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Autore: Lacus Clyne    02/01/2014    3 recensioni
"Cominciò con un incubo. Un incubo tornato dalle profondità dell’anima in cui avevo cercato di relegarlo innumerevoli volte, da quando ne ho memoria." Per Aurore Kensington i sogni si trasformano in incubi sin da quando era una bambina. Sempre lo stesso incubo, sempre la voce gentile del fratello Evan a ridestarla. Finchè un giorno l'incubo cambia forma, diventando reale. Aurore è costretta a fare i conti con un mondo improvvisamente sconosciuto in cui la realtà che le sembrava di conoscere si rivela essere una menzogna. Maschere, silenzi, un mistero dopo l'altro, fino al momento in cui il suo adorato fratello Evan e la loro mamma scompaiono nel nulla...
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buon anno nuovo, amici! *---* Rieccoci qui e so che non è lunedì, ma torno operativa prima di partire per sostenere gli esami! >_< Comunque cercherò di pubblicare anche in quel periodo, in qualche modo! u_u Bene bene, ricordate dov'eravamo arrivati? Preparatevi a un nuovo capitolo con qualche rivelazione e non solo! :3 Intanto ne approfitto per augurarvi il meglio per questo nuovo anno e spero che ci sia qualche altra voce fuori dal coro a voler lasciare un commento ogni tanto... 

Intanto ringrazio i miei Taiga-chan, TheDarkness e Giacchan che adoro dal profondo! <3 Grazie per i vostri commenti, come sempre sono meravigliosi!! E mi aiutano tantissimo!!

De wa ikimasho! <3 Buona lettura! <3

 

 

 

Pensai che una volta messo piede nel palazzo di diamante, saremmo stati condotti direttamente al cospetto della Croix du Lac. Invece, quando varcammo la soglia di quel luogo così maestoso, trovammo ad attenderci Liger. Rabbrividii pensando che soltanto poco prima, era impegnato in uno scontro con mio padre. Non riuscii a nascondere la paura al pensiero che fosse potuto accadergli qualcosa, sebbene non fosse la prima volta che quei due si battevano e a quanto avevo avuto modo di capire, ogni loro scontro si risolveva con un nulla di fatto. Per di più, era la prima volta che affrontavo Liger a volto scoperto. Oramai, non potevo nascondermi dietro a un nome fasullo né dietro a un cappuccio. E com’era per me, era anche per i miei amici. Il comandante, a braccia conserte, ci attendeva proprio sotto la cupola di cristallo, nell’ampia sala centrale che fungeva da snodo per i vari ambienti del palazzo.

- Liger.

Lo salutò il professor Warren. Il comandante non replicò, ma si limitò a guardarci. Mi chiesi quale fosse la sua espressione, sotto quella dannata maschera.

- La Lady del rubino, la Lady dello smeraldo e la Lady dell’ametista. Sono molto felice di fare finalmente la vostra conoscenza, Milady.

Mi disse, sebbene il suo tono assolutamente monocorde non lasciasse affatto intendere felicità. Poi si rivolse a Damien, che mi teneva ancora per mano.

- Dunque colui che doveva essere il possessore dello smeraldo è il cavaliere della Lady dell’ametista. Eppure, sembra che questa fanciulla, che tanto ci ha fatto penare, non necessiti affatto di difesa. Ditemi, Damien Ealing, non è che invece desiderate consegnarmela di persona e la state tenendo per mano per questa ragione?

Damien affilò lo sguardo, esitando qualche istante prima di rispondere.

- Non credevo che foste un tipo così ironico, comandante. E se desiderate una risposta altrettanto ironica, sappiate che verde e viola si intonano abbastanza bene per essere separati.

Rispose. Lo guardai perplessa, poi realizzai che si riferiva allo smeraldo e all’ametista, dunque a noi e arrossii. Guardai di riflesso Amelia, che giocava con i lunghi capelli castani.

- Voglio sapere dove si trova mio fratello, il Lord del rubino.

Intervenne Rose, poi, facendosi avanti. Era alta quasi quanto Liger, e nonostante avesse asserito di voler saggiare quell’uomo, in quel momento era piuttosto seria. Nulla di quel contegno avrebbe fatto sospettare la sua propensione alla lussuria. Ma dopotutto, ricordavo anche le parole che lo stesso Ruben mi aveva detto parlandomi dell’autorità dei capifamiglia. Quando c’era da tirar fuori la determinazione, nessuno di loro si esimeva. E quella situazione richiedeva una buona dose di determinazione.

