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Autore: FairyCleo    01/12/2013    4 recensioni
"Lo aveva visto giocare con suo figlio, lo aveva sentito ridere con i suoi amici di sempre, ma nei suoi occhi aveva letto un dolore profondo e un senso di mancanza che solo lui sembrava in grado di comprendere. Per tutti gli altri non c’era niente di diverso o di strano in quella serata trascorsa alla Capsule Corporation. Gli amici di una vita avevano continuato a fare ciò che avevano sempre fatto senza capire, o peggio ancora fingendo di non capire che Trunks avrebbe voluto trovarsi altrove. E questo, non era un pensiero che stava toccando solo lui".
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Goku, Goten, Trunks, Un po' tutti, Vegeta
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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II PARTE
 
Percepire la sua aura era stato più complicato del previsto. Sembrava quasi che si stesse nascondendo, e se non fosse stato per la sua ostinazione, forse non l’avrebbe mai trovato.
Il suo appartamento si trovava al quarto piano di uno stabile nuovo ma per niente pretenzioso. Erano diversi minuti che si era teletrasportato lì, ma non aveva avuto il coraggio di bussare.
Cosa gli avrebbe detto? Era così nervoso che le mani avevano cominciato a sudargli.
Alla fine, aveva optato per l’effetto sorpresa, decidendo di tele-trasportarsi all’interno dell’appartamento.
Con sua grande meraviglia, si era ritrovato in un ambiente estremamente ordinato. Le uniche cose lasciate fuori posto erano il cartone di pizza vuoto lasciato sul tavolino accanto al divano e le due lattine, una di birra e un’altra di cola, mezze accartocciate su se stesse lasciate lì accanto.
Faceva strano pensare che Vegeta vivesse lì. Non si era mai posto più di tanto il problema di cosa facesse o non facesse il principe dei saiyan nel quotidiano. Lo aveva visto sempre e solo come un guerriero e mai come un uomo, un padre, una persona che faceva anche altro oltre a combattere per il puro piacere di misurare la propria forza.
A quanto pareva, Vegeta era un tipo estremamente ordinato e pulito, amante dell’essenziale, ma in un certo qual modo attento ai dettagli e dotato persino di gusto personale. Era giunto a questa conclusione osservando la grande stampa che, posizionata proprio sopra il divano, adornava la parete del piccolo ma accogliente soggiorno.
Era il blu il colore predominante. Un blu interrotto in più punti dal bagliore di quelle che evidentemente dovevano essere delle stelle luminose. In basso, sotto quello che non poteva essere altro che il cielo, si trovava un paesino quieto, rischiarato dalle luci delle tante casette sparse qua e là. Proprio in primo piano, sulla sinistra, c’era quello che Goku aveva identificato come un grande albero a punta. Forse un abete, forse un cipresso, non avrebbe saputo dirlo. Qualcosa gli stava suggerendo che avrebbe dovuto riconoscerlo, perché sentiva di aver già visto quel quadro da qualche altra parte, ma nonostante il suo cervello si stesse sforzando, proprio non riusciva a ricordare. C’era una sola cosa di cui era certo, ovvero che gli piaceva, gli piaceva in un modo strano, in un modo che non avrebbe saputo descrivere.
Solo dopo diversi minuti si era reso conto che sul grande riquadro bianco che circondava tutto il dipinto vi erano stampati sopra il nome e il cognome dell’autore. Con grande attenzione, Goku si era chinato in avanti, sopra il divano, persuaso a venire a capo di quell’arcano nonostante le sue evidenti difficoltà derivate da una pessima – se non del tutto inesistente – istruzione.
“Vi-vin…” – aveva cominciato, incerto – “Vince… Vincent!” – aveva esclamato, contento di aver portato a termine almeno la lettura della prima parola.
Per la seconda non avrebbe dovuto avere molti problemi.  Era composta da sole tre lettere, e due si trovavano in quel che aveva letto in precedenza.
