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Autore: TheHellraiser    14/02/2014    1 recensioni
Fra tutti i sicari del mondo ce n'erano sette che risiedevano a New York e avevano formato una specie di gruppo. Facevano semplicemente il loro lavoro: tu chiamavi uno di loro, e loro uccidevano la tua vittima. Un lavoro pulito, spettacolare e completamente anonimo. E' impossibile risalire al mandante o anche avere una minima prova. L'unica differenza fra gli omicidi era che venivano compiuti con sette tipi diversi di arma, quindi la teoria dei sette killer iniziava a prendere forma. Ormai, la leggenda non era più tale. Se vai in un qualsiasi bar, tutti sapranno che puoi avere uno di loro per la modica cifra di tremila dollari a persona più varie ed eventuali. I sette killer si sono dati dei nomi d'arte, e hanno scelto quelli dei sette vizi capitali: Envy, Sloth, Lust, Greed, Pride, Gluttony ed infine il loro capo, Wrath.
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La storia è ambientata a New York e parla di una "leggenda metropolitana" su sette assassini con i nomi dei peccati capitali. Spero vi piaccia. :D
Genere: Horror, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The HitMen'
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Julia chiamò immediatamente a raccolta il resto della squadra, dando a Tony, Alex e Matt l’indirizzo della casa di periferia in cui dovevano andare con un breve messaggio. I due scesero di corsa, procurandosi di nascondere il sacchetto e la lettera in un armadio prima di andare. Arrivarono fuori, e Julia gli indicò una moto parcheggiata lì accanto.
-Wow! Una Fat Boy Special! Non sapevo che la potessi guidare!- commentò Dylan, guardando la Harley Davidson. Julia rise alzando le spalle, e gli lanciò il suo casco. I due salirono a bordo della moto, e Julia partì immediatamente facendo rombare la moto. Procedettero a slalom fra le auto imbottigliate nel traffico per quasi un quarto d’ora. Non ci misero molto ad arrivare, dal momento che Julia guidava a più di centoottanta all’ora e con la stessa grazia di un elefante in una cristalleria. Dylan si stupì di non trovarsi ancora con un nugolo di auto della polizia ad inseguirli, visto che dovevano aver infranto ogni regola conosciuta o non del codice stradale. Non appena arrivarono, Julia piantò una frenatona e scese.
-Mi hai quasi fatto sputare l’anima con quella frenata- disse Dylan, che per via del viaggio aveva assunto una colorazione verdastra – Ma voi guidate tutti in questo modo?
Julia sogghignò annuendo, e rimasero in attesa degli altri. Si aspettavano una casa o perlomeno qualcosa di simile, ma invece il luogo dove si aspettavano di trovare Gluttony era una sorta di fabbricato in cemento, di quelli che i ragazzini usano come bersaglio per le pietre o come tela per i loro graffiti. Dopo qualche attimo, arrivarono anche gli altri.
-Julia, hai trovato il corpo di Nick? – chiese Alex, senza preoccuparsi di chiedere dettagli su ciò che poteva essere successo prima. Non sembravano preoccupati per la sorte di Nick, davano per scontato il fatto che fosse già morto.
-No, non sono nemmeno entrata. Vi stavo aspettando, non si sa mai- disse lei. In fondo, non potevano mica entrare da soli, o avrebbe potuto succedere un casino.
-Tony, perché hai le mani sporche di sangue? – chiese Dylan, deglutendo nel notare le macchie rosse sulle mani del sicario. Tony sogghignò.
-Stavo lavorando, sai, non è che faccia l'impiegato- disse, divertito dalla domanda di Dylan. Quest'ultimo dovette ammettere a sè stesso che era stata una domanda piuttosto stupida, ma in fondo doveva ancora abituarsi a stare in quel dannato gruppo in cui avere sangue di sconosciuti sulle mani è normale amministrazione.
-Facciamo irruzione?- chiese Matt, prendendo la pistola e controllando che fosse a posto.