- Al momento è assieme a Lord Vanbrugh e a Lady Trenchard.

Rabbrividii al pensiero che anche Amber e Blaez erano lì. Certo, non c’era da sorprendersi. Rivolsi uno sguardo ad Alanora, che ci aveva consegnati tutti nelle mani del nemico. Aveva sicuramente parlato anche di Amber. Violet mi si avvicinò, preoccupata. Lessi il suo stato d’animo e cercai di rassicurarla.

- Vedrai che andrà tutto bene…

- Lo spero tanto, Aurore…

Cercai di sorriderle, poi le strinsi forte la mano.

- Ora, se volete seguirmi. Lord Warrenheim, immagino che voi vogliate occuparvi personalmente di vostro figlio. O in qualsiasi modo vogliate chiamarlo.

Damien arricciò le labbra, insofferente. In quel commento, Liger aveva calcato la mano.

- Naturalmente. Damien.

- Aurore e Hammond vengono con me.

Replicò, seccamente. Il professore sollevò il sopracciglio.

- Damien, non sei nella condizione di dettare condizioni.

- E tu non sei nella condizione di farmi ripetere due volte la stessa cosa.

Il professore si accigliò, digrignando i denti.

- Ragazzino insolente!

- Avanti. Prova a colpirmi, papà. Anzi, Lord Warrenheim.

Damien sogghignò.

- Non farlo innervosire!

Gli sibilai, e mi guardò con la coda dell’occhio.

Liger smorzò la tensione raggiungendoci. Sentii il suo sguardo addosso come fosse una doccia gelata e ne ebbi paura.

- Adesso basta.

Sentenziò, poi sciolse la presa di Damien e quella di Violet, prendendomi con sé.

- Lasciatemi!

Esclamai.

- Aurore!

La voce dei miei amici all’unisono. Vidi Violet tendermi la mano e Damien cercare di raggiungermi, ma entrambi furono bloccati dalle guardie imperiali che presidiavano la sala.

- Sarà meglio che non opponiate resistenza. Nel comune interesse di preservare la vita dei vostri compagni, Milady.

Mi irrigidii nel sentire le sue parole sussurrate nel mio orecchio e lo guardai in tralice. Ebbi la sensazione che sorridesse, sebbene quel sorriso fosse più simile a un ghigno che ad altro. Mi voltai verso i ragazzi, guardando Rose, Violet e Damien. Damien… proprio ora… mi sforzai di tirar fuori una qualche parvenza di espressione rassicurante.

- Andrà tutto bene…

Mormorai, annuendo.

Poi, il comandante girò i tacchi, accompagnandomi attraverso un corridoio illuminato, lasciandoci alle spalle i richiami dei miei amati amici, primo tra tutti, Damien.

Mentre percorrevamo le lunghe gallerie che attraversavano il palazzo, sui cui muri marmorei spiccavano i ritratti dei Despoti che avevano imperato in quel mondo per tanti secoli, oramai lontani dai ragazzi, mi ritrovai a guardare quell’uomo. Vidi il profilo serio seminascosto dalla maschera nera. Aveva un portamento davvero deciso. Pensai di chiedergli del Cavaliere Nero, ma decisi di non farlo. Qualunque cosa avesse fatto, non gli avrei mai rivelato nulla che potesse mettere in pericolo mio padre o chiunque altro. Nel guardarlo, non mi accorsi che eravamo davanti a una scalinata e finii con l’inciampare nel gradino, con buona pace del mio senso dell’equilibrio e dei riflessi. Liger fu rapido nell’impedirmi di cadere. Mi sostenne, tirandomi su.

- A-Ahia… stupido gradino!

Borbottai, mantenendomi al suo braccio. Poi mi resi conto della posizione in cui mi trovavo e lo guardai incerta per un attimo. Liger mi aveva aiutata. Ma nonostante quel gesto, che ne ero certa, era stato dettato dal riflesso più che altro, quell’uomo era letale e questo non cambiava. Mi ritrassi immediatamente, controllandomi le ginocchia. Per fortuna non ero finita faccia a terra.

- Andiamo.

Ordinò.

Appurato l’essere ancora intera, mi puntellai al passamano, ignorando il suo ordine.

- Ditemi una cosa. Voi sapevate chi ero… già da quando ci siamo incontrati per la prima volta, non è così?

Liger salì i primi gradini, poi si voltò verso di me. Il suo abito così bianco era un elemento di rottura con tutto il resto. Eppure, non c’era nulla di candido in lui. Dentro di lui c’era soltanto oscurità.

