Il giorno dopo, vengo
svegliata dall’aroma di qualcosa di dolce. Apro gli occhi.
Sono sul letto di
Peeta. Che è successo ieri? Ah, sì. Gale. Peeta.
Io lo amo. La consapevolezza
di amare Peeta Mellark è ancora qualcosa di nuovo ed
inaspettato. Devo farci
l’abitudine. Peeta entra in camera. Tiene tra le mani un
vassoio verde, carico
di dolci. Me lo porge.
“ Per te. Sarebbe
l’ora di
pranzo, ma diciamo che questo è una specie di
colazione-pranzo, se si può
definire tale” mi spiega. Lo guardo attentamente. Mi
sembra… felice. Si può
essere felici dopo una sbronza del genere? A quanto sembra
sì. Nei suoi occhi
non vedo stanchezza o confusione. È
semplicemente… allegro. Ma perché? Penso
che sia contento che io sia tornata. Perché non
può ricordarsi le parole che ho
detto.
“ Grazie… tu
come stai,
piuttosto?” gli chiedo afferrando una ciambella dal piatto.
È davvero
buonissima. Come tutto quello che cucina Peeta, del resto.
“ Non sono mai stato
più
felice in tutta la mia vita!” esclama. Ok. Allora…
non può ricordarsi della mia
affermazione. Non può, dai. È impossibile. Era
ubriaco, no? Quindi… Annuisco,
provando a simulare la mia mancanza di interesse per la questione.
Forse, se
faccio così, penserà di essersi immaginato tutto.
Lui ride. Dopo qualche
secondo, si fa improvvisamente serio.
“ Parlando di cose meno
belle… ti fa male la guancia?” domanda. OH NO. Lui
si ricorda. È per questo che
è così pimpante. Mi porto istintivamente le dita
sulla guancia sinistra.
“ No, non mi fa
male” dico
velocemente. Peeta annuisce, abbassando gli occhi.
“ Ieri ho davvero
esagerato. Non pensavo potesse succedere a me di…
“ Posso sapere per quale
assurda ragione ti sei scolato…?” comincio
sentendo la rabbia salirmi
velocemente.
“ Oh, non lo
so” taglia
corto lui immediatamente increspando un po’ le labbra
“ Mi sembrava la cosa più
logica da fare, visto che pensavo che non ti avrei mai più
incontrato. Forse
speravo di morire in qualche modo. Non lo so. Ieri sera ero davvero
disperato,
mi dispiace” mi spiega velocemente. Sospiro. Vorrei poterlo
biasimare, dandogli
dell’esagerato. Ma, effettivamente, non sono nella posizione
più adatta per
fargli la predica. Neanche io sapevo se sarei più tornata.
Fino al bacio di
Gale.
“ Haymitch ti
ammazzerà
quando scoprirà che hai preso le sue scorte”
osservo. Peeta solleva le spalle.
“ Gliele
ricomprerò, non
c’è problema” dichiara sorridendo.
Annuisco. Passiamo qualche istante così, con
io che mangio e lui che mi guarda estasiato.
“ E’ vero
quello che hai
detto ieri sera?” mi domanda. Abbasso lo sguardo. Provo a
svicolare.
“ Che cosa? Ero tanto
stanca, non mi ricordo bene” esclamo con una vocina fin
troppo acuta. Lui
sghignazza un po’.
“ Ah no, eh?”
mi chiede
guardandomi con fare adorabile. Cavolo, è davvero adorabile,
è un bel problema.
Sa che sto mentendo. Vorrei potergli dire che in realtà so
benissimo quello che
ho detto e che, probabilmente, lo penso davvero. Ma non mi escono le
parole. Io
non sono come lui, non sono in grado di produrre discorsi toccanti e
particolarmente ricchi di emozioni. Ne sono proprio incapace. Quello che invece riesco a
fare è fissarlo
come un pesce lesso, arrossendo un po’. Mi dà un
bacio sulla testa.
“ Come stai?
Com’è andata
al Distretto 2?” mi domanda facendosi più pratico
e serio.
“ Bene. Ho perdonato
Gale.
E…” mi interrompo. Non posso dirglielo. Non posso
dirgli che mi ha baciata, che
ho capito di amare lui e non Gale. Non ancora. Non ce la faccio.
“ Ok. E le cose
lì come
stanno andando?
“ Ancora rivolte. Ma
penso
che le cose andranno meglio, ora che…” mi fermo.
Prim. Angelique. Sento delle
urla. Mi copro le orecchie. Urla ovunque. Peeta mima qualcosa con le
labbra. Ma
non lo sento. Non sento niente, non voglio sentire niente, piango
e… Peeta mi
abbraccia, mentre mi agito sul letto. E sento… calore. Tanto
calore. Calore
buono, finalmente. Sospiro, in una sorta di estasi. Lui mi aiuta. Lui
ci
riesce. Nessun altro può. Mi prende il volto tra le mani.
“ Li abbiamo fatti
uscire.
