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Autore: LittleSun    06/02/2014    5 recensioni
Molto spesso nella vita siamo costretti a vivere come qualcuno vorrebbe che noi vivessimo, annuiamo e lasciamo che tutto prenda una piega che non dipende da noi. Questo succede anche a Dafne che per scappare dalla sua vita soffocante si crea un alterego da usare online, Aloe. Sarà dopo numerosi problemi che Dafne riuscirà a liberarsi dall'influenza della madre e della zia e ad allontanarsi da casa, la sua vita però cambierà ancora. Cosa succede quando una persona abituata alla perfezione e un artista disordinato iniziano una convivenza? Cosa determinerà la presenza spigliata e focosa del coinquilino nella timida e un pò frigida Dafne? Lui riuscirà a fare uscire Dafne fuori dalla strada imposta dalla madre e della zia? Scopriamolo insieme ;)
Dal capitolo 4 (se ho fatto i conti giusti :P):
Regole per una sana convivenza con Aloe
1- Una volta a settimana si pulisce tutta la casa insieme, dividendo le spese dei prodotti.
2- Le spese del cibo si dividono anche così come i turni quotidiani di cucinare e lavare i piatti.
3- Negli spazi comuni è vietato accoppiarsi come conigli in primavera.
4- Negli spazi privati non di propria proprietà è vietato accoppiarsi o entrare.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 2
L'avvocato e l'artista
Finalmente la mia stanza era diventato un ammasso di scatole, borse e valige, il letto mostrava uno scarno materasso e in quella prigione, ovvero la mia stanza, non rimaneva più nulla di me se non un passato da dimenticare. Stavo lasciando Boston finalmente, la settimana prima avevo trovato una stanza in un appartamentino in un quartiere vicino a dove frequentavo i corsi di legge, ai due sergenti di ghiaccio avevo detto la coinquilina era una donna ma obbiettivamente non sapevo nulla né avevo voluto indagare dato che quelle due aspettavano una qualsiasi pecca nel piano per farmi restare a casa ma fin’ora non c’era stato nulla a loro favore, avermi fatto crescere così perfettina aveva avuto i suoi vantaggi.
Tra poche ore avrei avuto il volo, volo che mi avrebbe portato lontano da qui, il mio primo volo in aereo. Emozionata? Di più.
“Dafne hai preso tutti i libri che ti servono? Non vorrei che li lasci qui e pensi di stare andando in vacanza” mia mamma prontamente distrugge il mio momento di estasi, torturandomi con i soliti discorsi. E’ una donnetta bassa, piatta come una tavola, sempre in tailleur e con i capelli neri legati sempre in un austero chignon,mi guarda con freddezza e incrocia le braccia al petto
“Ho preso tutto, non sto andando in vacanza, sto andando fuori per studiare” ribatto mentre metto la giacca.
“La tua carta di credito verrà ricaricata ogni tot con i soldi concordati ogni mese spero fino ad allora saprei farteli bastare ma in caso dimmelo subito, non voglio mia figlia sembri una morta di fame. Ma se non avrai risultati taglio i fondi e dovrai provvedere da sola a tutto, non ho interesse  a mantenere un fallimento, mi piacciono solo i buoni investimenti!” crudele, come al solito.
“Lo so, non c’è bisogno che dici sempre le stesse cose, lo so maledizione!” il mio tono diventa tagliente come un coltello.
“Modera i toni ragazzina, chi ti credi di essere?” ed ecco che interviene la copia di mia madre solo più alta, la zia.
“Nessuno” borbotto guardando per terra, sempre due contro una, così funzionano con loro.
“Comunque questo è per te, dicono che a New York ce lo hanno tutti, fanne buon uso” mia madre mi passa uno scatolo, fisso perplessa prima il pacco e poi lei, un regalo? A me? Di solito ero abituata a ricevere regali solo dopo un ottimo voto, come premio e uno al mio compleanno, a Natale solo se il quadrimestre si chiudeva bene sennò nulla, ora io non avevo fatto nulla.
