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Autore: Beatrix Bonnie    05/01/2014    3 recensioni
-Seguito de L'orologio d'oro-
I tempi spensierati sono finiti: con il ritorno di Colui-che-non-deve-essere-nominato, Mairead, Edmund e Laughlin, insieme ai loro amici del FIE, dovranno affrontare il crescente clima di razzismo dell'Irlanda magica, tra ansie per gli esami finali, nuovi caos a scuola e un Presidente della Magia che conquista sempre più potere. Per Edmund non sarà un'impresa facile, soprattutto visto che il ragazzo sarà anche impegnato nella ricerca di un leggendario manufatto magico di grande potenza, che potrà salvarlo dalla maledizione impostagli da Sigmund McFarren. Ma dove lo porterà la sua ricerca? E questo oggetto esiste davvero o sono solo farneticazioni di un vecchio?
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Trinity College per Giovani Maghi e Streghe'
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CAPITOLO 2
Festa da sballo






Edmund si sistemò il mantello azzurro sulle spalle. Niente specchi in cui rimirare come gli stava il vestito che la signora Maleficium aveva confezionato per il suo diciassettesimo compleanno: non si trovava nella raffinata camera che McPride aveva preparato per lui. Il grigio stanzone dell'orfanotrofio aveva a malapena il mobilio sufficiente per ospitare i ragazzi.
Proprio in quel momento due bimbetti si gettarono dentro la camerata con una risata fragorosa, rimasuglio di qualche gioco serale. Si bloccarono all'improvviso quando notarono Edmund fermo davanti al suo letto, lasciando che il riso rimbombasse nella stanza, per poi svanire come un'eco lontana. Sussurrarono qualcosa e poi scapparono fuori.
Edmund si lasciò sfuggire un sorriso rassegnato. Erano finiti i tempi in cui veniva tiranneggiato da gente come Shannon e i suoi gregari per il fatto di essere quello strambo. Strambo lo era ancora, ma ormai era l'ospite più grande dell'orfanotrofio e, a dirla tutta, non erano in pochi ad aver paura di lui. Solitario e taciturno, era avvolto da un'aurea di mistero: tutti sapevano che frequentava un college prestigioso lontano da Dublino, ma nessuno ne aveva davvero la prova. E poi c'era la leggenda sul suo padre adottivo: i ragazzi che stavano lì da più tempo raccontavano ai nuovi arrivati che quel Burke s'era fatto adottare da un uomo ricco e poi l'aveva ucciso per poter ereditare tutto il suo patrimonio una volta diventato maggiorenne.
Una bella storia, niente da dire.
In fin dei conti, a Edmund non dispiaceva la fama che si era creata intorno a lui: era un modo come un altro per starsene in pace. Dopotutto, era abituato a trattamenti ben peggiori al Trinity. E quella leggenda che veniva sussurrata nei corridoi al suo passaggio, non era poi così lontana dalla verità: McPride, l'uomo che l'aveva adottato, non era certo un poveraccio e, stando al certificato di morte che ora si trovava nella cartella dei documenti importanti nell'ufficio della direttrice, era anche morto. In realtà, il documento non era altro che un paiper ban, un foglio bianco su cui i Babbani ci vedevano scritto quello che volevi far loro credere. Fingere che il padre adottivo fosse morto era l'unico modo per tornare in orfanotrofio, dal momento che per il mondo Babbano Edmund era ancora minorenne. O almeno lo sarebbe stato fino al prossimo gennaio, quando avrebbe compiuto diciotto anni. Per allora ci avrebbe pensato. Chissà, magari alla Kaiserlichen Akademie der Zauberei avevano delle borse di studio per studenti meritevoli.
In realtà, c'era ben poco da pensare al futuro, nella situazione in cui si trovavano. Voldemort e i suoi Mangiamorte che spargevano terrore, il Governo di McPride che ne approfittava per far approvare leggi razziste, gente che dava di matto per il panico. Il Corriere dell'altro giorno aveva riportato la storia di una vecchia strega che aveva dato fuoco allo spaventapasseri del vicino perché era convinta si trattasse di un Infero. Ma non tutte le notizie di cronaca erano così buffe: sparizioni, strani incidenti capitati a Nati Inglesi, baruffe nei pub tra sostenitori di una o dell'altra fazione. L'Irlanda intera stava cedendo al panico.
Basta, non voleva pensarci. Non quella sera.