Te ne sono tutti riconoscenti. Abbiamo salvato sei innocenti. Dobbiamo
essere
fieri di noi” mi spiega mentre piango.
“ Ma Prim…
“ Ho parlato con sua
madre. È fiera di lei. Se ne è andata lottando
per quello in cui credeva. Non
esiste morte migliore, non esiste” esclama lui convinto.
Annuisco un po’. Lo
abbraccio io. Mi conforta, mi rende felice, mi consola, mi fa stare
bene,
finalmente. Voglio lui, ho sempre voluto lui. E mi vengono in mente le
parole
di Johanna “ io ucciderei per un amore
così”. E’ vero, sono
un’ingrata. Voglio
renderlo felice almeno la metà di quanto mi renda felice
lui. Sospiro.
“ Allora, ascoltami. Oggi
io e te facciamo un patto” mi dice. Lo guardo attentamente.
Che patto vuole
fare?
“ Faremo qualsiasi cosa
ti
vada di fare. Qualsiasi cosa. E, a fine giornata, io ti farò
una domanda. E
pretendo che tu sia assolutamente sincera. Te lo dico, non devi
mentirmi o
divagare, qualsiasi sia la risposta. Ci stai?” chiede con
enfasi. Lo guardo
interrogativa. A che gioco sta giocando? Non lo so. Lui ha detto
‘qualsiasi
cosa’. Che sia…? Non saprei. Ma so esattamente
quale sarà la domanda che mi
farà a fine giornata. Il punto è: io sono pronta
a rispondergli? Bhe, potrebbe
non essere quella a cui sto pensando ora, no? Potrebbe semplicemente
chiedermi
se Gale mi ha baciata o no. In quel caso risponderei un sì
amaro e carico di
vergogna, ma non sarebbe particolarmente faticoso da parte mia
ammettere una
cosa del genere. Spero che sia così. Sarebbe davvero
meschino non accettare un
patto così, sembrerebbe che abbia qualcosa da nascondere. E
non voglio che
possa pensare ciò.
“ Ci sto”
dichiaro tendendogli
la mano. Lui l’afferra prontamente.
“ Bene.
Quindi… che cosa
vuoi fare adesso? Posso accompagnarti dentro il bosco, farti una torta,
scrivere un po’ il libro, farti le focaccine
o…” comincia. Gli premo un dito
sulle labbra.
“ Oppure potrei portarti
al lago” dico improvvisamente. Non so perché mi
sia venuta questa idea, ma mi
accorgo che è davvero buona. Sì, voglio fare
questo. Lui mi guarda perplesso.
“ Oh, em…
sì, ok. Vuoi
passare tutta la giornata lì?” domanda. Annuisco.
“ Ti avverto solo che il
tempo non è dei migliori” mi informa. Scuoto la
testa.
“ Non mi importa. Voglio
andare lì” dico. Lui annuisce e fa una chiamata a
Sae per avvertirla che non ci
troverà a casa. Prepara dei panini, e dentro lo zaino
mettiamo due teli, così
da poterci stendere sull’erba. Prendo anche il mio arco. Non
si sa mai. Ci
incamminiamo.
“ Ti ha baciata,
eh?” mi
domanda di botto. Rimango un po’ spiazzata. Gale. Come fa a
sapere che…? Bene,
adesso so che non è questa la domanda prescelta della fine
della giornata. Non
gli rispondo, ma, stranamente, lui sorride amaramente.
“ Oh, è
normale. L’avrei
fatto anche io. Le avrei tentate davvero tutte!” mi dice
mentre scavalchiamo il
filo spinato. Lui mi precede, e mi dà le spalle.
“ Non è stato
proprio un
bacio vero” ammetto io. Non so perché ho usato
esattamente queste parole. Ma mi
accorgo che la penso davvero così. I baci veri, ormai,
appartengono solo a
questo ragazzo che cammina davanti a me. Lui alza le spalle.
“ Ho capito. Bhe, pensi
di
rivederlo ancora?” mi domanda. Leggo tra le righe la sua
tristezza. Ma stavolta
davvero, non ne ha motivo. Lo afferro per un braccio, costringendolo a
girarsi.
So che non sono proprio il massimo della femminilità e della
dolcezza, quando
gli dico:
“ Io ho scelto.
Peeta rimane come folgorato
da questa affermazione. Non riesco a interpretare però se ha
ben afferrato il
senso delle mie parole o no. In realtà non sono sicura di
averlo afferrato bene
neanche io. Lui, invece, rimane così, immobile e stupito.
Sbuffo, procedendo
davanti a lui. Non penso che sappia la strada. Arriviamo alla solita
casetta,
per poi vedere il lago. E’ strano condividere con Peeta un
luogo così. Mi
ricorda un po’ la mia vecchia vita. Mentre la mia nuova vita
sta in piedi
accanto a me. È una sensazione bizzarra. Peeta stende i teli
sull’erba, e
guarda il lago.
