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Autore: LaGraziaViolenta    18/01/2014    7 recensioni
Stufi dei soliti cliché di Harry Potter? Annoiati marci dalle fantastiche avventure sentimental-sessuali di tre generazioni di Serpeverde? Vi sentite smarriti e frustrati di fronte a dei Grifondoro codardi e dei Corvonero dal QI in singola cifra?
Serena Latini è quello che fa per voi. Le avventure di una sfigata Tassorosso alle prese con incantesimi, fanfiction, pony, cucina inglese e delle sue relazioni coi figli dei personaggi che tanto abbiamo apprezzato.
Zuccherosità, storielle amorose e di amicizia, figure da quattro soldi e battute demenziali attendono una povera Tassorosso made in Italy.
Genere: Comico, Demenziale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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Dove si snodano molto approssimative lotte per il potere e dove si conia un nuovo motto con una rima in romano.



Passare svariati minuti di fronte ad una serra chiusa a battere i denti dopo aver lottato contro una gallina lanciafiamme mi fece riflettere. Giunsi ad una brillante conclusione: ero ridicola. Nessuna alunna normale arrivava a lezione prima del professore.
Eccetto Jeanie, forse. Ed eccetto Rose Weasley. E magari anche Sheldon Cooper, ma su di lui non ne ero sicura.
Cribbio, che banda di secchione che eravamo.
Ripensai al bigliettino e ai mormorii che avevo sentito in giro. No, non mi conveniva arrivare per prima alle lezioni di Paciock, altrimenti avrei fatto la figura della leccaculo. D'ora in poi sarei arrivata appena prima dell'inizio delle lezioni, a costo di rischiare di arrivare in ritardo.
Quando finalmente Paciock arrivò io ero ancora l'unica scema lì ad aspettare. Il professore aprì la serra e finalmente potei entrare. Sperai che Albus arrivasse presto, almeno non sarei più stata sola. Mi sistemai accanto a un tavolo e mi dondolai sulle punte dei piedi. Il calore che entrava nelle ossa era qualcosa di divino. L’umidità e l'odore del terriccio un po’ meno.
La porta si aprì ed entrò una folata di gelo. Comparvero alcuni Serpeverde e riconobbi Scorpius e Rosemary.
I Serpeverde si sparpagliarono per la serra. Cercai Albus con lo sguardo ma non lo trovai. Strano che non fosse con loro. Ancora più strano che non fosse con Scorpius. Perché?
Mi diressi verso Scorpius e Rosemary. Il mio cuore accelerò. Mi costrinsi a sorridere. Arrivai al tavolo e posai la borsa per terra.
Mi sfilai i guanti. «Ciao.» Sentivo le guance bruciare. Sorrisi ancora. «Albus arriva tra poco, vero?»
Rosemary infilò le mani dentro la propria borsa e abbassò la testa. I capelli biondi le scesero sulle spalle coprendole il viso. Scorpius storse la bocca.
Non mi rispondevano? Mi accorsi che il sorriso mi era rimasto stampato in faccia. Lo feci sparire. Rosemary tirò fuori il libro di Erbologia e lo sbatté sul tavolo. Il cuore mi saltò in gola.
Scorpius sospirò. «Albus arriva tra un attimo.»
Un'altra ventata di aria fredda. Era il gelo di quella conversazione o avevano aperto la porta?
Mi voltai. Un gruppo di ragazzi era entrato nella serra. In mezzo a loro vidi Albus.
Albus incrociò il mio sguardo e corrugò la fronte. Scosse il capo e con la mano mi fece cenno di avvicinarmi.
Non veniva in ultima fila con noi? Guardai Scorpius. Teneva in mano un vaso di fiori e scrutava il tavolo. Non mi degnò di uno sguardo.
Mi morsi il labbro. Forse Albus aveva bisogno di qualcosa. Mi diressi verso di lui. Alzai la mano e sorrisi per salutarlo.
«Oggi stiamo davanti.»
