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Autore: Vella    13/11/2013    7 recensioni
"Non consigliata ai deboli di cuore.
Quanti di voi hanno sempre considerato Mirtilla Malcontenta una povera sfigatella? Persino io lo pensavo. E poi? Cosa è successo? Mirtilla, la nostra fantasmina dei bagni femminili, non è quello che appare. Lei non è mai stata una stupida Corvonero. Il cappello non ha sbagliato a smistarla, la sua intelligenza, infatti, supera i limiti massimi.
E chi può rimanere colpito da tanta astuzia se non Tom Riddle?
Questa che state per leggere è una vera e propria storia, in tutto e per tutto, tradizionale fino al midollo, niente verrà scombussolato e noi, sì, proprio noi, daremo una spiegazione più che valida a tanti fattacci. Com'è che diceva Silente?
Non provare pietà per i morti, Harry. Prova pietà per i vivi e soprattutto per coloro che vivono senza amore ? Chi, infatti, ha mai detto che Lord Voldemort non stesse vivendo per amore? "
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Avery, Mirtilla Malcontenta, Rubeus Hagrid, Tom O. Riddle
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Contesto generale/vago
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Un buio soffocante si espandeva sempre più in quella strana visione di vita, tutto era così scuro da prendere le sembianze di una notte senza stelle e senza nuvole, qualcosa di diverso in cui l'ambiente si perdeva in mille sfumature. Nero come la pece e verde come lo smeraldo. Quei due occhi così grossi e bisognosi di scorgere qualcosa si stavano perdendo in quello strano luogo, dove il mondo si era tramutato di nero e dove neanche i più confusi pensieri riuscivano ad instaurarsi e far spazio tra la realtà. Era un abisso, un oceano senza fine dove più si nuotava verso l'alto e più lo spiraglio di luce sembrava allontanarsi. Quei due grossi occhi verdi continuavano a chiudersi e a riaprirsi prepotentemente, si strofinavano, ballavano, giocavano, eppure non riuscivano ad abituarsi, perché quel buio era più forte della luce, più intenso, più esaltante.
La ragazza deglutì, e concentrò la vista verso il suo corpo, verso di sé, ma esso non c'era, il buio era la parte controproducente. Aveva quasi voglia di gridare: accendete la luce!
Ma chi l'avrebbe ascoltata? Chi, poi, l'avrebbe accesa per lei? Un risolino malsano e di nuovo la ragazza abbassò lo sguardo ma non scorse il buio.
C'era qualcos'altro, una nuova densità. Un nuovo sbaglio, non più nero. Il colore si era trasformato, ancor più forte, ancor più esorbitante, quasi da mozzare il fiato. Mirtilla era lì per lì, pronta a dire la sua, ad esprimere qualcosa ma non ci riuscì. Tutto le morì in gola, fino a che non arrivarono i primi conati di vomito. Anch'esso di quel colore. Anch'esso di quel sapore. Ormai il nulla era diventato sangue. Un misto incorrisposto di quella sostanza rossastra, quella cellulosa e quel liquido agonizzante dove il sapore del ferro e dell'amaro si intersecavano tra le labbra e la lingua lasciava un ultimo schiocco sotto al palato prima che un urlo scagionante non uscì fuori. E così ritornò anche il fiato. E così il sangue scomparì. E così Mirtilla si ritrovò nel suo letto, stringendo le lenzuola intrise di sudore e la bocca spalancata.
