Anime & Manga > Detective Conan
Segui la storia  |       
Autore: IamShe    07/10/2013    19 recensioni
Non è buffo? È mio marito e padre di mio figlio, ma non conosce quel qualcuno che è la causa scatenante delle mie azioni; quel qualcosa a cui la mia vita si relaziona per essere tale. «Shinichi Kudo» dico. Non lo conosce, sa soltanto che è il mio amico d’infanzia.
Sorrido, afflitta. Di che mi lamento? In fondo è davvero così.

Ran è sposata ed ha un figlio, ma il marito e padre del suo bambino non è Shinichi. Lui è mancato per dieci lunghi anni e continua a mancare. Eppure, anche quando credeva di aver finalmente voltato quella maledetta pagina, di aver dimenticato quel nome, si ritrova a dover fare i conti col suo passato. Un passato che è più vicino di quanto voglia ammettere.
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
#9 Il mio fratellino
 
Un inteso odore di metallo mi sale dalle narici, destandomi da un profondo e lungo sonno. Ho la testa che sembra un macigno che non fa altro che girare intorno ad un punto, mentre il corpo è fermo, quasi legato. Apro le palpebre con lentezza, stanche ed intontite dalla dormita. Intorno a me si schiarisce una stanza: è scarna, tetra e decisamente fredda, con un tavolo, qualche sedia e alcuni mobili abbastanza vecchi. Una lampadina collegata al soffitto senza lampadario illumina con distacco l’ambiente, e permette che le mie pupille si abituino man mano. Una porta di legno scadente e usurata di fronte a me lascia spazio a qualche filo di luce proveniente dall’esterno. Il rumore della pioggia batte sulle imposte in vetro, accompagnato da un fastidioso sibilo del vento. Quando la mia testa smette di girare e comincia a ragionare, mi rendo conto che la sensazione d’essere legata non era soltanto percezione. Istintivamente guardo in basso: il mio corpo è stretto ad una sedia con dei grossi lacci che mi bloccano le mani dietro la schiena. Non riesco a muovermi. Comincio a dimenarmi nella vana speranza di liberarmi, ma non faccio altro che far scricchiolare la sedia. L’ansia mi assale, mentre l’assurdità del momento mi mangia, spingendomi a chiedere cosa stia accadendo. Guardo ai miei lati e non c’è nessuno. Né Shirai, né il mio piccolo Conan.
“Shirai!?” Lo chiamo, in preda al panico. Ho il cuore che mi batte all’impazzata. Questa non è villa Suzuki, è impossibile. “Shirai?! Conan!?”
Alcuni passi giungono con tormentosa lentezza da un corridoio alla mia destra. Respiro a fatica, ma i polmoni si riaprono nel vedere entrare il mio quasi marito.
“Shirai! Ma cos’è successo?! Dove siamo? Dov’è il bambino?!”
“Finalmente ti sei svegliata.” Dice lui, con tono freddo e calmo. Io trattengo un gemito, mentre lo fisso con incredulità. I suoi occhi sono inquietanti: profondi e penetranti, sembrano perforarmi l’anima.
“Shirai... ma che...?”
Lui sorride crudele, e rimembra in me le sue ultime parole.
“Ran, prima che ti addormenti...” avverto la voce di Shirai lontana, ma è talmente gelida, fredda e sicura da scuotermi ad ascoltarlo. “Dimmi un po’... secondo te...”
Man mano socchiudo gli occhi.
“Quanto ci impiegherà l’amore tuo a capire che i biglietti non erano per me... ma per lui?”
“C-cosa?”, il mio tono di voce lascia trasparire tutta l’incredulità che vive in me in questo momento. Ignoro cosa stia accadendo, ignoro perché stia accadendo.
Lui ride adesso, ride sempre più sadico.
“Sono io il mittente dei biglietti anonimi.”
Non riesco a recuperare un respiro normale. Il cuore mi fa male tanto veloce è.
“Ma... ma cosa stai dicendo, Shirai? Se è uno scherzo non è divertente!”, mi guardo il corpo e torno ad osservare lui. “Liberami! Che aspetti?”
Lui sbuffa, scuotendo il capo a destra e a sinistra. Si stacca, lasciandomi andare il mento.
“Ma allora non capisci? Sei scema, per caso? O sei solo capace di scopare con lui, eh?”
Non credo alle mie orecchie. Lui sa? Shirai mi si avvicina di nuovo, ma la sua espressione è del tutto cambiata. Non sembra più divertirsi, adesso ha contratto i muscoli del viso per la rabbia e la frustrazione. Ho l’impressione che non sia uno scherzo.
“Shirai... tu...”
Lui mi stringe di nuovo il mento, ma adesso con molta più forza di prima. “Pensavi che non me ne accorgessi? Credevi che non notassi il tuo arrossire costantemente nel vederlo? Eri davvero convinta che non scoprissi nulla... di voi?”
I miei occhi sono imprigionati nel suo sguardo oscuro. “Come... come hai fatto...”
“Lui non è il solo a saper indagare, sai?” dice, lasciandomi andare ed indietreggiando. “Ma ammetto di non aver mai sospettato di niente fino ad un mese fa. Fin quando tuo figlio non era sul punto di morire, in quell’ospedale, un mese fa.”
Lo guardo imperterrita, incapace a dire niente.
“Ero stravolto per via di Conan. Così, un bel giorno, vado a chiedere all’infermiera se il problema potesse essere genetico. Lei mi rimanda da un dottore. L’uomo mi dice che non dipende dal DNA, ma fa comunque parecchie domande su di me, su di te e sul concepimento. E sai cosa mi rivelò? Che per lui quello non era un feto di otto mesi, perché lui ne aveva visti e ne capiva.”
“Che vuoi dire?” gli domando, sempre più spaesata.
“Che per lui era un feto di nove mesi, ed anche abbondanti. Be’, diciamo che la notizia all’inizio non mi toccò più di tanto. Poi nei giorni a seguire ragionai: vuoi vedere che il bimbo non era nato prematuro, ma piuttosto, era stato davvero concepito prima? Plausibile, certo. Peccato che, nove mesi prima, io fossi in Hokkaido per lavoro.”
Deglutisco, ripensando per un attimo a quel Natale. È vero.
Lui mi si avvicina di nuovo, mi prende il mento e me lo stringe.