“ Hai imparato a nuotare
qui, eh? Mi sembrava strano che tu sapessi nuotare, considerando che
siamo
cresciuti nel Distretto 12” osserva. Dopo qualche secondo,
capisco a cosa si
sta riferendo. I Settantacinquesimi Hunger Games.
“ Sì, ho
imparato qui”
taglio corto. Vedo che vorrebbe chiedermi di più, ma non
osa. L’acqua è
cristallina e luccicante, in contrasto con il cielo grigio che ci si
prospetta
davanti. E’ terribilmente invitante. E poi, non mi faccio un
bagno da giorni,
considerando gli Hunger Games. Abbandono l’arco per terra.
“ Io mi tuffo!”
dichiaro
togliendomi il giacchetto. Non fa proprio caldissimo, ma il freddo non
è
neanche insopportabile. Si può fare, insomma. Mi sfilo la
camicetta. Tira un
po’ di vento, ma non mi importa. Peeta mi guarda
esterrefatto, quando mi levo
anche i pantaloni. Sono rimasta in biancheria intima, ma va bene
così. Stiamo
parlando di Peeta. Basta vergognarsi del proprio corpo. So che
qualsiasi cosa
farò, lui non se ne andrà. Quindi
perché avere il timore di sembrare… brutta ai
suoi occhi? Lo guardo. Gli tendo una mano.
“ Vieni anche tu.
L’acqua
non è molto alta. E possiamo rimanere nelle parti in cui si
tocca, se per te è
un problema” affermo. Peeta mi guarda esistante. Poi, i suoi
occhi guizzano sul
mio reggiseno rosa. Mi costringo a non arrossire.
“ Non so se è
una buona
idea. E l’acqua non è il mio problema in questo
momento ” osserva intimorito e
rosso in viso. Scuoto la testa.
“ Qualsiasi cosa io
voglia. Questi sono i patti, no?” replico. E’ bella
questa sensazione di
potere. Mi piace. Mi
scocca un’occhiata
imbarazzata e divertita allo stesso tempo, ma ancora non dice niente.
Si alza
in piedi e si toglie i pantaloni. Sorrido. Ho vinto io. Dopo essersi
tolto
anche il maglione e la maglietta, ci avventuriamo verso il lago. Tocco
l’acqua
con un piede: è inspiegabilmente calda. Sorrido ancora di
più, e mi ci tuffo
senza pensarci due volte. Peeta
è
esitante, lo vedo, ma dopo un primo attimo di incertezza, si tuffa
anche lui,
con un piccolo gemito. Sì, è davvero piacevole
stare dentro il lago con questa
bella acqua calda che ci avvolge. Immergo anche la testa. Peeta mi
imita.
Appena risale in superficie, mi getta addosso un po’
d’acqua. Ci schizziamo a
vicenda, felici. Dovrei essere triste. Dovrei essere triste, per Prim,
per
Angelique, per Rue, per Finnick, per tutti quelli che ho perso. Ma
adesso non
riesco a fare a meno di pensare a quanto sono fortunata ad avere Peeta
accanto
a me. E so che Gale non può darmi questo. Nessuno
potrà mai. Mi avvicino a
Peeta, cingendolo con le mie braccia e mi ci aggrappo letteralmente.
Restiamo
così, abbracciati, mezzi nudi. Lui mi accarezza i capelli
bagnati, e sento il
suo respiro sul collo. Ancora quei brividi. Mi stacco leggermente,
guardandolo
negli occhi. Un sorriso. Sorride veramente, sorride per la gioia di
stare con
me. Lo bacio. Sì, noi combaciamo. E’ come una
vecchia melodia che non stufa mai.
E infatti ne voglio ancora, voglio di più. E anche lui,
sento che si sta
lasciando andare completamente. Mi dà un bacio deciso, un
bacio che
approfondisce sempre di più, facendosi più intimo
di qualsiasi altro bacio mi
avesse mai dato. Mi stacco un po’, intontita e dolcemente
confusa.
“ Peeta… io
devo dirti una
cosa” borbotto. Lui sembra non ascoltarmi davvero. Mi vede,
ma non mi guarda. È
come… incantato.
“
Devo dirti una cosa” ripeto con più
convinzione. Ma forse il tono intimorito della mia voce mi tradisce. Mi
preme
il suo indice sulle labbra.
“ Se è quello
che penso…
te la renderò facile, Katniss. Non ti devi sforzare. So che
non sei… a tuo agio
nel dire alcune cose” osserva. Ok, basta. Questo è
troppo. Ha proprio
esagerato. Io… non so dare un nome alle emozioni che si
accalcano nella mia
testa. Ma so dimostrare molto bene tutto ciò: una lacrima e
un sorriso. Una
semplice lacrima illumina il viso di Peeta che, raggiante, mi bacia
ancora, e
ancora, e ancora. E io ne voglio di più, davvero. E so, in
cuor mio, che lo
vuole anche lui. Sento che il vento sta cominciando a farsi
più forte. Peeta mi
fa cenno di uscire dall’acqua, e io lo seguo. Quando usciamo,
lo vedo arrossire
vistosamente. Ne capisco il motivo solo troppo tardi: la mia biancheria
intima
si è incollata alla mia pelle, lasciando intravedere
praticamente tutto.