“Dunque… Vincent… Van…” – ed ecco che era arrivato il difficile. Non era bravo con le h. Una volta, qualcuno gli aveva detto che erano ‘mute’, ne era sicuro, ma proprio non aveva mai capito cosa questo volesse dire.
Era così concentrato nello sforzo di leggere correttamente l’ultima parola che aveva corrucciato la fronte imperlata di sudore. Possibile che leggere fosse così stancante?
“G-G…” – aveva cominciato, incerto – “Vincent Van G…”.
“Gogh” – lo aveva improvvisamente  interrotto e aiutato una voce che non avrebbe mai potuto confondere con nessun’altra – “Vincent Van Gogh”.
Si era girato di scatto, trovandolo in piedi, appoggiato allo stipite della porta. Le braccia incrociate, scalzo, con addosso un’ampia t-shirt nera e i pantaloni grigi del pigiama, aveva sul viso un’espressione di totale tranquillità, la stessa tranquillità che aveva visto poco prima nel paesino dormiente del quadro, di quel paesino avvolto dall’abbraccio del cielo stellato.
Goku si era messo dritto, sfoderando un timido sorriso. Non sapeva bene come comportarsi. Si sentiva un po’ come un bambino colto con entrambe le mani nel barattolo della marmellata. Non era stato un gesto propriamente carino entrare in casa altrui senza essere invitati, lo sapeva bene, e si era aspettato una reazione violenta o perlomeno irritata da parte di Vegeta, ma alla fine aveva capito di essersi completamente sbagliato, perché non c’era traccia di nessuna di queste due emozioni sul viso del principe dei saiyan.
Non aveva proferito parola. Vegeta lo stava fissando ormai da quasi un minuto, fermo, apparentemente impassibile, come se stesse attendendo una mossa di Goku. Gli faceva strano vederlo lì, dopo tutto quel tempo in cui aveva solo potuto pensare a lui, a tutte le occasioni di vendetta mancate, a tutte le volte in cui, alla fine, si era rivelato inferiore a quel saiyan di infimo livello che gli aveva stravolto l’esistenza.
Per tutto quel tempo, si era convinto di odiarlo, di detestare quella creatura così bizzarra, quel saiyan dal cuore gentile che aveva represso ogni desiderio di grandezza. Si era convinto di desiderare la sua morte, ma adesso che lo aveva davanti, adesso che lo rivedeva dopo tanto tempo, desiderava solo che lui dicesse qualcosa e che la smettesse di guardarlo come se avesse visto un fantasma, anche perché, nonostante avesse conservato il suo corpo, quello tra loro due che se ne andava in giro con un’aureola in testa era proprio Goku.
“L’autore del quadro si chiama Vincent Van Gogh” – aveva allora proseguito Vegeta, mettendosi più comodo dopo aver cominciato a fissare la stampa – “E’ stato realizzato nel 1889, e rappresenta un paesaggio notturno, rischiarato dalla luce delle stelle, e ha sullo sfondo la città di Saint-Rémy- de-Provence, in Francia”.
Stava parlando con tono pacato, quasi assorto, quasi come se le parole stessero sgorgando da sole, riempiendo quel silenzio divenuto fin troppo assordante.
“Guarda…” – gli aveva detto, indicando un astro ben preciso – “Guarda com’è grande Venere, come brilla. Come rischiara, insieme alla luna, questo cielo altrimenti così nero, così cupo. Se solo Van Gogh avesse potuto vedere Venere da vicino, sono certo che ne sarebbe rimasto rapito. E’ così… Viva. Viva e pulsante rispetto alla quiete di questo paesaggio urbano”.
Goku lo aveva ascoltato senza fiatare, spostando lo sguardo dal quadro al viso di Vegeta. Era magnifico quello che stava dicendo. Aveva tradotto in parole quello che lui aveva sentito nel profondo del cuore, aveva dato voce a quella sensazione di slancio, di impulso vitale che non sarebbe stato in grado di spiegare. E allora, solo allora si era reso conto del perché quel quadro gli fosse piaciuto così tanto… Sembrava quasi che parlasse di Vegeta.