“E ciò equivaleva a credere che tu mi avessi tradito, e non ti fossi nemmeno resa conto di quanto fosse successo. Quel pensiero mi snervò per circa due giorni. Poi decisi: feci fare l’analisi del DNA tra me e il bimbo, tenendoti all’oscuro di tutto.” Ho il fiato sospeso. “Indovina? Era negativo.”
Il mio cuore si ferma d’un botto. Shirai mi ha appena dato la notizia più importante della mia vita. Non ero incinta di lui, ma di Shinichi. Di Shinichi. Conan è figlio di Shinichi.
“Conan è figlio di... di Shinichi?” lo ripeto a voce alta, per convincermene meglio anche io.
Finisco per qualche attimo in un mondo tutto mio. Nel mondo che avevo sperato e sognato da adolescente, e per qualche istante mi vedo vivere in pace con lui e nostro figlio. Poi la mano di Shirai mi riporta alla realtà, stretta più che mai.
“Sapevo che non eri a conoscenza della realtà. Ed io ho deciso di tenertela bene nascosta.”
“Il giorno in cui Sonoko ti vide dare quel calcio...” sussurro, guardandolo, ripensando alle parole della mia amica qualche ora fa.
“...avevo appena scoperto che tu mi avevi messo un bel paio di corna. Il bello era che non avevo la minima idea chi fosse il bastardo con cui mi avevi tradito. Tu non mi avevi mai dato alito di sospettare.”
Inspiro forte, imponendomi la calma.
“Così, io... sono impazzito. Dovevo scoprire chi fosse il padre del bimbo. Odiavo te, odiavo quel moccioso ed odiavo questo fantomatico uomo. Ti dicevo d’essere a lavoro, lo so, ma in realtà indagavo sulla tua vita, sul tuo passato, suoi tuoi amici. In preda alla disperazione, mi aggrappai all’unico ricordo che potesse servirmi a sciogliere la matassa: il misterioso ragazzo per cui avevi sofferto anni prima, di cui mai mi hai voluto rivelare il nome.” Spiega tutto con terrorizzante chiarezza. “Faticai per trovare alcuni tuoi amici del liceo, ma non realizzai nulla. Decisi di andare al Teitan a chiedere notizie riguardo la tua classe. La segretaria mi fece vedere solo l’elenco. In quell’elenco, notai il nome dell’amico d’infanzia di cui qualche volta avevo sentito parlare da te, in quel modo tanto sofferto quanto distratto: Shinichi Kudo. E mi si accese una bella luce: perché questo grande e caro amico, io non l’avevo mai visto?”
Deglutisco nervosismo. Ho gli occhi sbarrati fissi su di lui, ma non potrei fare altrimenti. Shirai continua a mantenermi il mento, ed io non posso muovermi di un millimetro.
“L’ho scoperto solo qualche giorno fa, questo... però adesso andiamo per ordine: due settimane fa ottenni il nome. Ed era anche familiare dato che il signorino era abbastanza famoso per via del suo mestiere. Lì mi venne l’idea di incastrarlo. Non ero sicuro di quello che sospettavo, ma dovevo provare... volevo sapere.”
“Ecco perché non hai chiamato mio padre.” Lo interrompo per un attimo, senza più fiato. Non avrebbe avuto senso il contrario: adesso capisco. Ma lui sembra non ascoltarmi, e prosegue: “Realizzai tre indovinelli che lui avrebbe dovuto decifrare, e posizionai in casa telecamere negli scatoloni per spiarvi mentre io non c’ero. Immagina la mia faccia nel vederti...” ride, sarcastico. “...scopare con lui... solo due giorni dopo averlo chiamato. Eri tutta sciolta con lui, e con me eri un pezzo di legno. Cravatte in aria e vestiti scombinati... mi hai preso per idiota, forse? Però diciamocelo, abbiamo fatto tutti la nostra parte. Quindi... complimenti, Ran, complimenti vivissimi. Sei un’ottima attirce.” Mi prende in giro, mentre le mie labbra si seccano dal terrore.
“Shirai...”
Lui mi blocca, e aggiunge: “Ma, aspetta... senti, senti... la parte più bella fu quando lui disse «l’hai chiamato come me?» e poi ripeté «Ovviamente non c’entra nulla che per dieci anni hai avuto un Conan in casa tua, e quel Conan ero io.»”
Allarga la bocca, simulando una faccia sorpresa. Io chiudo le palpebre: l’ha scoperto.
“Rivelazione delle rivelazioni! Quel ragazzino saccente che mai avevo sopportato in vita mia, era lui! E allora si spiegava tutto, anche quegl’atteggiamenti nei tuoi confronti...non proprio da fratello, diciamocelo. Non mi interrogai su come fosse possibile, ma piuttosto pensai ad un’altra cosa: avevi avuto il coraggio di mentirmi anche sul nome di quello che credevi fosse nostro figlio, chiamandolo come? Come lui! Non ti offendi se ti dico che mi fai schifo, vero?” urla adesso, gonfiando una vena sul suo collo, che pulsa con violenza e preoccupazione.
“Shirai... quello che è successo tra me e Shinichi è molto più complicato...Io...” provo, ma lui mi blocca.
“Zitta!” urla, infuriato. Poi continua: “Era il momento di far entrare in scena i biglietti. Il bello è che li avevo ingegnati in modo che si riferissero sia a lui che a me. Ovviamente lui avrebbe dovuto credere che erano rivolti a me, dato che era ignaro d’essere padre, e dunque avrebbe dovuto lasciarti andare per salvarti. La ciliegina sulla torta è stato inventare uno sconosciuto che possa essere entrato in casa nostra e gettato scatoli a terra. In realtà ero sempre io, sai? mi serviva per depistarvi. Certo, ammetto di esser rimasto strabiliato quando ha risolto il primo in cinque secondi. C’avevo messo ore per pensarlo. Però sapevo che il pezzo forte, quello contenente la parola RAN, sarebbe dovuto uscire per ultimo. Così è stato. Ho aspettavo il giorno che lo risolvesse, poi sono corso a casa di fretta. Non volevo che capisse il trucco. Ed il mio piano è andato liscio come l’olio.”
“Shirai...”, ho le lacrime agli occhi, ma lui non sembra per nulla scosso dalla mia inquietudine. “Lo so... so di aver sbagliato. So di averti mentito, ma davvero... non ho mai avuto intenzione di farti soffrire...io...”
“Non hai mai avuto intenzione?” scimmiotta le mie parole, schernendomi. “Non ti sei fatta scrupoli nell’andarci a letto, per favore! Né un anno fa, né adesso!”