Afferro velocemente un asciugamano e mi copro. Mi stendo sul prato con
Peeta
guardando il cielo minaccioso.
“ Forse
pioverà. E’ una
brutta giornata” dichiaro.
“ Sì. Forse
pioverà. Ma
no, non è una brutta giornata. È la
più bella della mia vita” sottolinea Peeta.
Ha ragione. Sorrido. Mi metto seduta e i miei occhi indugiano sul suo
zaino. Lo
stesso che aveva portato a Capitol City. Lo stesso in cui…
arrossisco al
pensiero. Guardo Peeta, che ha gli occhi chiusi. La più
bella giornata della
sua vita. E direi che se la merita. Ma perché non
renderla… migliore? Ma lui
vorrà? Ha detto che possiamo fare qualsiasi cosa io voglia.
Ma io lo voglio? Lo
scruto attentamente. Io voglio sentire il suo calore sulla mia pelle,
le sue
mani tra i miei capelli e il suo respiro sul mio collo? Sì,
con tutta me
stessa. Voglio che lui sia il primo a…? Ma certo. Solo lui
potrebbe fare una
cosa del genere. Non permetterei di farlo a nessun altro. Mi fido di
lui?
Ovvio. E allora perché non buttarsi, per una volta nella mia
vita? Concedermi
un po’ di felicità. Per una volta. Dovrebbe essere
facile.
“ Mi stai
fissando” mi
dice Peeta di botto, facendomi sobbalzare. Apre gli occhi. “ A che
pensi?” chiede.
“
Io…” Mi arriva una
goccia in faccia. Sta cominciando a piovere. Mi alzo di scatto.
“ Sta per scatenarsi un
temporale. Andiamo a casa!” esclamo. Mi stanno cominciando a
venire i brividi
per il freddo. Lui se ne accorge, mentre ci rivestiamo. Mi abbraccia
scaldandomi con le sue mani.
“ Dai, appena arriviamo a
casa ci facciamo un bagno caldo per togliere il freddo” mi
dice.
“ Ce lo facciamo
insieme?”
chiedo io confusa. Non so se Peeta ha interpretato la mia come una
proposta o
come una semplice domanda per chiarire le sue parole. In
realtà, non so neanche
io che sfumatura di significato voglio dare alla mia domanda.Ma mi
sorride.
“ Sì. Insieme,
se è questo
che vuoi” sussurra.
“ Insieme”
mormoro. E mi
accorgo di volerlo davvero.
Arriviamo a casa di Peeta
zuppi fino al midollo e infreddoliti. Ok, andare al lago forse non
è stata una
buona idea. Ma ne è valsa la pena, in fin dei conti, no?
Peeta si fionda in
bagno, e fa scorrere un po’ d’acqua. Bene. I miei
occhi vengono catturati dal
mio riflesso proiettato sullo specchio della camera da letto.
Sono… orrenda,
davvero. I miei capelli sono bagnati e informi, il poco di trucco che
avevo è
letteralmente tutto colato sulle guance. Provo a darmi un contegno, o
almeno a
rendermi presentabile, avvalendomi dell’asciugamano. Faccio
un respiro. Ho
davvero acconsentito a farmi un bagno caldo con lui? A quanto sembra
sì, perché
sento che mi sta chiamando. Sto tremando come una foglia. Quando sente
che non
rispondo, mi chiama ancora, stavolta più allarmato. No, non
posso fargli
questo. Devo avere il coraggio di fare… ciò che
so di volere realmente. E cosa
voglio più di stare con Peeta, in questo momento? Niente.
Rispondo debolmente,
sfilandomi la camicetta. Mi slaccio i pantaloni. Sono ancora in
biancheria. E
fin qui non ci sono problemi. Appena entro in bagno, noto che lui
è ancora
vestito. Mi sento terribilmente a disagio. Ha chiuso il rubinetto
dell’acqua.
“ Solo se lo vuoi
davvero.
Nessuno ti obbliga” mi dice. Esito un secondo. Ma in fondo
sì. Abbiamo tutto il
tempo del mondo, a quanto sembra. Quindi perché fare ora una
cosa del genere?
Potremmo aspettare mesi… anni… fino a che non
prenderò il coraggio di… ma di
fare cosa, alla fine? Di spogliarmi? Quando lo facevo davanti a Cinna e
al mio
staff non era un problema. Allora perché adesso mi freno?
Perché è quello che
c’è sotto il gesto. Vuol dire fidarsi,
abbandonarsi a qualcuno. Non avere solo
io le redini della situazione. Mettersi in gioco, lasciarsi andare, per
una
volta. E voglio farlo. Perché
so che
dall’altra parte, c’è lui. Mi tolgo
lentamente il reggiseno sotto lo sguardo
stupito di Peeta. Prova a guardarmi negli occhi, ma vedo che non ci
riesce
molto bene. Ridacchio un po’. Anche lui ride imbarazzanto,
mentre riapre il
rubinetto e si sfila la maglietta. Ok. Ce la posso fare. Si leva anche
i
pantaloni. Ok. Perché sto sudando freddo? L’ho
visto in boxer più e più volte.
