniziato a comparire sulle sue iridi grigie, come granelli d'oro sul letto di un fiume.

Il morbo stava prendendo il sopravvento, nemmeno Norman, alto e forte, ce l'avrebbe fatta. Presto si sarebbe trasformato in uno di quegli esseri immondi, avrebbe cercato di ucciderli tutti senza nessun rimorso. Kal lo aveva già visto accadere, ma non avrebbe lasciato che succedesse quella volta.

Il boscaiolo steso a terra mormorò qualcosa d'incomprensibile, poi voltò la testa di lato e gemette, come perseguitato da un incubo insistente.

Kal si rialzò, si tolse la polvere dai pantaloni ed estrasse la spada. L'uomo non fece nemmeno il gesto di scostarla, quando lui ne poggiò la punta sul suo petto. Lo guardò distrattamente, come se gli vedesse attraverso, nemmeno si rendeva conto di quello che gli stava succedendo.

Kal alzò lo sguardo ad incontrare quello di Ruben e Dorian. Il cavaliere annuì, un gesto d'invito, mentre l'altro distolse gli occhi, divorato dal senso d'impotenza.

-Mi dispiace.- disse Kal.

Gli affondò la lama nel petto, tagliando a metà il suo ultimo respiro.

 

 

Un cumulo di terra smossa aveva preso il posto del cadavere di Norman.

Ci avevano messo tutto il giorno a scavarlo, ed ora il tramonto arrossava il terreno che aveva ricoperto il sangue del boscaiolo. Kal, Dorian e Ruben avevano scavato a turni con l'unica pala a loro disposizione. Avrebbero dovuto aggiungere qualche pietra per proteggere la tomba, ma non ne avevano trovate di abbastanza grosse, così avevano rinunciato: non c'erano comunque molti predatori da quelle parti.

Kal era stanco e sudato, si era sdraiato lontano dal gruppo, cercando le prime stelle nel cielo mentre gli altri provavano ad accendere un fuoco con due pietre ed un po' di erba secca. La vita dei sopravvissuti tornava alla normalità, come se nulla fosse successo.

Sentì Alessandra avvicinarsi molto prima che lei gli si sedesse affianco.

Per un po' rimasero in silenzio, ognuno a conversare coi propri pensieri, poi Kal decise di muovere il primo passo.

-Cosa c'è, Alessandra?-

-Sono triste...-

Si girò verso di lei. I capelli chiari le ricadevano sul volto chino, incassato fra le ginocchia.

-Lo vedo...è per Norman?-

La ragazza annuì, senza dire nulla. Kal si tirò su a sedere.

-Non devi essere triste: tutti se ne vanno, prima o poi. Almeno lui non si è trasformato.-

-Lo so che è così che va...però a me non piace per niente!- dalla voce rotta lui capì che era sull'orlo del pianto -Perché dobbiamo morire, Kal? Tutti noi?-

Lui non seppe cosa rispondere.

-Perché? Beh...è così che funziona il mondo, Alessandra...- iniziò -A noi è concesso vivere solo per un po', ma questo ci sprona a trarre il meglio da quello che abbiamo.-

-Il meglio? Ma se non facciamo altro che nasconderci e combattere!- lo guardò negli occhi, e lui vide nei suoi una disperazione grande come il mare d'inverno. La disperazione di chi aveva perduto in un giorno il significato di una vita.

-Io...io provo ad essere allegra, Kal, ci provo! Però...quando uno di noi muore...i-io...io...- le sue parole si persero in un balbettio sconnesso, le lacrime le rigarono il viso.

Kal sentì una stretta gelida al petto, come se il ghiaccio sul quale aveva da sempre camminato si fosse rotto all'improvviso, precipitandolo nell'acqua fredda. Non poteva permettere ad Alessandra di perdere la speranza, non a lei, che era l'unica a tenerla viva per tutti.

La abbracciò, stringendola forte mentre il suo corpo era scosso dai singhiozzi.

-Shhh, su, va tutto bene.- le disse, cercando di tranquillizzarla.

La tenne stretta a sé, mentre il pianto si calmava piano piano.

-Norman è morto per difenderci. Adesso lui è in pace, dorme. Ha dato la vita per noi, e noi siamo ancora vivi. È vero: ognuno di noi deve morire, ma noi siamo ancora vivi. Non devi essere triste. Io sarò sempre qui con te.-

-Sempre-sempre?- chiese lei, alzando lo sguardo.

-Finché potrò, tesoro.- le disse.

A guardarla ora sembrava fragile come uno stelo di rosa. Eppure, senza quello stelo esile e bello, il mondo di Kal non avrebbe avuto senso. Lo realizzò in quel momento, steso su un prato vicino alla tomba di un suo compagno, che Alessandra era tutto ciò che aveva.

Il suo mondo, la sua speranza.

   
 
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