“Io... io ho provato a resistere... ma...”, singhiozzo, spezzando il periodo in più punti. “...non volevo... non volevo assolutamente mancarti di... di rispetto...”
“L’hai fatto!” replica, in un misto di acidità e rabbia. “Hai accettato di sposarmi, sebbene amassi un altro! Perché?!”
“Perché credevo d’essere incinta di te! Non volevo privare a nostro figlio una vita serena, volevo solo il meglio per lui. E... e inoltre... inoltre ero convinta che tra me e Shinichi non ci potesse mai essere nulla di serio. Io...”
“E per lui hai deciso di prendere in giro me! Be’, grazie...”
“No, Shirai... io ti voglio bene, davvero tanto... non avrei mai voluto arrivare a tanto...”
“Bene... non è abbastanza.” Replica, storcendo le labbra in una brutta smorfia. Poi si allontana da me, indietreggia e sparisce di nuovo verso quel corridoio. Fa ritorno due secondi dopo, con in braccio il mio bambino. Sussulto nel vedere Conan, già piagnucolante tra le sue braccia.
“Conan!” Lo chiamo, cercando di liberarmi. “Ti prego, Shirai! Non fare pazzie!”
“Pagherai per i tuoi errori. Dovrai soffrire quanto hai fatto soffrire me!”
“No, Shirai!” urlo di nuovo, ma lui pare non sentirmi o non volermi sentire. Fatto sta che appoggia Conan sul tavolo di legno, lasciando che si contorci su se stesso e non smetta un secondo di piangere. Si avvicina ad un mobiletto e ne estrae fuori un coltello, dalla lama affilatissima. Il fiato mi si mozza in gola, mentre le lacrime scendono copiose sul mio viso. “Shirai!? Che hai intenzione di fare!? Lascia stare Conan! Shirai!”
Si volta verso di me e mi mostra i suoi occhi lucidi e rossi di ira. “Come hai potuto?”
“Non prendertela con Conan, per favore...” stringo i denti mentre penso ad un modo per liberarmi.
“Lui non c’entra. Che male ha fatto? Per favore. È solo un bambino!” La persona con cui domani avrei dovuto firmare la certificazione del nostro matrimonio è totalmente fuori di sé. So che lui non vorrebbe, che è soltanto spinto da un impulso omicida dettato da rabbia, rancore e dolore, ma il suo stato d’animo è tutt’altro che innocuo. Devo cercare di fermarlo, di prendere tempo. Shinichi potrebbe venirci a salvare, se solo capisse come stanno le cose...
Shinichi...
Al suono del suo nome nella mia mente l’anima mi si squarcia in due. Perché deve sempre andare a finire così? Perché ogni volta che abbiamo la possibilità di stare davvero insieme, succede qualcosa che ce lo impedisce?
“Peccato, sai... peccato che il tuo amico d’infanzia non possa godersi la paternità. Chissà quando capirà come stanno realmente le cose, e quando riuscirà a trovarci...”
“Trovarci?” balbetto, cogliendo a volo l’occasione di prendere tempo. “Dove siamo, perché?”
Lui ride, sadico, mentre affila la lama del coltello. “In un luogo abbastanza lontano da lui, e sconosciuto anche a te. L’acqua che hai bevuto in auto era alterata sai: c’era un sonnifero dentro.”
Strabuzzo gli occhi.
“Non potevo permettermi che lo avvisassi del cambio di rotta.” Risponde con tranquillità, mentre si avvicina con la lama splendente del coltello verso di me.
“Shirai... non farlo. Ragiona. Ti prego.”
“Zitta, zitta... non ti sopporto...” stringe i pugni, attorcigliando le dita della mano destra intorno al manico grigio in ferro lavorato del coltello.
“S-Shirai...”
“Zitta...” lo soffia appena, sputando fuori saliva velenosa. “Che delusione che sei...”
“T-ti prego! Vuoi passare il resto della tua vita in prigione? La polizia... Shinichi... ti troverà... ci troveranno!”
“Lui non potrà trovarmi!” urla, terrorizzandomi. Poi inarca le labbra in un altro sorriso, sfumato di ironia: “...non adesso che gli ho rubato l’auto...”
“L’hai... l’hai fatto apposta?”, ripenso allo sguardo preoccupato del mio amico d’infanzia di qualche ora fa, alle sue premure nei miei confronti e alla sua instancabile voglia di proteggermi.
“Devi solo... solo dirmi perché. Perché hai scelto lui, e non me.”
Deglutisco, fissandolo e annullando per un po’ il mondo intorno a me. “Non lo so. Non c’è un motivo.”
Nelle mie orecchie risuona la voce di Shinichi, che mi chiede dev’esserci per forza un motivo? E  mi rendo conto di capire solo adesso cosa intendesse dire.
Il mio ex compagno impiega parecchio tempo a reagire.
“E allora non so nemmeno io perché voglio ucciderti.” Dopo un silenzio di trenta secondi, abbassa il viso, e lancia il coltello verso di me. Ma non ha il tempo necessario per continuare, che la lampadina appesa e traballante si frantuma, improvvisamente, lasciandoci al buio totale. Le mie orecchie recepiscono un rumore di sfondamento, che apre la via alla luce di fronte a noi. Da quel fascio, una figura in penombra corre verso di me. Si fionda su Shirai, catapultandolo a terra e bloccandogli gli arti. Nel misto di buio e luce, due occhi azzurri si fanno spazio nell’ambiente. Li riconosco all’istante.
“Shinichi!”
Shirai lotta per liberarsi, si dimena contro il corpo del mio amico. Vedo il coltello volare in aria, e temo che possa colpirlo e fargli del male, ma rilascio un sospiro di sollievo nel vederlo giungere abbastanza lontano da non poter più essere utilizzato come arma. Il castano afferra il detective per il colletto, lo strattona e gli tira un pugno in pieno viso. Io sussulto, gemendo. Shinichi cerca di liberarsi, fa forza sulle braccia per allontanarlo, ma riceve un calcio nello stinco. Stringe i denti e, approfittando della momentanea distrazione dell’altro, riesce a ricambiargli il piacere: la mano del moretto vola sull’altro volto, permettendogli di tornare all’in piedi. Ma nemmeno Shirai si da per vinto: sorreggendosi il labbro, si fionda di nuovo verso di lui. Shinichi cerca di ripararsi con le braccia che si arrossano a furia di colpi e pugni, ma Shirai riesce a farlo cadere a terra di nuovo. Dalla sua sinistra afferra il coltello di prima, lo alza in volo con forza.
