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Autore: ___Ace    09/10/2013    6 recensioni
“Non è serata, Evidenziatore, torna un’altra volta”.
Osservai quell’energumeno che avevo avuto la sfortuna di incontrare: i capelli in disordine e un orrendo paio di occhiali con le lenti spesse era appoggiato sulla fronte, tenendo quei ciuffi rosso vermiglio alzati verso l’alto; la maglia sporca di nero, pantaloni neri, scarponi neri. Praticamente avevo davanti a me l’Uomo Nero in persona.
Avrebbe potuto spaventare i mocciosi qui intorno.
*
Ecco, lui sembrava infiammato. Costantemente. Sembrava sempre avere qualcosa da dire, da fare o da vedere; non stava mai fermo e si muoveva in continuazione; a volte sembrava calmarsi ed essere colto da un’improvvisa quiete e sonnolenza, ma si riprendeva subito dopo; adorava i fuochi d’artificio e il fuoco lo affascinava. Diceva che era caldo, e quindi apprezzato dalle persone, ma allo stesso tempo temuto perché poteva bruciare e fare del male. Questi aspetti contrastanti gli piacevano immensamente, tanto da suscitare anche la mia curiosità e facendo si che, ogni volta che passava, mi ritrovassi chino sul bancone ad ascoltare le sue stramberie per nulla annoiato.
Ace era certamente così: bello, scoppiettante e caldo. Era il fuoco.
*
Kidd/Law. Ace/Marco. Penguin/Killer. Accenni Zoro/Nami.
Genere: Fluff, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eustass Kidd, Marco, Portuguese D. Ace, Trafalgar Law, Un po' tutti | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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Capitolo 1.
Vietare l’entrata ai coglioni
 

Do you ever feel like breaking down? Do you ever feel out of place?

Ma tu guarda questi ragazzini in fase ormonale. Se la smettessero di tenere il cervello tra le gambe e iniziassero a ragionare seriamente non succederebbero questi casini.
Davanti ai miei occhi si stava svolgendo una delle classiche risse da quattro soldi tra diciottenni che, per gelosia o a causa del vasto e incauto uso degli alcolici, visti come un modo per attirare l’attenzione ed essere trasgressivi, iniziavano ad urlarsi contro, spintonarsi infastidendo le altre persone e prendendosi a cazzotti. Certo, era uno spettacolo da non perdere, ma ormai iniziavano a stancare.
Se qualcuno prendesse l’iniziativa di vietare l’entrata ai coglioni questo posto sarebbe anche passabile, pensai irritato, bevendo un altro sorso di vodka e fissando malamente uno dei bambocci che si atteggiava da duro.
Tsk, puzzeranno ancora di latte.
La storia era sempre la stessa: uno si avvicinava a una ragazza, le faceva la corte, ballava un po’ con lei e poi restava fregato quando il fidanzato di questa se ne accorgeva. Iniziava così il putiferio e la maggior parte delle liti.
Se fosse toccato a me avrei semplicemente consigliato al suddetto ragazzo di aprire gli occhi e tenere più sotto controllo la sua puttana, tutto qui. Si sarebbe incazzato? Meglio, voleva dire solo una cosa: avevo ragione io.
Mi guardavo a destra e a sinistra e quello che vedevo non mi piaceva per niente. I presenti superavano a fatica i vent’anni e quelli che lo facevano erano per lo più quarantenni bifolchi in cerca di qualche svago e di rimorchiare qualche oca ubriaca.
Poggiai il bicchiere vuoto sul bancone. Me ne sarebbe servito un altro se volevo almeno sperare di dimenticare dove mi trovavo e rilassarmi un po’.
Ma che razza di postacci frequentano Penguin e Bepo?
Proprio mentre li nominavo col pensiero, ecco apparire tra la folla intenta a ballare un tipo strambo con in testa il solito cappello con scritto il suo soprannome.
«Allora amico, ti piace il posto?» chiese entusiasta.
Sarebbe stata la prima e ultima volta che ci avrei messo piede spendendo i miei soldi per pagare l’entrata.
Feci una smorfia disgustata. «E’ orrendo. La prossima volta andiamo al Moby Dick come avevo proposto fin dall’inizio».
Mi guardò storto per qualche istante, giusto il tempo necessario per riprendersi e trovare il modo di ribattere.
«Hai ragione, è una merda» accordò infine, dopo averci pensato su con aria grave.
«Mi fa piacere che te ne sia accorto. Raduna gli altri, ovunque siano».
«Non so con quanta facilità riuscirò a trovarli, poco fa hanno intravvisto un gruppetto di ragazze e si sono lanciati in una delle loro mai riuscite imprese».
«Ovvero portarsele a letto?» azzardai annoiato.
«Esattamente» rispose con un’alzata di spalle.
Fa niente, pensai, tanto ormai era chiaro che avremmo dovuto passare il resto della serata in quella sottospecie di asilo per bambini, tanto valeva tentare di divertirsi.

