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Autore: SunlitDays    05/11/2013    4 recensioni
Annabeth Chase si era messa comoda sulla sedia al centro dell'aula, nella prima fila, ed era impegnata nel posizionare ordinatamente un quaderno con varie matite colorate sul banco. Gli fece segno con la mano di sedersi al suo fianco. Percy si sedette con un un piccolo salto all'indietro sulla cattedra del professore di latino.
Lei alzò gli occhi al cielo.
Lui sorrise scioccamente.
E così cominciò quella che da lì a poco sarebbe diventata una scontrosa amicizia tra due individui completamente opposti.
Genere: Angst, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Grover Underwood, Percy Jackson, Poseidone, Sally Jackson
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo Primo

 

“Ti dico che è un mostro! Uno di quei cosi che combattevano gli eroi nell'antica Grecia, forse. O magari un mago illusionista. Mi hanno sempre spaventato i maghi illusionisti. Ti ho mai raccontato di quella volta, al mio quinto compleanno? C'era questo mago che tirò una colomba bianca dal cilindro. Almeno credo fosse bianca. Era piena di gomme da masticare appiccicate sulle piume e--.”

“C'ero anch'io alla tua festa di compleanno, amico. E la professoressa Dodds non è un mostro, né un mago illusionista. È solo una vecchia zitella che odia gli adolescenti e probabilmente li mangia a cena con le patate al forno” disse Percy, che stava guardando un'anziana signora che con difficoltà si teneva stretta alle maniglie dell'autobus per non cadere.

Grover rabbrividì. “Ricordami di non accettare mai un invito a cena dalla professoressa Dodds e di non ingaggiare mai più maghi alle mie feste di compleanno.”

“Mi preoccuperei se al tuo diciottesimo compleanno ingaggiassi un mago, sinceramente” replicò Percy, mentre si alzava a faceva segno alla vecchietta di prendere il suo posto.

Dopo il suo incontro con la signorina Annabeth-So-Tutto-Io-Chase, la giornata non era migliorata. L'insegnante di inglese, il professor Stockfis (Stoccafisso, per gli alunni), lo aveva beccato impreparato (niente di nuovo qui) e poi lo aveva guardato con quello sguardo deluso e comprensivo che sembrava dirti: ‘sei proprio stupido, Percy, ma non è colpa tua’. Durante l’ora di studi sociali, non era riuscito a tenere la bocca chiusa e fare battute sarcastiche, e il professore gli aveva ordinato di uscire e prendere una boccata d’aria (“e una bella detenzione per oggi pomeriggio, Jackson”). Così aveva dovuto saltare gli allenamenti di basket. Non che facesse alcuna differenza, dato che la signorina Annabeth-Sono-Migliore-Di-Te-Chase aveva programmato le lezioni nei giorni e nelle ore che facevano comodo a lei, senza tener conto che forse, e dico forse, anche Percy poteva avere una vita, e grazie tante. Percy adesso aveva due alternative: fregarsene altamente e non presentarsi alle lezioni – e vai al diavolo, signorina Annabeth-Ho-La-Puzza-Sotto-Il-Naso-Chase mandando all'aria ogni possibilità di diplomarsi e deludendo sua madre e il professor Brunner, o lasciare la squadra di basket, e quindi l'unica cosa in cui fosse bravo e lo facesse star bene. Cercò di consolarsi col pensiero che c'era sempre la squadra di nuoto, i cui allenamenti non si accavallavano con le lezioni di recupero, ma poi ricordò che suo padre era stato capitano della squadra di nuoto e mandò al diavolo anche quell’idea.

Arrivato alla sua fermata, salutò Grover e si diresse verso casa. Sua madre non era ancora tornata da lavoro, quindi, gettato lo zaino in angolo della sua camera e le scarpe in un altro, si diresse in cucina per uno snack. Trovò qualche biscotto blu, e sopirò felice pensando che, anche quando la giornata sembrava sprofondare sempre più in basso, potevi sempre contare sui biscotti di sua madre per risollevarti il morale.

Si gettò di peso sul divano in salotto, con tutta l'intenzione di oziare davanti alla TV e non pensare alla montagna di compiti che lo aspettava, quando vide la cartolina di suo padre sul tavolino, dove quella mattina, in un gesto di stizza, Percy l'aveva gettata sperando si disintegrasse con la forza del suo pensiero.

Deciso ad ignorarla, cominciò a fare zapping col telecomando, ma per quanto si sforzasse, il suo disturbo dell'attenzione e iperattività non voleva fargli dimenticare quell'insignificante – e di poco gusto – pezzo di carta.

Un'ora dopo, sua madre lo trovò con una freccetta in mano mentre prendeva la mira per centrare il sedere greco e abbronzato che aveva attaccato al muro.