Ieri, per esempio. Quindi perché ho questo terrore
di… ecco, l’ha fatto. Si è
tolto la biancheria ed è entrato nella vasca. Lui non
arrosisce, sembra che si
denudi davanti a qualcuno tutti i giorni. Non osa guardarmi,
però. Meglio,
visto che tocca a me. Mi sfilo lentamente gli slip e mi precipito
dentro
l’acqua. È calda, è accogliente. La
vasca è abbastanza grande per entrambi, e
la schiuma copre un po’ di cose che… normalmente
sono coperte. Adesso mi sta
guardando negli occhi. Mi sta proprio scrutando.
“ A che pensi?”
gli
chiedo. Mi accorgo che la mia voce è incredibilmente rauca,
e ho la mandibola
leggermente contratta.
“ Sto cercando di capire
se potrebbe darti fastidio. Perché o ti rimetti qualcosa
addosso oppure…
“ Oppure?”
provo a dire
confusamente.
“ Bhe, non lo so. Adesso
come adesso so a malapena come mi chiamo. Non so” afferma.
È imbrazzato, lo
vedo. Mi esce una risatina nervosa. Lui si sporge verso di me. Ecco. E
adesso?
Che cosa devo fare?
“ Ascoltami, tu adesso mi
devi dire espressamente cosa vuoi fare. Perché la situazione
è abbastanza
ambigua, non so se hai notato!” dice sorridendo. Anche io non
posso controllare
la mia euforia.
“ Quindi, stiamo nudi in
una vasca di acqua calda, e…” dico provando a
razionalizzare.
“ E vorrei che venissi
più
vicina. Ma solo se lo vuoi” si limita a dire semplicemente.
Mi giro e gli
faccio segno di allargare la gambe. Mi posiziono con la mia schiena sul
suo
petto. Sento… qualcosa sulla mia schiena. Provo a non
ridere. Ma non ci riesco.
La situazione è tragica, ma non è assolutamente
seria. Ridiamo insieme. Con le
labbra mi sfiora il collo. E voglio di più, stavolta penso
di essere pronta. Lo
lascio fare. I suoi baci cominciano a farsi più esigenti.
Alludono ad altro. E
immagino di sapere di cosa si tratta. Siamo rimasti dentro questa vasca
abbastanza. Mi scanso.
“ Andiamo di
là” dichiaro
alzandomi. Lui distoglie appositamente lo sguardo da me, mentre mi
infilo
l’asciugamano.
“ Non posso”
sussurra con
gli occhi lucidi.Scuoto il capo e gli stampo un bacio sulla testa.
“ Questo fallo decidere a
me. Ti prego” chiedo io implorante. Sospira. Si alza anche
lui, legandosi un
asciugamano in vita. Sembra scocciato.
“ Potrei ucciderti,
Katniss” afferma ancora, pensando che possa davvero crederci.
Mi avventuro in
camera da letto, sdraiandomi sul soffice materasso. Inspiro
profondamente. Ha
un buon aroma, quello del pane, di Peeta, del…
dell’amore, penso. Infatti sto
per dare a Peeta quello che… ciò che sapevo che
sarei stata disposta a dargli.
Voglio farlo. Arriva anche lui, ma non si adagia accanto a me. Rimane
in piedi
a fissarmi. È combattuto. Io non intendo distogliere il mio
sguardo da lui. Lui
fa qualche passo incerto verso di me e si siede sul letto.
“ Io non posso farlo. Non
posso, Katniss. Mi dispiace, ti giuro. Non…”
Basta, mi ha stancato. Non
so dove trovo il coraggio di fare una cosa del genere. Non oso neanche
immaginarlo. Ma mi alzo in piedi e mi metto a cavalcioni sulle sue
gambe. Lui
rimane di sasso, quasi spevantato. Prova a scansarmi leggermente, ma io
non me
ne vado. Basta fuggire. Ho sempre pensato, durante gli Hunger Games,
che, ad un
certo punto, devi smettere di correre, girarti e affrontare chi ti
vuole morto.
Ma ci vuole coraggio per fare ciò. E il nemico di Peeta, in
questo caso, è sé stesso.
Sappiamo entrambi che, se sopravviveremo a questa prova, le cose
andranno
meglio. Ma lui deve avere il coraggio di farlo. E io voglio aiutarlo,
dandogli
tutta me stessa sia in senso letterale che figurato.
“ Perché?
Perché ora,
perché con me, perché
vuoi…?” comincia lui. Alzo le spalle.