Laughlin aveva organizzato la festa per il suo diciassettesimo. Una roba ganza, in un posto da sballo e niente genitori scocciatori, questa era stata la sua definizione. In realtà Edmund dubitava fortemente che il signor Maleficium permettesse al figlio di organizzare una qualsiasi cosa che prevedesse sballo e assenza di controllo genitoriale. Sorrise. Laughlin ingigantiva sempre le cose.
Controllando l'orologio d'oro che portava nel taschino (per quanto odiasse il suo padrino, quell'orologio era un gran bel esemplare e sarebbe stato stupido non usarlo per ripicca), si accorse di essere leggermente in ritardo, per cui si mise in tasca il regalo per il suo amico e si avviò verso l'uscita dell'orfanotrofio.
La direttrice, quando lo vide passare in cortile, nemmeno provò a fermarlo: a nessun ospite minorenne era concesso di allontanarsi da solo, tanto meno la sera, ma Edmund aveva da sempre goduto di privilegi speciali. Quando era un bimbetto e ancora non sapeva di essere un mago, le inservienti gli avevano fatto la tessera per la biblioteca comunale di Dublino e lui aveva il permesso di andarci quando voleva, anche da solo; era un modo come un altro per tenere alla larga quel ragazzetto inquietante. Ora, al suo passato non proprio brillante, s'era aggiunta la storia sul padre adottivo morto in circostanze misteriose. Chi mai avrebbe dovuto impedirgli di lasciare l'orfanotrofio come e quando voleva?
Io non sono il cattivo della storia, si disse Edmund, anche se la cosa gli faceva in un certo senso piacere. Con un sogghigno, si infilò le mani in tasca e si incamminò verso il metrombino di Dublino perché non amava materializzarsi quando poteva usare altri mezzi più comodi. Fece solo qualche passo immerso nel propri pensieri, quando notò una figura avvolta in un mantello e con un cappuccio calato sugli occhi che pareva puntarlo. La mano corse istintivamente alla bacchetta, ma non sembrava che l'osservatore avesse intenti minacciosi. Anzi, a giudicare dalla forma, doveva essere una donna.
Dopo qualche secondo passato a scrutarsi a vicenda, l'altra si portò le mani alla testa e abbassò il cappuccio. Morbide ciocche scure fluirono sul mantello, incorniciando un viso angelico e due occhi di zaffiro.
«Melita» sussurrò Edmund, incredulo.
Il sorriso della ragazza illuminò ancora di più i suoi tratti.
Edmund fu sul punto di stringerla in un abbraccio, ma pensò che non fosse il caso. Dopotutto, si erano salutati da amici, ma la prima accoglienza di Melita non era stata delle migliori «Come stai?» si limitò a chiedere.
«Ho riflettuto un po' in questi tempi.» La ragazza si strinse nelle spalle. «Non ho radici, non ho famiglia, non ho amici... mi sono detta che potevo anche venire a vivere in Irlanda.»
Edmund si illuminò. «Mi sembra un'ottima idea.» Non aveva mai immaginato di poter avere qualcuno accanto a sé che potesse definire la sua famiglia.
Melita distolse gli occhi da lui e li puntò verso la gente che passava per strada. «Sono tornata a Petra, per dare sepoltura a mio padre» annunciò in tono piatto.
«Ma, Melita, era pericoloso!» proruppe Edmund, scioccato.
L'altra non si fece smuovere. «Era mio padre, non potevo lasciarlo lì. E comunque non c'era nessuno di guardia.»
Edmund scosse la testa. «Ci saranno stati incantesimi...»
«...sensori segreti» completò Melita, per nulla scandalizzata. «Li ho disattivati. Una vita da fuggiasca, ho imparato qualche trucco» rivelò con noncuranza, nel tentativo di sdrammatizzare. «In realtà sono venuta per portarti questi» continuò dopo un attimo di pausa, mettendo in mano a Edmund un pacco di pergamene stropicciate e malconce.
«Cosa sono?» chiese il ragazzo, cercando di decifrare la grafia scomposta.
«Gli appunti di mio padre sulle sue ultime ricerche» rispose Melita. «Ha più senso che li abbia tu. In fin dei conti, sei riuscito a decifrare il codice degli Interventisti.»
