Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: Bloomsbury    20/01/2014    19 recensioni
[Storia in revisione] Capitoli revisionati: 14/35.
Jay era un ragazzo come tanti, con qualcosa in più o in meno degli altri, un ragazzo normale, un ragazzo omosessuale: particolare insignificante per ogni persona di buon senso.
Si vergognava di tante cose, tranne che di questo.
Jay bramava la luce, la libertà.
Fece la scelta sbagliata nel contesto meno appropriato e quel particolare insignificante diventò la spada che lo uccise, la macchia scura che lo inghiottì.
«Mio figlio è morto il giorno stesso in cui ha tradito la natura che gli ho donato con orgoglio.»
«La natura che mi hai donato è quella che ti ho confessato…»
«È una natura che mi fa ribrezzo!»
Così comincia la storia di Jay Hahn, fatta di dolori, di abbandoni, di amore, di amicizia, di segreti, di bugie, di tempesta.
E le tempeste intrappolano nel proprio occhio ogni cosa, risputandoti fuori lacerato, diverso, un mostro.
Jay uscirà ed entrerà da quelle raffiche di vento, diventerà lui stesso la tempesta e annienterà ogni cosa al suo passaggio.
Compreso se stesso.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A




  quarto capitolo revisionato
"Young man control in your hand
Slam your fist on the table and make your demand
Take a stand fan a fire for the flame of the youth
Got the freedom to choose
You better make the right move
"

Youth- Matisyahu






4. Youth


Il passo spedito di Jay imprimeva le orme dei suoi pensieri sull’asfalto, una nuova euforia avvolgeva i suoi piedi, spingendolo ad avanzare senza arrestarsi un attimo.
Quel gioco di sguardi avvenuto con quel tipo strano al bar lo aveva incoraggiato e chissà per quale motivo, d’improvviso, ebbe l’impellenza di confrontarsi con suo padre. Più di qualsiasi cosa lo muoveva il suo rinnovato coraggio pescato dal fondo dello stomaco che ormai, stanco del dolore, aveva scelto di mutare l’oppressione in risolutezza. Non voleva più essere una vittima, odiava vestire i panni del martire. Aveva desiderato con ogni cellula del suo corpo quel ragazzo e già questo confermava ancora la natura che avrebbe dovuto sfoggiare con fierezza, senza più nascondersi o averne paura.
Chaz, seduto in cima agli scalini dell’ingresso esterno di casa sua, si beava dell’unica giornata serena che il cielo aveva concesso, rollandosi una sigaretta in pieno relax. Dopo aver leccato la superficie liscia della cartina ed essersi assicurato che la colla avesse aderito bene, alzò gli occhi e vide Jay dirigersi frettoloso verso casa. Intrappolò la sigaretta spenta tra le labbra e dopo aver richiamato la sua attenzione sorrise, incuriosito dall’espressione furente dell’amico. Jay non si voltò 
aveva altre priorità  non avrebbe permesso a niente e a nessuno di ritardare quell’incontro e rispondendo distrattamente continuò a camminare come fosse un caterpillar pronto a tutto. «Sono di fretta. Non posso. Ci vediamo dopo.»
Chaz non insistette, preferì assecondarlo, ma osservò la figura gracile e coraggiosa del suo amico più caro allontanarsi.
Posò i suoi grandi e luminosi occhi neri sull’orizzonte, quantificando mentalmente la strada che Jay stava percorrendo, contando i secondi che dividevano il ragazzo che amava dall’incontro inevitabile che glielo avrebbe restituito o a brandelli o vittorioso.
L’esito era incerto, ma la certezza che invece dimorava nel cuore di Chaz era una ed una soltanto: in qualsiasi condizione ne fosse uscito, lui ci sarebbe stato.