-No. Penso che qui non ci sia nessuno, ma è sempre meglio essere prudenti. Armatevi, ragazzi – disse Julia. Alex controllò che la sua SIG Sauer fosse ben carica. Dylan prese la Glock, reggendola con mano tremante. Julia, in testa alla fila, aprì piano il portone di ferro arrugginito del fabbricato. Doveva essere parecchio che quel posto era abbandonato, almeno questo era quello che si deduceva dal pessimo stato dell'edificio. Scivolarono dentro uno alla volta rapidamente, con le armi in pugno. Il portone dava su una specie di lungo corridoio con tre porte. Julia guardò gli altri e annuì. Tony e Alex andarono verso la prima porta, Gandle verso la seconda e Dylan seguì Julia verso la terza.
-Libero- disse Tony, dopo aver guardato attentamente nella piccola stanza oltre la porta. Non c’era niente, solo macerie di dubbia provenienza.
-Qui non c’è niente- commentò Matt sulla seconda stanza. Julia aprì lentamente la sua porta. Dava su una stanza con il soffitto altissimo e molto grande, probabilmente prendeva la maggior parte dell’edificio. I cinque andarono fino in fondo alla stanza. L’odore di putrefazione, di corpo morto, invadeva tutta la stanza ed era quasi palpabile, come una cappa che li avvolgeva. Appoggiato al muro di fondo della stanza, stava un cadavere. Il cadavere mancava del braccio destro, che probabilmente gli era stato strappato. Indossava solo un paio di jeans che arrivavano fino al ginocchio. Il corpo era in condizioni a dir poco pietose. Le gambe erano state scuoiate quasi completamente, ad eccezione di uno dei polpacci. La pelle, come quella del braccio che Dylan aveva trovato, era di un colore grigiastro ed era tesa, facendo vedere le costole e tutte le varie ossa che non erano già state scoperte da varie ferite probabilmente inferte con un coltello. La parte destra del petto era squarciata. Il polso sinistro era stato bucato da parte a parte, e vi era inserito un grosso anello di ferro a sua volta incatenato al muro. Anche alla mano sinistra mancavano le unghie, come a quella destra che Dylan e Julia avevano trovato nell'appartamento. Il corpo era scheletrico, la pelle tesa come quella di un tamburo. Ogni muscolo era rimasto contratto, facendo assumere al corpo una strana posizione, come quella di un animale indifeso che cerca di proteggersi. A causa della pelle tirata, era possibile vedere che molte ossa erano rotte o addirittura spappolate, probabilmente colpite con un martello o qualcosa di simile. L’intero corpo era coperto di ferite, ecchimosi, ematomi, bruciature di vario genere e tagli. Non c’era molto sangue, tuttavia. Ad eccezione del fianco sanguinante, rossastro e tumefatto, il corpo era quasi intonso dal sangue. La testa era appoggiata sul petto. Le labbra erano tirate in un sorriso macabro e spaccate in numerosi punti, probabilmente a causa di qualche tipo di taglio, lasciando intravedere le gengive macchiate di nero e ormai quasi secche. I denti, divenuti giallo-nerastri e scoperti in un terrificante ghigno, contribuivano a dare un tocco di orrore alla scena. Le orbite oculari erano coperte da uno straccio sporco, annodato dietro la testa. I capelli, lunghi e probabilmente in origine neri, erano l'unica cosa che contribuiva a far assomigliare il corpo a qualcosa di umano. Dylan non osò chiedersi cosa fosse successo in quella stanza. A quanto potevano arrivare quegli uomini? Sulla parte sinistra del polpaccio destro del corpo stava un tatuaggio. GLUTTONY. Era Nick. Dylan si tappò il naso. La puzza della morte che aleggiava intorno a lui, unito a quello spettacolo, lo faceva sentire malissimo. Avrebbe sputato lo stomaco, se avesse potuto. Notò a terra un materiale bianchiccio strano, coperto di mosche che ronzavano. Non volle saperne di più. Si avvicinò piano al corpo. Nessuno diceva nulla. Erano tutti occupati a fissare il corpo così orribilmente messo. Alex si avvicinò e, con un solo gesto che sembrò costargli un certo sforzo, sradicò la catena dal muro che uscì senza problemi sbriciolandone una parte. Però, ha davvero una gran forza. pensò Dylan, sebbene le pessime condizioni del muro avessero reso chiaramente più facile l'operazione. La mano sinistra ricadde a terra, mantenendo comunque la posizione innaturale delle dita. Dylan si avvicinò al corpo.