«Grazie.» Edmund si concesse un mezzo sorriso nel ricordare come avesse faticato per decifrare il codice che regolava il meccanismo dell'orologio d'oro. Di colpo fu preso da un'illuminazione: si frugò in tasca e ne estrasse un cipollotto vecchio e graffiato. «Forse è meglio che questo lo tenga tu: è l'orologio dell'ultimo Gran Maestro» spiegò, lasciando scivolare il cimelio nelle mani di Melita.
La ragazza annuì commossa. «Grazie» sussurrò. Ma subito tornò seria e fissò l'altro negli occhi. «Edmund, i suoi Mangiamorte ti hanno visto. Non gli ci vorrà molto per capire che un...» si interruppe, rendendosi conto di non poter continuare.
«...un esperimento è sopravvissuto» concluse per lei Edmund, improvvisamente serio anche lui. «Lo so.»
«Lui verrà a cercarti» decretò Melita senza mezzi termini. «Hai mantenuto un profilo basso?»
Edmund pensò alla sua vita nel mondo dei maghi: a tredici anni aveva ricevuto un Encomio della Repubblica, a quindici era diventato il più giovane campione del Trinity e poi aveva vinto il Torneo Trecolonie. Infine era stato adottato dal Presidente McPride e ora era un attivista del FIE contro il Governo. Annuì. «Sì, un profilo basso.»
Melita sorrise. «Ottimo. Questo servirà a tenerti per un po' lontano dai guai. Quando avrai finito la scuola, penseremo al modo per nasconderci.»
Edmund si rigirò in mano gli appunti di McFarren, a disagio come un bimbetto scoperto a rubare la marmellata. «E tu intanto come farai?» domandò, nel tentativo di sviare l'attenzione da sé.
Melita si strinse nelle spalle, senza troppa preoccupazione. «Me la caverò. Ho una certa esperienza nell'essere sfuggente.» Si concesse un sorrisetto. «Le case di Babbani in vacanza sono le mie preferite: lasciano sempre una marea di cibo in dispensa.»
«Ci rivedremo?» si lasciò sfuggire Edmund, con una certa apprensione.
La ragazza fece passare due dita sulla guancia dell'altro, come una delicata carezza. «Non ti preoccupare, troveremo il modo di rimanere in contatto.»
Edmund posò lo sguardo sull'orologio di McFarren, che Melita teneva ancora in mano. Sorrise. «Quella potrebbe essere un'idea.»
Anche Melita abbassò gli occhi e annuì. «Una bella idea» ammise compiaciuta. «Per il momento, ti troverò io.»
«A presto.» Edmund si lasciò guidare dall'istinto e strinse la sorella in un abbraccio.
Melita, soffocata nel mantello di lui, non riuscì a impedire che una lacrima, insieme di commozione e di libertà, le inumidisse la guancia. Quando si sciolse dall'abbraccio, tuttavia, era sfacciata come al solito. «Ehi, non vado via mica per dei mesi!» scherzò. «Ci vediamo presto.»
Edmund annuì. «Certo.» Osservò Melita calarsi il cappuccio sugli occhi e infilarsi in un vicolo per smaterializzarsi. Infine, nascondo gli appunti nella tasca allargata con la magia, si incamminò verso il metrombino.

Il pub era affollato e caldo. Ovviamente Laughlin aveva scelto quello più rinomato per la sua festa dei diciassette anni, per cui il baccano che accolse Edmund all'ingresso fu come un'intera banda stonata. Difronte all'ingresso correva un lungo bancone di legno, dietro il quale erano esposte più bottiglie di liquore di quante Edmund potesse contarne.
«Fatti una Burroguinnes con noi, giovanotto!» lo accolse un mago panciuto, alandosi dal tavolino più vicino all'ingresso.
Edmund alzò le mani con i palmi rivolti verso di lui, come se quel gesto bastasse a frenare l'entusiasmo dell'uomo. «No, grazie, io sono qui...» Ma non riuscì a finire la frase.
«Ecco il solito ritardatario! Proprio come una star!» esclamò quello che era l'inconfondibile timbro di Bearach, da qualche parte sopra la sua testa.
Edmund alzò gli occhi e notò solo allora che sopra l'ingresso, dalla parte opposta del bancone, c'era un soppalco in legno, dalla cui ringhiera sbordava tutto il busto di Bearach. Edmund alzò il dito verso l'amico. «Ecco, io sono qui per loro.» E si affrettò a svignarsela.