“Ho preso questa stampa nell’ultimo viaggio che ho fatto a New York, dopo aver visitato il museo in cui è esposto l’originale” – aveva proseguito il principe, senza smettere di guardare l’opera – “Sai, ho scoperto di avere tempo… Tanto tempo per fare un mucchio di cose, da quando te ne sei andato”.
Aveva detto quest’ultima frase girando il capo e fissando il suo viso, sollevando appena il proprio un po’ più in alto per rimediare al dislivello che c’era fra le loro stature.
“Io… Ecco… io…”.
“Ti va qualcosa da bere?” – lo aveva interrotto Vegeta, sorprendendolo di nuovo in così poco tempo.
“Certo” – era stata la sua risposta, forse fin troppo affrettata ed enfatizzata. Improvvisamente si era sentito stupido. A quanto pareva, era una cosa che gli accadeva spesso quando si trovava in compagnia di Vegeta o di suo figlio.
“Birra o vino?”.
“Fai tu…” – aveva detto, imbarazzato, vedendolo sparire dietro la porta della cucina.
Un istante dopo, Vegeta era tornato con in mano due bicchieri dal gambo lungo e una bottiglia di vino rosso.
“Guarda che puoi anche sederti” – lo aveva quasi rimproverato, posando quello che aveva con sé sul tavolo – “Non ho mai mangiato nessuno e non ho intenzione di cominciare adesso”.
Imbarazzato a morte, Goku non se l’era fatto ripetere due volte e, quasi obbedendo ad un ordine, aveva preso posto sul divano, osservando Vegeta che si accingeva a stappare la bottiglia e a riempire i due bicchieri. L’aria si era riempita di un forte odore di frutta e fiori. Non era abituato a quello, ma doveva ammettere che non gli dispiaceva provare una cosa nuova.
I movimento di Vegeta erano lenti e sapienti, da esperto. Sembrava un intenditore, un uomo consapevole che quello che aveva di fronte non era un semplice vino da supermercato, ma un vino di un certo livello, un vino che doveva essere pregustato ancor prima di portarlo alle labbra.
“Spero che il Lambrusco ti piaccia” – aveva detto, porgendogli il bicchiere ricolmo di liquido scuro e sedendosi proprio accanto a lui.
Senza fiatare, Goku aveva bevuto un piccolo sorso di vino, trovandolo a dir poco delizioso, e automaticamente aveva cominciato a chiedersi come Vegeta avesse fatto a scovarlo.
“L’ho scoperto durante un viaggio in Italia, l’anno scorso. Trunks doveva stare con me nel fine settimana, e abbiamo deciso di visitare l’Emilia-Romagna e la Toscana. Devo dire che ne è valsa proprio la pena. Lo stesso per Roma, e per il sud d’Italia. Per non parlare della Francia e della Spagna. L’Europa si è rivelata un’autentica sorpresa”.
Sembrava quasi che avesse risposto alla domanda mai posta da Goku. Questa constatazione aveva fatto sorridere il saiyan più giovane, che aveva ripreso a sorseggiare il suo vino, assaporandone a fondo l’aroma.
Era calato di nuovo il silenzio tra di loro, un silenzio che rimbombava in maniera assordante. Sapeva che a quel punto sarebbe toccato a lui dire qualcosa, ma proprio non ci riusciva.
Ma poi, anche se questo era davvero strano visto che era abituato a consumare il sakè in abbondanti quantità, il vino aveva cominciato a farlo distendere un po’, a farlo diventare un po’ più sciolto, e allora si era abbandonato contro la spalliera del divano, chiudendo gli occhi per un breve istante e sfoderando un ampio sorriso.
“Hai visitato proprio tanti posti” – aveva detto, sempre ad occhi chiusi.
“Te l’ho detto… Ho scoperto di avere un gran bel po’ di tempo che non sapevo come utilizzare”.
“E’ vero… E’ bello che tu abbia deciso di trascorrerlo con Trunks”.