- Naturalmente. Ma desideravo vedervi senza maschera, prima di fare qualcosa. Sarebbe stato impari.

Mi uscì una risatina isterica.

- Proprio voi parlate di imparità? Voi che portate la maschera sul viso! Allora, per essere davvero pari, perché non mi mostrate il vostro volto?

Domandai, forse troppo avventatamente. Ma mi sentivo davvero presa in giro. Liger attese alcuni istanti, poi portò la mano al volto. Deglutii, pensando che aveva accettato con facilità la mia richiesta. Ma poi, si fermò.

- Vorreste davvero vedere il mio volto? Provate a togliermi la maschera, allora.

Mi stava forse sfidando?

- Non è il momento adatto per una sfida, comandante!

Replicai, incredula. Lui sogghignò, poi scese un gradino e avvicinò il suo volto al mio. Eravamo così vicini che potei scorgere il riflesso dei suoi occhi dietro quella maschera. Eppure, non riuscii nemmeno a carpirne il colore. Cercai di sostenere quello sguardo, ma mi sentivo a disagio. E non era soltanto perché era Liger, ma anche perché riuscivo a sentire il suo respiro a pochissimi millimetri da me. Mi faceva paura. Indietreggiai.

- Mi temete, forse?

Cercai di non dargliela vinta, ma la verità era che lo temevo eccome.

- Fate bene.

Disse, con voce bassa e musicale.

- Anche vostro fratello mi ha temuto, quando ha capito chi aveva di fronte.

Avvampai, colpita da quelle parole. Mio fratello… il comandante Liger aveva incontrato mio fratello?

- Di cosa state parlando?!

Chiesi, cercando di dare un senso a quelle parole. Il sorriso sul suo volto si allargò, poi tornò diritto.

- Comandante!

- Evan. Evan Kensington. Quando sono giunto nel vostro mondo, è stato il mio avversario.

Mi sentii male al pensiero di Evan che combatteva contro di lui. Il mio Evan… strinsi il suo braccialetto, tremando.

- N-No… non ditemi che…

- “Non toccare mia sorella o ti giuro che sarà l’ultima cosa che farai in vita tua”, mi ha detto questo. E si dà il caso che non ami particolarmente essere minacciato.

Ansimai. Quelle parole erano proprio da lui. Singhiozzai violentemente.

- Avete bisogno che vi racconti com’è andata?

In quell’istante, al dolore si aggiunse la rabbia e compresi la reazione inaspettata e rabbiosa di Damien nei confronti del padre. Avrei voluto agguantare quell’uomo e colpirlo. Salii velocemente gli scalini, fuori di me.

- Toglietevi quella maschera! Voglio guardare in volto l’assassino di mio fratello!

Urlai.

Liger non si scompose, poi continuò a salire gli scalini, arrivando in cima alla scalinata.

- Liger! Bastardo!

Continuai a urlare, inseguendolo.

- Sei un mostro! Un maledetto mostro che non merita di vivere! Sei il diavolo!

Lo tirai per il braccio, facendo forza affinché si voltasse.

- Liger!

Lui si limitò a scrollare la presa, afferrandomi per il polso e sollevandomi. Ansimai, quando mi ritrovai totalmente in sua balia.

- Parli con tanta facilità ignorando che in questo stesso istante potrei ucciderti senza che tu te ne renda conto.

Strinse la presa, mentre cercavo di divincolarmi. Sentivo il dolore diffondersi attraverso i nervi, e non riuscivo a fargli mollare la presa. Oltretutto, da quella posizione non potevo fare nulla, nemmeno provare a sferrargli un calcio. Mugolai, quando Liger usò la mano libera per prendere l’ametista.

- Non toccarla!

Esclamai, spaventata. Non volevo che la toccasse, né che la sporcasse con le sue maledettissime mani intrise del sangue innocente di Evan. Cercai di bloccarlo, schiaffeggiando la sua mano e strinsi forte la mia gemma.

- Prima o poi, ragazzina… quella pietra sarà mia, sappilo.

Sconvolta da quelle parole, fui scaraventata per terra senza alcuna grazia. Liger si risistemò i guanti.

- Alzati.

