Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: lili1741    13/06/2008    0 recensioni
"Volevo sapere quale anima era quella che aveva il privilegio di celarsi dietro a un aspetto così sublime." 1683. Eugenio di Savoia conosce il bellissimo principe di Montpensier, detto "la poupée", la bambola. Ma anche chi sembra un angelo può causare enormi sofferenze... Leggete e recensite, mi farebbe molto piacere!
Genere: Romantico, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Domenica parto per una settimana, quindi ci aggiorneremo tra un po':(

Ad ogni buon conto sono ben lieta che due scrittrici brave come Dicembre e Xibalba mi seguano e mi recensiscano. Grazie di tutto cuore!

Per Xibalba: grazie mille per l'appoggio costante e ricordati che devi dirmi a chi somiglia il mio stile quando ti viene in mente perché sono curiosissima! Del fratello in effetti non si parlava prima, ma anche lui, da morto, avrà il suo ruolo in seguito.

Per Dicembre: Sono contenta che ti sia piaciuta la cosa dei peccati! In effetti non è molto originale perché anche Dante li mette in quest'ordine ed Eugène che è un prete colto lo sa, ma il significato profondo della cosa è proprio quello che hai detto tu. Complimenti!

Grazie infine ad Aily che mi ha aggiunto agli scrittori preferiti (cavolicchio!) e a coloro che leggono questa storia.

Bevevo. Ma non giocavo più. Non andavo più alle feste. Non rispondevo alle lettere di Armand, Dancourt e degli altri amici. Se anche il Re in persona mi avesse scritto, preoccupandosi dei cadetti delle famiglie in disgrazia ancora in vita e dimostrando così di essere un uomo migliore dell’imperatore Leopoldo d’Asburgo, la sua lettera sarebbe finita a bruciare nel caminetto come tutte le altre.

Nulla mi interessava più, tranne bere fino a stordirmi per non sentire l’infelicità che prendeva possesso del mio animo. Non mi curavo del sapore di ciò che bevevo come avevo sempre fatto, non prediligevo più il vino rosso, dolce e di qualità: l’importante era che la bevanda fosse forte ed agisse in fretta. Spesso mi sentivo male per questa mia condotta sregolata e distruttiva, e vomitavo e svenivo agli angoli delle stanze del palazzo ma nessuno dei miei parenti, anch’essi logorati dal dolore per quel lutto, si curava di me. Ed a volte, lo confesso, al ricordo della morte di Louis-Julius si mescolava quello dell’abbandono del principe di Montpensier.

Una mattina mi svegliai di soprassalto dopo un incubo ed in fretta mi alzai e mi vestii, preoccupato di rivedere quelle immagini mostruose se mi fossi addormentato di nuovo.

Mi sedetti su di una poltrona della mia camera che era rivolta verso la finestra. Pioveva a dirotto e l'alba era grigia e malinconica. Avevo forti dolori alla testa dovuti all'ubriacatura del giorno precedente, che mi impedirono di ricominciare a bere subito di prima mattina.

Fui costretto a rimanere lucido e a pensare alla mia vita. La stanchezza e l'indifferenza di tutti nei miei confronti mi avevano reso emaciato, scontroso e tendente a pensare di essere vittima di persecuzioni. Sono più brutto che mai, pensai. Ho le occhiaia, gli occhi rossi, le guance scavate. Ma non ha più alcuna importanza. Nulla più la ha.

Fui risvegliato da questi pensieri dalla vista di una figura su di un cavallo baio che sfidava la pioggia cavalcando fin dentro al nostro cortile. La curiosità sull'identità di quella figura fu in me presto soffocata dall'indifferenza. Chiunque essa fosse, non era affar mio. Nessuno poteva voler cercare me, se non per darmi qualche brutta notizia, quindi non avrei mosso un dito per accogliere il visitatore.

Mi rituffai nei miei pensieri meschini, quando qualcuno bussò alla porta della mia camera .

"Non voglio vedere nessuno!" gridai, stizzito. La mia voce rauca sembrava un rantolo, ma il mio interlocutore sembrò aver capito perché per qualche istante non diede più segni di vita.

Dopodiché si sentirono nuovi colpi alla mia porta.

"No, ho detto!" ripetei, questa volta con voce ancora più flebile.

"Eugène, t'imploro..."

Fu come una secchiata d'acqua gelida in pieno viso. Quella voce dolce e virile allo stesso tempo non poteva che appartenere ad una sola persona.

Dio mio, sarà bagnato fradicio, dopo aver fatto un viaggio così lungo sotto questa pioggia! Fu la prima cosa che pensai, ritrovando una tenerezza che pensavo fosse perduta per sempre.

"Entrate, Honoré." dissi, mentre mi avvicinavo alla porta per aprirgli di persona.