“Forza aprilo” mi sprona lei scocciata.
Scarto il regalo e dentro c’è un tablet, moderno, con mille funzionalità.
“Bellissimo, grazie!” utile, leggero, perfetto per portarlo in giro, lo guardo allibita, poi do due baci composti in guancia a mia zia e a mia mamma.
“Fanne buon uso e non stare a giocare” dice la zia.
“Si” fine degli entusiasmi, è il caso che io vada.
 
Arrivate all’aereoporto, dopo avere spedito gran parte dei pacchi, restano solo due trolley da imbarcare e un piccolo bagaglio a mano da salire con me.
Mia mamma è tesa come una corda di violino, non si è mai separata da me per più di due giorni ed erano stati casi rarissimi. Forse, chi può dirlo, le mancherò.
Prima saluto mia zia così che possa essere breve e coinciso, poi passo a mia mamma e nonostante sia stata la causa di molti miei dolori la abbraccio e nascondo il viso nel suo collo come facevo quando ero piccola, molto piccola.
La sento deglutire e poi mi passa una mano frettolosa nei capelli, mi sussurra piano “Stai attenta Dafni”.
Non mi chiamava Dafni da quando avevo cinque anni, prima era il suo abbreviativo tenero, il suo modo di richiamarmi o di dimostrarmi affetto, sentirglielo dire ora me la fa sentire un po’ più vicina, mi si inumidiscono gli occhi, alla fine tutto quello che ho fatto fin’ora era per essere amata da lei, per sentirmi apprezzata, per sentirmi ancora chiamata così. Mi stacco e la guardo, lei deve notare i miei occhi umidi e le si appannano anche a lei ma non dice nulla e si trattiene.
“Stai attenta anche tu” le rispondo con un tono tremulo e piano, le stringo una mano delicatamente e mi volto diretta al volo, verso una nuova vita.
In aereo tesa come una corda di violino  mi siedo, il pensiero che tra poco mi solleverò in cielo mi fa ingarbugliare lo stomaco e sommato al fatto che da domani starò sola sento un senso di nausea impossessarsi di me, ma mi trattengo e poggio la testa sul finestrino freddo.
Scorgo il mio riflesso, il mio colorito di solito pallido ora è quasi cadaverico, i miei occhi verdi con sfumature castane sono sgranati e i miei capelli color caramello sono legati in una morbida treccia, poi chiudo gli occhi perché la nausea non accenna a farsi da parte.
Quando l’aereo decolla rischio di vomitare a spruzzo sul sedile di fronte a me, accanto a me c’è un uomo che ride solo da un po’, mi allunga una bottiglia con un liquido trasparente e lo versa in un bicchiere offerto dalla compagnia, pensando sia acqua lo bevo e mi brucia tutta la gola.
“Che roba è?” chiedo facendo una smorfia disgustata.
“Vodkaaaa!” mi urla felice, poi ride e infine si addormenta.
“Merda” non avendo mai preso alcolici , la mia reazione è prevedibile incomincio a ridere sola e poi mi addormento anche io. Inizio trionfale… davvero.
 
Mi sento scuotere per una spalla, mi gira la testa.
“Miss? Miss? Mi sente?” una voce delicata ma che non conosco mi parla vicino all’orecchio, con fatica apro gli occhi e mi guardo intorno, vedendo di fronte a me una donna con un cappellino azzurro e una divisa  sgrano gli occhi e mi guardo intorno.
L’aereo è vuoto, deserto… che cavolo è successo? Poi mi ricordo dello stress che avevo e dell’uomo che mi aveva offerto quell’alcolcolico, brava Aloe, nessuno ti ha mai detto che non si accettano cose dagli sconosciuti?
“Si? Mi dica? Siamo arrivati?” biascico.
“Si, la chiamo da circa dieci minuti, la pregherei di scendere per favore” mi chiede cordiale.
