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Autore: _Pulse_    28/01/2014    4 recensioni
«Come hai fatto ad entrare? Ho fatto mettere il chiavistello alla porta».
«Avevo dato per scontato che fosse per la tua sicurezza personale, ora che Moriarty sembra essere tornato sul campo di battaglia. Sono lusingato».
I suoi occhi di ghiaccio brillarono come diamanti nella camera da letto buia, rischiarata soltanto da un fascio di luce lunare, e Molly strinse i pugni lungo i fianchi, cercando di mantenere la calma.
«Sono entrato dalla finestra», spiegò, nonostante fosse l'unica soluzione possibile, a quel punto, e Molly avrebbe potuto – e dovuto – arrivarci da sola.
«Perché sei qui?», gli chiese dopo vari secondi di silenzio, fissandosi direttamente i piedi piuttosto che lasciarsi cogliere in flagrante mentre si sorprendeva del candore della sua pelle, dei muscoli definiti e dei piccoli nei che formavano una specie di costellazione sulla sua schiena longilinea.
«Perché tu invece ti ostini a rimanere qui, a farmi domande di cui conosci già la risposta?».
«Non te l'ho mai chiesto prima».
«Non vuol dire che tu non conosca già la risposta».
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Ciao a tutti!

Sono tornata e questa volta con una long! La mia prima long Sherlolly. Sono piuttosto emozionata, ma anche nervosa perché non sono certa del risultato. Personalmente ne sono soddisfatta, ma ci sono dei punti che mi fanno un po’ storcere il naso. A voi il dovere di giudicare, dunque! :D

Tutto ciò che succederà in questi capitoli è ambientato successivamente al terzo ed ultimo episodio della terza serie, quindi tiene conto di tutto e in alcuni casi può darsi che io abbia dato la mia personale interpretazione a ciò che è successo.

Come anticipavo a chi ha seguito le mie one-shot precedenti, questa volta ho cercato di modificare la mia visione di Molly tenendo conto della terza stagione e spero vivamente di esserci riuscita, come spero di non essere andata OOC con Sherlock e tutti gli altri.

Al solito, i personaggi appartengono ai loro creatori e questo scritto non è a scopo di lucro.

Credo di aver detto tutto, non mi resta che augurarvi una buona lettura!

Un bacio,

 

_Pulse_
 

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In my place

 

1.      Night #1

 

«Molly?».

L’anatomo patologa aprì gli occhi e, al contrario di ciò che pensava, la voce di Sherlock non era solo l’ultimo ricordo di un sogno: lui era , in piedi accanto al suo letto, che la fissava con le mani unite dietro la schiena.

«Sherlock», biascicò, tirandosi su lentamente a sedere e coprendosi fino alle ascelle con il piumone.

«Se non ti dispiace, sono piuttosto stanco», disse a bassa voce il detective, togliendosi la giacca e lanciandola distrattamente sullo schienale della sedia sotto la scrivania.

Aveva appena iniziato a sbottonarsi la camicia bianca, quando le rivolse un’occhiata insospettita. «Non indossi i pantaloni, per caso?».

Molly si scostò bruscamente le coperte di dosso e scese dal letto, trovando particolarmente sgradevole il dover appoggiare i piedi nudi sul pavimento freddo ben prima del suono della sveglia.

Sherlock notò che li indossava, i pantaloni, quindi apparve ancora più confuso. «Che c’è?».

«Come hai fatto ad entrare? Ho fatto mettere il chiavistello alla porta».

«Avevo dato per scontato che fosse per la tua sicurezza personale, ora che Moriarty sembra essere tornato sul campo di battaglia. Sono lusingato».

I suoi occhi di ghiaccio brillarono come diamanti nella camera da letto buia, rischiarata soltanto da un fascio di luce lunare, e Molly strinse i pugni lungo i fianchi, cercando di mantenere la calma.

«Sono entrato dalla finestra», spiegò, nonostante fosse l'unica soluzione possibile, a quel punto, e Molly avrebbe potuto – e dovuto – arrivarci da sola.