Rimasi gelata, la mano sospesa a mezz'aria. Un'ondata di irritazione mi travolse. Lasciai scivolare la borsa giù dalla spalla e cadde a terra con un tonfo. «Ciao, eh. Anch'io sono contenta di vederti.»
Albus arrossì. In quel momento provai una strana soddisfazione mai provata prima che aveva a che fare con un certo senso di rivincita.
«Scusami. Giornataccia. Stiamo qui oggi, per favore. Preferisco.»
Mi voltai a guardare Rosemary e Scorpius. Ora parlavano tra loro. Rosemary sorrideva e gesticolava con una mano. Tornai a guardare Albus. «È successo qualcosa?»
Albus aprì la borsa e tirò fuori il libro. «No, perché?»
Guardai ancora Rosemary e Scorpius. «È che... Credevo andassimo dietro con Rosemary e Scorpius.»
«Questa lezione è importante.» Albus aprì il libro. «Ci conviene ascoltare bene, altrimenti al prossimo test...»
Mi morsi il labbro. Accarezzai la foglia di una pianta e questa ebbe un fremito. «Mi sembra strano» confessai.
«Cosa c'è di strano?»
Spostai il peso da un piede all'altro. Avevo la sensazione che Albus mi stesse nascondendo qualcosa. Ma se iniziava a nascondermi le cose dopo pochi giorni che stavamo insieme allora eravamo a posto. No, non era possibile. Albus non l'avrebbe mai fatto. Doveva essere una mia impressione.
«Non ti sei mai messo lontano da Scorpius e Rosemary. Sembra che...» Afferrai la manica del maglione e la strinsi. «... che abbiate, tipo, litigato...»
Gli occhi di Albus saettarono su di me e io sussultai.
«No, non abbiamo litigato.»
Lasciai la manica del maglione. L'ennesima ventata di aria gelata mi disse che erano entrati altri studenti. O magari era un'altra volta il gelo della conversazione? «Ok, allora.»
«No, non è vero. Abbiamo litigato.»
Mi appoggiai coi fianchi al tavolo e mi guardai le scarpe. «Ehm... Non voglio essere invadente, ma... Se posso chiedere, per quale motivo?»
Albus sollevò un sopracciglio. «Te la faccio io una domanda.»
Sbattei le palpebre. Appoggiai le mani sul tavolo. «Dimmi.»
«Secondo te qual è il ragazzo che non permette alla propria ragazza di fargli una domanda?»
Una vampata di calore mi assalì. Strinsi il tavolo e sotto le dita sentii i granelli di terra. Ora probabilmente ero rossa come un pomodoro.
«Io e Scorpius non abbiamo proprio litigato. Solo che ci sono cose in cui, come dire... La pensiamo diversamente.»
«Ah.» Lasciai il tavolo e incrociai le braccia. «E cioè?»
Albus passò un dito lungo il margine del libro. «Ecco, lui e Rosemary stanno insieme. Quando non hanno di meglio da fare.»
Mi domandai cosa potesse avere di meglio da fare Scorpius Malfoy. Mi morsi la lingua. «Ok.»
«Solo che Rosemary ogni tanto è un po'... Un po' pesante, ecco.» Albus arrossì e girò una pagina. «E quando l'ho fatto notare... A Rosemary, intendo, lei se l'è presa. Ma Scorpius invece che ammetterlo ha deciso di non prendere le parti né dell'uno né dell'altro, e questo mi ha fatto un tantino incazz... Ehm, incavolare.»
«Ho capito.» Povero Albus. Non doveva essere bello aver litigato col proprio migliore amico. Ora capivo perché erano arrivati a lezione separati.
Abbassai lo sguardo sul libro. La mano di Albus era ancora appoggiata sulle pagine. Mi sentii ribollire. Mi sentii forte come un leone. Mi sentii audace.
Chiusi la mano e tesi l'indice. Con la punta del dito sfiorai l'indice di Albus.
Quando alzai la testa gli occhi verdi di Albus mi fissavano sorpresi.
Avvampai e nascosi la mano dietro la schiena.