“NO!” urlo con tutto il fiato che ho in corpo, cercando di liberarmi da queste funi che mi legano. Riesco a rotolarmi a terra, e ad avvicinarmi a dei pezzi di vetro rotti. La lama dell’arma si infilza sul parquet malandato della villetta in cui ci troviamo, Shinichi trattiene la sua mano su quella di Shirai, lo spintona con l’altra e lo allontana. Entrambi si rimettono all’in piedi.
“Brutto sudicio figlio di puttana!”, il mio quasi marito trascina via il sangue che gli cola da un labbro. “Gente come te dovrebbero mandarla al patibolo! Come cazzo hai fatto a trovarci?!”
Shinichi sorride. “Hai detto «l tuo suv è previsto anche di catene. Non avremo problemi» poco prima di andartene. Adesso spiegami a cosa ti sarebbero servite le catene, se la villa di Sonoko è in campagna. Ti sei tradito con le tue stesse parole, ma soprattutto con i tuoi stessi gesti. Sulla mia auto vi è un dispositivo GPS, è stato facilissimo per me arrivare a te.”
“È incredibile. Riesci sempre a soffiarmi tutto.” Shirai scoppia a ridere e si circonda di un’aura minacciosa e sadica. “Ma adesso sono io quello che ti priverà di tutto.” I suoi occhi rimpiccioliscono, si caricano di un odio profondo e represso. Le sue sopracciglia si aggrottano, la pelle si tira e si colora di rosso.
“Tu sei solo mezzo matto, Tendo.” Replica Shinichi.
Io striscio sino a dove mi è possibile recuperare un po’ di vetro: con le mani lo capovolgo e cerco di segare la fune. È tutto più difficile del previsto.
“Ma sono anche...” aggiunge Shirai, e con un sorriso diabolico si apre il giubbotto e ne infila la mano dentro. Ne estrae un pugnale, molto più grosso dell’altro coltello, e decisamente più pericoloso. “...quello armato.”
Sussulto, mentre sfrego sempre di più la seghettatura del vetro vicino alla fune. Shinichi stringe i denti, mentre lo vede lanciarsi su di lui, con la punta del pugnale verso il suo petto. Il detective la schiva, con il gomito lo induce ad abbassare il braccio e a perdere il controllo dell’arma. Questa rotola qualche metro distante, fermandosi sotto il tavolo. Sopra, vi è Conan che piange.
Shirai tenta di riappropriarsene, ma Shinichi lo trattiene per le caviglie, lo avvicina a lui e gli si avvinghia al collo.
“Ragiona, imbecille!” Gli dice, mentre la mia fune sembra sempre più allentata. “Cerca di calmarti e pensa alla tua vita! È giusto rovinarla così... con dei tentati omicidi?”
Shirai tenta di liberarsi, e si dimena sotto la stretta di Shinichi. Si sforza, ma per quanto ci provi, il detective sembra avere il suo corpo sotto controllo. Come se l’avesse legato a mille funi.
“Mi fate schifo!”
“Capisco il dolore e il rancore. Ma se Ran si è fidanzata con te tempo fa, un motivo ci sarà. Non sei un assassino, Tendo, sei solo accecato dall’odio.”
“Se tu ti fossi fatto i cazzi tuoi, tutto sarebbe andato diversamente!” sbraita Shirai. “Se il figlio fosse stato mio, avrei anche avuto un motivo per vivere. Ma tu mi hai tolto tutto!”
Shinichi deglutisce, poi allarga con lentezza le palpebre. Mi guarda, poi posa gli occhi sul tavolo. Per qualche istante tutti si fermano, anche il tempo. Poi la scena riprende colore, Shinichi perde la stretta sul corpo di Shirai. Mio marito riesce ad alzarsi, raggiunge il pugnale sotto il tavolo e afferra Conan. Glielo punta contro. Il mio bambino piange, si smuove con le manine qua e là. I miei occhi sgranano:
“Giuro che lo uccido” lo sento dire.
“NO!” urla Shinichi, mentre le mie dita si liberano finalmente di quella morsa fastidiosa. Lascio scivolare le gambe fuori dalle funi, mi alzo e raggiungo Shirai. Lui nemmeno si accorge di me, e della sedia a cui ero legata, che gli si rompe in testa. Perde la presa su Conan, che precipita insieme a lui verso il basso; Shinichi lo afferra e lo attrae a sé. Shirai sbatte al pavimento, socchiudendo gli occhi.
Passa qualche secondo di sgomento, di paura, senza cognizione del momento.
“Stai bene?” Sento la voce di Shinichi muoversi echeggiante nella casa, con paura e stanchezza. Lo vedo respirare a fatica, come appena di ritorno da una maratona universale.
Annuisco semplicemente, lasciando cadere a terra la sedia ormai distrutta.
“Non ti ha fatto nulla?” mi domanda, quasi sussurrandolo. “Prima che arrivassi io?”
Scuoto un po’ i polsi nel tentativo di far scorrere meglio il sangue nelle mie mani, e prendo a sospirare, ancora un po’ scossa. Sposto lo sguardo su Shirai: è ancora steso a terra.
“No. Nulla.”
“...E al bambino?” chiede, ed io noto in lui una nota di nervosismo mista ad imbarazzo.
Scuoto il capo, arrossendo leggermente. “Shinichi...”
Lui mi sorride e, a suo modo, mi zittisce.
“Non c’è bisogno di spiegare nulla.” Mi fa l’occhiolino, sfiorandomi il polso. Al suo tocco, il braccialetto col ciondolo luccicante tintinna sulla mia pelle. Come a volerci marchiare, come a dirci che, nonostante tutto, siamo sempre stati infiniti.
Portiamo gli occhi su Conan, arrampicato sulla spalla di suo padre. Quello vero. Nostro figlio ci guarda, stende le manine verso di noi. Finalmente non piange più. Schiamazza come solo lui sa fare, si contorce e mi invita a raggiungerli. Ci sorride, sembra dirci “sciocchi... avevo già capito tutto, io”.
 
 
 
“Ma dove ti ha portato? E tu non te ne sei accorta? Ti ha legato? cioè, e alla fine voleva uccidervi!?”
