Questa fic è dedicata a Elettra, che l'ha apprezzata fin dal primo momento e che ringrazio infinitamente sia per l'ispirazione che mi sta dando in questi giorni, sia per il suo apprezzamento.
Beh... buona lettura a tutti!!!! by Monipotty
“Josephine!”
chiamò una voce femminile “E’ ora di andare! Sbrigati a prepararti e poi scendi!”
“Si,
madre!” urlò di rimando la ragazza. Finì di prepararsi con l’aiuto della sua
cameriera Tess, afferrò il ventaglio di seta e pizzo e corse giù per le scale.
Già. Corse. Una cosa che non si addiceva per niente ad una ragazza inglese
della seconda metà del settecento, ma lei era fatta così e non ci badava. A
dirla tutta, la leggiadria e la sensibilità che una ragazza normale avrebbe
dovuto avere, erano le cose che le mancavano; forse era anche per quello che
non era ancora riuscita a trovare un uomo che l’amasse, anche se suo padre,
Theodore Allen, faceva di tutto pur di trovargliene uno, ma purtroppo Josephine
riusciva a rovinare sempre tutto a causa del suo comportamento poco femminile.
Nonostante tutto, era una bella ragazza: gli occhi erano grigio-azzurri, i
capelli neri come l’ebano e la pelle più bianca della neve e quel giorno era
più bella che mai, con quell’abito color panna, i capelli raccolti in un elegante
chignon e un cappellino bianco legato dietro la nuca con un nastro rosa. Quel
giorno, sapeva, era un grande giorno ma suo padre non le aveva ancora detto il
motivo a causa della sua poca memoria; l’unico fatto di cui era a conoscenza
era che avrebbero passato l’intera giornata ospiti del governatore di Port
Royal, Weatherby Swann, e sua figlia Elizabeth, la migliore amica di Josephine.
Elizabeth era una ragazza dolcissima e bellissima, più bella di Josephine pur
avendo la stessa età: i capelli castani dai riflessi d’oro le scendevano sulle
spalle in morbidi boccoli, le labbra rosa e gli occhi castani davano al suo
viso un che di angelico.
Era
talmente felice di passare la sua giornata in compagnia della sua migliore
amica, che si inciampò nel lungo vestito e per poco non rotolava giù dalle
scale. Sfortunatamente, suo padre vide questa sbadataggine e, naturalmente, si
arrabbiò.
“Josephine
Mary-Jane Allen!” urlò con la sua possente voce. “E’ mai possibile che una
ragazza come te debba essere così sbadata e avere sempre la testa fra le
nuvole?!” Josephine ammutolì e abbassò lo sguardo con vergogna.
“Certe
volte mi chiedo come fai ad essere mia…”
“Theodore!”
lo interruppe sua moglie. “Non ti permetto di parlarle in questa maniera! Ti
ricordo che anche tu eri così quando ti ho conosciuto per la prima volta.”
Theodore Allen guardò sua moglie, poi con un gesto della mano si voltò e si
avviò al di fuori dell’edificio dove li attendeva la carrozza. Danielle Allen
guardò la figlia.
“Vieni
Josephine, il governatore ci aspetta.” Le disse gentilmente sorridendo. Ma la
figlia non si muoveva e una lacrima rigava la sua guancia. Sua madre le si
avvicinò.
“Non
badare a ciò che dice tuo padre.” Le disse asciugandole la lacrima. “Non lo
pensa realmente. E’ stata la rabbia. Ora andiamo.” La prese a braccetto e la
portò con sé sulla carrozza.
Durante
il breve viaggio, nessuno parlò. Padre e figlia erano seduti vicini, ma nessuno
dei due sembrava volesse parlare; così Josephine ripensò al giorno in cui
conobbe l’amica Elizabeth. Si ricordò le grosse nuvole cariche di pioggia che
ricoprivano il cielo e la stretta di mano che si scambiarono il governatore
Swann e suo padre; vicino al governatore stava la figlia di otto anni. Erano
passati sedici anni da quell’incontro e ancora ricordava ogni minimo
particolare, come quella ferita che Liz aveva sul braccio bianco: si era ferita
il giorno prima sugli scogli, scivolando, mentre passeggiava lungo la costa.