Riluttante, mi alzai, tenendo lo sguardo fisso su di lui. Con pochi passi, raggiunse una porta e vi si fermò davanti, poi la aprì. Rimasi stupita nel vedere tanta luce all’interno, e anche se titubante, lo raggiunsi. Liger fu il primo a entrare, poi lo seguii. Era un elegante salotto illuminato, con divani e poltrone di stoffa fine che batteva sui toni del panna e del nero. Le finestre erano numerose, a giudicare dalle tende che le coprivano, scendendo in volute morbide color panna assieme a delle mantovane più scure. C’erano vasi di piante agli angoli della stanza, e perfino alcuni tavolini con scacchiere e vassoi di the alle rose e pasticcini. Ma ciò che mi colpì maggiormente, al di là dell’arredamento, fu che la mamma era seduta su uno dei divani. Appena mi vide, si alzò, in pena.

- Aurore!

- Mamma!

Esclamai, correndo ad abbracciarla. Mi sentii così al sicuro quando le sue braccia mi strinsero che per qualche istante dimenticai persino che Liger era lì. La mamma mi guardò, con i suoi begli occhi azzurri dall’espressione preoccupata. Quanto avrei voluto dirle subito che avevo incontrato papà. Le sorrisi, sperando che facesse altrimenti. Invece, dopo avermi baciato in fronte, guardò Liger, che era fermo a diversi passi da noi. Chissà se sapeva che era stato lui a uccidere Evan. Poi, dopo poco, sentii le braccia della mamma farsi più strette attorno a me. Cercai la spiegazione sul suo viso, improvvisamente in allerta, e mi voltai di nuovo, comprendendola. Sulla soglia del salotto, finalmente in carne e ossa e non semplicemente un’illusione, la Croix du Lac stava sorridendo.

- Milady.

Disse Liger, inchinandosi.

Lei non gli rivolse nemmeno uno sguardo, ma ci raggiunse, fermandosi a pochi passi da noi. Vista in quel modo, così reale, era tutt’altra storia. Certo, era davvero incantevole, così simile alla mamma e anche a me, in qualche modo, con gli occhi appena più scuri dei miei e quella corporatura snella e agile, nonostante fosse poco più alta e più grande di me. Portava i lunghi capelli biondi sciolti, fatta eccezione per i boccoli che le scendevano fino al seno. Arabella. Quella ragazza era Arabella, mia sorella maggiore. Ma l’anima che abitava quel corpo era quella della Croix du Lac e a testimonianza di ciò, vi era il tatuaggio lungo il suo braccio sinistro.

- Una riunione di famiglia. Ho sempre desiderato qualcosa del genere. E’ un peccato che non siamo al completo, non credete? Madre, Aurore.

- Quando lascerete libera Arabella, soltanto allora sarà una riunione di famiglia.

Disse la mamma, sicura.

- E’ un piccolo dettaglio. Il corpo è il suo, e possiedo anche i suoi stessi ricordi. A dire il vero, Arabella è piuttosto testarda e non sono riuscita ad accedere a tutti. Ogni tanto mi esclude e tende a combattermi, il che è fastidioso, ma dopotutto, è il solo vessillo che non mi accetta passivamente. Dunque, perché annientare del tutto qualcuno che finalmente mi dà un po’ di soddisfazione? Non credi anche tu, Aurore? Dovrei chiamarti sorellina, forse… Liger, che ne pensi?

Domandò, voltandosi verso di lui. Il comandante, rialzatosi, si limitò solo a un cenno che non lasciò intendere alcun tipo di opinione.

- Sei sempre così loquace…

Borbottò la Croix du Lac, imbronciandosi. Quel broncio mi era così familiare… così identico al mio.

- Croix du Lac

Mormorai, e lei si voltò. Poi guardai anche la mamma, prendendo le sue mani nelle mie e sciogliendo il suo abbraccio protettivo.

- Tesoro…

Sussurrò la mamma. Le rivolsi un sorriso, poi guardai di nuovo colei che aveva preso il corpo di mia sorella.

- Per quale motivo mi hai lasciata libera di agire? L’hai fatto per così tanto tempo, senza mai intervenire.

Sembrò studiarmi per un momento. In quel modo di osservarmi, rividi sia la mamma che Evan, in un certo senso. Tese la mano fino ad accarezzarmi la guancia. Sia la mamma che Liger persino, ebbero per un attimo un’esitazione. Evidentemente anche il comandante aveva qualcosa da temere. Io, invece, rimasi ferma. Non era la prima volta che mi toccava, ma dovevo ammettere che la sensazione, in qualche modo era diversa. Come se ci fosse più sostanza, al di là del freddo della sua mano.

- La verità è che volevo vedere fino a che punto saresti arrivata. Tu che sei in possesso della mia lacrima sottratta quasi diciassette anni fa. Aurore, sai perché ho convocato tutti i possessori delle gemme e i candidati qui?