“ Lo sai
perché. È una
cosa nuova per entrambi. E l’affrontiamo insieme,
vero?” chiedo. Ecco, di tanto
in tanto riesco ad essere anche io brava con le parole. E, per una
volta, hanno
l’effetto desiderato. Perfetto, Peeta non sa come rispondere.
Assaporo il
sapore della vittoria, baciandolo. Mi scansa ancora.
“ Io… vorrei,
te lo giuro…
“ Peeta, la vita
è troppo
breve, hai capito? Guarda Angelique, guarda Prim, Rue, Finnick! Finnick
ha
sposato Annie nel bel mezzo della rivolta! Bisogna afferrare il
momento, il…”
dolce della vita. Se vediamo qualcosa di dolce sarà
meglio… prenderlo al volo.
Finnick. Finnick Odair. I cavalli. La zolletta di zucchero. Finnick.
Annie.
Hearten. Suo figlio. Finnick ha un figlio che non conoscerà
mai. Perché Finnick
è morto. Mi scanso da Peeta, che mi guarda allarmato. Mima
qualcosa con le
labbra. Non so cosa sia. Mi stendo sul letto, tappandomi le orecchie.
Piango
disperata. Nella mia testa, un turbinio di pensieri. Finnick, con il
suo costume
per la Parata… Cinna, e i suoi abiti che vanno a
fuoco… il fuoco del Distretto
8, con l’ospedale, in ospedale lavora mamma, e anche Prim era
brava e… Sento
delle braccia avvolgermi. Peeta. Peeta mi sta avvolgendo. Mi calmo un
po’. Sì.
Lo risento. Risento la vita, quella vita che ho sentito dentro la
camera di
Capitol City. Fuori piove. Dentro questa stanza, invece,
c’è il sole. Un sole
giallo, brillante. Il giallo del dente di leone. La speranza. La
speranza di
vivere, di essere felici. Lo guardo negli occhi. Anche lui la sente, lo
posso
percepire. Mi prende il viso tra le mani, e mi bacia. E sento quella
fame, che
adesso riconosco essere fame di amore, di luce, di pace. Rispondo a
questo
bacio e penso che potrei farlo per tutta la vita. È tutto
così veloce, non
capisco esattamente cosa stia succendo. È solo un tornado di
emozioni. Paura,
sì, ma anche desiderio. Di cosa, poi? Di Peeta.
Perché è sopra di me e,
stavolta, penso che voglia farlo sul serio. Mi accorgo solo troppo
tardi che il
mio asciugamano è andato, così come il suo, e che
le mie gambe abbracciano le
sue. Sento il freddo della sua protesi sul polpaccio, che mi riporta
alla
realtà. È quello che voglio, vero? Non si
può tornare indietro? No, basta
fuggire. Questa è la mia pace. Peeta me la sta dando. Si
ferma un secondo,
accaldato. Mi guarda negli occhi. Io sono troppo confusa per
restituirgli uno
sguardo intenso come il suo.
“ E’ quello che
vuoi. Vero
o falso?” domanda. Bene. Ci siamo. Stiamo a un punto di non
ritorno. Vero o
falso? Vorrei dire vero, ma la paura mi blocca. Paura di cosa, non lo
so.
Appunto, posso avere paura di Peeta, il ragazzo che voleva farsi
uccidere per
me, che mi ha sempre protetta, che, nonostante il depistaggio, riesce
sempre a
pensare a me? No. Non posso davvero avere paura di lui. Sebbene sia
confusa e
spaventata, riesco a sorridergli.
“ Vero”
sussurro. Lui si
concentra ancora sulle mie labbra, baciandomi ovunque, sul collo, sul
petto… e
a questo punto penso che sia il momento. Non so esattamente come
funzioni la
cosa. Ma so che se ci penserò troppo non mi
deciderò mai. Sembra leggermi nel
pensiero, quando si ferma per aprire il cassetto di un comodino. Tira
fuori
qualcosa di… strano. Mi metto leggermente seduta. Non
capisco. Lui poggia
questa cosa sul letto, e continua a baciarmi. Ma mi sento molto
spaesata.
“ Peeta, che
cos’è… quel…?
“ Tu non vuoi avere
figli,
per ora, no?” domanda. Eclisso sul fatto che non esiste un
‘ per ora’. Io non
voglio avere figli e basta. Mai. Ma so che solleverei solo proteste,
affermando
ciò in questo momento. Quindi mi limito ad annuire. Lui mi
accarezza le
braccie, le gambe e…
“ Se ti faccio male,
dimmelo, ok?” chiede. Annuisco ancora, stavolta presa dal
panico. Che cosa
sta…? Mi sta toccando. Lì. Aiuto. Non so come
comportarmi. Lui continua a
baciarmi, il che è un bene. Non vedrà il mio
imbarazzo. Ha un tocco delicato,
attento. E va bene così. Ma dopo pochi istanti, capisco che
non mi basta più.