Like somehow you just don’t belong and no one understands you.

Ebbi una folgorazione.
«Dì un po’, Penguin, ti ricordi l’ultima volta che ci hanno buttato fuori da un locale?» chiesi ghignando.
Sembrò cadere dalle nuvole, ma poi una lampadina si accese nella sua testa vuota e l’espressione stupita si trasformò presto in un sorriso malizioso.
«Eravamo talmente ubriachi che siamo saliti sul palco fingendo di essere lo spettacolo forte della serata e ci siamo spogliati completamente».
«Che ne dici di rifarlo?» domandai ammiccando.
Si sfregò le mani, «Offro il primo giro».
Quando fu chiaro che eravamo abbastanza allegri entrambi, dopo vari bicchieri di vodka e altre sostanze ignote di cui non ricordavo il nome, abbandonammo giacca e cappello in quello che era stato il nostro tavolo prenotato in precedenza e ci dirigemmo verso la pista.
Certo che ci stavano dando dentro con la rissa che avevano iniziato. Al centro della sala si era formato un gruppo indistinto di ubriaconi che agitavano i pugni per aria, colpendo chiunque capitasse a tiro o intralciasse i loro movimenti.
Il mio obbiettivo era raggiungere uno dei palchi presenti ai lati della console che sparava musica a tutto volume facendomi vibrare la testa e battere il cuore a ritmo, anche se tutto ciò era solo una sensazione. Per farlo, però, dovevo passare in mezzo alla bolgia di corpi sudati e ansanti, distrutti dalla fatica e dalla spossatezza che portava tutto l’alcool ingerito.
Almeno io ero ancora nel pieno delle mie forze.
Mi voltai alla ricerca del mio fedele compagno di avventure, ma non lo trovai alle mie spalle come avrebbe dovuto essere.
Con orrore, invece, mi accorsi che stava discutendo animatamente con due elementi dall’aria poco cordiale che continuavano a spintonarlo a destra e a sinistra, passandoselo a intermittenza come se fosse una palla.
Mi schiaffai una mano sul volto, esasperato dalla piega sbagliata che stava prendendo la serata.
Ritornai così sui miei passi e mi affiancai al mio compagno, mettendo fine allo stupido gioco che avevano iniziato i due ragazzi dall’aria sfatta che ora ci guardavano dall’alto in basso.
«E tu chi ti credi di essere?» fece il primo, faticando a tenere gli occhi aperti.
«Non ti deve interessare, marmocchio» sputai freddo. Sembravano più piccolo di noi e lo sovrastavo in altezza, perciò bastò un’occhiata di fuoco e un tono intimidatorio per farli sparire dalla mia vista e lontano dalla pista da ballo.
Bene, due idioti in meno a cui pensare.

Do you ever wanna run away? Do you lock yourself in your room?

