INCUBO
Sotto
le mie palpebre chiuse iniziavano a delinearsi
ombre, immagini, oggetti, urla, colori, figure che non riuscivo a
decifrare.
Parole frammentarie, come codificate, erano un sussurro sconnesso che
mi
rimbombava nelle orecchie, urla e pianti. Un odore acre, forte e
pungente
solleticava le mie narici, soffocandomi, mentre nell’ombra si
delineava una
figura massiccia.
Riuscivo
a sentire il peso sul mio corpo, la morsa che
mi gettava nel panico e nel terrore, il suo tocco. Lo rividi, imponente
e
crudele, folle di rabbia e crudeltà. Le sue mani
accarezzavano lascive la mia
pelle, stringendomi avidamente, viscido, come una serpe. Le ferite
tornavano ad
aprirsi, a dolere e a distruggermi.
La
sua voce era un sussurro che bisbigliava crudeli
sussurri, minacciandomi. Mi voleva, mi desiderava, ma non
c’era nessun
sentimento, nel suo duro abbraccio di pietra. Solo la
crudeltà nel dell’avermi per
puro sfizio, distruggendo la mia volontà, sfruttandomi come
un oggetto.
Le
sue mani, indugiavano su di me, accarezzandomi
lascive, fredde, come il metallo, ferendomi e violandomi. Cercavo di
divincolarmi, fuggire da quel contatto disgustoso, ma i suoi occhi di
ghiaccio
erano fissi su di me, inchiodandomi a terra.
Iniziai
ad urlare e pregare che qualcuno mi aiutasse.
“ANNABETH!!!”
Spalancai
gli occhi. Percy era seduto sul bordo del
divano letto, con lo sguardo colmo di preoccupazione. Una mano era
appoggiata
al bracciolo, ma l’altra mi accarezzava dolcemente la spalla.
Indossava
pantaloni e maglietta del pigiama.
“P-Percy…”
sussurrai, respirando affannosamente per
l’incubo appena avuto. So che potrebbe sembrare folle, ma
avevo la sensazione
che il mostro che avevo sognato fosse reale.
“Stavi
urlando nel sonno… sembravi impazzita, che
succede?” Domandò, fisso su di me.
La
sua voce era calma e gentile. Era bello e il suo
corpo era accogliente, troppo perché potessi resistere alla
tentazione. Mi
avvicinai a lui e mi avvinghia, abbracciandolo forte, ma senza fargli
male. Lo
sentii irrigidirsi per un attimo, ma poi mi strinse a se, cullandomi in
una
stretta dolce e rasserenante. Sentii il groppo che avevo alla gola
sciogliersi
e non riuscii a trattenere le lacrime.
“Ehi…
va tutto bene… cos’hai sognato?” Chiese
premuroso, asciugandomi le gocce salate che mi puntellavano il viso
senza
staccarsi.
Il
mio cuore iniziò a rallentare e io presi qualche
minuto per godere di quel contatto così intimo. Ero felice
che mi fosse
accanto, in quel momento, perché non ero sicura che sarei
riuscita a resistere
ad un altro incubo.
Lui
non ebbe fretta e non si staccò da me, dandomi il
tempo di riprendermi. Quando mi sentii pronta gli raccontai tutto. Non
riuscivo
a trattenere le parole e dissi tutto nei minimi dettagli: il terrore
che mi
attanagliava, la sensazione soffocante di essere in trappola e i miei
timori
che il ragazzo con la cicatrice (Così lo chiamai,
perché non avevo nomi da
associare a lui) fosse reale e che mi stesse cercando.
Lui
rimase in silenzio, ascoltandomi. Non disse nulla,
ma il suo sguardo indugiò su di me. Non mi stava guardando
come una pazza, ma
con una strana luce negli occhi, come se avesse percepito qualcosa che,
però,
faticava ad capirla.
Alla
fine sospirò e mi parò dolcemente: “Non
so cosa
sia successo, Annie… ma credimi, nessuno che conosco ha
queste caratteristiche…
forse è un ricordo di un tuo momento passato. Sai calma, qui
nessuno ti farà
del male.”
“Sì…
d’accordo.” Sussurrai, riprendendo il controllo.
Non mi preoccupava il fatto che lui mi potesse considerare una bambina,
mi
premeva solo che quell’incubo mi lasciasse in pace.
“Solo che ho paura… ogni
notte sempre la stessa storia. Ormai ho paura di chiudere gli
occhi.”