La porta si aprì e nella mia stanza entrò una figura avvolta in un mantello zuppo di pioggia e di fango, che subito si sfilò. Sotto di esso apparve Honoré, con i capelli scarmigliati e bagnati ed un'espressione disperata sul volto eburneo.

"Siete tutto bagnato." gli dissi con voce acida. Il ricordo del suo comportamento crudele era tornato tutto d'un colpo nella mia mente, sebbene temperato dalla compassione che mi suscitava il suo corpo bellissimo scosso dai tremiti di freddo. "Tenete questi panni e asciugatevi un po' i capelli. Poi penserò a dei vestiti da darvi: mio fratello Philibert è alto pressapoco come voi, ma è meno esile. I suoi vestiti dovrebbero andarvi."

"Grazie..." sussurrò spossato, fissandomi per qualche istante con sguardo contrito.

"Allora, a cosa devo l'onore, signor Principe?" sibilai. Aveva un bel coraggio a ripresentarsi da me dopo avermi fatto soffrire le pene dell'Inferno, ma non potevo nascondere a me stesso che la sua presenza mi ridava speranza ed una pur tenue voglia di tornare a vivere degnamente.

"Perdonatemi" disse in lacrime, dopo aver scorto al mio braccio la fascia nera del lutto. "Voi avete subito una perdita ed io vengo a torturarvi con le mie sciocchezze... State bene, Eugène? Il vostro aspetto è così malandato!"

Fui felice che qualcuno finalmente s'interessasse a me e notasse il degrado in cui versavo. Fui felice che qualcuno fosse disposto ad ascoltare il mio dolore ed a lasciarmi esprimere il senso di inutilità che sentivo nella mia vita.

"No, non sto bene. Mio fratello è morto e voi mi avete ingannato vergognosamente. Non è rimasto nessuno che mi abbia a cuore e per cui la mia vita valga qualcosa."

"Mio Dio, mio Dio, perdonatemi!" mi implorò Montpensier, mentre due lacrime scendevano lungo le sue guance già bagnate di pioggia. Cercò di abbracciarmi ed in un primo tempo opposi resistenza, ma poi mi abbandonai a quella stretta, felice di avere una presenza al mio fianco dopo tanti giorni di reclusione volontaria e commosso dall'affetto che dimostrava di avere ancora per me.

"Io vi devo dire tutto." singhiozzò, mentre le sue lacrime calde cadevano sempre più copiose sulle mie spalle doloranti. "Io vi ho mentito, dicendovi che la mia era una famiglia ricca. Non volevo che pensaste che io fossi interessato solo ai vostri soldi. Credevo che voi foste ricco e potente: vi avevo visto giocare bellissimi gioielli a baccarat e avevate pranzato allo stesso tavolo del Re."

"Ma io non ho un soldo!" gli dissi.

"Lo so, l'ho scoperto poco dopo la festa a Versailles. E vi confesso che per questo motivo ho pensato che sarebbe stato meglio non rivederci mai più. Sono stato un meschino approfittatore, lo ammetto, ma mio padre è malato e i nostri unici possedimenti sono vittime di una carestia. Avremmo bisogno di qualcuno che ci aiuti ed avevo scoperto che voi non avreste potuto farlo. Ma poi ho capito che non ce la facevo ad evitarvi. Io volevo rivedervi, non importava che foste povero come me. Io vi voglio bene, Eugène. Voi siete stato il mio conforto."

Ormai anche io piangevo, senza neanche saperne il motivo. Credo che quel pianto fosse una somma delle violente emozioni che si erano susseguite nell'ultimo mese. Un pianto di dolore, di solitudine, di stanchezza, di gioia.

"Siete venuto qui per dirmi questo?" gli chiesi con voce scossa dai singhiozzi ed un sorriso appena accennato.

"Non solo per questo, ma ormai non ha più importanza. Avete ben altro a cui pensare ora, non avrei dovuto disturbarvi. Spero che un giorno saprete perdonarmi, pensando che io vi voglio bene. Ma vi capirei se ciò non accadesse, visto che anch'io ho difficoltà a perdonarmi."

Mi guardò per qualche altro istante, come se non si sapesse decidere ad andarsene.

" Addio, Eugéne!" disse poi, riprendendo il mantello fradicio e muovendosi verso la porta.

"No, fermatevi!" gli ingiunsi. Un sentimento dolce e magnifico era sorto dentro di me, un sentimento che la mia istruzione religiosa mi aveva insegnato a considerare il più nobile di tutti, ed io lo espressi con tre semplici parole: "Io vi perdono."

Honoré si girò, incredulo e sorridente, asciugandosi le lacrime dal viso.

"Ditemi per cosa siete venuto. Io vi voglio aiutare e vorrei che potessimo tornasse ad essere amici. Solo amici, niente più. Due amici che si aiutano a vicenda."