Suo padre, che dopo aver perso la moglie era rimasto l’unico che si potesse occupare
di lei, si era all’inizio arrabbiato poi, raddolcito, l’aveva presa in braccio
e portata a medicare. Dopo averla conosciuta, le due bambine erano
inseparabili: non passava giorno in cui una delle due andava a casa dell’altra
a giocare alle bambole o nel cortile; avevano anche preso l’abitudine di
scambiarsi i propri diari personali per sapere ciascuna cosa faceva l’altra, e
quest’abitudine non era ancora passata.
Arrivarono
davanti ad una enorme caserma e vi entrarono, dirigendosi direttamente sul piazzale
principale dove si sarebbe svolta la cerimonia.
“Madre,”
disse ad un tratto Josephine “che tipo di cerimonia sarà quella di oggi?”
“Una
cerimonia molto importante. Ti ricordi James Norrington? Ebbene, quest’oggi
viene eletto Commodoro.” Disse sorridendo radiosa. Dal canto suo, Josephine,
dopo aver sentito quel nome, arrossì del tutto e dovette girarsi da un’altra
parte per non darlo a vedere. Sua madre non sembrava essersene accorta.
“Ah…bene…”
disse. Appena si voltò vide Elizabeth poco distante da lei. Le si avvicinò.
“Buongiorno
Elizabeth.” Disse cordiale.
“Josephine!
Non ti ho sentita arrivare!”
“Ho
notato. Come stai?”
“Non c’è
male; solo stamattina ho litigato con Will…”
Will
Turner, l’apprendista fabbro di città, un ragazzo molto educato e di bell’aspetto
di cui Elizabeth era innamorata.
“Che cosa
hai combinato?” le domandò.
“E’ stato
lui. Sa che odio essere chiamata miss Swann da lui, ma lui continua a chiamarmi
in quel modo. Perché?”
Le sorrise.
“Se lo ha fatto ci sarà stato un motivo valido. Gli uomini sono impossibili da
capire.”
“Già…a
proposito di uomini…” disse e la guardò. Jo la guardò interrogativa. “Sei
felice?”
“Perché
dovrei essere felice, secondo te?” domandò lei.
“Ma per
James, naturalmente.”
“Certo
che sono felice per la sua carriera e…”
“Non dico
questo. Se sei felice di rivederlo. L’ultima volta è stata…” cominciò a
contare.
“…ieri.”
Concluse Josephine. “Ma tu non devi farti strane idee, Elizabeth.” Lei la
guardò.
“Andiamo!
Lo sanno tutti che ti pia…” Jo non la lasciò finire e le mise una mano sulla
bocca.
“Potresti
evitare di dirlo a voce alta, per favore?” domandò.
“E che
male c’è? In fondo è un brav’uomo, ligio alle regole, serio, galante e anche
piuttosto di bell’asp…” di nuovo la bloccò a metà tappandole la bocca.
“Fin
troppo serio…” mormorò tra sé e sé.
Poi guardò Elizabeth. “Ti ricordo” le disse
“che è il tuo promesso marito, Elizabeth.” Lei la
guardò e si tolse la mano
dalla bocca.
“Io non
lo sposerò mai, e tu lo sai Jo. Io non l’amo; amo Will.” Jo la guardò
tristemente.
“Lo so, Liz, lo so. Ma James è innamorato di te e per
te non ci sarebbe miglior partito secondo tuo padre; anzi, non vede l’ora che
ti domandi di sposarlo e io…” ammutolì. Aveva gli occhi lucidi e le braccia le
ricadevano molli lungo i fianchi. “Il cuore di James non sarà mai per me, lo
sappiamo entrambe. Ma se lui ti sposerà o sposerà comunque qualcun altro,
beh…se lui è felice, io sarò felice, qualunque cosa dovesse accadere.” Una
tromba suonò per indicare l’inizio della cerimonia.