«Perché sei qui?», gli chiese dopo vari secondi di silenzio, fissandosi direttamente i piedi piuttosto che lasciarsi cogliere in flagrante mentre si sorprendeva del candore della sua pelle, dei muscoli definiti e dei piccoli nei che formavano una specie di costellazione sulla sua schiena longilinea.

«Perché tu invece ti ostini a rimanere qui, a farmi domande di cui conosci già la risposta?».

«Non te l'ho mai chiesto prima».

«Non vuol dire che tu non conosca già la risposta».

I suoi occhi erano taglienti e duri proprio come diamanti e Molly avrebbe preferito mille volte uscire dalla propria camera da letto in silenzio, come aveva fatto molte e molte volte prima d'allora, ma le cose erano cambiate negli ultimi mesi, lei era cambiata, e per il suo stesso bene c'erano dei momenti in cui doveva soffrire, mostrando a Sherlock che se voleva qualcosa, doveva dare qualcosa in cambio. Non sempre, questo no: si trattava pur sempre di Sherlock! Ogni tanto le sarebbe bastato. Ma sapeva che senza una piccola spinta da parte sua – o di John, o di chiunque altro gli stesse vicino nel quotidiano – quell'“ogni tanto” avrebbe preso il significato di “raramente” nel particolarissimo dizionario di Sherlock.

Il consulente investigativo trasse un lungo respiro e con gli occhi semichiusi disse pazientemente: «O qui, oppure in quel posto in culo al mondo, citando John, con i miei amici drogati. Ho pensato che se ci fossi andato, ti saresti sentita autorizzata a schiaffeggiarmi di nuovo, quindi...».

Molly scosse il capo, sconfitta, e dato che erano le tre di notte e quella mattina era di turno al Bart's decise che anche per quella volta avrebbe lasciato correre.

«Il gatto, Molly».

La ragazza, già alla porta, tornò indietro per prendere Toby tra le braccia, comodamente raggomitolato tra le coperte del suo letto e non molto contento dello sfratto improvviso. Come se lei ne fosse felice. Come se Molly Hooper non vedesse l'ora di essere buttata fuori dal proprio letto per lasciarlo a Sherlock Holmes, un detective che col tempo si era guadagnato una reputazione internazionale e che da quando il suo miglior amico e coinquilino si era sposato non faceva altro che vagabondare di qua e di là, distrutto dalla solitudine. Molly ne riconosceva troppo bene i sintomi e lui lo sapeva, sapeva che lei riusciva a vedere come stava realmente, e quando aveva la luna storta – come quella sera – gli era pressoché insopportabile.

Molly si chiuse nella camera degli ospiti e dopo essere salita a quattro zampe sul letto si infilò sotto le coperte, stringendo i denti per il freddo. Non era mai stata ricoperta di neve dal collo in giù, ma fu quella la prima immagine che le venne alla mente quando si ritrovò a fissare il soffitto.
Non provò nemmeno a chiudere gli occhi: prima di cambiare di nuovo idea, scese dal letto e tornò in camera sua. Fu più forte di lei e bussò, ma non aspettò la risposta di Sherlock prima di entrare. Lo trovò seduto sul letto, in mutande, che le dava le spalle. Per un attimo volle voltarsi e correre via, ma fu solo un attimo.

«E adesso che c'è?», domandò stancamente Sherlock, senza nemmeno degnarla di uno sguardo.

«Penso che dovresti dormire tu nella camera degli ospiti, visto che tu sei l'ospite».

«Non era questo il patto».

«Lo so».

«Pensavo fossi una donna di parola».

«Non ti sto cacciando di casa, Sherlock. Vorrei solo poter dormire nella mia camera da letto».

Il detective si voltò e la scrutò a fondo, come se volesse trovare la risposta a tutte le sue domande solo guardandola. Di solito ci riusciva, praticamente sempre, e con chiunque avesse davanti agli occhi, ma quella volta no.