Aveva la gola secca e per un attimo non riuscì a capire dove si trovasse. Aveva il fiatone e si sentiva stanca. Il collo le doleva e la fronte, come il resto del viso, imperlata da un sottile strato di paura e sudore. Aveva scacciato un urlo dalle viscere del suo corpo eppure nessuno era corsa in suo aiuto. Nemmeno Fiabetta. La stanza del dormitorio era semioscurata, solamente le stelle della notte lasciavano filtrare un minimo di luce. Decise, quindi, di accendere le candele e di dare una nuova forma alla stanza. Si alzò dal letto e si avvicinò a quello dell'amica ma non la trovò. Mirtilla stava per dir qualcosa ma a chi? Il letto era davvero vuoto e Fiabetta non c'era. Strinse le mascelle e fece retromarcia avvicinandosi circospetta al suo baule. Scattò la serratura e aprì senza troppe cerimonie, così da scoprire tutto il suo immenso tesoro. Un piccolo sorriso le affiorò sulle labbra ma fu solo un attimo perché chiuse quasi immediatamente e rifece scattare la serratura ricordandosi d'un tratto che non si trovava lì ciò che cercava. Era nella borsa. La borsa che l'aveva accompagnata nelle sue peggior camminate, come quella ad Hogsmeade. L'afferrò, ma già al tatto delle dita capì che qualcosa non andava, o meglio, qualcosa non c'era. L'aprì di getto e strinse di più la stoffa nelle mani.
"Porco balocco, oh... no..." le parole continuavano a cadere nella sua mente e gli occhi così verdi di Mirtilla si intensificarono ancor di più nella borsa. Leggeri capogiri le trapassavano il corpo, e per un attimo credette di star riassaggiando il sangue dell'incubo. Era un sangue amaro, proprio come quello che scorreva nelle sue vene, e infine, inevitabilmente, le sue mani si conficcarono nella carta, strinsero quel fogliettino minuto, e lo tirarono fuori dalle viscere della borsa. Stava per mettersi ad urlare appena lo aprì. Appena sentì la pelle bruciarle incandescente sotto quella calligrafia che non aveva mai visto ma che sapeva perfettamente a chi appartenesse.
Sentì, per la seconda volta, la lingua schioccare sotto il palato e un conato di vomito assalirla in modo perentorio.



Erano due grosse mani affusolate che continuavano a rincorrersi e a piacersi nella morsa di quello stesso corpo. Il rumore della bottiglia di vetro che tintinnava vicino ad un bicchiere dello stesso materiale riecheggiò pacamente nell'aria. Era tardi, così tardi che gli stessi presenti non sapevano dare un orario preciso. Sicuramente, e si sperava, sarebbero stati congedati da lì a poco. Tutti, chi più chi meno, erano stanchi e senza farsi vedere, si lasciavano andare a qualche minuto di sonno sulle comode poltrone in verde mentre il professor chicchessia continuava il suo monologo senza tregua.
Tom prese con veemenza il bicchierino che gli era stato allungato e buttò giù il liquido aspro e intriso di amarezza senza fiatare o lasciar intravedere sintomi di disgusto.
Il professor Lumacorno, dopo aver distribuito la bevanda, si sedette nuovamente sulla sua poltrona in velluto verde e mentre si accarezzava la barba spigolosa, lasciava galoppare le sue prediche e i suoi mille pensieri.
«Signore, scusi se mi permetto, ma lei cosa intende con..."prima di tutto l'impegno"?» diceva uno il cui nome era davvero un mistero per il Prefetto.
«Mr Calfed, beva e le sarà tutto più chiaro!» e così una risatina generale, lasciata andare in modo poco ritmato, accompagnarono la frase del vecchio.
Riddle girò la testa e incontrò gli occhi fugaci di Avery: guardavano da una parte all'altra della stanza e non osarono mai posarsi su di lui. Il Prefetto avrebbe voluto sbuffare sonoramente, o peggio, alzarsi da quella poltrona mal ridotta e ritirarsi nella Sala Comune. Quella cena stava diventando un carcere, e pensare che avevano il permesso di rimanere alzati fino a tale orario solo per l'onorario Lumaclub.Rovinata, così, ogni scusante per svignarsela.
«Professore non crede che negli ultimi tempi abbiano stabilito regole troppo rigide?» e le domande volavano.
«Ad esempio?» approfondì l'uomo.
«I week end ad Hogsmeade sono stati dimezzati per ragioni che non si conoscono ...»
«O peggio! La foresta è un luogo troppo proibito!» aggiunse una voce gracchiante femminile. la cui frase non aveva alcun senso o movente.