Sospiro, mentre spingo uno scatolo all’interno dell’ascensore. Un altro, più piccolo, lo poggio su quello dove ho riposto tutti i miei libri e le mie fotografie. Gli affianco vicino le due valigie con i miei vestiti, e quella più piccola che funge da beauty case e trucchi generali. Sonoko ha in braccio il mio tesoro, gioioso e pimpante come sempre, che trattiene tra le mani la pallina che lei gli ha regalato qualche giorno fa. Le porte si chiudono con lentezza, e la voce della mia amica non smette di torturarmi.
“E il padre di questa meraviglia sarebbe Mr Sotuttoio?! E lui lo sapeva!?”
Dall’ingresso principale del palazzo dove abitavo, fino a tre giorni fa con Shirai, spunta Shinichi. La sua voce mi strappa un sorriso.
“Mr Sotuttoio avrebbe un nome.” Dice, seccato, mentre si avvicina a noi. Afferra uno scatolo con una mano e la valigia con l’altra, ricevendo un’occhiata truce e maligna da parte di mio padre: “Preferisci Mr Porta-guai-a-Ran?”
Shinichi abbassa lo sguardo, sentendosi colpevole. Sa che ci metterà tempo per farsi accettare. Dal giorno in cui siamo scampati per un pelo alla furia omicida di Shirai, mio padre è venuto a conoscenza della mia relazione – adultera, per giunta – con il mio amico d’infanzia. Ed ha cominciato a dire che lui era sbagliato, che mi aveva abbandonata per dieci anni, che non faceva altro che giocarsi di me. Mi ha chiesto anche: “sei sicura sia proprio figlio suo?” con aria leggermente dispiaciuta. Ci ha messo parecchie ore ad assimilare la notizia più importante: Shirai non era affatto il ragazzo che pareva essere. Di quel giovane mite e sconvolto che conobbi anni fa non è rimasto nulla: adesso è sotto sequestro dalla polizia, in attesa della sua sentenza.
“Papà, non ricominciamo! Shinichi mi ha salvato la vita ed è il padre di mio figlio.”
“Questo è quello che mi preoccupa” recita melodrammatico lui, aiutando – seppure non lo faccia per Shinichi, ma solo per me, ha asserito – il mio compagno a collocare scatoli e valigie nelle varie auto. Sonoko si fa avanti, ridacchiando, con un’espressione furbetta sul viso. Pare dirmi che me l’aveva detto che avrebbe reagito così. Ma io non voglio più sentir parlare di Shinichi come il mostro da cui fuggire. È piuttosto il faro a cui aggrapparsi durante una tormenta, la luce da seguire in fondo al tunnel.
“Papà, io lo amo.” Cerco di essere persuasiva, come ho tentato di farlo in questi giorni. Come faccio a spiegargli tutto quello che Shinichi ha fatto per me, se non posso dirgli la verità? Mi limito ad essere vaga, e so che è proprio questo a non convincerlo. Infatti mi rivolge un’occhiata cupa e insoddisfatta.
“Sì, lo amo. È la persona migliore che conosca.” Ribadisco, mentre affianco il detective maggiore alla prima auto, lontana dagli altri due.
“Quello lì?” mio padre inarca un sopracciglio, puntando Shinichi esterrefatto, poi alza gli occhi al cielo. “Figlia mia, in quanto a gusti lasci proprio a desiderare. Ti sposi un assassino schizofrenico, adesso sei fidanzata con uno che va e viene.”
“Shinichi non va e viene.”
Papà sbuffa. “Non voglio che soffri ancora per lui. Non lo voglio proprio.”
“Lui non mi farà soffrire.” Sposto lo sguardo su di lui, e per qualche istante mi perdo ad osservare la sua bellezza. Ogni suo movimento,ogni muscolo irrigidito, ogni sforzo che compie, per me è spettacolare.
“Sicura che lui ti ami?”
Boccheggio quasi. “Sì, lui mi ama.”
Mio padre  annuisce, ma non sembra convinto. “Se ti becco a piangere per lui di nuovo, anche una sola volta, gli mozzo le mani.”
La sua voce giunge sino alle orecchie del detective. Si gira, ci guarda, ma non sa che fare. Lo sento a disagio. Papà avverto il suo sguardo su di lui, comincia a stizzirsi. Chiude la portiera dell’auto, gli dice: “uomo avvisato, mezzo salvato”.
 
 
Butto giù un po’ di aranciata nel mio bicchiere, portandolo alla bocca e gustandone il sapore a poco a poco, senza fretta. L’agenzia di mio padre non è mai stata così piena. Io e mia madre ci siamo date davvero da fare ieri e stamattina: la festa per mio padre è un vero successo. Abbiamo invitato molti suoi ex amici poliziotti, e parecchi agenti adesso di ruolo in questura. Ci sono i suoi compagni di bevute, quelli inseparabili di mahjong ed anche alcuni ragazzini che, in questi dieci anni, gli hanno chiesto di divenire suoi allievi. Dall’altra stanza vedo chiacchierare Sato con Megure. Noto con piacere che gli anni passati le hanno conferito solo più bellezza e carisma. Adesso è mamma di due bambini: uno di otto anni e l’altro di tre. Lei rivendica la sua somiglianza, indispettita, ma tutti sappiamo che sono identici a Takagi.
“Ciao, Ran-san.” Conosco la voce, ma mi fa strano risentirla dopo tutto questo tempo. Ayumi è dinanzi a me, in un adorabile vestito rosa che le cinge i fianchi e le scolpisce le forme. È davvero una bella ragazza, ormai è quasi alla soglia dei diciotto anni. “Come va?”
“Ayumi-chan...” mi sembra quasi strano ripeterlo. Non ci parliamo da un anno, e non abbiamo una seria conversazione da quando mi vide baciare il suo, e mio, amico d’infanzia. Credo che c’abbia messo molto a metabolizzare quell’immagine, e ancora di più la successiva scomparsa di Conan. È assurdo quello che provo. So per certo che era innamorata follemente del mio stesso uomo, ma non mi provoca nessun fastidio. Anzi, solo tenerezza ed infinita comprensione. Non smetterò mai di pensarlo: lei mi assomiglia. “Tutto bene. A te?”
Annuisce, sembra in imbarazzo. Rivolge gli occhi a Conan, sdraiato nel passeggino di fronte a me. Sta dormendo, ma la sua bellezza è comunque sconfinata. Anche io vorrei rivendicare la mia somiglianza, come Sato, ma purtroppo so per certo a chi assomiglia. E non riesco a capacitarmi di non averlo notato prima.