«Mi hai fatto dormire nel tuo letto anche quando eri fidanzata con Tom».

«Una volta sola. Ed è stato un errore imperdonabile», rispose velocemente.

Ricordava fin troppo bene la vergogna e il senso di colpa che aveva provato nei confronti di Tom quando era tornato dal turno di notte, stanco e desideroso di una bella dormita. L'aveva trovata intenta a cambiare le lenzuola del letto – solo cinque minuti prima era riuscita miracolosamente a cacciare Sherlock – e Molly, per giustificarsi, gli aveva detto che aveva intenzione di portarle in lavanderia prima di andare al lavoro. Tom se l'era bevuta, naturalmente non avrebbe mai sospettato nulla, ma lei non si era sentita a posto con se stessa per tutto il giorno, tanto che per far pace con la propria coscienza quella sera gli aveva fatto trovare una cena coi fiocchi, con tutti i suoi piatti preferiti.

Molly scrollò il capo, sperando che quel ricordo smettesse di gravarle sul cuore, e tornò a fissare Sherlock incrociando le braccia al petto e stringendosi il collo tra le spalle.

«Mi chiedo che differenza faccia per te: di certo la mia stanza non può farti sentire meno solo».

Sherlock aprì la bocca per ribattere, con gli occhi leggermente sgranati, ma passarono diversi secondi prima che la voce gli tornasse.

«Dovrai trascinare via il mio corpo morto, se vuoi davvero dormire qui», sibilò con tono acido, poi afferrò le coperte e coprendosi fin sopra la testa si rannicchiò sul fianco.

Molly lo guardò incredula. Non riusciva proprio a capire il motivo per cui Sherlock si ostinasse così tanto: che cos’aveva di speciale il suo letto? Era più caldo di quello nella camera degli ospiti, sicuramente. Ma era una teoria troppo assurda perché ci credesse anche solo per un istante. Si sforzò di pensare ad altre motivazioni plausibili, ma il sonno l’ebbe vinta troppo presto.

Molly sapeva perfettamente che se avesse ceduto quella volta, dopo tutta la forza che le ci era voluta per tornare indietro ad affrontarlo, in futuro non avrebbe avuto la benché minima speranza di ottenere qualcosa da lui. Doveva andare fino in fondo, dimostrare a Sherlock che non poteva comportarsi in quel modo – non più.

Respirò profondamente per farsi coraggio e disse: «Non voglio finire in prigione per colpa della tua testardaggine».

Sherlock si tolse la coperta dalla testa e allibito seguì con gli occhi ogni suo singolo movimento.
Molly salì sul letto, diede un paio di colpi al cuscino, poi si infilò sotto alle coperte, al suo fianco.

Passò un’eternità prima che smettesse di fissarle la schiena e i capelli castani sparsi sul cuscino, prima che finalmente tornasse a darle le spalle come se ciò che aveva appena fatto non l’avesse minimamente toccato.

 

***

 

Non avrebbe mai immaginato che Sherlock potesse reagire in quel modo: non reagendo.

Aveva sempre lottato per la sua privacy, per avere i suoi spazi – per quello avevano concordato che avrebbe dormito nella sua camera! – e ora che lei aveva deciso di cambiare i punti fondamentali del loro patto, lui non diceva o faceva niente. All'improvviso la condivisione di quel letto non era più un problema. Sconveniente sì, perché Molly era certa che non sarebbe riuscita a chiudere occhio sapendo di essere sdraiata a pochi centimetri da uno Sherlock semi-nudo, ma non un problema.
C’erano dei limiti a tutto e Molly sapeva con certezza che uno dei suoi era il fatto che non l’avrebbe mai capito fino infondo, non da sola. Ma Sherlock non l'avrebbe mai aiutata in questo, mai si sarebbe esposto di sua iniziativa.