-Nick...- disse Julia, con tono dispiaciuto. Non fece in tempo ad aggiungere altro. Il “cadavere” di Gluttony iniziò a tossire violentemente, di una tosse rauca, secca e ripetuta. Dylan fece un balzo indietro, urlando. Il petto, anzi, la cassa toracica di Gluttony si muoveva a scatti secchi in su e in giù con un movimento raccapricciante. Quando i colpi di tosse finirono, Nick alzò le testa, lentamente.
-Ju... July...?- disse, con la voce che era quasi un sussurro.
-Nick! Sei ancora vivo!?- sbraitò Julia, avvicinandosi al corpo martoriato di Nick.
-A quanto pare... Sì... Anche se... Non per molto... Vi aspettavo...- disse piano, alzando debolmente la mano sinistra. Sembrava avere una grande stanchezza addosso. Parlava piano, come se fosse lontano chilometri, e si muoveva pochissimo.
-Nick... Cosa ti hanno fatto...- disse Julia, piano. Nick tentò di sorridere ma smise subito, come se si fosse ricordato che ciò che rimaneva della sua bocca era bloccato in quel ghigno orribile a causa della quasi totale assenza delle labbra.
-July, fatti toccare... Non posso vederti... Purtroppo... Probabilmente faccio un po’... Schifo... Scusami...- disse. Julia svolse delicatamente lo straccio che gli copriva gli occhi. Dylan smise di respirare quando vide il viso di Nick. L’orbita sinistra era vuota, invasa da quello che sembrava essere sangue rappreso. L’occhio destro, invece, l'unico rimanente, era vitreo con visibili segni di una bruciatura. Si muoveva a malapena a destra e a sinistra, cercando una luce che non avrebbe mai più potuto vedere.
-Sai... Quelli... Mi hanno accecato... Con una barra di ferro rovente. Era... bianca, ed era... calda. Ma ora... Non mi fa più male... Mi dispiace soltanto... Di non poterti più vedere... Eri... Così bella...- disse Nick. Se avesse potuto sospirare, probabilmente l’avrebbe fatto. Julia prese delicatamente la mano sinistra di Nick, e la posò sulla sua guancia destra, appoggiandoci sopra la sua mano. La pelle di Nick rischiava quasi di sfaldarsi ogni volta che veniva toccata, ma Julia tenne comunque la sua mano su quella di lui. Nick scosse leggermente la testa.
-Senza rancore Alex... La tua ragazza... Mi piace troppo...- disse, tentando di ridere. Ne uscì soltanto un altro colpo di tosse, così secca da sembrare uno schiocco. Alexei sorrise fra sé.
-Non ti preoccupare, Nick... Se dovessi dare la caccia a tutti quelli che Julia si fa, probabilmente ucciderei mezzo mondo- rise. Nick rise piano.
-Sapete... Non so quanto mi hanno tenuto qua... Non capisco più se fuori è giorno o notte- sussurrò, muovendo piano l’occhio cieco di qua e di là.
-Un mese- disse Matt – Ti credevamo morto.
-Beh, di certo non... non sono molto vivo, no?- rispose Nick, con tono divertito.
-Non perdi la tua spiritosaggine nemmeno ora, eh?- rise Tony.
-Antonio? Oh, ci sei anche tu...- disse Nick.
-Umpf, non chiamarmi con quel nome, su- replicò Tony, visibilmente seccato.
-Beh, concedimi questo favore... L’ultimo che ti chiederò... Ovviamente...- disse, con una risata secca. Ci fu un attimo di silenzio. Dylan rimase accucciato in un angolo, terrorizzato. Gli sembrava di avere davanti uno zombie. Rabbrividì quando Gluttony guardò esattamente nella sua direzione, per quanto si potesse effettivamente parlare di "guardare".
