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Autore: ManuFury    02/02/2014    7 recensioni
Duncan delle Lame... Gladiatore ed esiliato.. potrà uscire dall'Arena in soli due modi: da vincitore o da cadavere.
Warren Velenodikobra... discendete in una delle più nobili casate di Cavalieri di Drago... vuole ottenere una sola cosa, l'approvazione di suo padre.
Sasha l'Ardente... spadaccina infallibile... che vuole solo scoprire chi è in realtà.
E Dagh dagli Occhi d'Argento... Protettore di Drakkas... offrirà loro un'avventura indimenticabile!
[Storia scritta per la Challenge: "L'ondata Fantasy" indetta da _ovest_]
Dal Capitolo 5...
“Gli occhi azzurrissimi del ragazzo si alzarono a quella colonna che aveva visto in sogno, verso quella figura avvolta dalla tenebre che ora, approfittando del velo sottile del fumo, era sparita.
Duncan non sapeva più che pensare: aveva smesso di porsi tante domande in vita sua, di capire le azioni e gli avvenimenti che si abbattevano su di lui come un’onda si abbatte su uno scoglio, aveva semplicemente smesso di lottare per capire e si limitava a farsi trascinare dalla corrente."
Genere: Avventura, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Drakkas'
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La ragazza è immobile, con le mani appoggiate alla colonna come se dovesse sostenerla. Indossa vesti candide, quasi trasparenti per quanto sono leggere: le scivolano dolcemente sul corpo sottile come se fossero fatte d’acqua pura e cristallina.
Sospira così lievemente da dare l’impressione di non averlo nemmeno fatto, è un gesto lento e delicato, accentuato solo dal movimento appena percettibile del petto e dall’aprirsi delle labbra piene e rosse che risaltano sul suo bel viso di porcellana che, con lentezza estenuante, si volta così da permetterle di appoggiare anche il petto all’alta colonna.
Il ragazzo in piedi al fondo della bassa scalinata che lo separa dalla giovane a sua volta non si muove. È ammagliato, rapito da quella visione celestiale di cui sussurra il nome a fior di labbra, come se temesse di spezzare per sempre quel sogno, parlando troppo forte.
Lei non gli sorrise e tantomeno gli parla, si limita ad esporre ancora un po’ il viso e con esso le spalle, facendo così scivolare lungo il corpo le vesti come una cascata, scoprendosi così la pelle, meravigliosamente pallida e morbida, quel genere di pelle che non hanno le ragazze comuni, ma le principesse.
Duncan respira profondamente a quella visione, prima di chiudere gli occhi, volendo raccogliere a sé tutto il coraggio di cui dispone per procedere di un passo, solo per starle più vicino. Ma quella dote che sul campo di battaglia non gli manca mai, adesso sembra carente in lui, risucchiata così come la sua forza dai pozzi neri e infiniti che sono gli occhi di quella ragazza, lasciandolo così immobile, incapace di muoversi e di parlare proprio come un neonato.
La giovane di nuovo non gli parla, non bada ai suoi pensieri che si manifestano così vivamente sul volto di lui. Lei si limita a scrutarlo con quel suo sguardo di pece, profondo come un abisso; non sembrano gli stessi occhi che hanno stregato il guerriero tempo addietro.
In un nuovo movimento lento, la ragazza stacca il petto dalla colonna e vi appoggia un ginocchio, facendo così scorrere lungo la coscia soda il tessuto trasparente: questo fluttua nell’aria, disegnando volute sottili mentre accarezza la pietra della colonna, prima di toccare il suolo.
Ed è solo in quel momento che Duncan realizza che quelle colonne hanno qualcosa di strano, qualcosa di così sbagliato. Non sono di marmo bianco o rosa come quelle che formano il colonnato della Cittadella d’Oro, al contrario queste sono scure, un color ruggine sbiadito e usurato da mille anni d’intemperie. Il capitello che s’innalza non è decorato con le insegne reali, né con quelle delle prestigiose casate nobiliari, rappresenta invece le orrende facce ghignanti di mostri leggendari che lo deridono con le loro mute bocche dalle quali guizzano nella loro immobilità lunghe lingue di pietra. Esse reggono volte altissime e buie che forse mai videro la luce del sole.
È un attimo, il tempo di un battito di ciglio quando il giovane ricorda un giorno di fine autunno: lui e la sua guarnigione si erano accampati all’estremo confine Est del regno, là dove, sfocate, si potevano scorgere i profili imponenti delle alte montagne della catena dei Titani, enormi giganti incaricati di reggere la volta celeste. Ai piedi di quei monti lontani avevano scorto una costruzione vagamente circolare, di un colorito bruno spento, lo stesso che assume il ferro di una spada se non viene curata a dovere. Il giovane Duncan, all’epoca comandate del plotone, aveva chiesto spiegazioni e gli era stato riferito da un veterano pieno di cicatrici che quella era l’Arena dei Perduti: luogo di morte e divertimento, di battaglie senza onore condotte da individui disperati che uomini ormai più non erano. C’erano state parole mormorate riguardo a quel luogo oscuro ove venivano spediti traditori e condannati a morte di mezza Drakkas. E nessuno di essi era mai uscito.
Con quel ricordo nelle mente, il ragazzo si ritrova a guardare con sospetto attono a sé, confusione e sorpresa che si mischiano nei suoi occhi mentre in lui si fa largo la sgradevole sensazione che quelle pareti si stringono sempre di più su di lui, volendolo schiacciare come un insetto.
“Apri gli occhi, Duncan.” Gli dice la bella ragazza abbracciata a quella colonna con il capitello ghignante.
Lo sguardo azzurro e quasi trasparente del guerriero si alza su di lei, di nuovo confuso, ma quel viso pallido è così terribilmente serio, tanto da non sembrar appartenere alla principessa con la quale passava le serate chiare e calde di fine estate. Era come trasformata, mutata in qualche clone privo di sentimenti.
“Apri gli occhi.” Ripete, appoggiando una guancia sulla colonna. Alle spalle della sua figura sottile si apre una sorta di piccolo balconcino con corrimano dando su uno spiazzo indistinto, ora pervaso da una luce sempre più forte, così candida e potente da far dolore gli occhi.
Duncan cerca di schermirsi gli occhi sensibili con una mano, come meglio riesce, avanzando di qualche gradino, nel tentativo di raggiungere la ragazza ancora immobile. Ne urla il nome, tendendole la mano libera che ha smesso di cercare la spada solitamente appesa al fianco. Ma lei non si muove.
“Apri gli occhi, Duncan – si ostina a ripetere. – Lui verrà.” In un secondo la sua figura viene inghiottita dal bianco e dalla luce assieme a quella più imponente e mostruosa di un demone cornuto che ridacchia, mostrandogli la lunga lingua biforcuta.
 