“Mi scusi” mi alzo e barcollando mi dirigo all’uscita, una volta recuperati tutti i bagagli tiro fuori dalla borsa la cartina e incomincio a studiarla, alla fine opto per un taxi ci manca solo che in questo stato vado in metro.
Salita in taxi do il nome della via e mi accoccolo vicino al finestrino per imprimere nella mia mente ogni dettaglio più piccolo di questo nuovo posto.
New York è piena di palazzi, il verde è quasi inesistente, c’è molta vita, gente che esce e entra come un fiume agli ingressi della metropolitana.
Il quartiere dove c’è il mio condominio si trova un po’ fuori mano ma ha un ingresso della metro a un passo quindi non è un problema, o così almeno la proprietaria della casa mi ha detto.
Arrivo davanti alla mia nuova casa con 5 minuti di ritardo, per me deplorevole ma tutto sommato un miracolo dato che mi stavano dando per morta su quell’aereo. Una signora tarchiata vestita di rosa mi sta aspettando all’ingresso, intuisco che aspetta me perché appena vede che sto scendendo le valige si sbraccia e mi corre incontro.
“Benvenuta Miss Morris, io sono Eliza Bloom ma puoi chiamarmi Eliza, è andato bene il viaggio?” mi prende una valigia e zampetta via verso l’ingresso, io mi limito a rincorrerla.
“La prego mi chiami Aloe, scusi per il ritardo ma durante il volo mi sono addormentata e non riuscivo proprio a svegliarmi” dico mortificata.
“Ritardo cara? Si vede che sei una signorina per bene! Comunque la casa è al terzo piano, ovvero l’ultimo, il condominio apparteneva a mia madre ma l’ho ereditato io, oltre la vostra casa ci sono nell’immobile tre famiglia, una signora anziana e un cinese. Il tuo coinquilino è un bravo ragazzo, a suo modo, spero saprete metterlo in riga” blatera all’infinito anche mentre siamo in ascensore, io allo specchio mi do una sistemata non voglio presentarmi come una barbona o una donna trasandata. Quindi sono in casa con un uomo, spero non si riveli imbarazzante, non do segni di provare disagio e rispondo al fiume di parole di Miss Bloom con cenni di assenso.
Arrivate al mio piano lei rimane in ascensore, mi da il suo bigliettino da visita, mi saluta pimpante e se ne va.
Mi fermo davanti la porta di quella che dovrebbe essere casa mia e deglutisco, nella mia mente mi limito solo a sperare che vada tutto bene e che la convivenza non sarà un supplizio, prendo coraggio e suono il campanello.
Dalla casa sento rumore di un vetro rotto, poi uno strillo di donna, borbottii concitati e varie imprecazioni di cui sconoscevo l’esistenza e infine la porta si apre.
La gola mi si secca totalmente e punto gli occhi con accuratezza nello stipite della porta, mio dio!
Il ragazzo che mi ha aperto la porta è a petto nudo con una tovaglia messa a vita bassa che a stento copre quello che dovrebbe coprire, ha i capelli biondi e bagnati, i pettorali tutti umidi e mi guarda sorpreso.
“Tu sei?” chiede scocciato.
“La nuova coinquilina” dico dubbiosa cercando di guardarlo in faccia per educazione senza fare vagare lo sguardo altrove.
“Cazzo troia, era oggi? Merda si, entra” tre parolacce in un secondo, record!
“Emh… si, grazie” entro a capo chino e mi metto in quello che sembra l’ingresso.
“Aspetta qui” dice e senza aspettare una risposta scompare, si chiude nella sua stanza e sento altre risatine, rumori strani.
Compare dopo 5 minuti, in cui sono diventata rigida come un legno, si è vestito, sembra. Indossa dei pantaloni da tuta blu a vita bassa e una tshirt sporca di colore che aderisce perfettamente sui pettorali.
“Allora, ragazze ci sentiamo” dice rivolto all’interno della sua stanza, io sono rigida di lato alla porta dell’ingresso, ragazze?