“Problemi con qualche ragazza?” gli chiese sua madre con un sorriso, il che non fece che ricordargli di Annabeth-Sono-Un-Genio-E-Tu-No-Chase.

Percy scrollò le spalle.

Sally Jackson andò a sedersi al suo fianco e l'abbracciò. Odorava di dolci e crema antirughe, e Percy sprofondò con la faccia nella sua spalla.

“Sapevi che papà ha deciso di tornare?” chiese, con la voce soffocata dalla divisa da lavoro di sua madre, anche se sapeva che “tornare” non era il termine adatto. Per “tornare”, prima bisognava “andare via”, ma Poseidone non se n'era mai andato, era solo venuto di passaggio più di diciassette anni prima. Il tempo necessario di girare un documentario sulla flora marina di Montauk e inseminare un'innocente giovane donna di nemmeno vent'anni.

“Sì,” rispose Sally. “Mi aveva informata qualche giorno fa per e-mail.”

Percy non capiva perché sua madre mantenesse una corrispondenza costante – almeno negli ultimi anni, con internet alla portata di tutti – con suo padre. Sapeva che i loro discorsi non si allontanavano mai dai soliti ‘Percy ha preso un’altra insufficienza?’ e ‘ti arrivato l’assegno di settembre?’ (non è che Percy fosse andato a sbirciare, eh, è che sua madre non faceva mai il logout), ma temeva che, sotto sotto, Sally provasse ancora qualcosa per quell'uomo che l'aveva usata e poi gettata via.

Sua madre era una donna bellissima e dolce, ma non era mai stata fortunata con gli uomini. Compreso se stesso: un ragazzo problematico affetto da disturbo da deficit dell'attenzione ed iperattività e dislessia, un'accoppiata vincente che gli rendeva la vita a scuola un inferno e l'aveva cacciato in troppe risse. A volte Percy si odiava. Voleva essere più grande, trovare un lavoro che pagasse bene così che sua madre potesse diventare una scrittrice come aveva sempre sognato e smetterla di preoccuparsi di bollette e affitto. Se c'era qualcuno che meritasse la felicità, era proprio Sally Jackson.

“Perché non me lo hai detto?” le chiese.

Sally guardò la cartolina attaccata al muro con un sopracciglio alzato. “Perché sapevo quale sarebbe stata la tua reazione. E perché... beh...”

“Avevi paura che alla fine non sarebbe venuto e io ci sarei rimasto male?” suggerì Percy, con uno sguardo che sperava indicasse che non era certo uno di quei ragazzini che ancora aspettavano il loro papà alle partite di baseball.

Sua madre sorrise un po' triste e gli baciò la fronte. “Su,” disse. “Prepariamo dei nuovi biscotti. E poi voglio sapere cos'altro è successo oggi che ti ha innervosito.”

 


Il martedì era senza ombra di dubbio il giorno peggiore della settimana. Era troppo vicino al lunedì e troppo lontano dal venerdì. Il lunedì era parente alla domenica, e, in quanto tale, Percy era convinto di avere il diritto di svegliarsi più tardi e saltare qualche corso scolastico. Era per lui un giorno indefinito: un prolungamento della domenica e il presagio che la settimana era cominciata. Il mercoledì e giovedì la sua iperattività andava in sovraccarico, e il venerdì i suoi occhi non riuscivano a concentrarsi su nulla che non fosse un orologio.

Ma il martedì... le cose peggiori capitavano sempre di martedì.

Come ad esempio il fatto che a pranzo offrivano una strana poltiglia non meglio identificata di colore verde, o che al corso di Arte e Design c'era una certa Juniper per la quale Grover aveva una cotta pazzesca che lo metteva costantemente in imbarazzo.

“Ehm... Amico, cos'è quella?”

“È un regalo per Juniper. Un'acacia. Simbolizza un amore segreto. Perfetto per noi.”

Considerando quanto fosse poco segreto quell'amore segreto, Percy pensò non fosse molto adatto. Ma non ebbe il tempo di dirlo che Grover si era già piazzato davanti il banco che Juniper e le sue amiche occupavano.

“Oh, Juniper mio fiore, accetta questa acacia direttamente dal mio cuore e... ehm...” Grover arrossì e si voltò verso Percy con espressione di supplica. “Dimmi qualcosa che faccia rima con acacia” sussurrò.

“Associa?” suggerì Percy, ma ormai era troppo tardi. Tutta la classe di Arte e Design stava ridendo di Grover. Juniper, notò Percy, aveva gli occhi abbassati e uno strano rossore alle orecchie.

“Sei proprio una pappamolla, ragazzo-capra,” lo canzonò Clarisse, una ragazza grossa e tozza a cui piaceva compensare della sua mancanza di bellezza con la forza.