Il sorriso di Honoré si allargò ancor di più mentre con un cenno gli indicavo di sedersi sulla poltrona accanto alla mia. Sembrava un bambino che avesse ritrovato il giocattolo preferito che credeva di aver perduto per sempre. Con un'aria sollevata sul volto si sedette morbidamente, mentre delle sue lacrime non rimanevano che i solchi lungo le guance.

"Ditemelo. Potervi aiutare sarà la mia ragione di vita, dato che non ne ho altre." gli ripetei lentamente e a bassa voce, felice di quella conversazione così intima ed illecita proprio all'interno del mio palazzo, come se fossi finalmente riuscito a scavarmi una nicchia di calore e gioia all'interno delle sue mura fredde.

"Io non so quanto sia il caso..." disse rosso in volto, anche lui quasi sussurrando.

"Ve ne prego. Avete detto che sono stato il vostro sostegno: vorrei esserlo ancora, e non vi chiedo nulla in cambio se non che non mi evitiate più."

"Se voi riuscirete ad aiutarmi dimostrerete che io non valgo un vostro mignolo. Io vi sarò obbligato per tutta la vita, Eugène. Sarei il servo più felice della terra."

Passai una mano intorno alle sue spalle, ed Honoré appoggiò la sua testa sul mio petto, bagnandomi con i suoi riccioli neri. Mi sembrò davvero un bambino, una creatura più fragile e bisognosa di me, ed io me ne sarei preso cura.

"Ero a Versailles l'altro ieri, e si teneva una festicciola per i membri della Corte, come se ne tengono due o tre volte alla settimana. La Principessa Palatina propose di giocare al gioco dei pegni ed io mi ritrovai coinvolto mio malgrado." mi rivelò d'un fiato. "Sapete come funziona, no? Ogni partecipante dà in pegno qualcosa e lo può riprendere solo se risponde ad un indovinello fattogli da un altro partecipante. Ve la faccio breve, Eugène. Ho dovuto dare in pegno questa collana di smeraldi che appartiene a mia madre."

Honoré tirò fuori da un involto una collana splendida ed antica, bella come neanche nessuna delle collane di mia madre era.

"Ma è qualcosa di incredibile..." mi stupii.

"Mia madre è una Farnese, italiana come voi. Questa collana fu donata ad una sua antenata da papa Borgia."

"Ma se l'avete ancora voi vuol dire che avete risolto l'indovinello!" obiettai.

"Magari fosse così... Semplicemente alla festa non c'è stato il tempo di finire il gioco, ma oggi si terrà un'altra festa e la Principessa Palatina mi farà il suo indovinello, ed io non lo indovinerò mai. Non avrei mai dovuto dare in pegno questa collana, ma a Corte non sempre si può fare quello che si vuole. Bisogna dimostrare di poter spendere ed elargire anche quando in realtà non si può." rispose, affondando tristemente il suo viso nel mio petto.

Mi abbracciò anche lui e la sua mano si sistemò sul mio collo, ormai riscaldatasi al fuoco del mio caminetto. La collana con i suoi scintillii d'un verde intenso stava a metà tra le sue gambe e le mie, ed i suoi bagliori si riflettevano sui nostri visi a seconda di come le fiamme del caminetto guizzassero, cullandoci.

"Io sono bravo con gli indovinelli." lo confortai, anticipando la sua richiesta di soccorso. "Se la Principessa lo permetterà, giocherò al posto vostro."

"Grazie..." sussurrò, stringendomi ancora di più a sé, ma con dolcezza. "Il duca d'Orléans dice che siete molto intelligente e che non vi ha mai visto perdere al gioco dei pegni. Ma ancora non mi capacito del fatto che mi aiuterete. Vostro fratello è appena morto e voi pensate a me..."

"Io soffro molto per la perdita subita." ammisi. "Ed è per questo che non voglio che voi ne subiate una, Honoré. E se poi dovessi farcela e voi foste davvero per sempre legato a me, allora questo mi basterà per vivere felice."

Quella mattina uscii dal palazzo per la prima volta dalla morte di mio fratello. Io ed Honoré salimmo insieme sulla mia carrozza, dopo che io gli ebbi dato nuovi vestiti asciutti. Insieme. Insieme... era l'unica cosa che contava. Non ero solo, e non lo era lui, né più lo sarebbe stato.

Mi prenderò io cura della mia bambolina, pensai con un affetto quasi paterno nei suoi confronti, mentre lo guardavo sulla carrozza ricambiare il mio sguardo con dedizione, come se in quei giorni di lutto non fossi diventato più brutto ma anzi più avvenente.

Ed ogni tanto, mentre mi guardava, dalle sue labbra cremisi usciva meccanicamente come una filastrocca infantile una parola sussurrata: "Grazie... grazie... grazie..."

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

This Web Page Created with PageBreeze Free HTML Editor

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: lili1741