«Penguin, erano due bambini. Per l’amor del Cielo, fatti rispettare!» sbuffai, riprendendo la mia avanzata verso un cubo libero, poco lontano da noi.
«Non volevo fargli male…» si stava giustificando lui, ma fu interrotto a metà frase da un idiota con i capelli rossi e un brutto muso corrucciato da schiaffi che, spintonato da qualche ignoto, era finito con l’urtare di spalle il mio povero e innocente amico.
E questo colosso da dove sbuca? Guarda com’è conciato, sembra appena uscito di galera. Ma lo sa che carnevale è passato da un pezzo?
Il diretto interessato si voltò a fissare con astio Penguin il quale, un attimo dopo, si ritrovò sollevato da terra e con il viso vicinissimo a quello minaccioso del suo aggressore, rosso di rabbia in tutti i sensi.
«Come cazzo ti permetti di venirmi addosso, microbo?» urlò minaccioso per sovrastare la musica che continuava a riempire le orecchie di tutti senza tregua, mentre la sfera stroboscopica e le luci psichedeliche illuminavano a ritmo la scena che si stava svolgendo indisturbata in mezzo alla sala, dove tutti avevano preso ad incitare i coinvolti e a ballare a determinati metri di distanza.

With the radio on turned up so loud that no one hears you screaming.

D’accordo, avevo mantenuto la calma e superato il fatto di trovarmi in un posto veramente squallido e poco serio; ero riuscito ugualmente a trovare il modo di passare sopra a tutto e a darmi alla pazza gioia ed ora mi si voleva privare addirittura di questo piacere?
No, decisamente non avrei tollerato altri intoppi, soprattutto non avrei permesso a nessuno di trattare così uno dei miei amici, nemmeno a quell’invasato.
«Non è serata, Evidenziatore, torna un’altra volta» dissi serio, afferrando saldamente il polso del ragazzone e iniziando a stringere, gelandolo con un’occhiata omicida.
Si voltò a guardarmi, sostenendo il mio sguardo senza la minima intenzione di cedere e sfidandomi a fare di meglio.
Mi stupì il suo comportamento coraggioso; non tutti riuscivano a tenermi testa, ma quel tipo doveva essere abituato alle minacce, perciò avrei dovuto impegnarmi e fare di meglio per convincerlo a togliersi di mezzo.
Osservai quell’energumeno che avevo avuto la sfortuna di incontrare: i capelli in disordine e un orrendo paio di occhiali con le lenti spesse era appoggiato sulla fronte, tenendo quei ciuffi rosso vermiglio alzati verso l’alto; la maglia sporca di nero, pantaloni neri, scarponi neri. Praticamente avevo davanti a me l’Uomo Nero in persona.
Avrebbe potuto spaventare i mocciosi qui intorno.
Sospirai, ormai era chiaro che non ci sarebbe stato nessun spogliarello gratuito, tanto valeva intrattenersi in un modo più sportivo e gratificante.
«Molto bene» sussurrai pacato, prima di sferrargli una ginocchiata sulla bocca dello stomaco, costringendolo a mollare la presa sul povero Penguin, il quale stramazzò al suolo riprendendo fiato e sistemandosi il colletto stropicciato della maglia.
Il brutto ceffo si massaggiò la pancia sorpreso, ma non così dolorante. Doveva essere uno di quelli super palestrati o abituati a ricevere colpi forti, dato che il mio ginocchio sembrava aver sbattuto contro un muro.
«Non avresti dovuto farlo» mi avvisò, avvicinandosi minaccioso e caricando un destro micidiale.
Alzai gli occhi al cielo, aspettando con calma che facesse la sua mossa.
Fantastico, ora devo pure sistemare questo esaltato. Per fortuna prima di iniziare ho bevuto, almeno non mi sentirò troppo in colpa quando gli spezzerò qualche osso.
«Ti spacco la faccia» affermò, preparandosi a colpire ancora dopo che ebbi schivato facilmente il primo colpo.
Ghignai, «Non preoccuparti, se ti faccio male ti ricucirò alla perfezione».
L’avrei usato come cavia da laboratorio per portarmi avanti con la pratica. Studiare medicina si era rivelato un vero spasso e svuotare quella sua testaccia rossa sarebbe stato un piacere immenso.
Persi di vista Penguin nell’esatto istante in cui iniziammo a picchiarci senza esclusione di colpi.
Quando mi abbassavo per schivare uno dei suoi pugni, approfittavo per recuperare dal pavimento qualcosa di utile da lanciargli addosso e il più delle volte il mio piano andava a segno, dandomi il tempo di reagire e colpirlo all’improvviso.
Riuscii a fargli un bell’occhio nero, ma in cambio mi ritrovai con un labbro rotto. Pazienza, non era nulla di grave, ma gli sarebbe costato caro questo affronto.
Rise sguaiatamente quando notò la mia espressione furibonda e in sangue che mi colava sulla camicia che fino ad allora era rimasta immacolata.
Sputai a terra, fissandolo con odio. Solo guardarlo mi faceva prudere le mani.