«Vogliamo parlare della biblioteca? Anche lì c'è un'ala proibita, ma nessuno si prende la briga di dirci il perché lo è! E a cosa serve visto che non può essere sfruttata!» Un'altra voce femminile di poco conto insinuava quell'argomento che non stava più tanto scomodo a Tom.
«Ragazzi, ragazzi! Le vostre supposizioni sono davvero poco astute, e poi mi sembra tutto così ovvio!» scherzò Lumacorno lasciandosi scappare diversi sorrisi.
«Professore, allora in quell'ala proibita noi che ci troviamo d'interessante?» la voce di Riddle si schiarì senza pretese e il professore, girandosi lentamente, arrivò al punto di far incontrare i suoi occhi con quelli del ragazzo.
Tossicchiò un po' di liquido.
«Tom, sono libri poco consoni a voi studenti». Era una risposta cantilenata e che a primo impatto sembrò inutile e inesauriente.
«Come ad esempio, professore? Che tipo di libri? Dobbiamo preoccuparci?» cercò di portarla sullo schermo il Prefetto, ma in verità voleva sapere di più, voleva raggiungere i suoi fini.
«Ma certo che... no! Sono libracci, mi sembra ovvio, no?» Per Lumacorno tutto era terribilmente ovvio.
«Mica tanto». Rispose uno degli studenti.
«Oscuri. E' oscurità che potrete apprendere nelle lezioni di Difesa contro le Arti Oscure e quindi, se quell'ala non deve servirvi per giuste cose, è inutile parlarne!»
«Non sono poi così sicuro che le lezioni di Difesa contro le Arti Oscure ci aiutino veramente a difenderci, professore». Concluse il Prefetto, Lumacorno deglutì e rise nervosamente.
« Non è compito vostro giudicare! Altro giro di bicchierini, ragazzi?» un sorriso mellifluo e una domanda incorrisposta.
Nel frattempo Tom notava la rigidità di Avery e quanto il ragazzo non avesse proferito parola in quell'unico argomento assai stupido eppure così di fondamentale importanza; ma dimenticava che lui non poteva sapere e che Avery non fosse l'unico a rimuginare sulle sue scelte e su come si muoveva. Anche Tom cominciava a comprendere i primi errori.
Infatti, pur non avendolo fatto fino ad allora, si girò verso l'orologio a pendolo situato alla fine della stanza e, scorgendo l'orario, un piccolo sorriso di una vittoria non ancora cantata, gli affiorì sulle labbra: a quell'ora il primo errore era stato portato a termine e già si poteva pregustare la rabbia ribollente che aveva fatto implodere all'interno della persona destinata.



Quella mattina tutto sembrava esser tornato alla normalità, il tempo aveva sprigionato la sua angoscia e la pioggia incorniciava l'inizio.
Mirtilla era seduta sulle scale a chiocciola che portavano alla sala Comune Corvonero. Aveva lo sguardo perso davanti a sé, e non focalizzava su nessuna delle persone che le passavano dinanzi. Teneva ben stretto tra le dita il pezzo di carta bianca ormai tutto stropicciato e se ci fosse stato scritto qualcosa, non era ormai più leggibile.
Deglutì e si accorse che aveva il battito accelerato, forse perché i suoi pensieri erano talmente insensati e falsamente profondi da renderla turbata.
Quella mattina era prevista la seconda lezione di Cura delle Creature Magiche e sperava, con tutta se stessa, che fosse stata rimandata per via del cattivo tempo. Se non fosse stato così, l'avrebbe deliberatamente saltata.
Dopo aver trascorso la prima mezz'ora della mattinata su quelle scalinate imbrattate di gente che saliva e scendeva, in corrispondenza all'inizio della colazione, si diresse verso la Sala Grande. Quel giorno tutto era meccanico. I movimenti accadevano pian piano, come un via vai di emozioni contrastanti e, sinceramente, Mirtilla si sentiva una scarica di adrenalina, paura e di etereo sarcasmo-rabbia scorrerle nelle vene. Strinse i denti e chiuse le mani a pugni appena fece il suo ingresso nella Sala. Era gremita di persone. I piatti e i calici traboccavano di buon cibo e tutto passava nella mente della giovane come un affare debole e di poco conto. Malcontenta si fermò sul ciglio e cercò - invano- di non rivolgere lo sguardo verso il tavolo dei Serpeverde.