Prima che Percy potesse aprire bocca e difendere il suo amico, Juniper replicò: “Che succede, Clarisse? Non hai ricevuto il tuo mazzo di carciofi, stamattina? Oh, no, dimenticavo! A te neanche quello regalano, vero?” Al che tutta la classe ammutolì. Quel tipo di risposta non era certo da Juniper. L'arrivo della professoressa di Arte e Design impedì a Clarisse di controbattere. Tutti i ragazzi corsero ai propri posti. Grover aveva un'espressione così stordita che per poco non mancò la sua sedia.

Percy non era esattamente sicuro del motivo per cui avesse scelto di seguire il corso di Arte e Design, dato che non era bravo né in Arte né in Design. Ma era uno dei più semplici, dove non si richiedevano letture o calcoli complicati, quindi non si lamentava.

Mentre si accomodava davanti al computer con l'intenzione di passare l'ora facendo un solitario, notò con la coda dell'occhio una chioma dorata. Frugò nello zaino alla ricerca di un pezzo di carta e una penna, e scribacchiò un messaggio velocemente.

Ti sei dimenticata di togliere la stampela dalla camicia. P.
 

Lanciò il pezzetto di carta arrotolato con discrezione, e quello colpì il naso di Annabeth Chase per poi cadere sul suo banco. Lei, che era impegnata in qualcosa pieno di linee e angoli sul suo computer, fece un salto. Si guardò intorno con sospetto, poi vide il sorriso di Percy e aggrottò la fronte come per chiedergli ‘che vuoi?’. Lui indicò col mento la pallina di carta. Lei sbuffò e tornò a concentrarsi sul suo progetto. Percy, che non era un tipo che si lasciasse ignorare facilmente, dette un calcio alla sua sedia. Lei si voltò con stizza e aprì la bocca per parlare. Sembrò ripensarci, e, con una smorfia, aprì il pezzetto di carta.

Percy sogghignò e cominciò la sua partita al solitario quando qualcosa lo colpì alle tempie.

???? A.

(StampeLLA – con due L)

 
Scusa. Hai la schiena così dritta che pensavo avevi ancora la stampeLLa attaccata. P.

(pignola)

 

Almeno io non sto stravaccata sulla sedia come un camionista in sovrappeso. A.

(Ignorante. Lo conosci il congiuntivo?)



Si chiama “stare comodi”. P.

(No. Me lo presenti?)

 

Si chiama “essere sciattoni”. A.

(Temo sia un tipo troppo raffinato per te)

 

“Ah! Stai preparando un scultura con della carta riciclata, Jackson? Bene, bene.” Al suono della voce della professoressa, Percy saltò.

“Ehm,” balbettò. “Sì.”

“Mi fa piacere che tu abbia deciso di impegnarti. Ben fatto, Jackson” replicò lei. Dalla destra di Percy provenne uno sbuffo irritato.

L'ora di Arte e Design era finita e lui nemmeno se n'era accorto. Improvvisamente Juniper si avvicinò al banco che Percy condivideva con Grover, e con un sorriso timido disse al suo amico: “Aciacia fa rima con bacia.” E gli dette un bacio sulla guancia per poi scappare con le sue amiche, le quali sembravano essere affette da un attacco di risatine.

Grover si girò verso di lui con un sorriso sognante. “Mi ha baciato?” disse. Non ne sembrava molto sicuro.

“Sì, amico,” rispose Percy. “Penso che tu abbia fatto segno, stavolta.”

 


Con un grosso sbadiglio, Percy entrò nell’aula di musica, il posto designato da Annabeth-Fa’-Come-Ti-Dico-Io-Chase per le lezioni di recupero. Lei era intenta a fare qualcosa sul suo portatile, il viso a pochi centimetri dal monitor.

“Cos’è che stai facendo?” domandò Percy, chinandosi sulla sua spalla. Lei per poco non gli dava una testata sul mento per lo spavento. Fortuna che l’iperattività di Percy gli avesse donato degli ottimi riflessi.

Lei lo guardò con disapprovazione, come se Percy si fosse infilato il dito nel naso e avesse attaccato una caccola sotto il banco.

“Sei in ritardo di sei minuti” disse.

“Perché indossi un orologio da polso?” chiese lui.

“Che domanda sarebbe? Lo indosso per vedere l’ora, no?”

“Uhm,” Percy aggrottò la fronte. “No? Insomma, un orologio da polso, sul serio? Non hai un cellulare per vedere che ore sono?”

“I cellulari servono a telefonare, e non posso certo cercare il mio telefono nella borsa ogni volta che ho bisogno di sapere l’ora” ribadì lei. Percy pensò che in effetti avesse senso, ma, sul serio, un orologio da polso? Era così uncool.

“Ogni volta? Perché, quante volte al giorno hai bisogno di controllare l’ora?” domandò lui, seriamente curioso.