Si era limitato a sorridere, facendo roteare il vino rimasto nel bicchiere, osservandolo ipnotizzato.
La verità era che non gli era pesato affatto, che era stato totalmente naturale vivere quei momenti accanto al sangue del suo sangue. Non era ancora pronto a dirlo ad alta voce, ma Trunks era diventato il centro del suo mondo. Tutto ruotava attorno a lui. Quando non lo aveva accanto, era come se gli mancasse un pezzo importantissimo della propria vita, un pezzo che per troppo tempo aveva fatto finta di non vedere e a cui adesso, invece, non avrebbe mai potuto rinunciare.
Era estremamente orgoglioso di lui. Aveva la forza e la tempra di un saiyan, una tenacia che lo faceva primeggiare anche nelle piccole cose terrestri, cose a cui egli stesso aveva cominciato a dare una certa importanza, come la scuola e le relazioni con gli amici. Poi, quando andava a prenderlo a scuola, si era accorto che erano tante le ragazzine - anche più grandi di lui - che lo osservavano, rapite. Nonostante avesse poco più di sette anni, suo figlio aveva già cominciato ad avere delle ammiratrici, e doveva ammettere che anche questo particolare lo rendesse fiero di lui.
Alla fine aveva accettato di essere padre. Lui, che non aveva mai pensato di farsi una famiglia, aveva un figlio che amava più della sua stessa vita, un figlio per cui sarebbe morto, se necessario. E, chi l’avrebbe mai detto, questo lo rendeva immensamente orgoglioso di se stesso.
“E’ un bambino in gamba” – aveva ammesso, candido – “E… Tsk… Vuole molto bene a tuo figlio”.
Dopo aver sentito quest’ultima affermazione fatta da Vegeta, c’era mancato poco che non si versasse addosso una generosa dose di vino. Per carità, non che gli importasse molto del suo look nell’Aldilà (anche perché re Kaioh gli avrebbe fornito immediatamente una nuova tuta), ma temeva l’eventuale reazione di Vegeta scaturita dall’aver fatto cadere il vino sul bel divano pulito. Salvatosi all’ultimo istante, Goku si era stretto nelle spalle, imbarazzato e anche un po’ intimidito. Sapeva che in realtà non c’era proprio niente di strano in quello che stava accadendo – erano due padri che parlavano dei loro figli e della loro amicizia - ma lui si trovava nella situazione di aver appena conosciuto il suo secondogenito, e presto avrebbe dovuto abbandonarlo nuovamente, lasciandolo solo.
Forse era merito del vino, forse era merito di quella conversazione, ma era stato come se avesse aperto finalmente gli occhi.
Si sentiva un idiota. Era un idiota. Un idiota e un egoista, e lo sapeva bene. Aveva preferito se stesso e i suoi allenamenti alla sua famiglia. Lui, lui che era considerato un eroe, aveva preferito la lotta ai suoi cari, a quel bambino dagli occhi così buoni, a sua moglie e al suo Gohan, nascondendosi dietro una battuta di Bulma.
“Kaharot, ma hai intenzione di dire qualcosa entro stasera, oppure hai deciso di rimanere sul mio divano, in silenzio, fino a domani, fissandomi di tanto in tanto come un perfetto idiota?”.
Ed ecco che, dopo un istante in cui aveva dovuto realizzare quello che aveva sentito, Goku aveva sfoderato un sorriso più che amichevole, scoppiando poco dopo in una sonora risata.
“Tsk! E adesso che hai da ridere?” – lo aveva rimproverato Vegeta, posando il bicchiere sul tavolo e incrociando le braccia sul petto, assumendo la sua consueta espressione imbronciata.
Goku stava ridendo. Stava ridendo come se qualcuno gli stesse facendo il solletico, come se avesse sentito la barzelletta più divertente del mondo. Ma la sua non era una risata di scherno. La sua era una risata liberatoria, una risata che improvvisamente lo aveva riportato alla realtà, a quella realtà fatta di persone in carne ad ossa, a quella realtà fatta di persone vere, con problemi veri, di persone che non scappano di fronte ad essi, come aveva fatto lui, ma che li affrontano, che li vivono e li superano, proprio come aveva fatto l’uomo che aveva davanti, proprio come aveva fatto Vegeta.