Ormai abbiamo superato l’ostacolo, penso, quindi…
come al solito, probabilmente
mi sta leggendo nel pensiero. Sento che il tutto sta diventando
più frenetico e
movimentato, e letteralmente vado a fuoco. Immagino che anche io debba
fare
qualcosa simile alla sua, ma… come faccio? Non ne ho la
più pallida idea. Provo
a pensare, quando capisco che forse l’ideale sarebbe iniziare
a… a ricambiare
la cosa. Quindi allungo una mano e a lui sembra far piacere.
Improvvisamente,
mi ferma. Non so perché. Velocemente, si infila
quel… quel coso di cui mi
annoto mentalmente di chiedere il nome. Mi guarda negli occhi. Non so
perché,
ma fatico a sostenere il suo sguardo. È profondo, intimo,
troppo intimo. La sua
espressione è sconvolta, ma anche felice. Non so proprio
come descriverla.
“ Qualsiasi
cosa… me lo
dici e mi fermo. Hai capito?” domanda. Provo a dire un
‘sì’. Ma dalle mie
labbra esce solo uno strano suono sibilato.
“ Katniss,
devi… devi
dirmi che mi vuoi, che lo vuoi, perché sennò
io…” sussurra tra i denti. Gli
premo l’indice sulle labbra.
“ Zitto.
È… è quello che
voglio” dichiaro. Ridacchia un po’ e, con
un’ultimo sguardo eloquente,
lentamente si fa strada dentro di me. Cio che
sento è un’esplosione. Sensazioni nuove e diverse
mi arrivano al cervello e non
riesco a organizzarle in modo razionale. Fa male, è vero. Ma
lui mi bacia,
ancora e ancora e, in questo momento, il dolore passa in secondo piano.
Dapprima doloroso, anche il semplice atto comincia a diventare
estremamente
piacevole. Ormai non fa neanche più male. Mi piace. Sto
facendo… lo sto facendo
davvero. Con Peeta. E sto bene, sono contenta, sono…
innamorata, ecco. Sì,
innamorata di Peeta, il ragazzo che mi sta baciando con tutta la
passione che
ha. Le sue mani mi afferrano i fianchi, provocandomi tantissime
scintille che
sento irradiarsi per tutto il mio corpo. Sento la fatica, e penso che
vorrei
faticare così tutta la vita. Le scintille arrivano fino al
mio petto, e mi
fanno un po’ gemere. Mi sento stupida, ma non mi importa: so
che Peeta non
penserà questo di me. I respiri sono corti e irregolari, ma
ormai i nostri
movimenti sono decisi. Apro
le palpebre.
Peeta ha gli occhi chiusi. Non mi sta baciando, visto che
l’aria scarseggia e
la bocca ci serve per respirare. Ma è comunque vicino a me.
Molto vicino. Sento
che sta accellerando i suoi movimenti. Richiudo gli occhi. Mi afferra i
polsi.
Sbarro le palpebre spaventata. Che stia… no… non
ora… per favore… no. No, non
vuole farmi del male. Lo vedo dal suo sguardo. I suoi occhi azzurri e
limpidi
mi sorridono. Mi rilasso con un lieve sospiro, e
chiudo ancora gli occhi. Da frenetiche, le
sue spinte si fanno calme e intense. Respiro. Ancora scintille dentro
la gola.
Gemo. Mi sta scoppiando il ventre, il cuore, la testa. Tutto va a
fuoco, un
fuoco caldo, accogliente, pacifico e curatore, che non ha nulla a che
vedere
con il mio, rabbioso e carico di ira. Questo è il fuoco di
Peeta. Con un’ultimo
respiro denso di piacere, Peeta si toglie da me. Sento l’aria
fredda
rimpiazzare il calore del suo corpo sulla mia pelle. Sospiro. Lui
scappa un
secondo in bagno, e non ne capisco il motivo. Ma non è un
problema. Mi
spiegherà tutto quando tornerà. E poi, adesso
come adesso, sono troppo
sconvolta per farmi troppe domande. Dopo qualche istante, Peeta torna e
si
sdraia sul letto. Si è messo i boxer. Mi sento in imbarazzo
per la mia nudità.
Abbasso lo sguardo, e i miei occhi indugiano sulla porta del bagno,
dove ci sono
i miei vestiti. Mi sto per alzare, ma lui mi parla:
“ Aspetta… un
secondo”
mormora. Mi blocco e lo guardo. Che cosa c’è? Al
mio sguardo interrogativo, lui
sorride.
“ Io… voglio
imprimere
questo ricordo nella mia mente per sempre. Quando avrò i
miei attacchi, voglio
revocare questa immagine, questa emozione, questo momento. Ti
prego” il suo
tono è implorante, e io non ho voglia di dirgli di no.
Nonostante sia
imbarazzatissima, provo a non arrossire. Ma non ho il coraggio di
guardarlo. Lui
mi scruta, sento il suo sguardo addosso.
“ Posso…
andare a prendere
i vestiti?” chiedo.
“ Sì.