***

Superò l’ostacolo che il giorno prima non gli aveva permesso di tornare a casa: spalancò la porta d’ingresso e fece rumore, deciso ad imporre la sua presenza.
Ignorò qualsiasi dettaglio per non distrarsi da ciò che doveva fare ed entrando nel salotto riccamente arredato vide suo padre con il viso affondato nel giornale.
Piantò i piedi sul pavimento, con le gambe divaricate, per assorbire da quella stabilità la sicurezza che in quel momento gli serviva più di qualsiasi altra cosa e guardando con risolutezza la figura incurante di suo padre parlò senza lasciar trasparire alcuna incertezza: «Ho passato il test. Ho preso una A».
Continuò a leggere imperterrito, come se l’avvento di suo figlio fosse un elemento di disturbo da ignorare.
«È ora che io e te parliamo, papà. Da uomo a uomo…»
«Considerando ciò che hai confessato ieri, dire “da uomo a uomo”, è una presa in giro».
Jay strinse gli occhi incassando il colpo
 proseguire per poi arrivare fino in fondo era diventata un’urgenza oltre che una questione di orgoglio  così, senza lasciarsi piegare dalle facili ironie con le quali il padre aveva chiaramente intenzione di affrontare il discorso, continuò: «Papà, dobbiamo parlare del mio futuro, che ti piaccia o no.»
«Non credo di volerlo fare…»
«Adesso!» Il respiro di Jay si fece sempre più affannato, tanto da costringerlo a ruggire l’ultimo avverbio che avrebbe dovuto risvegliare il padre dall’indifferenza, ma non fu così: proseguì con ciò che stava già facendo, ignorando quello che fino a pochi giorni fa era il figlio del quale essere orgoglioso.
Jay sentiva di camminare in bilico sul filo del rasoio: dalle parole di quell’uomo dipendeva il suo destino; così scelse le sue con più attenzione, sperando di fare meno danni possibile. «Papà, credo che tu, a prescindere da ciò che pensi di me, dovresti ponderare bene quello che fai
» esitò per un istante.  «Scacciare tuo figlio non ti fa onore, né agli occhi miei né a quelli di chi ti conosce. Dimostrami che sei diverso da quello che credo». Di sorpresa scostò il giornale svelando tutta la collera e la delusione che vivificavano il suo volto.
I lineamenti marcati, normalmente addolciti dall’espressione bonaria del suo essere, erano diventati più duri del solito e la manifestazione di disappunto prese forma trasformandogli il viso in una maschera rigida priva di emozioni.
Jay si sentì morire al cospetto di quegli occhi. Non era più suo padre, lo sentiva, ormai era diventato un perfetto estraneo e di certo non uno dei più amichevoli.
«Tu parli di quello che potrebbe pensare di me la gente, tu credi di poter venire qui ed insegnarmi come ci si comporta? Sei un ragazzino viziato e senza spina dorsale, prenditi la responsabilità delle tue azioni, non puoi nasconderti ancora dietro le mie spalle…»
«Proprio perché non voglio farlo sono qui adesso, davanti a te. Non voglio giustificarmi, non lo sto neanche facendo, sto solo dicendo che mi sembra assurdo il tuo comportamento
». Si fermò d'improvviso e cercando di riprendere le fila del discorso che sentiva sfuggirgli dalla mani, non poté frenare la disperazione e l'incredulità che prese forma in una supplica lasciata in sospeso: «Papà, sono tuo figlio…»
«Mio figlio è morto il giorno stesso in cui ha tradito la natura che gli ho donato con orgoglio.»
«La natura che mi hai donato è quella che ti ho confessato…»
«È una natura che mi fa ribrezzo» urlò quelle parole con una forza tale da far indietreggiare Jay. Lo sdegno era così palpabile da poterlo mettere in ginocchio con un solo soffio, eppure lottò per non cedere, nonostante il cuore avesse vacillato.
Si sentiva sanguinare da ogni singolo organo che lo teneva in vita, avrebbe voluto piangere, ma lasciò che gli occhi serrati fermassero le lacrime che avevano appena inondato il suo sguardo. Si morse il labbro inferiore per darsi il coraggio necessario a trattenere tutto il dolore nel petto ed il padre, notando quell’impercettibile cambiamento, infierì ancora: «Vedi? Ti comporti come una donnetta. Parlare da uomo a uomo non è così facile. Vedi lacrime nei miei occhi? Io sono un uomo, sono forte, non sono come te».