“Apri gli occhi, bastardo! – Inveì con rabbia una voce, battendo sulle sbarre della cella con una certa insistenza, quella di chi sta perdendo molto in fretta la pazienza. – Forza lurida bestia, in piedi!” Ruggisce ancora.
Duncan aprì lentamente gli occhi, tornando a contatto con la realtà e con il suo corpo intorpidito dal freddo, nelle orecchie lievemente appuntite sentì le stesse urla disperate che lo aveva cullato mentre si lasciava abbracciare dalle scure e rassicuranti braccia del sonno. Erano grida forti e strazianti, ormai prive di ogni umanità e sapevano, con il loro immenso carico di angoscia, far perdere la sanità mentale a chiunque anche dopo poche ore.
Il ragazzo sospirò, passandosi stancamente una mano tra i capelli biondi, negli occhi chiari ancora guizzavano le immagini di quel sogno splendido: su una ragazza e una vita che adesso era perduta e lontana. Tutto era stato solo un sogno che si sfilaccia al risveglio come la nebbia dell’autunno. Eppure era così reale.
Arrivò un tonfo a distrarlo dai suoi pensieri e ricordi così lontani da essere sbiaditi come una vecchissima pergamena. Un rumore di qualcosa gettato a terra e conseguente tintinnio: nella sua cella era stato fatto cadere con ben poca grazia uno sgangherato vassoio metallico praticamente mangiato dalla ruggine. Sopra doveva esserci qualcosa che definivano cibo, ma non lo era: c’era un pezzo di carne quasi tutto nervi e grasso giallastro, accompagnato da una poltiglia ocra che un tempo doveva essere stata una zuppa. Insieme c’era una brocca d’acqua che aveva riversato quasi tutto il suo contenuto a terra.
“Sbrigati a mangiare, traditore. – Lo ammonì l’omone fuori dalla sua cella, guardandolo truce con il suo unico occhio buono. – Hai molti incontri da disputare, quest’oggi!”
Duncan annuì stancamente, alzandosi in piedi: non lo si poteva definire altissimo e nemmeno forte, non guardandolo, almeno. Aveva un corpo gracile, con spalle strette e vita sottile, eppure aveva una resistenza fisica e una velocità nel combattere che pochi possedevano. Anche il viso aveva dei tratti quasi dolci, principeschi li aveva definiti una volta una ragazza: i capelli erano biondi e corti, ma abbastanza lunghi da coprirgli la fronte sulla quale aveva un segno azzurro fosforescente, una grande goccia d’acqua contornata da altre più piccole, le quali si perdevano poi in sottili fili che formavano una sorta di corona. Nessuno aveva mai capito che fossero, ma aveva sentito dire che anche sua madre le aveva e quindi non aveva mai fatto domande al riguardo. Sapeva che non era l’aspetto che distingueva un guerriero.
Si avvicinò alla sua colazione, guardandola con una vena di disgusto mentre l’uomo fuori dalla cella gli intimava di muoversi. Bastò un suo attimo di distrazione affinché il giovane buttasse in un angolo quella carne tutta nervi e grasso, si rifiutava categoricamente di mangiare quell’oscenità. Tentò con la poltiglia, ma non fu molto meglio: gli si appiccicava alla gola come colla e dovette buttarla giù con la poca acqua rimasta nella brocca.
Solo al termine del pasto si alzò di nuovo mentre la porta della sua cella veniva aperta.
L’uomo con un occhio solo si fece da parte, imbracciando una lunga frusta nera. Gli fece cenno di uscire e Duncan uscì. Gli fece cenno di proseguire lungo il corridoio e Duncan si avviò.
Il ragazzo passò davanti a molte altre celle simili alla sua, dentro alla quale uomini ridotti a scheletri si trascinavano fino alle sbarre, porgendo le mani ossute nella speranza di ottenere un po’ di cibo, ma venivano prontamente respinti dalla frusta del ciclope che commentava quelle scene un po’ imprecando e un po’ ridendo. Duncan osservava in silenzio consapevole che, nella disperazione, si poteva considerare un privilegiato: otteneva tre pasti al giorno e una cella singola, ma solo perché faceva divertire gli spettatori, ergo era un investimento da mantenere in vita; o almeno, da conservare meglio degli altri.
Continuò ad avanzare finché le celle non scomparvero per lasciare posto ad un corridoio scuro scavato nella roccia: portava alla Sala delle Attese, dove poteva vestirsi e armarsi. L’omone alle sue spalle blaterava sui suoi incontri del giorno, lo ammoniva di offrire un bello spettacolo come sempre e molto altro, ma il giovane non lo ascoltava. La sua mente vagava in altri luoghi: visitava il sogno appena fatto della sua amata, rivedeva il suo corpo sottile abbracciato a quella colonna, osservava le sue labbra che si dischiudevano a parlargli. Gli aveva detto di aprire gli occhi, ma quello non aveva senso. O meglio, nulla aveva più senso dopo quello che era successo alla Cittadella d’Oro, vivere non aveva più senso, eppure si ostinava a farlo, a sopravvivere come un’animale messo alle strette, mordendo e graffiando come una fiera selvaggia pur di vedere un altro giorno.