“Che bellino! È tuo... figlio?”
“Sì. Stupendo, vero?” l’assecondo, fiera, rendendomi conto che il mio giudizio è tutto fuorché oggettivo.
“Adorabile!” replica. “Come si chiama?”
Sono in dubbio se rivelarle o meno la verità. Non vorrei risvegliarle brutti ricordi, però potrebbe comunque venirlo a sapere da Agasa, o magari da qualcuno presente in sala. E non so se sia meglio per lei.
“Conan” in un soffio le ricordo il nome della persona di cui era innamorata, abbassando il capo.
Lei alza la testa strabuzzando gli occhi. Mi aspettavo questa reazione, riesco quasi a leggerle il pensiero.
“Come lui.” Mormora, mordicchiandosi il labbro.
Per non dimenticarlo” proseguo io, ma troppo tardi mi rendo conto d’aver sbagliato. Le sue iridi chiare si sfumano di lucido, mentre le palpebre sbattono più volte e sempre più velocemente. La osservo impietrita, senza sapere cosa fare, sebbene io stessa abbia provato il suo dolore. Non potrò mai sapere come avrei reagito se mi avessero detto che Shinichi fosse morto, che non c’era più nessuna possibilità di vederlo.
Vedo il mio compagno avvicinarsi da lontano, con un bicchiere di coca-cola in mano. Mi raggiunge lentamente, mi sorride, si ferma dietro Ayumi. Credo quasi non l’abbia riconosciuta, e lei non l’abbia notato.
“Tuo padre è già alla terza bottiglia di saké, ha cominciato a ballare” dice. “C’è da dire che adesso non mi manda occhiate omicida, però.”
Se è riuscito a sembrare Conan ai miei occhi, che si preoccupa e ride a modo suo di Kogoro il Dormiente, non oso immaginare ai suoi. La ragazza si gira di scatto, mantenendosi la bocca con una mano. Recita un “oddio” silenzioso, che solo io riesco a percepire per quel che voglia davvero dire. Come io un anno fa rividi in Conan Shinichi, lei adesso rivede in Shinichi Conan. So cosa sta provando: crede di averlo sul serio di fronte, che non è mai passato neanche un giorno da quello maledetto in cui l’ha visto per l’ultima volta, e sente le forze venire meno. Poi si rende conto di sbagliarsi, di essere una sciocca, e riprende a respirare. Si rende conto che non è lui, ma si sbaglia. A volte la verità è talmente vicina ai nostri occhi che per vederla dovremmo soltanto allontanarci.
Shinichi nota Ayumi, e so che non sa come comportarsi. Deve ricordarsi di non imitare l’atteggiamento del suo alter-ego se non vuole incappare in grossi equivoci. La piccola è ancora imbambolata a guardarlo, quando io le risveglio le cellule celebrali.
“Ayumi-chan, ti voglio presentare Shinichi Kudo.”
“Oh...”, so per certo che sta tentando con tutte le forze di capire come sia possibile che quella persona assomigli così tanto a Conan. “P-piacere. A-spetta. Sei tu il famoso...Kudo?”
Shinichi ricambia il saluto, ma Ayumi è presa da tutt’altro. Si gira verso di me, e coprendosi la bocca, mi sussurra: “...il ragazzo che aspettavi?”
“È lui” dico, mentre il mio compagno cerca di capire di cosa stiamo parlando.
“È tornato?” chiede, quasi lacrimando.
Annuisco, e lei deglutisce. “È uguale a...”
“Conan-kun.” Rispondo per lei, notando la sua fatica nel pronunciare quel nome, all’apparenza così semplice e breve. I suoi occhi lasciano scivolare giù una lacrima, che si ferma sul colletto del suo vestitino. Respira un po’ con tremore e affanno, ma non ha il coraggio di voltarsi verso Shinichi.
“Mi manca Ran-san, sai. Però lui era innamorato di te, ed io l’ho capito fin troppo tardi.” Mi confida, facendo scivolare la lingua sui suoi denti. Sta cercando di trattenere le lacrime, e lo fa con un mezzo sorriso.
Non ho la minima idea di cosa debba risponderle. Per qualche istante non riesco a pronunciare parola, bloccata da un insolito senso di colpa. Come se Conan non ci fosse più, per lei, per colpa mia. Poi lo guardo, dietro di lei, appoggiato al tavolo, con lo sguardo su nostro figlio. “Tu... tu sei ancora innamorata di lui?”
Ride. “Che domanda, Ran-san.” Risponde e poi prende un lungo respiro. Ricevo la risposta tra le righe: sì. Poi mi guarda e sorride: “Toglimi una curiosità... lui... lui ti ricordava Kudo-san, vero?”
Annuisco semplicemente. “Da morire.”
“Ma tu... lo amavi?”
Sorrido rivolgendo uno sguardo a Shinichi, e di un colpo lo vedo ringiovanirsi di dieci anni. Immagino Conan a giocare con mio figlio, da zio e non da padre. Lo vedo cercare di farmi ridere, come un vero fratello che ti sta accanto nei momenti più difficili. Non Shinichi, ma soltanto Conan. “Sì, lui è stato la luce che fuoriusciva dalle continue crepe della mia vita. ”
Ayumi sorride, annuisce. Lo guarda.
“D’altronde, come si faceva a non amare il mio amico d’infanzia?” sussurra, poi abbassa lo sguardo e punta gli occhi su di me. Ride di se stessa: “Già, è solo questo. Ma di che mi lamento? In fondo, è davvero così.”
 
 
 
“Sì, mamma, ho capito. Il volo arriverà a mezzogiorno, mi farò trovare qui” sento la voce del mio detective espandersi dai lati della stanza, con il cellulare appoggiato all’orecchio destro e l’altro braccio a sorreggere nostro figlio. Lo guarda, e mentre Yukiko smette di parlare, ridacchia: “E poi, devo presentarti una persona.”
Rido, e mentre mi immagino la reazione della baronessa nello scoprirsi nonna, lascio cadere il mio corpo sul letto matrimoniale della stanza che un tempo fu sua e del marito. La stessa in cui dormiamo e facciamo l’amore noi. Guardo il soffitto e ne ispiro il profumo, facendo scivolare le mani sulle lenzuola di seta, fresche e rasserenanti.
“Domani scoprirai chi è” dice ancora, con aria divertita, per poi salutarla e riattaccare: “A domani”.