Jay non si vergognava delle sue lacrime né tanto meno pensava che piangere non fosse abbastanza virile, così lasciò che cadessero, mostrando con orgoglio i segni del suo malessere senza più nasconderle. «Se pensi che le lacrime siano segno di debolezza, sei un debole tu per primo. Non piango perché mi maltratti, piango perché sono disgustato da te e dal tuo comportamento…» finì la frase accrescendo la rabbia nel tono della sua voce che, però, venne sepolta da uno scatto d'ira del suo interlocutore: «Come osi?» Lo schiaffo arrivò così inaspettato che Jay non fece in tempo a difendersi. Si ritrovò chino sul pavimento senza riuscire più a pensare. Confuso, atterrito, umiliato.
Il dolore di quello schiaffo fu così forte da lasciarlo paralizzato sul pavimento. Non sentiva più i pensieri scivolargli nella mente, ma percepiva distintamente il bruciore acuto che aveva pervaso la sua guancia.
«George, ma cosa diavolo sta succedendo?»
Apparse alla porta sua madre che non appena vide il figlio accasciato sul pavimento si arrestò, astenendosi dal soccorrerlo. I suoi occhi erano sconcertati, tuttavia non intervenne. «Scusate, vi lascio continuare…» fece per andarsene ma la sua attenzione fu catturata dal richiamo disperato di Jay.
Non l’aveva chiamata, le sue labbra non avevano emesso alcun suono, aveva solo teso leggermente la mano in sua direzione. Emma l’aveva percepito, aveva sentito il suo stesso sangue appellarsi a lei.
Quella di Jay era una richiesta di aiuto: aveva sempre potuto contare su sua madre, l’aveva sempre protetto, anche nei momenti più duri e sperava potesse essere ancora così.
La madre vide gli occhi chiari e supplicanti di suo figlio tra le ciocche scomposte dei capelli neri che, intrisi di lacrime, gli nascondevano parzialmente il volto. Quel pezzo di laguna verde le chiedeva aiuto in silenzio, disperatamente. Si rivolse a lei con così tanta angoscia da diventare assordante, quasi insostenibile, tanto che Emma non ne poté più. Non rispose al richiamo, voltò lo sguardo altrove lasciando la stanza senza proferire parola.
Lo aveva abbandonato, rifiutato definitivamente, ormai era chiaro e l’evidenza di quel fatto squarciò irrimediabilmente il cuore di Jay, condannandolo a un pianto inconsolabile e rassegnato. Si alzò lentamente e a fatica fissando il vuoto con gli occhi inanimati e spenti, avvertendo un peso greve e soffocante sulle spalle; asciugò gli occhi con le maniche della maglia ed un lamento involontario e sconsolato uscì dalle sue labbra, provocando una risatina di scherno di George che, sistemati i polsini della camicia, si avviò alla poltrona che l’aveva visto scattare rabbioso verso suo figlio.
Jay si mise dritto, cercando di conservare quel minimo di dignità che gli restava. Voleva chiudere il discorso sebbene volesse, più di tutto, scappare.
Con gli occhi fissi sul pavimento articolò le parole lentamente, senza più fingere di non provare dolore: «Cosa avete intenzione di fare con me?»
«L’unica cosa che ti darò, d’ora in poi, è un tetto sulla testa. Potrai tornare a casa, ma dimentica l’università, dimentica i privilegi che i miei soldi ti hanno assicurato fino ad oggi. Tu, ormai, non fai più parte di questa famiglia, dovrai cavartela da solo…»
«È già qualcosa.» lo interruppe, pronunciando quelle parole a fior di labbra.
Sentiva il freddo intrappolargli le vene, gli unici impulsi che gli suggerivano di essere ancora in vita erano i brividi che, ormai, avevano sopraffatto ogni recesso del suo corpo. Passò la lingua tra le labbra avvertendo il sapore metallico e rugginoso del sangue, gettò un altro fugace sguardo al padre che, nel frattempo, aveva ricominciato a leggere e si avviò verso la porta d’ingresso.
Prima di uscire scorse sua madre in cucina: pareva triste o, forse, cercava solo di crederlo; così decise di farsi bastare i tentativi che aveva appena sfoderato a vuoto, mise la mano sulla maniglia ed un flash veloce gli ricordò gli occhi di quel ragazzo che tanto l’avevano incoraggiato.
Si sentì uno stupido.
Come avrebbe potuto sperare di riuscire a vincere la delusione facendosi sostenere dallo sguardo di uno sconosciuto?