“Si Jas, ciao!” dice una donna orientale uscendo dalla stanza, lui le da uno schiaffo sul sedere, questa mi passa vicina e se ne va.
“Ok, ciao dolcezza” una donna di colore segue l’altra, lui le da nuovamente lo schiaffetto e quella va via anche.
“Bye honey” una biondona tettona gli tocca la patta dei pantaloni, lui le da una patta sul sedere e anche lei mi passa accanto tirandosi dietro la porta.
Io per quanto di ghiaccio non riesco a nascondere il mio sguardo sconvolto, non si può dire che fosse razzista aveva almeno tre etnie diverse dentro quella stanza, noto che mi sta osservando perplesso.
“Tre?” chiedo senza pensare, lui mi fissa e dopo si apre  in un grande sorriso.
“Capita, comunque quella è la tua stanza” dice dirigendosi verso una stanza poco lontana dalla sua, in fondo al corridoio, apre la porta e io mi affaccio la testa per vedere dove sono finita.
Accendo la luce e uno scarafaggio mi passa accanto alla mano che avevo posato sull’interruttore mi scappa uno strillo e salto indietro fissando la stanza e in lontananza vedo altri due che scappano in punti nascosti ed inizio a urlare isterica.
“ODIO GLI SCARAFAGGI, LI ODIO. PERCHE’ QUESTA STANZA E’ UN IMMONDIZZAIO?” fisso l’interno di quella che dovrebbe essere la mia stanza ma che ricorda molto di più una piccola discarica privata, a gli angoli ci sono cibi lasciati lì a marcire, oggetti rotti e bottiglie di alcolici vuote e, aguzzando lo sguardo, noto un preservativo.
Mi volto con un’aggressività che non avevo mai rivolto verso nessuno, fisso il mio coinquilino che sta guardando con una fasulla concentrazione la polvere poggiata sul mobile del corridoio.
“Tu. Dimmi. Subito. Perché. La. Mia. Stanza. Fa. Così. Schifo!” gli ordino sibilando e puntandogli l’indice al petto.
Lui alza mollemente lo sguardo dal mobile, si stiracchia e mi fissa annoiato “Mica sono la signora delle pulizie” e si dirige verso una stanza che ancora non ho visto, lì per lì rimango basita, mi ha davvero risposto così?
“Forse non capisci. Dimmi perché la mia stanza ha PALESI tracce della tua presenza!” indico il preservativo ma lui è già andato via e non si volta.
“Il mangiare non ce l’ho messo io, è dei vecchi proprietari e il preservativo invece… non saprei, forse anche quello è dei vecchi proprietari” risponde dall’altra stanza, mi si accappona la pelle al pensiero dei microbi, della muffa e dell’orrore che c’è in quella stanza. Prendo un fazzolettino dalla borsa che stringo convulsamente tra le mani e chiudo la porta della “mia stanza” rabbrividendo. Poi raggiungo a passo di marcia la stanza da cui mi rispondeva il signorino e mi ritrovo in una cucina, forse, dato che ogni mobile è ricoperto di cartacce, rifiuti e piatti sporchi, lui è seduto su una sedia che mangia dei resti di patatine fritte, di mattina! Sono sconvolta, lo fisso disgustata e sgrano gli occhi.
“E’ tutto lurido qui… tutto sporco, schifoso, disordinato. TU! Sei la disgrazia di questa casa, perché non pulisci?” mai nella mia vita mi ero sentita così arrabbiata, volevo prenderlo e lavare i piatti con i suoi bei capelli biondi.
“Ma che vuoi? Sei appena arrivata e già rompi, che noia! La casa, tranne la tua stanza, vengono pulite una volta al mese da una mia conoscenza” dice guardando deluso il pacchetto di patatine che sembra avere finito le sue risorse.
“Tua conoscenza? Non la manda Eliza?”