“Perdonami” – gli aveva detto, dopo un lasso di tempo apparentemente interminabile – “E’ che sono stato così tanto tempo lontano dal mondo, lontano da tutto, che credo di aver dimenticato come si fa a vivere” – aveva ammesso, candido.
Vegeta lo aveva osservato per un lungo istante, in silenzio, perfettamente in grado di comprendere quella che alle orecchie degli altri sarebbe sembrata un’assurdità, ma che per lui era una verità più che appurata.
“Mi dispiace, Vegeta. Mi dispiace di essere stato così egoista, così cieco, così stupido. Ho creduto di sistemare le cose, abbandonando tutto e tutti. Ho creduto che scappando, nessuno avrebbe più fatto del male a voi tutti, senza capire che sono stato io il primo a farvi del male. Ho fatto del male a Gohan, deludendolo, ho impedito a Goten di crescermi accanto, l’ho privato dell’amore di suo padre. Ho privato Chichi del conforto delle braccia di un marito e i miei amici di una spalla su cui piangere. E ho fatto a te… Ho fatto a te uno dei torti più grandi che potessi fare ad un amico… Io…”.
“Tsk! Ti prego, piantala. Sai perfettamente che non sopporto queste smancerie miste a piagnistei! Neppure mio figlio è così melodrammatico quando deve chiedermi scusa per qualche monelleria…” – si era alzato e aveva preso la bottiglia, versando un’altra generosa dose di vino a sé e al proprio ospite – “Tsk! Ecco, bevi… Ti preferivo silenzioso!”.
“Bè, se proprio insisti…” – bere un altro bicchiere non gli sarebbe dispiaciuto affatto, in effetti. Doveva ammettere che Vegeta sapeva come trattare i propri ospiti.
“Urca! E’ proprio buono questo vino! Quando ero in vita, Chichi non mi ha mai fatto bere nulla del genere, e neppure re Kaioh! E c’è da dire che lui se ne intende di manicaretti e prelibatezze terrestri. Non fa altro che cucinare per me”.
“Re-re Kaioh cucina per te?” – questa notizia l’aveva lasciato piuttosto perplesso.
“Sì! Ed è anche bravo! A proposito, tu non hai niente da mettere sotto i denti? Sai, comincio a sentire un certo languorino…” – e il suo stomaco gli aveva appena dato conferma.
“Ma come fai ad avere fame se sei morto, scusa? Ah… Lascia stare, non rispondere. Potrebbe venirmi un’emicrania. Vieni in cucina con me, o pensi di rimanere qui a vegetare sul divano?”.
“Cosa? No, no, arrivo”.
Era sicuro che entro la serata Vegeta gliele avrebbe date di santa ragione, e in un certo qual modo credeva pure di meritarsele. Peccato solo che il principe dei saiyan avesse smesso di combattere.
 
*
La cucina era molto accogliente. Piccola, ma dotata di ogni comfort. Il tavolo, progettato per ospitare solo due persone, si trovava a ridosso di una parete verniciata di blu, e dal lato opposto vi erano sistemati mobilio ed elettrodomestici.
Vegeta aveva aperto lo sportello del frigorifero, che con grande sorpresa da parte di Goku, era colmo di roba da mangiare fino a scoppiare.
“Hai grandi pretese o ti arrangi? Cerca di capire che non hai a che fare con un grande cuoco come il tuo re Kaioh…” – aveva ammesso, leggermente ironico, continuando a frugare nel frigorifero.
“No no, va bene tutto… Però…”.
“Però cosa?”.
“Emmm…. Ecco…” – come dirgli che si sentiva terribilmente in imbarazzo per quella situazione così assurda? Il principe dei saiyan che cucinava per lui. Già il fatto che cucinasse fosse assurdo, che lo stesse facendo per lui rendeva la situazione ancora più paradossale.