Una frustata sulla schiena lo rapì dai suoi pensieri, strappandogli un lieve lamento dalle labbra mentre il dolore si irradiava nella sua carne come un fiume di lava. Si rese conto di essere ormai giunto alla Sala delle Attese: un enorme salone posto proprio sotto gli spalti principali costruiti diversi metri sopra di lui; le pareti ruvide erano incrostate di sporcizia e coperte a tratti da rastrelliere contenenti ogni genere di armi. La cosa peggiore, però, non era l’aspetto di quel posto, ma era l’odore: sangue e violenza, morte e putrefazione, unite al sudore e alla disperazione di tutti coloro che avevano varcato quella soglia senza alcuna speranza e avevano lasciato la propria vita sulla sabbia dell’arena soprastante.
“Veloce, traditore. – Lo spintonò in avanti l’uomo. – Hai cinque minuti, poi è il tuo turno.” Disse solo, lasciandolo lì mentre chiudeva la porta dalla quale erano venuti a chiave.
Duncan guardò in quella direzione una sola volta, prima di sciogliersi le spalle per valutare i danni inferti dalla frustata: faceva ancora male, ma era sopportabile, di certo nessuna ferita grave o invalidante.
Ovviamente, perché rovinare così gratuitamente una delle loro maggiori fonti di reddito? Pensò con una vena di amarezza mentre si avvicinava ad una delle rastrelliere: vi erano appoggiate armi di ogni tipo, dalle spade agli archi, dalle mazze ai coltelli, forse non erano tutti di prima scelta, ma erano ottime per l’intrattenimento che doveva riservare agli spettatori.
Il giovane fece per afferrare una spada, ma ritrasse la mano quando si accorse che l’elsa e l’impugnatura erano ancora intrise di sangue, probabilmente del precedente gladiatore che aveva imbracciato quell’arma.
Optò per quella a fianco che pareva più pulita, anche se la lama aveva la punta spezzata. Ignorò quel dettaglio e si avvicinò alla rastrelliera successiva, quella degli scudi: molti erano rotti, altri crepati e praticamente tutti ammaccati. Scelse il suo solito scudo di legno scheggiato con le insegne rosse, lo aveva accompagnato in altri combattimenti: era resistente e leggero, ciò che faceva al caso suo.
Per ultimo, dopo aver fatto quasi un giro completo della sala, arrivò là dov’erano poste le armature. Mentre ne indossava una di cuoio scuro fece vagare lo sguardo per la stanza, in particolare verso la l’enorme portone che conduceva allo spiazzo sopra di lui: l’Arena dei Perduti. Notava delle lame di luce rossastra penetrare tra le lamine di ferro poste a rinforzo della porta e i primi urli di gioia della folla. Già se li vedeva tutti accalcati per ottenere il posto migliore così da godersi meglio lo spettacolo di sangue e morte che si preannunciava.
Duncan scosse la testa disgustato, come potevano esistere persone che si eccitassero a tal modo con la violenza? O con la morte altrui?
Lui le aveva sperimentate entrambe quando prestava servizio militare: ne aveva conosciuto i suoi lati più oscuri e atroci, arrivando a disprezzarle ambedue. Nuovamente nella sua mente fiorì il ricordo della sua amata, questa volta gli sorrideva solare e tendeva le braccia verso di lui.
Ma i sogni sono fatti per non durare, tanto che, mentre il giovane tendeva a sua volta le braccia per accettare quell’abbraccio immaginario, fu chiamato il suo nome.
Scosse la testa e si calò l’elmo sul viso, avviandosi a passi spediti verso il portone rinforzato. Subito una goccia di sudore andò a formarsi sulla sua tempia sinistra, colando poi sulla pelle. Faceva caldo, troppo caldo e questo significava una sola cosa… Tessitori di Fuoco.
Fantastico. Lui quelle bestie le odiava!
Sbuffò sonoramente, traendo poi un lunghissimo e profondo respiro. Cos’è che gli aveva detto la sua amata?
Apri gli occhi. Gli suggerì una voce. Il ragazzo, invece, li chiuse, per concentrarsi, per svuotare la mente dai pensieri e focalizzarsi sullo scontro imminente. Sapeva poco sui Tessitori di Fuoco: venivano dall’estremo Nord, dalle terre più calde del regno, era a conoscenza che fossero bestie disgustose e orrende, ma a parte questo, aveva poche altre informazioni. Le aveva viste una sola volta in vita sua e gli era bastato.
Apri gli occhi. Sussurrò nuovamente la voce della sua amata. Eseguì nel momento in cui i grandi cardini mangiati dalla ruggine gemettero, aprendo lentamente le grandi porte.
 