Fu
allora che lui fece qualcosa che mi colse
assolutamente alla sprovvista: si sporse verso di me e mi dette un
bacio sulla
guancia. Non era nulla di particolare, ma il contatto delle sue labbra
sulla
mia pelle, fece saltare un battito al mio cuore e mi rilassai subito.
“Vuoi
che rimanga con te?”
Il
mio cuore perse un battito. Incapace a parlare,
potei soltanto annuire.
Percy si sistemò accanto a me, sdraiandosi in modo che non
occupasse troppo
spazio. Una fortuna che il divano fosse abbastanza largo. Io,
però, non
riuscivo a stargli lontana. Mi accoccolai a lui, stringendolo,
ascoltando il
dolce battito del suo cuore.
Lui
mi cinse con le sue forti braccia, in un abbraccio
protettivo, come se volesse difendermi dai brutti sogni che mi
perseguitavano.
Ero così vicina che quasi ogni parte dei nostri corpi era a
contatto. Lui era
caldo e solido: una roccia a cui aggrapparmi, per non essere trascinata
via
dalla tempesta nera che mi vorticava intorno.
Il
battito del suo cuore, ebbe lo stesso effetto di un
sonnifero, una ninnananna rilassante che mi fece abbassare le palpebre,
ma io
non volli arrendermi. Volevo godermi quel calore, la sensazione di
vicinanza e
affetto che quell’abbraccio mi trasmetteva.
Nonostante i miei sforzi, la resistenza venne meno e morfeo mi
richiamò nel suo
mondo, questa volta, calmo e senza incubi.
La
mattina arrivò in un attimo, solleticandomi gli
occhi con la sua luce dorata. Sentivo nitidamente le braccia di Percy
che mi
tenevano dolcemente legata a lui, e io mi lasciai cullare da quella
sensazione,
ammirando i perfetti lineamenti del suo viso e i riflessi scuri che gli
illuminavano i capelli come una piccola aureola.
Non
volevo staccarmi: era troppo bella quella
situazione. Lui dormiva beato, accanto a me, il suo calore mi teneva
calda e
lui era comodo. Mi sentivo lo stomaco pieno di farfalle che
solleticavano le
pareti, come se fossero ad un concerto rock.
Quando
si svegliò, i suoi luminosi occhi verdi
indugiarono su di me e mi dette un dolce bacio sulla fronte.
“Buongiorno…
altri incubi?” Chiese, sorridendo.
Scossi
la testa, sentendomi dannatamente leggera e
desiderosa che lui rimanesse vicino a me.
“Non
questa notte… grazie a te.” Sussurrai,
accoccolandomi a lui. Perché doveva comportarsi da idiota,
certe volte? Quando
era gentile era fantastico, un sogno. Avrei voluto che lo fosse sempre,
come in
quel momento.
Per
alcuni minuti rimanemmo abbracciati, ma dopo un
attimo lui si staccò.
“Per
quanto mi piacerebbe rimanere… dovremmo alzarci,
ti lascio il bagno libero per prima, così mi posso fare una
doccia.” Propose,
allontanandosi un attimo.
“Hai
ragione… vado.” Nonostante il desiderio del mio
corpo di rimanere accanto a lui, decisi di impormi un contegno e mi
alzai. Una
fortuna che indossassi un pigiama che Rachel mi aveva prestato.
Era
passata una settimana da quando mi ero risvegliata
lì, senza memoria, mezza nuda, in quella casa di uno
sconosciuto che ormai lo
consideravo ben più di un amico. Era gentile e disponibile.
Inoltre sapeva come
tirarmi su quando ero giù. Ogni tanto continuava a
dimenticarsi della mia
presenza, finendo per farmi fare figure imbarazzanti e diventava
irritabile, ma
mi stavo abituando a vivere insieme a lui.
In
quel periodo mi ero vista spesso con Rachel, Nico e
Talia. La rossa mi portava sempre a visitare qualche centro
commerciale, o
andammo insieme al cinema a vedere un film. Spesso ci vedevamo con
Grover,
coinvolgendomi nelle loro raccolte di firme il che mi teneva la mente
impegnata. Era una ragazza molto simpatica ed energica. Mi aveva
regalato
persino dei suoi vestiti usati per potermi cambiare.
Nico
lo vedevo relativamente poco, ma un paio di volte
mi invitò a cena a casa sua, consigliandomi qualche film
(Anche se dubitavo dei
suoi gusti cinematografici).