“Tsk… Chi ti capisce è bravo. Senti, ho uova e pancetta. E credo di… avere… anche… delle… eccole! Sì, ho anche delle salsicce. Se ti piace la colazione all’inglese siamo a cavallo”.
Inutile dire che Goku aveva già l’acquolina in bocca.
In un attimo, la cucina si era riempita dell’odore della pancetta che si cuoceva a ritmo dello sfrigolio dell’olio. Il più giovane tra i due saiyan aveva apparecchiato per sé e per il padrone di casa, e dopo aver stappato un’altra bottiglia di vino aveva preso posto su una delle due sedie, divertendosi ad osservare il principe alle prese con i fornelli.
Non poteva non continuare a stupirsi di quanto fosse diverso dall’uomo che tanti anni addietro aveva cercato di ucciderlo. Anche se aveva dimostrato di possedere ancora un gran carattere, sembrava proprio che in lui non ci fosse più traccia della superbia e della crudeltà che per tanto tempo avevano albergato nel suo cuore. Era un uomo nuovo, un uomo diverso, un uomo che aveva aperto il suo cuore non solo a suoi cari, ma all’intero mondo.
Era così orgoglioso di lui. Sapeva che un giorno Vegeta sarebbe cambiato. L’aveva sempre saputo, sin dal primo istante in cui si erano incontrati, il giorno in cui aveva deciso di salvargli la vita. Certo, non avrebbe mai potuto immaginare che un giorno sarebbero stati nella stessa cucina, insieme, a raccontarsi di viaggi ed episodi passati delle loro vite, come due vecchi amici rimasti a lungo separati.
Era orgoglioso di lui, e anche un po’ invidioso, perché era riuscito a trovare se stesso dopo essersi perso. Vegeta aveva represso la sua vera natura rinunciando alla lotta. Essendo anche lui un saiyan, capiva perfettamente quanto grande fosse stata quella rinuncia, quando immenso fosse stato quel sacrificio. Per Vegeta era stata una sorta di punizione che si era inflitto, ne era sicuro. Ma Goku non credeva che fosse lui la causa di questa sua decisione. O, almeno, non era l’unica. Se solo avesse trovato il coraggio di parlargli, invece di starsene lì a guardarlo come un idiota, i suoi dubbi si sarebbero finalmente dissipati. E invece se ne stava lì, in silenzio, ad osservare i movimenti lenti e sapienti di chi aveva dovuto imparare a fare da sé.
Doveva ammettere che la cosa non gli dispiacesse affatto. Era una cosa talmente insolita che andava registrata in ogni suo istante. Vegeta era così rilassato che quasi non sembrava lui. Quanto avrebbe voluto sapere verso quali mete stesse viaggiando la sua mente… Magari stava pensando al loro primo incontro, proprio come stava facendo lui. Forse stava pensando a quando si erano visti per la prima volta, alla prima parola – per nulla amichevole – che si erano scambiati. O forse, stava pensando alla volta in cui si era affidato a lui, pregandolo di vendicarlo dopo il corpo mortale che Freezer gli aveva inferto. E, stranamente, solo adesso si era accorto di quanto quell’episodio lo avesse ferito, lo avesse segnato. Era come se Vegeta fosse di nuovo al suolo, morente e stesse di ancora piangendo tutto il suo dolore e la sua frustrazione.
Fortunatamente, uno squillo improvviso proveniente dal suo telefono cellulare lo aveva distratto da quei terribili pensieri.
“Sì?” – aveva risposto Vegeta, posando il telefono tra l’orecchio e la spalla in modo da avere entrambe le mani libere – “Liz… Ehi… Non pensavo di sentirti a quest’ora. Cosa? L’hai visto in tv? Tsk… Mi stai offendendo! Dovresti sapere che Trunks sa il fatto suo… Sì, sì, d’accordo… Per domani, dici? Alle dieci, come al solito… Sì… E vedi di non fare tardi. Ho altre persone dopo, e non posso farle aspettare. A domani… Ciao”.