Il professor Paciock si schiarì la voce. «Allora, ci siamo tutti? Bene. La scorsa lezione mi è stata fatta una domanda interessante sui legni delle bacchette e quindi ho pensato di spiegarvi alcune cose al riguardo. Prendete nota, fuori penne e pergamene...»
Scrivere sui tavoli delle serre era una tortura e nonostante questo Paciock non ebbe pietà: passammo due ore intere ad appuntare le qualità dei legni delle bacchette. A fine lezione avevo un tremendo mal di schiena.
«Sai cosa dobbiamo fare?» chiese Albus mentre infilava le pergamene dentro la borsa.
Ci pensai. «Non ricordavo avessimo impegni.»
«Ma no!» Albus chiuse la borsa. «Intendo dire, sai cosa ci vorrebbe per concludere bene la giornata?»
«Ah.» Presi il calamaio e osservai l’interno della borsa. «La merenda?»
«Un bel volo in scopa!»
Il calamaio mi sgusciò dalle dita e cadde a terra con un fragore cristallino. L’inchiostro schizzò ovunque.
«Merda!»
Fissai la pozza d’inchiostro. Dalla chiazza partirono mille rivoli neri che si fecero strada sul pavimento. Le mie mani erano ancora sospese in aria. Ma la cosa infinitamente peggiore era che il francesismo non era stato detto dalla mia voce.
Un brivido mi percorse la schiena. Non volevo alzare gli occhi. Ma dovevo. Strinsi i pugni finché non sentii le unghie bruciare nei palmi.
Alzai la testa.
Rosemary era di fronte a me. In quel momento capii cosa significava l’espressione “occhiata assassina”.
«Le mie calze!» Rosemary storse la bocca disgustata. «Si può sapere cosa ti è saltato in mente?»
Mi tirai in piedi. Le gambe mi formicolavano. «Scusa, Rosemary.»
Rosemary scostò i capelli biondi e alzò una gamba per guardarla meglio. «Puoi anche fare attenzione a quello che fai, sai? Guarda che razza di macchie!»
Erano questi i momenti in cui il detersivo Omino Bianco avrebbe fatto la differenza: le avrei potuto lavare la bocca col sapone, così avrebbe cambiato tono. Ma sapevo che aveva ragione. Una fitta di dispiacere mi strinse lo stomaco. Poi mi venne un'idea. Presi la bacchetta. «Se vuoi posso provare a smacchiarle...»
«Scherzi!» Rosemary sollevò le mani e indietreggiò. «Hai già fatto abbastanza per oggi, grazie mille!»
«Stai esagerando, Ros» disse Albus. «Non tirare troppo la corda.»
Rosemary gli scoccò un'occhiataccia. Albus ricambiò. Rosemary sbuffò e guardò Scorpius.
Non so perché, ma avevo la vaga sensazione che la questione fosse sul punto di degenerare. «Albus, ha ragione lei» mormorai ad occhi bassi. I rivoli di inchiostro si erano fermati. «È colpa mia.»
«Avanti» disse Scorpius. Sfiorò il braccio di Rosemary.
Deglutii. «Se vuoi provo lo stesso a pulirle, Rosemary.» Strinsi la bacchetta. «Davvero. È il minimo.»
Rosemary arricciò il naso. «No» disse. «No, non è necessario. Va bene così.»
«Ok. Come vuoi.» Guardai il pavimento. Era meglio pulirlo subito prima che l'inchiostro si seccasse. Puntai la bacchetta sulla pozzanghera d'inchiostro. «Gratta e netta.»
La pozza nera sparì, ma sparì anche l'alone color fango che ricopriva il pavimento della serra. Le piastrelle sotto la ex pozza ora erano bianche e lucide.
Rosemary arrossì. Guardò male Albus, poi prese Scorpius sottobraccio e insieme uscirono dalla serra.
Albus raddrizzò la schiena e sulle labbra comparve un sorriso soddisfatto.
Rimasi allibita. Quella era un'espressione compiaciuta? Ma cosa c'era da compiacersi?