Ma lo fece. Inconfutabilmente. E il risultato fu che non vide nessuno. Almeno, non colui che le interessava. In quel momento il sangue si trasformò in lava incandescente e la pazienza che aleggiava nell'aura della ragazza cominciava a mancare.
«Mirty!» una voce squillante interruppe il flusso macabro che era nato nella mente di Mirtilla e Fiabetta era corsa al suo fianco con un sorriso raggiante e degli occhi luminosi.
«Betta...» rispose fiacca Malcontenta, sinceramente per lei quella ragazza era come una visione lontana.
«Cosa ci fai qui? Andiamo, su... entriamo».
«N-no». Rispose di rimando la bruna. Fiabetta inclinò leggermente il capo e alzò un sopracciglio in cerca di una risposta.
Fiabetta credeva che Mirtilla se ne fosse accorta. Fiabetta pensava di non esser passata inosservata. Tutto era un misto di esasperazione.
«Devo andare Betta, io... non mi fermerò a far colazione oggi».
«Perché?»
«Non ho fame, credo.»
«Ma... devo raccontarti tante cose! Insomma... avrai notato che...» si avvicinò lentamente all'orecchio di Mirtilla e continuò: «non ero nel mio letto questa notte».
La bruna inspirò aria dalla bocca e fece spallucce. Per un attimo le passò per la mente l'idea di sgridarla perché le aveva confessato il segreto.
«Sì sì, lo so... Betta ho... ho poco tempo, mi racconterai dopo». Le scuse scivolavano veloci tra le dita di Mirtilla, come sabbia.
«Mirty!» gridò a squarciagola Fiabetta, e la parola venne subito seguita da una stridente risatina. Era su di giri. Questo, a seconda vista (sempre se possibile), era ovvio.
Le prese la mano e la trascinò all'interno. Sorrideva languidamente ai passanti ed evitava spudoratamente le richieste di Mirtilla di lasciarla andare. Arrivarono al tavolo dei Corvi e con un tonfo la rossa si sedette, costringendo così anche l'amica a fare lo stesso.
«Dai Betta..., io non...»
«Niente ma! Insomma, è qualcosa d'importante! Mirty è... è...è stato qualcosa di... fenomenale!»
«...Cosa...?»
Mirtilla, rassegnata, poggiò la testa sulla mano e non prestò molta attenzione alle continue parole che fuoriuscivano dalla bocca di Fiabetta. Aspettò le giuste pause per sorridere e annuire acconsensiente e, di tanto in tanto, far finta di rimanere entusiasta. Odiava fingere anche con Fiabetta ma non c'era metodo migliore. Doveva scappare. Nel vero senso della parola.
«E quindi tutto è finito lì, nella Stamberga alquanto... romantica». Concluse Fiabetta. Sì, perché era arrivata alla conclusione e Mirtilla lo capì dalla pausa di silenzio che ne proseguì.
«Ma... cosa?» si ritrovò a dire. Betta corrucciò la fronte e, sibilando, le rispose: «Come... cosa? Mi stavi ascoltando sì o no?» Oh beh...
Non dovette giustificarsi d'altronde, presto qualcuno la salvò per sbaglio dalla situazione imbarazzante.
Un'ombra fugace apparì dietro le spalle di Fiabetta e quindi la bruna rilassò le spalle.
«Buon giorno ragazze!» salutò amorevolmente Alexander. Fiabetta si girò di scatto.
«Ciao Alex» fu poco più di un sussurro, a malapena Mirtilla l'aveva udito.
«Allora? Andiamo Fià, abbiamo lezione». Anche Malcontenta aveva lezione ma all'uomo biforcuto poco interessava. E... cosa diamine significava Fià? Che razza di soprannome era? Oh, povera lei.