Liz? Vegeta aveva ricevuto una telefonata da una donna che si chiamava Liz, da una donna che si chiamava Liz e che avrebbe dovuto incontrarlo domattina alle dieci. L’apprendere quella notizia gli aveva fatto venire un nodo allo stomaco. Non aveva neanche preso in considerazione che potesse esserci una donna nella vita di Vegeta, e si era sentito ancora una volta tremendamente stupido per aver pensato che niente fosse cambiato.
“Ecco…” – aveva detto Vegeta, porgendogli un piatto caldo e fumante – “E vedi di non lamentarti, o giuro che ti uccido anche se sei già morto”.
Non aveva risposto, prendendo il piatto e posandolo sul tavolo, continuando ad osservarlo senza proferire parola. Vegeta aveva preso posto, cominciando a mangiare subito con grande gusto, noncurante dell’immobilità di Goku.
Solo dopo qualche minuto si era accorto di quanto fosse strano che il suo piatto fosse quasi vuoto, mentre quello di Kaharot fosse ancora del tutto intatto.
“Fammi capire, prima mi stressi perché hai fame ed ora non mangi? Io ti avevo avvisato di non essere un grande cuoco, ma…”.
“Chi è Liz?” – lo aveva interrotto, imbarazzato e curioso allo stesso tempo.
“Cosa?”.
“Ti ho chiesto chi è questa Liz. No, perché se hai una fidanzata, potevi anche dirmelo, sai”.
Vegeta aveva lasciato la forchetta sospesa a mezz’aria, assumendo un’espressione indecifrabile.
“Prego?” – per un attimo aveva creduto di aver sentito male.
“Hai capito bene. Perché non volevi dirmelo, si può sapere?”.
“Tsk! Senti un po’, ti presenti a casa mia a quest’ora, entri senza bussare, te ne stai impalato come una statua, dici che ha fame, cucino per te – sottolineo, per te – e dopo mi accusi anche di non essere sincero su una cosa che per giunta non ti dovrebbe neppure riguardare? Ti è dato di volta il cervello, per caso?”.
Se l’era meritato. Se l’era meritato e lo sapeva. Ma non aveva intenzione di chiedere scusa, perché Vegeta gli aveva tenuto nascosta una parte della sua vita, e lui non capiva il perché. Erano amici, no? Che gli costava raccontargli una cosa così importante?
“Allora! Ti decidi a parlare o no?”.
Ma Goku non ne aveva la benché minima intenzione.
“Assurdo. Decisamente assurdo che io ti abbia permesso di stare qui, e decisamente assurdo che stia perdendo del tempo con te…” – aveva detto, sollevandosi di scatto dalla sedia.
Nel vedere quella reazione, nel rendersi conto di quanto lo avesse ferito, Goku si era alzato a sua volta, afferrando Vegeta per il polso destro, bloccandolo.
“Vegeta…”.
“Lasciami immediatamente”.
“Mi dispiace. Sono stato un vero idiota. Non dovevo permettermi di dirti quelle cose, ti chiedo scusa”.
Alla fine, aveva ceduto. Si sentiva terribilmente idiota per quello che aveva fatto, era stato capace di rovinare tutto, e non sapeva nemmeno il perché.
Il principe dei saiyan lo aveva guardato a lungo, prima di rilassare il braccio teso e sorridere, chiudendo gli occhi.
“Tu sei veramente fuori di testa, bello mio” – aveva asserito.
“Sì, credo che tu abbia ragione” – aveva ammesso, lasciando la presa sul suo braccio.
“Tsk… Mangia. E sta zitto” – e aveva ripreso posto.
“Va bene…” – Goku aveva fatto come gli era stato ordinato, vergognandosi da morire per la reazione che aveva avuto. Reazione impensabile, fra l’altro.
Gli unici rumori che si sentivano era quelli delle posate e dei bocconi di cibo masticati e poi ingoiati.