***

Camminò in direzione di Chaz che lo stava aspettando accovacciato sul ciglio della strada 
vederlo lì, in attesa di notizie, lo rincuorò. Lo fissò con gli occhi colmi di gratitudine percorrendo il tratto di strada sempre più speditamente: lui era l’unico a cui importasse realmente qualcosa.
L’amico sorrideva guardandolo avvicinarsi, ma l’espressione mutò velocemente non appena vide il viso di Jay sempre più vicino, più chiaro, sempre più leggibile. Si alzò e spalancando le braccia chiese a bassa voce 
sebbene conoscesse già la risposta: «Non è andata bene, vero?»
Jay lo raggiunse senza proferire parola e si perse nel suo abbraccio, cercando forza e conforto. Chaz lo strinse più forte che poteva, sperando di potergli placare i singhiozzi: «Ci sono io. Andiamo a casa mia, dai!»
Staccandosi improvvisamente si sforzò di sorridere, si asciugò ancora le lacrime. «Sto bene e ho anche una buona notizia per te, Chaz: non dormirò più nel tuo letto
». Nel tentativo di celare il suo reale stato d’animo rise forzatamente, non convincendo il ragazzo difronte che rispose al sorriso con amarezza. Conoscendo i genitori di Jay, non si aspettava di certo un candido: “bentornato a casa, figliolo”; ma neanche ciò che aveva davanti agli occhi. Scrutò il suo viso con attenzione volendo percepire lo stato d’animo racchiuso all’ interno dei segni lasciati sul viso, lo prese per mano per trascinarlo a casa ma l'altro non glielo permise. Si rese gelido e irremovibile.
«Che c’è, Jay?»
Seguirono istanti di silenzio in bilico tra l’incertezza ed il terrore di perderlo. In quel momento di instabile quiete, la coscienza di non poter essere all’altezza della situazione schiacciò il cuore di Chaz in una morsa fatale, inducendolo a chiedersi se sarebbe mai stato capace di proteggerlo. Temeva di non esserne in grado. Lo strattonò con dolcezza per risvegliarlo, per non dargli il tempo di far ristagnare il dolore troppo a lungo, ma il ragazzo reagì al tocco arretrando.
«Che ti prende?» chiese con dolcezza e Jay, guardandolo con furore, rispose urlando: «Sono- incazzato- nero!!!» ruggì quelle parole con tutta la rabbia che aveva in corpo, stringendo i pugni tanto da farsi male. Chaz trasalì e guardandosi intorno chiese scusa ai passanti che si erano voltati spaventati.
«Cazzo, Jay. Datti una calmata!»
«Col cazzo che mi do una calmata». Intraprese un cammino insensato, serrando i denti, inseguito da Chaz che non sapeva dove stesse andando né che intenzioni avesse, perciò sarebbe stato impossibile lasciarlo solo.
Riuscì ad affiancarlo e seguendo il ritmo del suo passo lo supplicò guardandolo in faccia: «Ho capito che sei sconvolto, ma non puoi metterti a fare il pazzo in mezzo alla strada.»
«Lasciami stare, Chaz, per favore. Sono troppo incazzato per mantenere il contegno. Guardate gente…
» urlò pericolosamente spalancando le braccia, presentandosi al mondo con rabbioso sarcasmo «Sono il figlio fallito di George Hahn, l’uomo distinto che abita alla fine della strada, e sono fro…». Chaz gli tappò la bocca prima che potesse continuare con lo spettacolo e guardando oltre si augurò di scorgere almeno un’anima che non si fosse accorta di lui. «La vuoi piantare con questa scenata? Sembri un bambino viziato».
Jay si divincolò dalla presa ponendosi di fronte a lui. «Cos’è? Anche tu ti vergogni?»
«No, cioè, dico solo che un eterosessuale non si mette a gridare: "sono un eterosessuale", come adesso stai facendo tu…»