«Certo, certo. Prendo-subito-la-borsa-e-andiamo-via» veloce come un fulmine scattò in piedi e rivolse un sorriso all'amica.
«Vieni?» Mirtilla si guardò intorno, la Sala Grande si stava svuotando e se usciva in quel momento poteva essere localizzata, in qualche modo.
«No. Non ancora! Ci vediamo direttamente in classe». La rossa alzò un sopracciglio e non ebbe tempo di obiettare: Alexander già la stava trascinando fuori.
Bene, pensò la corva, devo solo attendere.
Attendere cosa? Stava scappando, oppure era alla sua ricerca?
Quando la situazione le sembrò più ragionevole e quando capì che era anche tardi, lasciò perdere quella specie di toast imburrato e uscì dalla sala insieme alla tracolla ed a uno sguardo guardingo.
Fuori pioveva. Era difficile scorgere qualunque figura, o movimento, per questo la bruna non si accorse di nulla. Per questo, e per altri svariati motivi, non notò altro.
Fu bloccata da dietro. Il respiro le mancò e di nuovo venne schiacciata sul marmo freddo del muro. Qualcuno teneva ferme le mani dietro la schiena. Chiedere cosa stesse succedendo era superfluo, le sembrava di aver già vissuto un simile momento.
«Guarda, guarda...» un sussurro, «... la dolce e poco stupida corva». Mirtilla strinse le mascelle e cercò, invano, di divincolarsi.
«Oh, lasciami» voleva urlare ma sapeva che quella mossa non le avrebbe per nulla giovato.
«Sta' ferma, da brava bambina.» sentì la sua risata e infine le labbra che si rilassavano in un sorriso tenue.
L'ombra rallentò la presa su entrambe le braccia e con violenza girò il corpo di Mirtilla. Ora la corva poteva vederlo in faccia.
Tom Marvolo Riddle era completamente bagnato.
A Mirtilla mancò per la seconda volta il respiro. Si drizzò e deglutì a fatica.
«Sono completamente zuppo. Ti aspettavo, sai?»
«E per quale motivo? Dovevo farmi umiliare?»
«E in questo modo non è sempre umiliante?» digrignò a denti stretti.
«Sì che lo è».
«Quindi perché non ti comporti come si deve? Da brava bambina?» la sua voce era calda, accarezzava la mente della giovane con maestria. L'aria si faceva sempre più pesante.
«Voglio quel libro: lo sai, lo sappiamo». Mirtilla scosse la testa.
«Non so di cosa tu stia parlando».
Tom sorrise: «Oh, sì invece. Lo sai fin troppo bene».
«Te lo ripeto: non so di cosa tu stia parlando!»
Tom strinse forte le mascelle e afferrò con prepotenza le cinque dita scottate della giovane insieme alla sua di mano, mettendole entrambe davanti agli occhi della giovane.
«Oh, e dimmi: qualcuno cercava di appiccare il fuoco cominciando dalla tua mano e finendo con la mia? Mi stai sottovalutando Malcontenta e la cosa non mi piace».
La bruna si staccò dal muro e lanciò uno sguardo pieno di crudeltà e finta ammirazione verso il Prefetto.
«Io, credo invece, che sia tu a sottovalutare la situazione».
Tom si avvicinò di nuovo facendo indietreggiare la ragazza. I capelli neri bagnati dalla pioggia gli davano quell'aria così tremendamente antiquata e... sexy.
«Voglio il libro». Costatò il moro.
«Voglio il quaderno». Costatò la mora.
«Un patto equo». Rispose Tom.
«Quando?» Domandò Mirtilla.
«Questa notte e non osare prendermi in giro». Un piccolo sorrisino si stampò sul volto del giovane e subito, senza aspettare o dare segno del suo cambio d'umore, schiacciò Mirtilla, con violenza, nel muro.
«Ripeto: è più conveniente presentarti senza fare stupidi giochetti.» Un sibilo davvero breve e poi il suo viso si avvicinò perentorio a quello di Mirtilla. La ragazza sentiva il calore entrare ed uscire tra i due corpi e il fiato caldo del Prefetto coincidere con il suo.