Aggrottai le sopracciglia, pensandoci. Aveva definito la mia ametista la mia lacrima. E quando si era mostrata al popolo, aveva detto che avrebbe deliberato in seguito riguardo alla carica di Despota.

- Hai deciso chi sarà il prossimo Despota?

Affilò lo sguardo.

- No. Non ancora, a dire il vero.

E poi mi ricordai che Andres Oliphant ci aveva detto che la Croix du Lac aveva intenzione di chiedere ai ragazzi qualcosa. Evitai di farglielo notare, dal momento che avrebbe provato un ulteriore coinvolgimento con i membri del Consiglio che ci erano d’appoggio.

- Secondo te chi potrebbe essere un candidato ideale?

Mi domandò, a sorpresa. La mamma ebbe un moto di stizza che lei si limitò a osservare per un istante, prima di guardarmi nuovamente.

- Hai deciso personalmente la scelta di centinaia di Despoti e hai bisogno del mio parere questa volta? E comunque, non credo che questo mondo abbia più bisogno di un Despota. Ha già visto troppo sangue… primo tra tutti il tuo, Croix du Lac!

Vidi il suo bel viso incupirsi, sinceramente colpito. Ma poi, riacquistò immediatamente contegno e freddezza, lasciando scivolare le dita lungo il mio collo, fino a sfiorare l’ametista, che reagì, al solo contatto.

- Che succede?

Domandai.

- E’ la risonanza.

Spiegò la mamma.

- Le gemme reagiscono con il diamante della Croix du Lac.

Guardai il dorso della sua mano, con al centro il diamante che pareva incastonato e che risplendeva.

- Cosa sei, Croix du Lac?

Le domandai. Mi osservò per diversi secondi, senza che riuscissi a decifrare la sua espressione. Alla fine, mi sorrise, compiaciuta.

- Sono la dea di questo mondo. Colei che decide il destino di ogni singola creatura in questa dimensione.

- Non è vero!

Inarcò il sopracciglio, allo stesso modo in cui lo faceva la mamma, sorpresa come mai, in quel momento. Pochi passi più in là, Liger continuava a osservarci impassibile.

- Osi contraddirmi?

- Giuro che scoprirò la verità, Croix du Lac! E quando accadrà, tu lascerai Arabella libera!

La mamma sbuffò. Chissà quante volte l’aveva detto anche lei, senza ottenere nulla.

- Mi stai proponendo un patto, Aurore?

Chiese, incuriosita. Deglutii.

- No. Non è un patto. Io voglio riavere la mia famiglia… non posso più riavere il mio amato Evan…

Guardai Liger, il bastardo che me l’aveva portato via.

- Ma almeno voglio riavere mia sorella. E se questo dovesse significare scoprire chi o cosa sei davvero, allora sono pronta ad andare fino in fondo!

La Croix du Lac sembrò valutare le mie parole, poi guardò la mamma.

- Sai, Cerulea… forse dovrei prendere in considerazione l’idea di cambiare vessillo.

La mamma sgranò gli occhi.

- No! Non lo permetterò! Non mi porterete via anche Aurore!

- Mamma…

La abbracciai forte, mentre la Croix du Lac si mise a ridere. Liger ci raggiunse, rivolgendosi alla sua signora.

- Milady. Perdonatemi, ma credo sia il caso di andare.

Lei sollevò il viso, inclinandolo verso di lui, poi con le dita gli sfiorò la maschera nera. Liger non dette alcun cenno di reazione.

- Non mi piace che mi si dica cosa fare.

- Mi vedo costretto a insistere, Milady.

Affilò lo sguardo, che diventò improvvisamente truce, schiaffeggiandolo. Lo schiocco secco mi fece rabbrividire ma al tempo stesso, dovevo ammetterlo, mi fece piacere. Liger non si mosse, stoico fino all’ultimo. Poi la Croix du Lac tornò a guardarci.

- Sembra proprio che non possa trattenermi oltre. Aurore, Cerulea, vi aspetto nella sala dell’incoronazione. A più tardi.

Dopo di che, se ne andò, seguita da Liger, lasciandomi sola con la mamma. Quando la porta alle nostre spalle si richiuse, potei respirare a fondo, lasciando uscire tutta le tensione che avevo accumulato. Strinsi forte la mamma, che ricambiò il mio abbraccio, poi mi accarezzò le guance, guardandomi con gli occhi umidi.