“Forse non te ne sei mai reso conto, ma il tempo va avanti costantemente, e a proposito di tempo,” aggiunse, dando un’altra occhiata al suo orologio da polso. “Abbiamo appena perso altri tre minuti in chiacchiere vane. Siediti!”

Percy era così divertito che decise di accontentarla, così si accomodò sul banco.

Annabeth lo osservò per qualche secondo con la testa piegata. “Hai difficoltà a fare come ti viene detto, o ti piace stare in una posizione alta così da credere di poter intimidire le donne?” chiese lei di punto in bianco.

La risata di Percy fu così improvvisa che la matita rossa di Annabeth con cui stava giocando fece un salto di due metri. “Cos--,” tentò di dire tra le risate. “Cosa… cosa vuol dire? Ho fatto come mi avevi detto, no? Mi sono seduto. Oppure,” aggiunse con un ghigno divertito verso le spalle di Annabeth, che si era alzata con un scatto per recuperare il suo pastello. “Oppure sei tu che ti senti intimidita? Ti senti minacciata dal sesso maschile, signorina Annabeth-Sono-Una-Tipa-Tosta-Chase?”

“Come mi hai ch-- Minacciata! Dovrei sentirmi minacciata da te, Testa D’Alghe?” Era così infuriata che batté con forza il piede a terra e il fermaglio che teneva in ordine i suoi capelli si sciolse.

“Oh! Oh! Stai perdendo la compostezza, Sapientona. Attenta!” la cantilenò Percy.

“Tu… stupido… ebete… AH!” esclamò. “Senti, piccolo idiota dal cervello di un fuco, non ho alcuna intenzione di farmi prendere in giro da te. Sono qui perché il professor Brunner ritiene che la tua testa sia troppo piena di segatura per poter passare l’anno, ma se hai solo intenzione di--”

“Hei, hei! Calmati, Sapientona, stavo solo scherzando, ok? Chi è che adesso sta insultando? E poi sei tu che te ne sei uscita con quel commento sull’intimidire le donne. Io… Aspetta!” esclamò, quando vide che lei stava mettendo tutto in borsa per andarsene. “Senti,” disse, alzando le mani per trasmettere il proverbiale messaggio del ‘vengo in pace’. “Abbiamo cominciato col piede sbagliato, ok? O forse la mano. È colpa tua se ieri mi sono versato il caffè addosso. Non è stata una bella prima impressione, quella--”

“Hai intenzione di arrivare al punto, o preferisci gettarmi altre accuse?” domandò lei con le braccia incrociate.

“Sì. Ecco,” disse, allungando la mano destra. “Ciao, mi chiamo Percy Jackson, mi piacciono le ciambelle e il suono delle campanelle che si mettono sulle porte. Non seguo lo sport, ma mi piace praticarlo. La domenica mattina non mi sveglio mai prima di mezzogiorno e faccio sempre colazione con pancakes blu ricoperti da un chilo di sciroppo d’acero. E tu sei?”

Annabeth non rispose, il suo sguardo si spostava dalla mano di Percy al suo viso in continuazione. Alla fine lo sorpassò senza dire una parola e andò a sedersi.

“Allora?” disse infine Annabeth. “Che fai lì impalato? Siediti! Sulla sedia. E cominciamo.” Era comunque una piccola vittoria, si disse Percy, e poi, avrebbe giurato di aver visto l’ombra di un sorriso sul viso della ragazza.

Passarono il resto dell’ora studiando. Percy scoprì che, quando evitava di usare paroloni difficili e di fare quella smorfia con la bocca che lo distraeva continuamente, Annabeth era davvero una brava insegnante. La matematica ebbe improvvisamente senso, e la letteratura non era poi tanto difficile se era qualcun altro a leggere per te.

Mentre s’incamminava verso la fermata dell’autobus, pensò che in fondo quel martedì non era stato tanto male. Finché non tornò a casa e sua madre gli informò che il giorno dopo l’aereo di Poseidone sarebbe atterrato a New York.


N/A: vi avevo promesso che il primo capitolo sarebbe arrivato presto, e ho forse mentito? Solo un giorno! E la buona notizia è che sono a buon punto col secondo. Il problema non è scriverlo, è l'editing -.-"
Voglio approfittare di questo piccolo spazio per ringraziare tutte le persone che hanno recensito, chi ha inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate e anche chi ha solo letto. Siete fantastici, ragazzi! La mia fic è stata ricevuta con grande entusiasmo e questo mi spinge a scrivere con più voracità. Grazie grazie grazie! Spero che questo capitolo sia all'altezza delle vostre aspettative.


Nel Prossimo Capitolo: Poseidone sbarca a New York con una "piccola" sorpresa a seguito; Percy mostra il suo lato più petulante, e anche un po' emo, forse; Percabeth fa mezzo passo avanti, e due indietro; Grover è follemente innamorato e non si vergogna a dimostrarlo.
   
 
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