In cima alle scale si ritrovò Laughlin, radioso in un completo rosso fiammante. Prima ancora che potesse salutare o dire alcunché, Laughlin gli si accostò all'orecchio e sussurrò: «La cameriera è già mia, prima che tu ci faccia un pensierino.» Poi gli fece l'occhiolino.
Edmund si voltò solo in quel momento per lanciare un'occhiata alla ragazza dietro il bancone: in effetti era graziosa, con quella massa di ricci rossi e le lentiggini sul viso. Ma subito il suo sguardo fu rapito da Mairead, seduta al tavolo al fianco di Moira, carina nel suo abito verde semplice ma originale. Si strinse nelle spalle. «La cameriera è tutta tua.» Con un mezzo sorriso, infilò una mano in tasca ed estrasse il suo regalo per Laughlin. «Buon compleanno, Laugh!»
L'altro osservò con occhio critico la semplice busta bianca, ma quando tirò fuori due biglietti per l'opera rimase a bocca aperta.
«Questi... questi sono due posti per la prima alla Scala!» esclamò sconcertato. «Sono impossibili da trovare... come hai fatto ad averli?»
Edmund sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi. «I “Maghi Amici dell'Opera” di New York hanno deciso di prenotare trenta palchi per la prima di quest'anno. Mi è bastato un gufo con la carta intestata di McPride, con scritto che il presidente d'Irlanda ci teneva tanto ad avere un palco...»
«Sei uno schifoso approfittatore!» Laughlin gli diede uno spintone amichevole.
«Se vuoi possiamo andarci io e paparino» replicò Edmund, per nulla intimorito.
Laughlin si affrettò a mettere i biglietti al sicuro in tasca. «No, no, io e papà apprezzeremmo sicuramente di più.» Sfoderò il suo migliore sorriso strafottente e permise all'amico di raggiungere gli altri.
Il soppalco era stato riservato tutto per loro: attorno a due tavolini tondi erano radunati i dieci ragazzi del FIE, insieme ad un'altra ragazzina bionda che Edmund riconobbe come Eileen MacLuan, la cuginetta di Laughlin e Bearach. «Buonasera a tutti» salutò, prendendo posto al fianco di Dominique. Gli rispose un coro più o meno aggraziato di saluti generici.
«Siete mosci!» si lagnò Laughlin, sedendosi a cavalcioni di una sedia girata al contrario. «C'era più vita durante il corteo a Dubh Cliathan!»
«Per forza» intervenne Mairead. «Il discorso di Faonteroy ha riscaldato i nostri animi!»
«Con tutte quelle esclamazioni sulla cittadinanza» aggiunse Lily, che per l'occasione sfoggiava un trucco con tanto di paillettes sull'ombretto.
Dominique ridacchiò. «Stiamo tanto qui a parlare di cittadinanza, ma io sono cittadino inglese.» La rivelazione lasciò tutti a bocca aperta, tranne Edmund, che già lo sospettava.
«Cosa?» Laughlin sembrava il più scioccato di tutti.
Dominique scosse le spalle. «Sono dell'Ulster e per quanto sia cattolico, frequenti il Trinity e mi senta Irlandese, ho la cittadinanza inglese.»
Bearach scostò appena la sedia da Dominique. «Sono seduto a fianco di un inglese? Bleah!» scherzò, fingendo un'espressione di disgusto.
Ma Lily lo prese sul serio e gli tirò un colpo ben assestato alla nuca. «Che cretino!»
«E quindi saresti dovuto andare a studiare a Hogwarts?» chiese Moira che, a discapito di tutte le antipatie verso gli inglesi, era molto interessata alla scuola di magia rivale.
«Be', la lettera di Hogwarts mi è arrivata, ma i miei genitori hanno scritto al preside che sarei andato al Trinity» spiegò Dominique. «Dopotutto, ci sono andati anche loro».
«E tu, Henry, come mai non sei andato a Hogwarts, se i tuoi genitori sono entrambi inglesi?» chiese Lily, visto che ormai erano sull'argomento.
Henry non si aspettava di essere chiamato in causa. «Mah, in realtà mia mamma ha frequentato il Trinity» borbottò, come se dovesse giustificarsi.
«Davvero?» chiese Mairead, incuriosita dalla faccenda.
«Sì, perché i suoi genitori sono Babbani e si trasferirono in Irlanda quando lei era piccola; per cui, a dodici anni, le arrivò la lettera dal Trinity» spiegò Henry, leggermente a disagio perché non era abituato ad avere gli occhi di tutti puntati su di sé. «Fu durante le vacanze estive che tornò in Inghilterra e conobbe mio padre, che invece aveva frequentato Hogwarts. Poi sono venuti qui ad abitare e io allora ho cominciato il Tinity.»