No you don’t know what it’s like when nothing feels alright. You don’t know what it’s like to be like me.

Scattai in avanti cogliendolo di sorpresa e, dopo una finta per distrarlo, lo colpii dove meno si aspettava, mettendolo fuori gioco.
Che ne dici, Albero di Natale? Fa male in mezzo alle gambe, vero?
Cercò in tutti i modi di non cedere al dolore, reggendosi a stento in piedi, ma alla fine fu costretto a crollare in ginocchio e a tenersi con delicatezza il cavallo dei pantaloni, mentre io mi godevo tutta la scena, sorridendo vittorioso.
«Cancellati quel ghigno dalla faccia, bastardo!» mi ordinò, tra un respiro e l’altro.
Trattenni una risata solo per non renderlo più ridicolo di quanto già non fosse. «Non prendo ordini da nessuno, Capelli di Fuoco. E ora scusami, ma devo andare».
A quanto pareva, all’entrata erano apparsi alcuni uomini della sicurezza e i gestori del bar stavano indicando la pista dove la rissa continuava a svolgersi regolarmente, attirando tanti spettatori quanti nuovi partecipanti. Di li a poco sarebbero stati sbattuti tutti fuori.
Non appena individuai Penguin dall’altra parte della mischia, mentre si teneva a debita distanza da possibili attacchi e coinvolgimenti, mi affrettai a raggiungerlo, sorpassando il mio dolorante avversario a terra e suggerendogli di mettere un po’ di ghiaccio sull’occhio pesto non appena fosse tornato a casa.
Mi mandò bellamente a quel paese, aggiungendoci vari e coloriti insulti, ma non avrei perso altro tempo prezioso con lui e, soprattutto, non mi sarei fatto buttare fuori dal locale per un casino che non avevo combinato io.
«Tutto bene?» mi sentii chiedere, una volta raggiunto Penguin.
«Tutto a posto» lo tranquillizzai, «Chiama gli altri e usciamo di qui. Digli che non mi importa se stanno scopando».
Il ragazzo si lasciò scappare una risata e, mentre recuperavamo le nostre giacche diretti verso l’uscita, mi accorsi con divertimento che il nostro rosso amico aveva preso a litigare con uno dei buttafuori.
Scossi piano la testa.
Razza di esaltato.

Welcome to my life.





Angolo Autrice.
Beh, a quanto pare i nostri ragazzi si sono incontrati finalmente e hanno già iniziato a fare scintille.
Ho voluto introdurre il testo di alcune canzoni, anche se non sarà così per tutti i capitoli, credo. Però mi piace troppo scrivere con l’idea di avere un sottofondo musicale e se avete qualche suggerimento da darmi o commenti da fare sapete dove trovarmi!
La canzone è Welcome to my life dei Simple Plan.
Grazie a tutti, recensori e lettori.
See ya,
Ace.

 
  
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