Il materasso scricchiola leggermente, inducendomi a voltare lo sguardo verso il mio compagno. Shinichi ha Conan in braccio, che sbatte i piedini in aria e che rivendica il possesso della sua pallina a strisce dei Tokyo Spirits: il padre gliel’ha regalata dicendo che suo figlio sarebbe cresciuto amante del calcio e dei gialli, proprio come lui.
“Come credi la prenderà tua madre?”
Lui fa una smorfia allegra. “Sicuramente pretenderà di non essere mai chiamata nonna.”
Annuisco, concorde. Shinichi sorride e Conan schiamazza con lui, mentre fa svolazzare la pallina dietro alla testa del padre.
 “A guardarvi adesso mi sembra impossibile che prima non l’abbia notato” si girano entrambi, come se anche il piccolo abbia capito che stia parlando di lui. Sorrido, mentre mi spingo verso mio figlio e gli lascio un bacio sul piedino nudo. “Vi assomigliate tanto tanto.”
“Vero, eh?” fa Shinichi, fiero. “È la mia fotocopia.”
Assottiglio gli occhi, e indispettita, racimolo tutte le mie forze nella rivendicazione del mio DNA.
“Incominciamo col dire che ha il mio stesso mento.”
“Ha il mio colore degli occhi, però.” Ribatte lui.
“Ma il taglio è il mio” glieli indico, e lui li guarda. “Ti pare il taglio dei Kudo? Voi avete gli occhi più lunghi, noi più rotondi.”
“Se va be’...” mi osserva e assume un’espressione furba: “Ha i miei stessi capelli però. I tuoi sono più castani.”
“E le guance? Sono proprio come le avevo io da piccola.”
“Anche io avevo le guanciotte” replica, quasi offeso.
Ripenso per un attimo alle sue fotografie da neonato. “Ok, quello sarà in comune. Però il naso, quello è mio!”
“Non dire fesserie! È proprio uguale al mio!”
“E la fronte? È ampia come la mia.”
“L’attaccatura dei capelli è mia, però.”
Faccio la finta offesa, mantenendomi il fianco con una mano, mentre protraggo un braccio verso il mio compagno. Tento di trattenere la mia risata, in modo che il gioco continui ancora un po’. Giusto il tempo che serve. Giusto tutta l’eternità.
“Quando è nato, mamma ha detto che era la mia fotocopia” spiego, con fare convincente, indicando il nostro bambino. Conan ci osserva stranito e perplesso. Starà pensando che siamo due pazzi.
“Tua madre non ci vede, è risaputo” ribatte lui, ironico. “E poi sono più tendente a credere che abbia pensato...” prende una pausa e continua con un tono più melodrammatico, che dovrebbe imitare quello di Eri: “...assomiglia a qualcuno, ma adesso mi sfugge... ah, come si chiamava quel moccioso? Conan-kun...mmmh! Ran, non è che mi devi dire qualcosa?
Scoppio a ridere, incapace a controllarmi. “Spiritoso.”
Lui assume un’espressione furba. “Di’ la verità. Quando hai visto il bimbo hai subito pensato a me. Non hai pensato che potessi essere io il padre?”
Sospiro, abbattuta. “No, Conan stava per morire, Shinichi... io ero distrutta. Per uno stupido errore di calcolo, capisci?... il feto era troppo grande per rimanere ancora in gestazione. Così il bambino ha cominciato a girare su se stesso e ad attorcigliarsi intorno al cordone ombelicale, rischiando il soffocamento. Ero talmente presa da lui da non far caso al fatto che potesse esser stato concepito prima, con te.”
Lui abbassa lo sguardo sul piccolo, che continua a giocare con la sua palla. La comprime e la rilascia, stupendosi di come questa riesca a cambiare forma.
“Mi dispiace” dice poi, silenzioso, in un mormorio. “Di non esserci stato.”
Sorrido, e con le dita gli accarezzo la spalla. “Non è colpa tua, lo sai. Sono stata io ad allontanarti, sebbene non lo volessi.”
Shinichi mi guarda, assottigliando un po’ gli occhi. Assume un’espressione curiosa. “Allora toglimi una curiosità. Se non avevi dubbi riguardo la paternità, perché l’hai chiamato proprio... Conan?”
La pancia nella quale sta crescendo mio figlio, è ormai clamorosamente evidente: gente che mi incontra per strada me l’accarezza e mi fa i complimenti, i bambini rimangono stupefatti nel guardarla. È come una specie di attrazione. Tutti si girano e sorridono, e riescono a ricordare anche a me come si fa. Sono sei mesi che sembro averlo dimenticato ormai, sei mesi che non vedo Shinichi. Non so dove sia, cosa faccia, con chi si stia vedendo. Mi manca come il primo attimo in cui fui costretta a dirgli addio.
“Ran, tu e Shirai-kun avete pensato ad un nome?” mi chiede mia madre, dal vetro di un negozio per bambini. “Ormai sei al sesto mese.”
Prendo una tutina azzurra tra le mani e me la studio un po’: è davvero carina, e sono sicura che al piccolo starà una meraviglia. “No, in realtà. Lui ha proposto nomi come Higo, Kaito, Tastuo... però non so. Non mi convincono.”
“Kaito è molto carino come nome.”
Annuisco, distratta. “Be’, sì. Però... è come se non gli appartenesse.”
Dovrei dire a mia madre che ho pensato di chiamare mio figlio Shinichi, ma credo che mi prenderebbe per pazza. Lei come mio padre, Sonoko, ed il resto delle persone che sanno cosa ho provato per lui. Pago la tutina ed esco dal negozio seguita da mia madre, che regge per me il sacchetto. Mi affianca e mi indica un’altra destinazione:
“Che ne dici se diamo un’occhiata anche ai vestiti da sposa?” suggerisce. “Non hai ancora visto nulla, ed il matrimonio è tra 40 giorni!”
Volto appositamente lo sguardo altrove, lasciandomi andare ad uno sbuffo sincero. Non ho voglia di andare negli atelier a far finta di essere felice di tutto ciò: per il momento preferisco dedicare tutte le mie attenzioni al bambino, l’unica ragione che mi da la forza di andare avanti.
“Mamma, dai, è ancora pr...” sto per dire, quando la mia attenzione è attratta da un foglio di giornale svolazzante a terra, calpestato da centinaia di persone, e sporco di fango e polvere. Il mio cuore perde un battito, quando mi accascio a terra e tento di prenderlo. Mia madre crede mi senta male, mi avvicina e mi chiede cos’abbia, ma io la ignoro. Scritto a caratteri neri e grandi, un foglio di carta riapre nel mio cuore la più grande delle ferite.