Vegeta era piuttosto perplesso. Non si sarebbe mai aspettato una simile reazione da parte di Kaharot. Fare una simile presupposizione e prendersela perché non aveva voluto rispondere era stato veramente fuori luogo, soprattutto per uno come lui. Cosa cambiava per quell’idiota se lui aveva o no una relazione con una donna? Non erano affari suoi. Ma nonostante non lo fossero, era comunque riuscito a metterlo in difficoltà, a farlo sentire in colpa. Forse, avrebbe dovuto dargli una spiegazione, anche se non sapeva bene il perché. 
Doveva essere sicuramente colpa del vino. Avevano appena finito di bere la terza bottiglia, dopotutto, ed era più che probabile che gli effetti dell’alcol avessero cominciato a farsi sentire.
“Lo sai che queste uova sono buonissime? Sei stato molto gentile ad aver cucinato per me” – aveva biascicato Goku, rosso in viso per il troppo vino bevuto.
“Tsk… Credo che tu sia troppo ubriaco per renderti davvero conto di come ho cucinato o no, scimmione”.
“Ah, adesso sarei io lo scimmione, vostra maestà?”.
“Cosa? Come osi prenderti gioco di me in questo modo?” – lo aveva rimproverato Vegeta, incerto se assumere un tono arrabbiato o se scoppiare a ridere.
“Avete ragione, maestà, sono stato scortese. Lasciate che mi inchini davanti a vo-oh,oh!”.
Stava per cadere. Stava per cadere e per finire per terra, e lo avrebbe fatto se solo Vegeta non si fosse alzato in tempo, prendendolo prima che ciò avvenisse.
“Stai bene?”.
“Urca come mi gira la testa… Devo-devo aver bevuto troppo… Devo davvero aver bevuto troppo…”.
“Già, lo credo anche io…”.
“Vegeta…”.
“Sì?”.
“Non voglio andare a casa in queste condizioni…”.
Lo aveva aiutato a rimettersi in piedi, sorreggendolo per evitare che cadesse per terra come un sacco di patate. Aveva ragione. Se Chichi lo avesse visto tornare in quello stato lo avrebbe strigliato per bene, e quello era il suo unico giorno sulla Terra… non poteva di certo finire in quel modo.
“Andiamo…” – e lo aveva aiutato ad incamminarsi verso una parte della casa che Goku era certo di non aver visitato.
“Però…”.
“Però?” – aveva ancora la forza di parlare?
“Io… Voglio tornarci… A casa…”.
Questa richiesta così contrastante rispetto alla precedente aveva lasciato basito il principe dei saiyan, che in un primo momento non aveva compreso il vero significato di quelle parole.
“Tsk… Mettiti giù…” – lo aveva ammonito, aiutandolo a stendersi sul proprio letto. Ne avrebbe fatto a meno, per quella notte.
“Sì… Va bene… Ma io… Io voglio tornare a casa… A casa mia... Chichi… Gohan… Goten… Io… Voglio essere… Voglio essere come te…”.
Era stato solo dopo aver sentito quell’ultima affermazione che Vegeta era stato in grado di comprendere cosa volesse dire veramente quello svitato, che aveva capito cosa volesse dire quando sosteneva di voler tornare a casa sua, che volesse essere come lui. Ma avrebbe potuto accogliere quella velata e bizzarra richiesta di aiuto? Ne sarebbe stato in grado? Per la prima volta in tutta la sua vita, il principe dei saiyan non era certo di riuscire a darsi una risposta.
Fine parte II
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Buona domenica!!
Ora, so che sono trascorsi decenni dall’ultima volta che ho aggiornato, ma ho dovuto aspettare che la storia prendesse una piega ottimale prima nella mia testa e poi qui, su Word. A quanto pare, i nostri due saiyan stanno per vivere una grande avventura che li porterà a riscoprire se stessi. =)
Mi auguro che resterete con me fino alla fine! E vi prometto che cercherò di aggiornare prima, va bene?
Un bacione
Cleo

 
   
 
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