«Sì, come i miei» aggiunse Mairead. «Anche mia mamma è andata a Hogwarts, mentre mio padre ha studiato qui.»
«Ah, sì? Tua mamma ha frequentato Hogwarts?» intervenne nuovamente Moira. Si diceva che il castello che ospitava la scuola fosse pieno di meraviglie: le sarebbe piaciuto poterlo vedere.
Mairead annuì. «Sì, era una Grifondoro. Poi quando ha sposato il babbo è venuta ad abitare qui, ma...» si interruppe: per quanti anni fossero ormai passati, il ricordo di sua madre uccisa dall'EIF faceva ancora troppo male.
«Ehi, c'è la musica! Perché non andiamo a ballare?» Laughlin fu abile nel cambiare discorso e togliere quel velo di tristezza dal volto dell'amica. Lei lo ringraziò con un cenno del capo.
«Vengo io, cugino!» trillò Eileen, alzandosi con grazia dal tavolo. Solo allora Edmund si concesse di darle un'occhiata: era cresciuta parecchio dall'ultima volta che l'aveva incontrata a Dubh Cliathan, alla scorsa Vigilia di Natale. Indossava un abitino da ballo irlandese, dai colori ghiacciati, e aveva stampato in faccia quel sorriso furbo che di solito caratterizzava i suoi cugini: pareva proprio un folletto dei boschi.
Lei e Laughlin scesero dal soppalco per recarsi a ballare in pista, dove già altre coppie avevano cominciato i passi di una danza irlandese. «Tua cugina è una MacLuan, vero?» domandò Faonteroy a Bearach, con finto disinteresse.
«Sì» rispose il ragazzino, scrutando l'altro con occhio preoccupato.
«È graziosa» commentò Faonteroy, senza staccare gli occhi di dosso a Eileen che volteggiava in pista.
Mairead scoppiò a ridere. «Vai ad invitarla a ballare, allora!»
Ci vollero le tre canzoni successive per convincere Faonteroy a scendere dal soppalco e invitare Eileen ad un ballo insieme. Ma dopo il primo ne seguirono molti altri e i due non si staccarono per il resto della serata: lei sembrava molto lusingata dal suo corteggiamento da nobiluomo e si divertiva a fare la preziosa e a punzecchiarlo in ogni modo proprio per le sue maniere da piccolo lord. Lui, dal canto suo, non demordette: aveva sopportato Mairead per due anni, ormai era un esperto in fatto di pazienza.
La serata proseguì serena, tra chiacchiere, balli e pinte di Burroguinness. A mezzanotte precisa, Laughlin annunciò che la sua festa era finita, offrì un giro da bere a tutto il pub (manie di protagonismo, pensò Edmund) e convinse gli amici a raggiungere Boyle dove, a casa di Mairead, li stavano aspettando i signori Maleficium e Reammon per riaccompagnarli a casa.
Nel trambusto degli auguri di compleanno cantati a squarciagola da tutto il pub che seguì, i ragazzi salutarono e uscirono, per dirigersi verso il metrombino che il avrebbe portati a Boyle.
«Dov'è finito Faonteroy?» domandò ad un certo punto Mairead, voltandosi alla ricerca del cugino.
Edmund ebbe una brutta sensazione, ma evitò di far preoccupare inutilmente l'amica. «Torno indietro a cercarlo» propose. «Andate pure avanti.»
Mairead acconsentì con un cenno del capo e lui allora si infilò le mani in tasca e tornò sui suoi passi, fino alla facciata del pub. Effettivamente Faonteroy era fermo là e, proprio come Edmund aveva temuto, qualcuno aveva pensato bene di trattenerlo. Qualcuno molto poco amichevole.
«Tu sei di quei ragazzi là» stava dicendo un tizio, con la parlata incerta di chi ha scolato troppo whisky incendiario irlandese. «Di quelli contro il governo.»
«Abbiamo visto la tua foto sul giornale» si intromise il secondo, anche questo decisamente ubriaco.
«Non ci piacciono i diss... i dissitre... i dissi...» farfugliò il terzo.
«Dissidenti» suggerì Faonteroy, con un certo disprezzo.