[Continua…]
 
 
***
 
HOLA di nuovo! ^_^
 
Mese nuovo, capitolo nuovo! ^^
Scusatemi se vi ho fatto aspettare tanto, ma purtroppo è periodo di esami e quindi ho avuto poco tempo per scrivere, senza contare che il mio Contest a Turni su Hunger Games è finalmente partito… quindi, immaginate.
Allora, allora… che posso dire? Visto che Duncan sembra piacere a molti di voi, ho deciso di iniziare da lui. Ammetto che come capitolo è un po’ descrittivo e lento, ma mi serve per introdurre bene il suo personaggio, spero che non mi vogliate male. ^^’’
Adesso sembra ancora tutti confuso, ma vedrete che si chiarirà presto più o meno! XD
Provate a indovinare chi sarà il prossimo a entrare il gioco, chi azzecca si ritroverà un ringraziamento speciale al fondo del prossimo capitolo! ;)
Vi avviso che prima di metà marzo non uscirà il capitolo (esami, sorry! >.<). Ma cercherò comunque di aggiornare più o meno regolarmente almeno ogni due mesi, ok?
Beh… grazie a tutti voi che mi seguite, attendo le vostre recensioni e le vostre critiche! ^^
Grazie ancora e a presto! ;)
ByeBye
 
ManuFury! ^_^
 
 
Ah, giusto… per orientarvi un minimo con la geografia di questo mondo passate a leggere questa storia DRAKKAS, che parla proprio del mondo in cui vivono i nostri eroi.
Grazie di tutto e a presto! ;)
  
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