E poi, mai e poi mai avrei pensato di vedere Scorpius trattato come un soprammobile. Quando Rosemary non sentiva diceva che sarebbe stato con lei finché non si fosse stufato, ma poi alla prima occasione si sedeva con lei, lasciava che lei dicesse quel che le pareva e la seguiva quando se ne andava? Cos'era, un chihuahua?
Forse Jeanie aveva in mente un'immagine del genere quando diceva che gli uomini sono come i cani. Jeanie, hai sbagliato tutto. Non credo che Priscus si lascerà trattare così.
«Ragazzi, fuori.» La voce del professor Paciock accanto a me mi fece sussultare. «Devo chiudere la serra, su.»
Ritirai la bacchetta, infilai giacca e guanti e uscii dalla serra con Albus.
«Credo che tu adesso capisca perché Rosemary non ha tante amiche.»
Mi tirai la sciarpa gialla e nera su fino al naso. «Mi dispiace.»
Albus chiuse il cappotto e ci avviammo verso l’ingresso del castello. «A me per niente. E alla facciaccia sua, hai eseguito un gran bell’incantesimo di pulizia. Degno di mia nonna.»
Sorrisi. «Non sono sicura che sia un complimento.» Salii gli scalini gelati con un nodo in gola. Questi giochini di potere tra Serpeverde erano tremendamente ansiogeni.
Fu un sollievo rientrare nel castello dopo il freddo del cortile.
Le lezioni erano finite, dunque. Trattenni il respiro. «Senti, Albus...»
«Mh?»
Schiusi la bocca in cerca di aria. «E se...» Mi aggrappai alla tracolla della borsa. «E se anziché fare un giro in scopa studiassimo insieme?»
Non ricevetti risposta. Alzai gli occhi. Albus era rosso in faccia. Sbatté la punta della scarpa contro lo scalino per scrollarle di dosso la neve. «Be'... Per me è ok.»
In quel momento mi venne talmente caldo che temetti di iniziare a sudare come se fossi febbricitante. «A-allora vado a posare le cose. Ci vediamo in biblioteca.»
Corsi via prima che Albus avesse modo di replicare. Non volevo sentire neanche un'altra parola. Scesi le scale del sotterraneo di corsa, la borsa che sbatteva contro il fianco. Quando entrai nella Sala Comune di Tassorosso schizzai in dormitorio e lanciai la borsa sopra una poltrona. Mi chinai, sollevai le coperte e ficcai la testa sotto il letto. Afferrai la scatola di cartone e la tirai fuori. Infilai le mani tra Kinder Bueno, Kinder Brioss e pacchetti di patatine.
C'era una sola cosa che mancava davvero a Hogwarts. Spostai una confezione di torcetti e la trovai.
Il pacchetto dei Boero. L'unico modo sicuro di mia conoscenza di contrabbandare alcool ad Hogwarts. Alla faccia del contrabbando illegale per i festini di Serpeverde.
Presi la confezione e afferrai i lembi per aprirla.
Ma perché, poi? Per prenderne solo una manciata e fare la tirchia con Albus? Non era il caso. E non rischiavo neanche una cicca, non potevano accusarmi di detenere illegalmente alcool visto che ufficialmente erano cioccolatini.
Recuperai la borsa dalla poltrona, ci ficcai dentro il pacchetto dei Boero e uscii da Tassorosso come un razzo.
Dopo la prima rampa di scale del Salone d'Ingresso avevo già il fiatone. Mi tornò in mente Chelsea nel campo da Quidditch mentre correva dietro a Candice. Ero anch'io così poco allenata? Finora mi era andata bene, ma se avessi iniziato ad ingrassare a dismisura per tutti i dolci che mangiavo? Svoltai l'angolo. Una ragazza era accucciata per terra e raccoglieva dei libri sparpagliati ai piedi delle scale. I polmoni e la gola mi bruciavano. Decisamente ero poco allenata. Rallentai il passo e presi un'ampia boccata d'aria.
Raggiunsi la rampa di scale e scansai un libro per terra. La ragazza non alzò gli occhi. Salii un paio scalini. Poi mi fermai.