Talia
mi invitò spesso a casa sua che era praticamente
una di quelle perfette case da casa americana con salotto, cucina,
cantina
camere per tutti e bagno spazioso. Praticamente il contrario della casa
di
Percy. Lei mi invitò in camera sua e con il suo portatile
contattava i suoi
amici di facebook e controllava altri siti di persone scomparse per
scoprire
qualcosa su di me. Nonostante non avesse trovato nulla, continuava ad
avere
fiducia e a rassicurarmi. Conobbi anche la band in cui suonava, formata
dai
fratelli Stoll (facevano il basso e la batteria) e Nico che suonava la
pianola.
Ebbi anche una veloce visita di suo fratello Jason e non avrei mai
pensato che
fossero imparentati.
Lui
sembrava il tipico principe azzurro: alto, con il
viso leggermente squadrato, dai
capelli
biondi e gli occhi azzurri elettrici del padre. Aveva il fisico
allenato e un
aria da giovane militare. Talia mi disse che, al contrario di lei, lui
era il
cocco del papà, dato che aveva iniziato a frequentare la
scuola di polizia.
Aveva anche una ragazza: Piper Mclean, figlia di un attore parecchio
famoso. In
pratica era la tipica coppia felice delle favole: lui il principe e lei
la
nobile principessa.
“Sono
diabeticamente mielosi, quei due… mentre invece
Jason è un rompiscatole, quando lei non
c’è.” Borbottò una volta,
mentre li
vedevamo uscire, mano nella mano.
Non
avevo risposto, troppo impegnata ad immaginare me
stessa e Percy nella medesima situazione. Ormai ero certa di essermi
presa una
cotta colossale per lui, ma non capivo se lui ricambiava. Inoltre avevo
il
terribile timore di avere già un ragazzo e, però,
me l’ero dimenticato come
tutto il mio passato. Motivo per cui non volevo dire nulla.
Quel
giorno era domenica ed era il giorno libero di
Percy. Conoscendo le sue abitudini, mi sciacquai in fretta la faccia e
mi lavai
mani e denti (Tutte cose che Talia e Rachel mi avevano passato,
nonostante
protestassi, certe volte). Dopodiché lasciai il bagno libero
per il ragazzo.
Sentii l’acqua scorrere, mentre lui si lavava. Io mi vestii e
mi misi a rifare
il divano letto, ripiegandolo e sedendo mici sopra, facendo il punto
della
situazione. Ricordare quello che avevo fatto il giorno prima mi aiutava
ad
assicurarmi di non aver dimenticato nulla.
All’improvviso, qualcuno suonò al campanello
facendomi sobbalzare.
Scesi
di sotto, all’ingresso ed aprii la porta.
Mi
ritrovai davanti il tipo più strano che avessi mai
visto: era magrissimo e alto poco più di me. I capelli ricci
neri come il
carbone gli ricadevano in ciocche disordinate sul viso e gli occhi
scuri
brillavano stupiti. Aveva l’aria da ‘elfo di babbo
natale’. Appena mi vide
spalancò la bocca, ma subito, la sua espressione, si
tramutò in un sorriso
malizioso.
“Ehi…
pensavo di aver bussato alla porta di Percy
Jackson, ma tu sei uno spettacolo molto migliore.”
Eccone
un altro, di pervertiti, e questo si credeva
pure spiritoso.
“Questa
è casa di Percy… io sono un amica, mi chiamo
Annabeth, tu chi sei? Come mai lo cerchi?” Chiesi, cercando
di ignorare il suo
tono allusivo che mi stava mettendo in imbarazzo.
“Oh…
un amica? Certo…
va bene, fammi entrare, tanto gli devo parlare… e poi non
gli è mai dispiaciuto
avermi intorno.” Assicurò lui, sempre
più allusivo.
Non
avevate idea del rossore che mi colorava. Quel tipo
sembrava fatto a posta per fare il buffone, mi stuzzicava con il solo
sguardo.
Lo lasciai entrare a malavoglia e lui si accomodò sul futon,
seguendomi con lo
sguardo.
“Sono
solo un’amica… amica e basta.” Sbottai,
sistemandomi,
a mia volta, sul divano appena rifatto.
“Oh…
quindi sei libera? Che ne dici di vederci sta’
sera nel ristorante sull’ottava? Fanno una pizza
deliziosa.” Ridacchiò lui, con
gli occhi brillanti, alzando un paio di volte le sopracciglia (Uno
strano modo
di abbordarmi).
“No
grazie.” Borbottai, cercando di ignorarlo.