La ragazza lesse di nuovo l'ora sulla sveglia digitale e smise di farsi domande a cui non avrebbe ottenuto risposte. Era stanca e voleva davvero tornare a dormire, Sherlock o meno nel letto. Chiuse gli occhi e respirò profondamente, cercando un pensiero o un ricordo tranquillizzante.
Tutti i suoi sforzi però furono vani, purtroppo: era stato riportato a galla il nome di Tom e ora non riusciva a pensare ad altro. Era passato poco tempo dalla loro rottura, pochissimo rispetto all'anno in cui erano stati insieme, e se col tempo avrebbe dimenticato le piccole cose, i sorrisi, le risate e i baci, non avrebbe mai, mai potuto fare la stessa cosa con il momento in cui aveva avuto la piena consapevolezza di non amarlo davvero.

 

«Mary e John, in qualsiasi modo, qualunque cosa succeda, da oggi in poi giuro che ci sarò sempre. Sempre. Per tutti e tre. Ehm, scusate. Volevo… volevo dire due. Tutti e due. Entrambi, infatti. Ho solo contato male. Ad ogni modo, è tempo di danzare. Fate ripartire la musica, prego. Grazie. Okay, tutti voi, ballate. Non siate timidi!».

La musica partì e Sherlock scese giù dal palco. In smoking e con le luci colorate che gli danzavano addosso era ancora più bello del solito e Molly non poteva negarlo. Prese però la mano di Tom e lo portò in pista, decisa a divertirsi. O almeno una parte di lei lo era, mentre l'altra non riusciva ad evitare di gettare occhiate al detective, ora fermo in mezzo alla folla danzante, di fronte ai due novelli sposi.

Sembravano nel bel mezzo di una discussione, quando ad un certo punto Sherlock disse qualcosa in grado di farli rilassare improvvisamente. Il volto del consulente investigativo si era illuminato grazie ad un sorriso straordinario, uno di quelli più unici che rari, e anche a Molly venne voglia di sorridere. Si accorse però che lo stava già facendo, mentre Tom le alzava un braccio e le faceva fare una giravolta.

Quando John e Mary iniziarono a ballare e si allontanarono, Sherlock si guardò intorno spaesato fino a quando non scorse la damigella d'onore, Janine. Molly si sentì morire accorgendosi del sorriso che lui le aveva rivolto e fu ancora peggio quando esso scomparve all'improvviso: Janine aveva trovato un altro cavaliere e Sherlock era solo, in mezzo alla pista da ballo.
Molly avrebbe tanto voluto raggiungerlo e ballare con lui, anche solo per cinque minuti, per dimostrargli che quella non era l’esatta previsione di ciò lo attendeva da quel giorno in poi, ma ci ripensò: non poteva abbandonare Tom e Sherlock avrebbe insultato la propria intelligenza, se avesse davvero creduto che il matrimonio di John avrebbe stravolto la loro amicizia.

Qualche giravolta dopo, Sherlock attraversava di nuovo la pista da ballo con espressione cupa. Quella volta però era diretto verso l'uscita e nessuno sarebbe stato in grado di fermarlo, perché nessuno lo aveva notato. Nessuno eccetto Molly.
Il tempo parve fermarsi e così anche lei, il suo nome sulle labbra, pronte ad urlarlo a squarciagola.

 

Era stato quello il momento in cui aveva avuto la piena consapevolezza di non amare Tom, di non averlo mai amato. Perché nonostante non avesse gridato il suo nome, nonostante non lo avesse rincorso, il suo cuore lo aveva fatto. Come sempre e contro ogni sua volontà, il suo cuore aveva scelto di stare accanto a Sherlock.

Molly si girò e rimase a fissare la schiena del detective.

«Sherlock?», bisbigliò. «Dormi?».

Lui non rispose e l'anatomo patologa, prestando più attenzione al suo respiro, si accorse che era regolare e pesante. Con un sospiro tirò fuori un braccio e con delicatezza gli coprì la spalla nuda con il piumone.

«Che ho fatto di male per innamorarmi di te?», mormorò ancora, poi chiuse gli occhi e seguendo il ritmo del respiro di Sherlock si addormentò.

   
 
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