Mi voltai. La ragazza prese il libro che avevo scansato, lo chiuse e lo rimise in borsa. Potevo esserci io al posto suo, e invece era toccato a lei. Sentii una fitta di senso di colpa.
Scesi gli scalini e mi chinai a raccogliere i fogli di pergamena.
«Grazie» mormorò la ragazza. Scostò i capelli neri dal viso e mi sorrise.
«Cose che capitano» mormorai. Allineai le pergamene e raccolsi un libro. La ragazza prese una penna d'oca. Il bianco della penna contrastava con la sua carnagione scura. Ad occhio e croce avrei detto che era mulatta. Aveva un'aria familiare, ma non avrei saputo dire chi era. Sbircia la cravatta. «Grifondoro?»
La ragazza si strinse nelle spalle e sorrise. Subito dopo abbassò lo sguardo e si scostò di nuovo i capelli dagli occhi. «Anche ai Grifondoro capita che si rompa la borsa.»
Perché evitava il mio sguardo? Era timida come me o era in imbarazzo? Non riuscivo a capirlo. Distesi le pieghe delle pagine del libro. «È una buona occasione per comprarne una nuova.»
«Già.»
Chiusi il libro e raccolsi un'altra piuma. «Ogni tanto fanno di questi scherzi. Non te la prendere, sono cose che capitano.»
«Oh, no, non è stato uno scherzo. Si è proprio rotta la borsa. Anche perché chi mai farebbe uno scherzo simile?»
Alzai le spalle. Improvvisamente sentivo caldo. Mi sfiorai la guancia e la sentii bollente. Perfetto, come minimo ero arrossita un'altra volta.
«E se invece fosse stato uno scherzo!» La ragazza digrignò i denti e alzò un pugno al cielo. «Dovrebbero pregarmi in tutte le lingue che conoscono per non essere affatturati! Carogne!»
Mi sforzai di sorridere, ma sapevo di essere ancora rossa. «D'altra parte se non fossero stupidi non sarebbero scherzi, no?»
La ragazza mi fissò. Mi venne un brivido. Ok, ricevuto, era meglio non contraddirla. Grifondoro, li mortacci loro. Faceva pure rima, in tema coi bigliettini minatori imboscati nelle borse altrui.
«Vabbé, pazienza, dai. Penso che ci sia un limite alla stupidità.»
Mi sfuggì una risatina nervosa. «Sì, certo.»
«Sei ironica per caso?»
Cos'avevo appena pensato? Grifondoro, li mortacci loro. «Scusa» mi affrettai a dire.
Tesi alla ragazza libro e piuma e lei li infilò nella borsa. «Fatto. Grazie per l'aiuto...» Guardò la mia cravatta. «... Tasso.»
Abbassai gli occhi sul pavimento di pietra grigia. Mi sfuggì un sorriso. «Prego, Grifo.»
Ci tirammo in piedi. La ragazza sporse in fuori le labbra piene e sollevò il pollice. «Stai in gamba, sis.»
Sbattei le palpebre. Sis? Tipo Pegasis? Quindi sister? Mi morsi il labbro, poi sollevai anch'io il pollice. «Ehm... Altrettanto.»
La ragazza mi fece l'occhiolino, poi mi diede le spalle e se ne andò.
E io, dove stavo andando così di fretta fino a poco prima?
Albus!
Mi tirai una manata sulla fronte e ricominciai a correre su per le scale.

Nota dell'Autrice: devo chiedere scusa sia per il ritardo nella pubblicazione del nuovo capitolo che per il ritardo nelle risposte. No, i bagordi di Capodanno non mi hanno stesa. È stato l'esame di latino a farlo. L'ultimo esame, l'ultimo, odioso, impossibile che mi bloccava la laurea.
E ora L'HO PASSATO. Non avete idea di quanto io abbia gioito. Urrààà! ;7;
Ecco, il motivo del ritardo era quell'esame odioso. Ora mi aspetta una tesi ostica e la speranza di laurearmi prima possibile. Ma ce la posso fare. ;u;
Un bacione a tutti!

  
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