Per un attimo, un singolo attimo, pensò davvero che non sarebbe stato semplice scampare. Si trovò, senza volerlo, persino a dischiudere le labbra, quasi come se si aspettasse un avvicinamento maggiore, un bacio. Ma tutto ciò non accadde. No. Non accadde affatto. La magia della paura e il legame del patto che univa quei due si spezzò appena Riddle sussurrò deplorevole, a un palmo dalle sue labbra: «dolce e carina, sporca mezzosangue».
La mora spalancò gli occhi. Non osò spiccicar parola, non volle obiettare, e neanche menargli un ceffone in piena faccia, quelle parole stavano rimbombando ancora tra le mura del suo cervello. Sentì solo la sua presa ferrea sparire e il gelo occupare il posto del calore tenue. Sentì i passi di un essere ripugnante allontanarsi e l'esile corpo accasciarsi per terra senza alcuna voglia di riprendere istintivamente.
Era la prima volta che si sentiva bloccata, quasi come se quelle due parole la facessero davvero sentire sporca, sputate con quell'irruenza tale da rendere il momento ancora più tragico.
Non udì gli altri passi che si stavano avvicinando, i pensieri della giovane erano un tumulto e la domanda che più l'assillava era una: come ha fatto? Come ci sono capitata?
Come diavolo c'era riuscito? Il suo quaderno così terribilmente protetto... ed il segreto... e la voglia di spaccare le mura di Hogwarts, di uccidere, di sentire la rabbia affievolirsi: tutto ciò era davvero, davvero immane.
«Ehi!» un saluto, « ma cosa...?!» una specie di esclamazione, di nuovo del calore che la pervase. Mirtilla alzò appena gli occhi e vide un viso rosso, un viso familiare.
«Stai bene? Ti senti forse male?» domandava preoccupato Kar.
Mirtilla osservava i suoi occhi e continuava a scorgere il solito verde, la sua faccia infondeva tranquillità e quasi bontà. Nulla in lui assomigliava alla persona che aveva conosciuto ad Hogsmeade. Neanche quel sorriso che ora era così terribilmente simile a tutto il resto degli esseri umani. Non aveva nessun fascino. Non aveva quel fascino.
«Kar...» fiatò la corva.
«Come conosci il mio nome?» disse il ragazzo. Mirtilla alzò appena la testa e quando aprì bocca si ritrovò senza parole.
Come un'analessi che si faceva spazio tra i suoi ricordi, le mani che si chiudevano a pugno e un'irrimediabile ovvietà:

"Credere di conoscere una persona non è un'affermazione valida"

Era scritto sul foglietto.
La calligrafia. Il brutto sogno. La rabbia. E le inaspettate visioni. Tutto aveva una logica.


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S|S:
Oh beh, no! Non è un miraggio! State tranquilli! Sono io in carne ed ossa u.u ed ho appena aggiornato di Mercoledì e alle sette di sera!
Siete liberi di inveire contro di me adesso, so di non aggiornare da DUE SETTIMANE! E tra poco scattava anche la terza ma, di certo, non immaginavo che il tempo si riducesse a tal punto da non permettermi neanche di dedicare del tempo ai miei amori :'(.
Ma, come sempre, sono risorta dalle mie ceneri e sono riuscita a concludere proprio oggi, credo di esserne soddisfatta, in parte, di questo capitolo.
E se siete ancora più confusi sappiate che è una caratteristica normale delle mie storie u.u, non riesco mai ad essere chiara, ho paura di cadere nel banale poi çç.
Cosa ne pensate del comportamento di Tom? L'ha fermata un'altra volta nel corridoio, tsk! E Kar? Cosa è successo veramente ad Hogsmeade? Il foglietto? E il quaderno cosa è in verità? Aspetto i vostri commenti *-*, il sesto capitolo arriverà tra una settimana e un paio di giorni xD, abbiate pazienza e sarete soddisfatti (o rimborsati) u.u.
Adieu, bella gente.
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Il sesto capitolo arriverà Domenica 24 novembre.
   
 
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