Certo” mi risponde
sottovoce. Mi fiondo in bagno. Devo guardarmi allo specchio. Devo. Alzo
i miei
occhi sulla mia immagine. Mi sento… sono diversa. A stento
riconosco la ragazza
devastata e mentalmente confusa del Distretto 12. Mi sento…
bella. Le mie gote
sono rosse, i miei occhi dilatati e sprizzanti di… gioia? A
stento mi soffermo
sulle condizioni della mia pelle, non esamino neanche troppo i miei
capelli
arruffati. No, la mia espressione è cambiata radicalmente.
Meno dura e
risoluta, più… vulnerabile. Ma in senso
straordinariamente buono. È quasi…
dolce. Non mi riconosco. Ma mi piace. Indosso reggiseno e mutande e
raggiungo
Peeta. Sento un lieve dolore nella parte bassa dell’addome,
ma non mi importa.
Sono felice. Peeta guarda il soffitto.
“ A te
è… piaciuto quanto
è piaciuto a me, vero?” chiede. Ma che domanda
stupida. Rido un po’. Anche la
mia risata è cambiata. È argentina e limpida.
Sgombra da problemi.
“ Sì. E a
te… come è
andata?” domando. Lui si gira verso di me. Mi guarda
intensamente.
“ Katniss, io…
penso che
il termine ‘ benissimo’ sia riduttivo. Non ci sono
parole per descrivere…
“
Quindi, che farai, dipingerai questa cosa in
uno dei tuoi quadri?” domando io ironizzando. Lui scuote la
testa.
“ Non esistono colori
tanto belli” afferma. Arrossisco. È bravo con le
parole. È bravo.
Passiamo il resto della
serata a mangiare e a scherzare su tutto ciò che ci capita a
tiro. Mi preprara
un vassoio carico di una specie di pane pieno di olive. Mangiamo sul
letto,
disseminando briciole ovunque e ipotizzando i commenti che Haymitch
farebbe se
venisse a sapere della nostra nuova esperienza. Poi parliamo di Sae,
immaginando la sua espressione quando ci vedrà tornare a
casa mia domani
mattina, con i capelli scompigliati e un sorrisi larghi sulla faccia.
Lui mi
parla dei suoi progetti: vuole riaprire la sua panetteria. Io lo
sostengo,
dicendo che sarebbe proprio una bella idea. Io invece gli comunico la
mia idea
di fare un pranzo con tutti quanti, anche con i vincitori di questi
Hunger
Games. Lui è d’accordo, e propone di invitare
anche Johanna, Beetee, Annie ed
Haymitch. Poi lui comincia a giocherellare con i miei capelli, dicendo
che è
una cosa che gli è sempre piaciuta fare. Anche io la trovo
rilassante e
piacevole. Ci stendiamo sul letto, ancora con il sorriso a fior di
labbra.
Abbiamo spento la luce, quando lui mi sussurra:
“ Ho rispettato il patto.
Devo farti una domanda” mi dice. Sento il sorriso sciogliersi
sul mio volto.
Oh, no. No. No. No. Ci siamo. Questa giornata è ricca di
cose nuove, per me.
Non posso davvero dirglielo. No. So quello che mi chiederà.
Annuisco
lentamente.
“ Sì. Chiedi.
L’ho detto. Sto firmando
la mia condanna. Ma, in fondo, di quale condanna sto parlando?
Io… io amo Peeta
Mellark. È così, no? Quindi posso
dirglielo… glielo devo dire, io…
“ Tu mi ami. Vero o
falso?” sussurra. Nella penombra, mi volto a guardarlo. Sento
il panico
assalirmi. È ora. Devo dirglielo. Ma non trovo il coraggio.
Dire una cosa del genere
vuol dire renderlo ufficiale. Ammetterlo a me stessa, ammettendolo a
lui. Che
io lo ami, ormai è una certezza. Vedo i suoi occhi
scintillare un po’. Quanto
amo i suoi occhi. Quanto amo lui. Ed è proprio ora che
capisco che prima o poi
questo momento era destinato ad arrivare. Amo come mi fa sentire. Come
se ci
fosse qualcosa di bello nella mia vita che nessuno mi potrà
mai portare via.
Qualcosa per cui vale la pena svegliarsi la mattina. Che, nonostante
tutto,
rimanga con me. Nella mia testa, fuochi d’artificio, pane
appena sfornato,
zuppa, campi di forza, proposte di matrimonio… una perla.
Una semplice perla mi
fa capire come mi sento quando sto con Peeta. Mi sento una
rarità, mi sento
bene. Sento che posso diventare una perla, io, piccolo pezzo di
carbone, come
direbbe Effie. Peeta è il mio futuro. Aveva ragione Gale, in
qualche modo. Ho
scelto chi è indispensabile alla mia sopravvivenza. Ma non
nel senso brutto. Ho
bisogno di Peeta. Ho bisogno dei suoi baci, dei suoi abbracci, di lui.
Senza di
lui, sarei morta. Ed è in questo momento che riesco a
raccogliere il coraggio
necessario per sussurrare, senza esitazioni:
“ Vero.
Angelikakiki.