-Ma ditemi... Chi è... Qui con voi...? Ho sentito... Che qualcuno si è avvicinato... Ma poi... E’ scappato in quell’angolo... Vash? Ludwig?- chiese, piano.
-Ludwig è morto, e Vash è in Afghanistan o chissà in quale posto in culo al mondo – commentò Alex – Il tipo è uno nuovo. Si chiama Dylan Stokes, è uno sbirro alle prime armi che usiamo come spia.
Nick piegò leggermente la testa a destra, guardando Dylan con il suo occhio morto.
-Oh, un new entry...? Allora... Mi presento... Quale gentleman inglese non lo farebbe...? Sono Nick J. Cook, nice to meet you- disse, con tono affabile, per quanto un tizio che sembrava un cadavere potesse esserlo.
-D-Dylan Stokes- disse Dylan, con la faccia di uno che ha appena visto la morte in faccia.
-Presentazioni a parte... Ho delle notizie per voi... Sono passate... Più di tre settimane e non so se già le sapete... Ma ve le dico comunque... Allora...- iniziò. La squadra si mise in cerchio intorno a lui, ascoltandolo attentamente. Dylan si avvicinò titubante, voleva ascoltare anche lui.
-Su, non mordo... Mica... Almeno... Non più- disse Nick, rivolto a Dylan ma con lo sguardo cieco puntato verso Julia. Lei sorrise fra sé e accarezzò i capelli neri di Nick.
-Noi due dobbiamo parlare- disse Alex con una smorfia, guardando Julia. Lei fece un gesto della mano come per dire “non mi rompere”.
-Comunque... Tempo fa... Sono arrivati dei tizi a prendermi... Mi hanno portato qui... Mi... Mi... Hanno stuprato, sisi. E poi, non contenti, mi hanno torturato per ore... Come potete ben vedere.
Nick deglutì, e a Dylan sembrò che Julia gli lanciasse uno sguardo più comprensivo del dovuto. Doveva essere dura anche per lui da raccontare e, anche se Dylan non poteva di certo intuirlo, Julia sapeva molto bene che cosa lui aveva provato.
-Non scendo... Nei particolari... Comunque... Volevano sapere i nostri piani... E cose simili... Dove trovare Jake e Ivan... E cose così...- proseguì, parlando faticosamente.
Jake e Ivan? pensò Dylan. Vide Tony e Alex scambiarsi un’occhiata preoccupata.
-Tranquilli... Ho... Ho taciuto... Non vi tradirei mai... E... Mi dispiace di avervi cacciato in questo casino... E’... Tutta colpa mia... Non avrei dovuto... Ricattare Robbins...- mormorò, con tono profondamente afflitto. Era evidentemente oppresso dal senso di colpa.
-Nick, non ti preoccupare. Risolveremo tutto, e faremo quei bastardi in un milione di pezzettini- disse gelidamente Tony, con sguardo sadico.
-Sempre... Il vecchio, sadico, apatico... Antonio, eh?- rise Nick.
-Bah, Antonio è morto da un pezzo, dovresti saperlo- sogghignò Tony. Dylan guardò Tony. Poi gli avrebbe posto un paio di domande, sempre che lui non avesse intenzione di rispondergli a cazzotti.
-Mi fa ancora male il culo- scherzò Nick- Comunque... State molto attenti... Al bastardo che chiamano... Grudge...E’ veramente un sadico pervertito del cazzo... Quindi se voi maschietti vi fate... Prendere da lui... Mettetevi un paraculo o qualcosa di simile... Perché quello vi sfonda... Ce l’ha enorme... Ed è come sentirsi ficcare... Una mazza da baseball nel culo... July, di te non mi preoccupo... Dovresti... Essere abituata, ormai – rise Nick, con il tono di uno che la sa lunga. Alex fece una smorfia.
-Non so se interpretarlo come un complimento o no- ghignò, pensando che il "complimento" fosse rivolto a lui.
-Cosa? Per il fatto... Che è abituata... A prendersi cazzi enormi? Guarda che... Non parlavo mica di te- rise Nick. Julia non poté fare a meno di ridere in faccia ad Alexei.
-Ben ti sta, sbruffone- rise Tony, capendo che la frase era riferita a lui.