«Serial killer arrestato: è di Shinichi Kudo la gloria.»
Porto le dita sulla mia bocca nel tentativo di fermare gemiti di sorpresa e angoscia, parole che potrebbero tradirmi come la peggiore dei criminali. Shinichi è a Tokyo, fa il detective, ed è la salvezza della polizia giapponese. Come lo è sempre stato, d’altronde.
Quasi non me ne capacito: sposto lo sguardo in alto, alla ricerca della data. Il giornale è di stamattina. Guardo in basso, cercando di leggere tra caratteri sbiaditi e altri cancellati, un po’ della sua intervista.
“Ran, ma che fai? È tutto sporco, lascialo a terra.” Tenta di persuadermi mia madre, ma tutti i tentativi sono vani: le mie mani tremano, ma non hanno nessuna voglia di lasciare andare questo foglio di carta. Leggo le parole, mi immergo quasi in esse. Il giornalista dice «il serial killer, che la polizia stava cercando da circa tre mesi, è stato catturato ed incastrato all’alba da un noto amante della giustizia, attivo perlopiù anni e anni fa. Si tratta di un ragazzino, adesso cresciuto, che non sembra aver perso la stoffa del detective. Il suo nome è Shinichi Kudo», poco più in là c’è una foto sua nel luogo dell’arresto, alcune parole d’elogio del giornalista, ed in fondo una domanda rivoltagli: «Gli ho chiesto che fine avesse fatto e se fosse tornato per sempre. Kudo ha risposto “sono stato impegnato a risolvere un caso difficile e complicato che mi ha rovinato la vita. Ma adesso sono andato avanti, e del mio passato non ne vedo più ombra. È come morto, per me”.»
Come morto. Ha cancellato dieci anni della sua vita, l’ha assassinati. Così leggendo, capisco che lui ha finalmente raggiunto ciò che voleva: liberarsi una volta per tutte di quel Conan, quell’alter-ego che ha preso il suo posto ed annientato l’esistenza. L’ha fatto pensando a se stesso, ma non ha mai capito che quel ragazzino occhialuto e saputello è la sua parte migliore, ciò che mette in evidenzia tutti i suoi pregi ed oscura i suoi amabili difetti. Perdo la presa sul giornale senza curarmene.
Adesso so come voglio chiamare mio figlio.
“Capisci, adesso? Tu ha sempre ignorato il fatto che Conan Edogawa fosse una persona e che avesse la sua vita, i suoi amici, la sua storia... che erano diversi da quelli di Shinichi Kudo. Io no...” finisco di raccontare quell’aneddoto, meravigliandomi di riuscire a trattenere le lacrime di fronte a quel ricordo. “L’ho chiamato Conan per tenere in vita un po’ di quel bambino saputello che con il tuo ritorno è scomparso del tutto. Quando c’era lui tu eri presente, ma non accadeva l’inverso. Tu eri tornato, ma Conan no. Lui era davvero morto. Ed io non volevo che, la persona che m’ha aiutato in tutto e per tutto in dieci anni, scomparisse così.”
Lui fa per prendere parola, ma io lo anticipo: “Io amavo Conan, Shinichi. So che eri sempre tu, ma io vi vedevo come due persone diverse. Io non ce l’avrei fatta senza di lui.”
Lui sorride, sarcastico: “dovrei essere geloso del mio alter-ego?”
Rido. “No. Io... sono felicissima di come siano andate le cose, di come io e te stiamo adesso sullo stesso letto a litigare di chi abbia preso i capelli nostro figlio. Però sarei ancora più felice se ad aspettarmi, nell’altra stanza, ci fosse il mio Conan-kun, il mio fratellino. Vedila così: mi mancherà per sempre quella parte di te che non era te.”
Shinichi simula una smorfia con le labbra, e fissa lo sguardo sul nostro bambino. Soltanto a lui ho spiegato il vero motivo della scelta del nome, costatomi un’occhiataccia di Shirai, a cui prontamente risposi che era per il mio fratellino morto, che non potevo ignorarlo. Era vero e falso solo in parte.
“Hai ragione, ho sempre detestato Conan. Era l’unica persona che avrei ucciso volentieri” dice il mio amico d’infanzia, sorridente. “Avrei ucciso me stesso, che paradosso. Ho fatto di tutto per dimenticarlo, ma sbagliavo a credere di poterlo abbandonare seriamente. Conan Edogawa non è mai scomparso davvero.”
“Credi?” gli chiedo, poggiando il viso sulla sua spalla. Inspiro il suo profumo mescolato a quello del nostro piccolo.
“Lui è nella mente di chi l’ha conosciuto, nei cuori di chi gli ha voluto bene e negli occhi chi l’ha odiato. Ma se adesso è ancora qui, di fronte a te, è grazie all’unica persona che lui ha mai amato.” Sfiora il mio polso e il nostro bracciale. Un suo per sempre sarà comunque con me.
 “Tu, Ran-neechan.”
 






Aaaaah! ç___ç È l'ultimo chap, tristezza tristezza tristezza! :( Mi dispiace aver già concluso con gli aggiornamenti, mi ero ormai abituata a leggere le vostre bellissime recensioni. <3 Mi strappavate sempre un sorriso! Grazie per avermi accompagnata in quest'ultima storia, grazie per esserci stati e per aver creduto sempre in Shinichi e Ran! Siamo i fan migliori del mondo :3 Ai due piccioncini non potevo non dare un finale lieto, sono troppo, ma troppo, carini insieme! 
Non è quello che pensa Kogoro, però... be', Shinichi ci farà l'abitudine XD
Si sono finalmente risolti tutti i misteri (tra cui il nome del bimbo, mi pare che solo una o due persone l'avessero azzeccato il motivo! XD), e Shirai se n'è finalmente andato a quel paese in prigione :D 
Ayumi-chan è ancora innamorata di Conan, mi dispiace tanto per lei ma... Shinichi è solo di Ran XD Se ne farà una ragione! 
E mentre mamma e papà litigano su a chi somiglia di più il pargolo (io dico a Shin <3), vi abbandono e vi lascio un solo e triste
Arrivederci


Vi voglio bene,
Tonia-neechan. <3

 
   
 
Leggi le 19 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Detective Conan / Vai alla pagina dell'autore: IamShe