- Mamma… mi dispiace così tanto…

- Oh, Aurore… è a me che dispiace… tutto quello che è successo… non doveva andare così… per tutti questi anni, ho cercato di proteggerti da tutto questo… e alla fine non ci sono riuscita…

Mi scostò i capelli dal collo, notando il taglio sul mio collo.

- E questo?

Domandò ansiosa.

- Non è niente… non preoccuparti, mamma… non mi fa nemmeno male…

La tranquillizzai. Ma la conoscevo bene. Sin da quand’ero piccola, era sempre stata molto attenta. Era il tipo che sdrammatizzava per non farmi spaventare quando mi facevo male, ma era diverso allora. Ero una bambina in un mondo del tutto normale. Ora ero una ragazza in un mondo che minacciava la mia vita in ogni singolo istante. Carezzò con le dita la crosta che si era formata, poi mi mise le mani sulle spalle.

- Aurore, ascoltami bene. Non puoi stare qui… è troppo pericoloso. Devi prendere Violet con te e dovete andarvene. Purtroppo, non potendo contare nemmeno sul figlio di Lionhart i rischi sono aumentati… cercherò un modo per farvi scappare entrambe e non appena possibile, cercherò di mettere in salvo anche Jamie. Ma tu devi tornare a casa, tesoro, e cercare Victor Kensington. Lui ti aiuterà sicuramente.

Victor Kensington. Di nuovo quel nome. E quelle parole, poi… non avevo mai visto la mamma così disperata. Ma non potevo lasciare tutto così e andarmene semplicemente. Sapevo di essere solo una ragazza e di non avere granché di talento, ma non potevo, no, non volevo abbandonare coloro che mi avevano aiutata dal primo istante e che mi avevano trattata come una di loro, anche dopo aver scoperto chi ero. E non volevo abbandonare la mia famiglia. Avevo perso troppo per pensare anche soltanto a questa possibilità.

- No, mamma. Non lo farò. Noi torneremo tutti insieme a casa. Con Damien, con Jamie… e con…

- Aurore, non è un invito! Oh cielo, non ho mai usato in questo modo l’autorità genitoriale, ma stavolta… sono tua madre, Aurore e mi obbedirai. Farai come ti dico, è chiaro?

Quelle parole mi sbalordirono. In tanti anni, Celia Kensington non aveva mai avuto bisogno di ricorrere a frasi di quel tipo per farci fare quello che voleva. Era la prima volta che la sentivo parlare in quel modo e dovevo ammettere che faceva un certo effetto. Ma nonostante la sua determinazione dettata dalla necessità di proteggermi, non potevo proprio obbedirle.

- Prometto che mi potrai mettere in punizione per quanto vorrai, mamma, ma ora non posso proprio accettare il tuo ordine…

La strinsi forte, inspirando tutto il suo profumo. Volevo essere forte, ma ogni volta finivo col cercare il contatto.

- Aurore… perché devi essere così ribelle?

Domandò, poggiando la guancia sulla mia testa.

- Perché ho preso da te, mamma…

Mormorai. La sentii sorridere.

- Se tuo padre ti avesse visto gli avresti dato filo da torcere… ma sarebbe stato fiero di te.

- Ah…

La guardai, sorridendole. E quando feci per dirle che papà era ancora vivo e che finalmente l’avevo incontrato, fui interrotta da Alizea, che si affacciò senza nemmeno bussare.

- Alizea!

Esclamò la mamma.

- Accidenti, proprio ora…

Borbottai. Mi venne in mente Damien, che aveva detto qualcosa di simile quando Violet ci aveva interrotti e arrossii. Chissà dov’erano stati condotti… magari Damien era con Jamie… e Violet con Rose e gli altri… Alizea intanto ci raggiunse.

- Oh, la piccola Lady! Come state, piccina?

Mi chiese, apprensiva come solo una balia poteva essere. La mamma mi cinse la spalla col braccio.

- Sto bene, Alizea, grazie… a quanto pare la nostra copertura è saltata… sono preoccupata per i miei amici, però…

Lei annuì gravemente, poi mi squadrò per bene.

- Dovreste mangiare… e cambiare questi abiti, sì…

- Non ho tempo ora! Lo farò dopo…

- Ti vedo un po’ sciupata, tesoro, in effetti…

Disse la mamma, guardandomi.

- Non ti ci mettere anche tu, mamma…

Lei mi rivolse uno sguardo severo, poi assentì.