In
quel momento la porta del bagno si andò e il mio
cervello andò in tilt. Percy era completamente nudo, fatta
eccezione che per un
asciugamani che lo copriva fin poco sopra le ginocchia. Lo teneva
fissato in
vita. La vista della sua pelle lucida, bagnata e brillante per la luce
che si
rifletteva sulle gocce d’acqua fece esplodere il mio
cervello.
“Leo!
Che ci fai qui!?” Chiese, ignorandomi. Il che mi
permise di ricompormi prima che mi vedesse sbavare.
“Amico!
So che te la passi bene!” Esclamò
l’altro,
ridendo. Sembrava che non gli importasse nulla dello sguardo furibondo
che
Percy gli stava lanciando.
“Abbastanza…
tutto a posto.” Fu la laconica risposta.
“Rachel
mi ha anche detto che hai salvato una turista
demente.” Aggiunse, sempre con quel suo tono allusivo.
Percy
arrossì di vergogna, io per la rabbia. Come si
permetteva quella specie di folletto a chiamarmi demente!?
“La
turista demente sarei io.” Ringhiai, sporgendomi
verso di lui, mostrando quella che sperai essere un espressione
minacciosa.
Eppure
o lui era un bravissimo attore, o non mi era
riuscita tanto bene perché lui ammiccò verso di
me e tornò a concentrarsi su
Percy: “Però, amico… che
culo.”
Sospirammo
entrambi, sconsolati. Decidemmo di far buon
viso a cattivo gioco: io distolsi lo sguardo e Percy tornò
in bagno per potersi
vestire.
“Cosa
vuoi?”
“TI
ricordi che giorno è oggi, vero?”
“Domenica.”
Leo
sbuffò per lo scambio di battute monosillabi che
l’altro gli aveva rivolto: “Non dire stupidaggini!
Oggi è iniziano le
iscrizioni e le qualificazioni per il torneo del Pugno Dorato*!
Potremmo
partecipare! Tu con il tuo karate ed io con il mio Krav Maga**.
Potremmo
vincere!”
“Lo
sai che ho chiuso con quella roba… smettila di
assillarmi!” Sbottò Percy scuotendo il capo. A
quanto pare era qualcosa che lo
metteva in imbarazzo.
“Scusate…
che cos’è questo torneo? E cosa dovrebbe
essere il Krav Maga?” Chiesi, curiosa. Non avevo mai sentito
quelle parole.
“Oh…
il Pugno Dorato è una sorta di… Torneo di lotta
on-line,
parzialmente legale, a cui io
partecipo spesso. Il Krav Maga è uno dei tre stili di
combattimento che Percy
conosce, ance se è specializzato nel Karate. Il Krav Maga
è una disciplina
particolare che pratico anche io… e si basa sulla difesa
personale contro
possibili aggressori.” Spiegò Leo, con un
sorrisetto astuto.
“Sì,
ma io non intendo partecipare… ho sempre da fare
con la palestra… e forse potrei trovare un altro lavoro, tra
un paio di
settimane.” Continuò l’altro, tornando
completamente vestito dal bagno.
Invece
io ero dannatamente curiosa: “Davvero? Non ne ho
mai sentito parlare.. sembra interessante.”
Leo
sembrò divertito e mi si avvicinò accostandosi a
me
come se mi volesse confidare un segreto (Ero convinto di aver visto
lanciargli
un occhiata di fuoco, mentre lo faceva): “Se non hai paura di
essere arrestata,
te lo posso mostrare.”
*Campionato
fittizio, da me creato per questa storia,in
quanto non seguirebbe le regole di un vero torneo. Rimarrà
sullo sfondo, anche
se mi serve per mettere un paio di situazioni.
*Arte
marziale praticata, inizialmente, in Israele, poi
diffusasi come arte marziale di autodifesa che si basa su un uso
offensivo di
varie mosse di altre arti marziali. È considerato uno sport
ufficiale, ma è
poco praticato.
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[Angolo
dell’autore]
Salve
gente, ma quanto sono veloce, incredibilmente,
ad aggiornare? Tantissimo! Questo è niente, in confronto
alle mie altre storie
che dovrei aggiornare, ma non aggiorno mai :P
Invece
su questa, ci sto prendendo gusto :3
E
questo capitolo inizia a farsi interessante,
perché quei due sono dolciosissimi. (Spero, almeno, di
esserci riuscito a farli
così :P )
Quindi
recensite presto questo nuovo capitolo, anche
altri che non l’hanno fatto!
AxXx