“Eliza è avara ci farebbe aumentare l’affitto di un sacco, viene una mia amica, una ragazza casa e chiesa che mi porto a letto una volta al mese e lei siccome non vuole farlo nella sporcizia pulisce tutto e poi me la scopo” diretto, lascivo e … opportunista.
“Io sono… senza parole. Tu usi una povera ragazza sia sessualmente che come donna delle pulizie? e lei te lo permette?” allibita, se potessero gli occhi mi cadrebbero dalle orbite.
“Ehi! Non trattarmi come un maniaco sessuale è quella che facendo tutto il tempo la santarellina a un certo punto mi chiama assatanata, io la aiuto a sfogarsi, non sia mai che io rifiuti una signora che mi chiede aiuto” dicendo ciò mi guarda poi languidamente, il mio sopracciglio si inarca fino a quando non ho la sensazione che sia sparito.
“Ok ok, basta, buon per voi, non voglio sapere altro. Ora, la cosa è una e non ci sono alternative. Resta a casa, io sto uscendo! C’è un supermarket qui vicino? Torno subito, hai soldi? Così anticipo io e poi me li restituisci” mi trasformo nel sergente di ferro frutto della mia rigida educazione, tono pragmatico, spicciolo e autoritario.
“Come vuoi, basta che poi la smetti di rompermi le palle” alza le spalle e butta il pacchetto di patatine vuoto per terra, cos’è questo soggetto? Un povero maiale sarebbe più pulito e forse la convivenza non mi sembrerebbe così abominevole.
“Così sia. Solo un’ultima curiosità, anzi due!” dico ricordandomi improvvisamente, lui alza gli occhi al cielo ma si limita a stare in silenzio.
“Uno, a quando risalgono gli ultimi coinquilini che sono stati nella mia camera?” so che sarà in qualche modo rilevante la risposta.
“4 mesi…” sbuffa annoiato e io lo ignoro, sono sbigottita, quella stanza è un porcaio da mesi, se anche respiro la dentro mi prendo qualche malattia gravissima, chiudo gli occhi e respiro profondamente, calma Aloe, Calma.
“Seconda domanda, come ti chiami?” sorrido timidamente, ero così presa dal volerlo uccidere, cosa che vorrei fare tutt’ora che ho saltato la parte in cui mi presentavo, educatamente.
“Jason, ma puoi chiamarmi Jas” dice e sta volta mi sorride divertito, probabilmente anche per lui presentarsi ora è abbastanza assurdo.
“Io sono Dafne, ma puoi chiamarmi Aloe”
“Che cazzo c’entra?” un signore, davvero.
“Lunga storia, ma preferirei mi chiamassi Aloe” la chiudo lì, non mi va di farmi psicanalizzare da uno che non rispetta neanche il luogo in cui vive.
“Cosa studi?” sembra curioso.
“Giurisprudenza,tu?” lo scruto non sapendo cosa aspettarmi.
“Oh oh, abbiamo un avvocato qui! Io studio all’accademia di belle arti, sono un’artista” fischia quando sente la professione a cui ambisco. Eccoci qui, l’artista e l’avvocato che vuole fare l’artista. Gli scherzi del destino.

 
Angolo dell'autrice:
Ciao a tutte, ho deciso di pubblicare solo per questa settimana un capitolo in più solo per presentare anche il nostro protagonista maschile, spero il capitolo vi piacerà.
Vorrei premettere che ho stabilito che Aloe si trasferisce da Boston a New York ma non darò mai informazioni dettagliate riguardo determinati luoghi o altro perchè conosco poco e niente di New York e tantomeno di Boston. Mi manterrò sul vago e alcune cose le inventerò direttamente per facilitarmi le cose. XD
Finalmente Aloe sta lasciando casa, riuscirà a sopravvivere a questo tsunami di immondizia che è il suo coinquilino? Secondo me saprà metterlo in riga ma chissà ;)
Grazie a chi leggerà e lascerà una traccia del suo passaggio e a chi leggerà silenziosamente.
Alla prossima settimana,
LittleSun

 
  
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