- Alizea. Procura degli abiti puliti e prepara qualcosa per lei e per i ragazzi… dopo che la Croix du Lac ci avrà detto quali sono le sue intenzioni, provvederò a loro.

Alizea annuì.

- Va bene, va bene. Quanto a voi, Celia… ho incrociato Warrenheim mentre venivo. Penso che più tardi si rifarà vivo, dato che al momento era piuttosto impegnato.

Evidentemente, aveva il suo da fare con Damien… immaginai che razza di discussioni sarebbero sorte tra loro due. Ma Damien non si sarebbe fatto mettere i piedi in testa da suo padre, ne ero certa. Guardai la mamma, che si imbronciò.

- Quello stalker.

- Eh?

Le fece eco Alizea. Mi venne da ridere, al pensiero che la mamma aveva ormai adottato dei modi di dire tipici del nostro mondo. Ma ciononostante, il fatto che fosse quella la sua realtà non cambiava.

- E’ assillante. Continua imperterrito a venirmi a trovare, cercando di convincermi a sposarlo. Tsk, come se potessi mai farlo. L’ho sempre detestato, mi dà l’orticaria anche soltanto guardarlo.

Stavolta ridacchiai.

- Lo conosci da tanto, mamma?

Lei sospirò.

- Era il cavaliere di Ademar nonché compagno di squadra di Greal, ma non sono mai andati particolarmente d’accordo. In realtà, a Greal non importava di lui, e penso che in qualche modo, questo gli desse particolarmente fastidio. Lionhart ha sempre adorato stare al centro dell’attenzione e non gradiva che Greal lo ignorasse.

- Com’è accaduto con Evan… Damien mi ha detto che il professor Warren lo cercava spesso a scuola, ma lui lo ignorava… e questo gli dava fastidio…

La mamma ci riflettè, poi annuì.

- Già… su per giù, siamo là…

- Secondo te cosa voleva da Evan?

Mi accarezzò la guancia, ma a dispetto del suo sguardo triste, il tono mi sembrò particolarmente distaccato.

- Non lo so, Aurore. Evan non me l’hai mai detto.

- Capisco…

- Ad ogni modo… penso che stavolta non si accontenterà di una scusa, Celia. Soprattutto ora che Aurore e i capifamiglia sono qui.

Intervenne Alizea.

- Lo so. E’ ora che Penelope smetta di scucire la tela. E che la usi per colpire quel Procio.

La guardai sbigottita. La mamma mi sorprendeva ogni giorno di più.

- Che c’è?

Mi domandò, mentre Alizea si grattava il mento, ignara del significato che si nascondeva dietro quella citazione omerica.

- Magari arriverà Ulisse col suo arco teso, no?

La mamma fece per replicare, ma poi desisté, rivolgendomi un sorriso triste.

- Sarebbe bello… ma non può accadere ormai… e comunque sappi che tua madre sa difendersi bene, signorina.

- Questo posso confermarlo. Dovreste vederla con in mano una spada. Quando aveva la vostra età è stata in grado di tener testa persino alle guardie imperiali.

Raccontò Alizea, con aria soddisfatta.

- Davvero, mamma?

- Già. E persino di contrastare Greal, anche se alla fine ha vinto lui… ma era un caso a parte.

Dal modo in cui l’aveva detto, immaginai come si fossero svolto quel combattimento. Ad ogni modo, mi faceva piacere sentire quei racconti. Per tanti anni non avevo mai saputo nulla di mio padre né del rapporto che c’era davvero tra lui e la mamma. E ora, in qualche modo, potevo immaginarlo. E riflettevo anche sul fatto che probabilmente non era stato del tutto rose e fiori. Considerando l’indole combattiva della mamma, associata alla sua grande testardaggine e la tendenza all’indifferenza da parte di mio padre, che a dirla tutta, mi sembrava fosse un solitario, doveva essere stata una bella sfida. E poi mi tornò in mente che la mamma in realtà, aveva sposato un altro uomo.

- Mamma… perché tu e papà non vi siete sposati?

Sussultò, colpita da quella mia improvvisa domanda. Alizea le rivolse un’occhiata compassionevole, poi la mamma mi prese le mani, stringendole nelle sue. Faceva così quando voleva farsi forza.

- Sono stata costretta a sposare Ademar… dopo la morte di mio padre. Tuo nonno era il Despota Tantris Rosenkrantz, tesoro…

Annuii.

- Lo so… ma per quale motivo papà non andava bene? In fondo era il fratello di Ademar ed era anche lui un Valdes, no?