«Giri di parole! Solo schifosissimi ed inutili giri di parole per non dire che hai paura, che ti vergogni di dire liberamente chi sei. Nessuno ti costringe a farlo ma a me... lascia fare quello che cazzo voglio».
Chaz, lasciandosi cadere le braccia lungo il corpo, rispose cercando di ridimensionare i toni: «Ok, Jay! Va bene. Capisco che tu non voglia razionalizzare, ma ormai è andata così, è inutile che ti incazzi. Non accusare me solo perché sei furioso con i tuoi. Ti sei preso la responsabilità delle tue azioni e del tuo essere, questo va più che bene, ma non puoi pretendere la stessa cosa da chi, come me, non ha voglia di buttare in pasto alla gente i propri fatti personali. La pensavi così anche tu fino a qualche tempo fa».
Jay proseguì sulla strada fermandosi di tanto in tanto, confondendo ancora di più Chaz che nel tentativo di stargli a passo si ritrovava continuamente sballottato dalla furibonda energia dell'amico sempre più adirato.
«Sai da quando non la penso più così? Da quando ho visto le uniche persone di cui mi fidavo voltarmi le spalle. Il silenzio accresce la paura e l’insoddisfazione» interruppe l’illogico percorso sedendosi su un muretto in mattoni collocato alla fine della strada. «Chaz, l’omertà porta le persone a snaturarsi, come ho fatto io, come hai fatto tu. Abbiamo passato gli anni più belli della nostra adolescenza a nasconderci e per cosa, cazzo? Per cosa? Per compiacere gli altri. E noi? Di noi se ne fregano e mentre noi ci sforziamo a rinnegare il nostro stesso essere loro si vantano della specialità dei loro figli. Ipocriti, falsi e bigotti. Babbei. Sempliciotti, omini boriosi pieni di prosopopea e merda in corpo».
Chaz fissò muto il viso di Jay senza più controbattere, non poteva più farlo: malgrado la rabbia sembrava fin troppo lucido, come non lo era mai stato e sapeva che in fondo aveva più che ragione, tuttavia non se la sentiva di sputtanarsi così come stava facendo l'altro: desiderava vivere tranquillamente, come aveva fatto fino ad allora.
Jay lo guardò ancora irritato 
non ce l’aveva affatto con lui, ma la voglia di scappare da quell’ipocrisia era troppo forte  così, senza più attendere risposte, scese dal muretto con un salto e cominciò a correre.
Chaz rimase imbambolato seguendo con gli occhi sconfortati la corsa di Jay e gli chiese tra sé e sé, corrucciando le sopracciglia, a bassa voce, quasi con tenerezza: «Ma perché? Perché corri sempre, Jay? Sempre a correre. Non ti stanchi mai».
Lo osservò dissolversi all’orizzonte e sorrise con dolcezza. Sarebbe tornato, lo sapeva. Frenò l’istinto di seguirlo, lo lasciò andare, consapevole del fatto che tutto, tra loro, sarebbe ritornato come al solito.
Le luci dei lampioni sulla strada si accesero accompagnando Jay verso un orizzonte cremisi ricco di possibilità.
Come le luci sulla strada, il suo cuore si riaccese di speranza e si sentì come se la sua anima si fosse liberata di un piccolo mucchietto di detriti gettati con noncuranza da chi più aveva amato. Corse controvento gustandosi l’aria fresca e leggera della sera, godendo di quella leggerezza d’animo inaspettata. Respirò a pieni polmoni e capì ciò che doveva fare: avrebbe rimosso pezzo per pezzo ogni peso dal suo cuore. Poco per volta, senza pretendere troppo. Avrebbe contato su di sé e sarebbe andato avanti. Sarebbe stato lui “la tempesta”.
   
 
Leggi le 19 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Bloomsbury