Edmund non era sicuro di poter definire l'atteggiamento di Faonteroy coraggioso: più che altro, sembrava sottovalutare la situazione, troppo concentrato com'era a dispregiare i suoi tre aggressori. Stupida nobiltà, si ritrovò a pensare, alzando gli occhi al cielo. Si avvicinò al terzetto di ubriachi, tenendo sempre le mani in tasca. «A me non piacciono gli idioti, quindi dovremmo essere pari» li richiamò, con voce annoiata.
Per quanto decisamente alticci, i tre riuscirono a riconoscere un insulto e si voltarono verso di lui. «Ce l'hai con noi?» chiese quello più grosso.
Edmund si strinse nelle spalle, con atteggiamento disinteressato.
«Io so chi sei!» esclamò d'un tratto quello a destra, magrino e nervoso. «Il figlio rinnegato del Presidente!»
Edmund scoppiò a ridere nel sentire quella definizione. «Figlio rinnegato? Questa è proprio bella» concesse, mentre la mano destra afferrava la bacchetta dentro la tasca.
«Non ci fai paura, finocchietto» ringhiò il tizio grosso, agitando in modo goffo la bacchetta davanti al suo naso.
«Potrei battervi ad occhi chiusi anche se foste tutti e tre sobri e nel pieno delle vostre forze» replicò tranquillo. «Figuriamoci in queste condizioni.»
Anche Faonteroy, ancora alle spalle dei suoi aggressori, estrasse la bacchetta e si preparò a combattere.
«Allora fatti sotto!» gridò quello magro, lanciando uno Schiantesimo così maldestro che a Edmund bastò scansarsi un poco di lato. «Bel tiro» lo sbeffeggiò con un sorriso da schiaffi che faceva invidia a quelli di Laughlin. «Non è di me che dovete preoccuparvi, comunque.»
«E di chi?» chiese il terzo. Nel tempo in cui i tizi si voltarono indietro, immaginando di trovare nient'altro che il biondino che avevano preso di mira, alle spalle di Edmund comparve l'intero FIE a bacchette spiegate.
«Di loro.» Il sogghigno di Edmund aumentò di qualche molare al vedere le facce esterrefatte dei tre ubriachi, quando tornarono a voltarsi verso di lui e videro otto persone puntare le bacchette contro di loro.
«Scusate» trillò Eileen, l'unica senza arma, uscendo dallo schieramento. Con il suo sorriso da folletto, superò i tizi e raggiunse Faonteroy. «Vieni?» lo invitò, allungando una mano verso di lui. Faonteroy la afferrò, titubante e riconoscente insieme, e si lasciò guidare dalla ragazzina verso gli altri del FIE.
Edmund riconobbe un certo stupore nel suo sguardo, ma anche gratitudine: erano venuti a salvarlo. Perché erano i suoi amici.








Buongiorno a tutti!
Eccomi qui con il nuovo capitolo. Lo so, è un capitolo di passaggio, ma avevo bisogno di introdurre la scena in cui Melita consegna gli appunti del padre a Edmund. Così ne ho approfittato per dire due cose sui personaggi "Nati Inglesi" (soprattutto dovevo giustificare il fatto che Henry, con entrambi i genitori inglesi, frequentasse il Trinity) e ovviamente per inserire la festa di Laughlin. Non me lo avrebbe mai perdonato se non l'avessi messa! ;)
Comunque, godetevi un po' di immagini:
QUI una foto di un pub irlandese, giusto per respirare un po' l'aria giusta;
QUI il vestito verde di Mairead che fa sciogliere Edmund;
QUI un articolo sulla prima alla scala del 1996 (anno della maggiore età dei nostri personaggi), con relativa notazione ai trenta palchi vuoti. Ma noi sappiamo che non erano vuoti, bensì occupati da maghi, tra cui anche Lauglhin e suo padre. ;)
QUI la foto di Eileen McLuan, già comparsa nella festa dei 15 anni di Laughlin e nel capitolo "La scoperta dei giochi" della scorsa storia; quest'anno arriverà al Trinity anche lei! E indovinate chi si prenderà una bella cotta... ;)
QUI l'immagine del capitolo, ovvero Eileen e Faonteroy che ballano.

Bene, carissimi, ci vediamo con il prossimo capitolo domenica 26 gennaio (in linea di massima credo che aggiornerò ogni tre settimane).
Alla prossima,
B.B.

   
 
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