La mamma si intristì, evidentemente ripensando a eventi del passato. Quante volte avevo visto quell’espressione sul suo viso? 

- S-Scusami mamma, non fa niente…

Mormorai colpevole, abbassando lo sguardo.

- No, Aurore, hai ragione. E avrei tanto voluto sposarlo. Ero così giovane allora… avevo solo diciassette anni quando mio padre morì. Sai, piccola mia… io non ho molti ricordi di mia madre. E’ morta quand’ero piccola, per malattia. E mio padre mi ha cresciuta tenendomi stretta a sé, per paura di perdermi. Sarà forse per questo che ho sviluppato un carattere così ribelle… ogni occasione era buona per allontanarmi dal palazzo. Alizea te lo può testimoniare, l’ho fatta disperare in ogni modo. Tuo padre è stato il mio primo e grande amore. E il mio più grande desiderio era trascorrere il resto della mia vita con lui. Ma alla morte di mio padre, la sua ultima volontà fu quella di vedermi sposata ad Ademar, che in tutto quel tempo, l’aveva circuito. Tuo nonno è stato un grande Despota, ma si era fidato delle persone sbagliate, nell’ultimo periodo della sua vita. E quando morì, non potei esimermi dal realizzare il suo ultimo desiderio.

Ascoltai quelle parole con attenzione, rendendomi conto di che vita triste avesse dovuto patire la mamma. Non parlava positivamente di quel matrimonio, che evidentemente, le aveva donato soltanto amarezza.

- Ademar era cattivo?

Domandai, guardandola.

La linea delle sue labbra rosate si allargò per un istante.

- No. Non lo definirei cattivo. Più che altro, era ossessionato dal potere. Per lui, io rappresentavo il mezzo ideale per ottenerlo. Ademar aveva giocato bene le sue carte, costruendo alleanze, prima tra tutte quella con Lionhart e con la famiglia Devereaux, che è sempre stata particolarmente fedele ad Adamantio. E ha fatto in modo di estromettere Greal dai giochi, costringendolo ad azioni che mai avrebbe compiuto, diversamente. Soprattutto dopo aver scoperto della mia gravidanza.

- Intendi per Arabella ed Evan?

Fece per dire qualcosa, ma si fermò. La vidi parecchio combattuta, e spesso cercò l’aiuto di Alizea, poi si morse le labbra, un gesto che facevo spesso anch’io quando ero disperata. Cosa c’era che non andava?

- Mamma?

Domandai.

I suoi occhi si riempirono di lacrime che cercò di soffocare, riprendendo fiato.

- Celia…

Alizea le accarezzò teneramente i capelli. La mamma sembrò farsi forza, poi tornò a guardarmi.

-  Quando mi hai chiesto di Arabella… ti ho detto che lei era la mia prima bambina, ricordi?

Annuii, ma mi sentivo inquieta.

- Ma non ho mai partorito due gemelli.

- Q-Quindi Evan è più piccolo? Quanti anni ha Arabella?

- Ne ha diciannove. In questo mondo, le donne si sposano molto giovani e hanno figli presto. Ma quando sposai Ademar, ero già incinta.

- Diciannove… ed Evan ne ha diciotto, dunque... aspetta, non sarà mica che hai avuto Evan di lì a poco? E’ per caso figlio di Ademar?

Riflettei su quella nuova, inquietante possibilità, ma la mamma negò.

- Amore mio, ascolta. Il sangue è importante. Ma non è tutto. Ed Evan è e sarà sempre mio figlio, così come tuo fratello.

Ebbe ancora qualche esitazione e dalle sue pause compresi che c’era qualcosa di troppo shockante dietro. E dopo tutte quelle rivelazioni, non ero certa di essere pronta ad ascoltarlo.

- B-Basta, mamma… non ce la faccio… non ora, per favore…

Dissi, accorgendomi che stavo sudando freddo. La mamma mi guardò preoccupata, poi annuì. In qualche modo, pensai che anche lei stava provando sollievo. D’altro canto, però, sapevo che il pensiero di cosa si celava dietro la nascita di Evan mi avrebbe torturata fino a che non avessi trovato la soluzione.

D’improvviso, fummo richiamate dai tocchi alla porta. Alizea andò ad aprire. Si trattava di due guardie imperiali che avevano l’ordine di scortarci della sala dell’incoronazione. La mamma mi accarezzò i capelli.

- Sei pronta, Aurore?

Deglutii, poi le rivolsi uno sguardo.

- No… no, ma almeno sapremo cos’ha in mente.

Dissi. 

 

 

  
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