-Nick, sto provando l’irrefrenabile desiderio di spararti in faccia- disse, con tono fintamente offeso.
-Beh, è piacevole passare del tempo con voi come ai bei vecchi tempi- disse Nick.
-Bei vecchi tempi... Intendi un mese fa?- rise Gandle. Dylan continuò a rimanere in silenzio. Non capiva come quei quattro potessero restare semplicemente lì, a scherzare innocentemente con un loro ex compagno morente ridotto in quelle condizioni.
-Già... Esattamente... Comunque... Più o meno una settimana fa... è tornato uno degli scagnozzi di Grudge... Mi ha tagliato via il braccio con... Qualcosa che assomigliava ad una... Flex o una motosega... Ha detto... “Mi piacerebbe farti rivivere soltanto per farti soffrire di più”... Evidentemente credeva che io fossi morto. Poi si è messo a parlare... Al telefono... Parlava con Grudge... Ad un certo punto ha detto “OK capo, dammi l’indirizzo”. L’ha ripetuto... Ad alta voce... Per essere sicuro di aver... Capito bene... Ho fatto di tutto... Per ricordarmelo... 294... Upper East Side... Non so altro... Potrebbe essere solo l’indirizzo di un cliente ma... Ci ho provato comunque. Vi auguro buona fortuna, ragazzi- disse Nick, spostando lo sguardo vitreo a destra e a sinistra come per guardare negli occhi i suoi compagni.
-Ah, un’altra cosa... July, posso chiederti... un ultimo favore?- chiese infine.
-Tutto quello che vuoi- gli rispose lei.
-Sparami- disse lui, laconicamente. Dylan credeva di non aver sentito bene. Sparargli?
-Come, scusa?- replicò Julia.
-Oh, avanti. In queste condizioni non sopravvivrò... E non ci tengo a penare chissà quanto... Prima di morire di fame... Non sto nemmeno a dirvi come ho fatto a sopravvivere fino ad adesso... Uccidimi.
-Uh... Sei sicuro? Ma sicurissimo?- chiese di nuovo Julia. Era più che evidente che non volesse farlo. Nick mosse impercettibilmente la testa su e giù.
-Addio, Nick- disse Julia, leggermente turbata. Alzò la pistola.
-E’ stato piacevole parlare di nuovo un po’ con voi... Ci si vede all’inferno- commentò Nick, scoppiando in una risata secca. I tre sicari si misero in una posizione molto simile all’attenti, appoggiando le pistole al petto. Julia sparò due colpi alla testa a Nick. La testa di Nick, già di suo disastrata, sbatté violentemente contro il muro e cadde riversa, lasciando una macchia vistosa di sangue e materia celebrale sul muro. Tony, Alex e Matt puntarono le pistole verso il soffitto e a turno, spararono tre colpi. Gli spari risuonarono nella stanza. Dylan, avendo capito che era un rituale di chissà che tipo, puntò la Glock al soffitto e anche lui sparò tre colpi. La pistola gli cadde quasi di mano per il rinculo del terzo colpo. Julia gli sorrise.
-Bravo. Adesso andiamo, ragazzi. Alex, chiama uno dei tuoi amici e digli che seppelliscano il corpo di Nick nel giardino della villa, assieme a quello di Ludwig. Non ho intenzione di farlo restare qui un secondo di più, vivo o morto che sia- ordinò Julia. Alexei annuì e subito prese in mano il cellulare, per chiamare i suoi "amici", su cui Dylan preferì non fare domande. Uscirono da quella che per molti versi era diventata una specie di tomba.
-Andiamo a controllare quell’indirizzo?- disse Tony, appena furono fuori.
-Sì, ma non ora. Ho bisogno di una doccia. Per oggi si torna a casa, questo pomeriggio passatelo ad allenarvi- ordinò Julia, cercando di sembrare meno abbattuta di quello che era in realtà. I tre sicari annuirono.
-Sta per arrivare una tempesta di merda, e noi siamo senza ombrello- scherzò Matt. Nessuno rise davvero, perché quella battuta rappresentava fin troppo bene la realtà.
  
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