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Autore: Bloomsbury    01/03/2014    17 recensioni
[Storia in revisione] Capitoli revisionati: 14/35.
Jay era un ragazzo come tanti, con qualcosa in più o in meno degli altri, un ragazzo normale, un ragazzo omosessuale: particolare insignificante per ogni persona di buon senso.
Si vergognava di tante cose, tranne che di questo.
Jay bramava la luce, la libertà.
Fece la scelta sbagliata nel contesto meno appropriato e quel particolare insignificante diventò la spada che lo uccise, la macchia scura che lo inghiottì.
«Mio figlio è morto il giorno stesso in cui ha tradito la natura che gli ho donato con orgoglio.»
«La natura che mi hai donato è quella che ti ho confessato…»
«È una natura che mi fa ribrezzo!»
Così comincia la storia di Jay Hahn, fatta di dolori, di abbandoni, di amore, di amicizia, di segreti, di bugie, di tempesta.
E le tempeste intrappolano nel proprio occhio ogni cosa, risputandoti fuori lacerato, diverso, un mostro.
Jay uscirà ed entrerà da quelle raffiche di vento, diventerà lui stesso la tempesta e annienterà ogni cosa al suo passaggio.
Compreso se stesso.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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undicesimo capitolo
"You're in my blood like holy wine
You taste so bitter and so sweet
Oh I could drink a case of you, darling
And I would still be on my feet

I would still be on my feet"
A case of You- James Blake




11. A case of you


Il gran carnevale al quale Jay sentiva di assistere consisteva in una enorme scatola riempita dalle più buffe ed esilaranti scene mai neanche lontanamente immaginate.
Il mondo gay 
quello che sarebbe dovuto diventare il suo, nel quale sguazzare senza l’ombra di alcun imbarazzo  era proprio lì, davanti ai suoi occhi.
Le piccole ali d'angelo ben fissate sulle schiene degli spogliarellisti dell’Escape parevano così stonate da risultare buffe sui corpi depilati dei ragazzi che, sculettando, mostravano fieramente la lussuriosa mercanzia a tutti i presenti dispensando baci e occhiate a chi si soffermava adorante sotto i cubi trasparenti sui quali si ergevano i lunghi tubi d’acciaio da lap dance che, come colonne di un tempio, sostenevano il soffitto di quel dubbio luogo mistico.
Gemiti, urli, musica e scontri non casuali facevano da sfondo agli animi festosi che senza alcun pudore fuoriuscivano dalle espressioni erotiche e divertite degli astanti i quali, ai margini del locale, osservavano come cani da caccia le possibili prede che riempivano la pista da ballo, e ruotando i bicchieri pieni di alcool che tintinnavano percossi dai cubetti di ghiaccio richiamavano l’attenzione dei disattenti che, presi dall’euforia, passavano oltre nel tentativo di raggiungere il pasto ghiotto al centro della sala.
C’erano i lascivi, gli egocentrici, gli uomini adulti in cerca di qualche giovane ragazzo da portare a letto e poi, c’era Jay.
Schiacciato sulla poltrona in pelle all’interno del privè osservava ogni piccolo particolare, indeciso se seguire l’istinto e scappare o rimanere, cercando il più possibile di integrarsi tra quella gente. Guardava pensieroso la calca ebbra che come un’unica falange saltava e ballava a tempo di musica seguendo il flusso ininterrotto delle vibrazioni dei bassi che parevano far tremare anche l’anima stessa.
Un sorso di vodka, un altro e un altro ancora, scandivano il susseguirsi inarrestabile dei suoi pensieri che 
come sempre, del resto  avevano bisogno di essere accompagnati da quel pizzico di leggerezza dato dall’alcool per poter librarsi nell’aria con incoscienza, privati delle catene razionali che lo avrebbero spinto ad alzarsi per rifugiarsi altrove, magari, in un posto più tranquillo.
Cose che per il resto dei presenti apparivano eccitanti, divertenti e dilettevoli, per Jay erano l’essenza stessa della tristezza: come se il mondo gay si fosse chiuso tutto in una stessa bolla per non dover vivere all’esterno, bisognosi di unirsi tutti insieme per sfogare l’omosessualità che nella vita reale, al difuori di quelle mura, erano costretti a contenere sotto la propria pelle.
La considerazione ignobile che aveva Jay di quel posto non coincideva con l’idea di chi lo accompagnava: Lizzie ballava distrattamente seduta sul divano difronte a lui; avrebbe voluto scuoterla per dirle di svegliarsi e di cercare di comprendere l’infelicità celata dall’apparente divertimento, ma sapeva che se l’avesse fatto l’avrebbero guardato tutti come se stesse blaterando cose incomprensibili.
Chaz, invece, appariva totalmente in armonia con quella specie di ecosistema ricreato artificialmente per i poveri animali gay.
Animali: era esattamente questa l’impressione che Jay ebbe per tutto il tempo, come se avesse davanti dei fenomeni da circo intenti a mostrarsi in numeri studiati al fine di rendersi abbastanza gay da poter coincidere con l’immagine stereotipata dell’omosessuale.
«Che tristezza!» lo sussurrò quasi, sperando che nessuno avesse sentito.
Difatti nessuno pareva averlo notato, tranne Izaya. «Cos’è che ti fa tristezza?»
«Sono tutti gay!»
«Siamo nel locale gay più famoso di Soho, Jay. Sarebbe strano se non ci fossero.»
«Come se esistessero locali per etero».
Il viso di Izaya diventò serio, aveva compreso perfettamente il pensiero di Jay, non sarebbero servite altre parole e scrutò il viso fanciullesco di quel giovane e saggio uomo che pareva soffrire alla sola vista di quella che percepiva come una gabbia. «Capisco che vuoi dire, ma non è così negativo. Sono solo ragazzi che si divertono.»
«Ho confessato a mio padre chi sono per poi dovermi chiudere nelle mura di un merdoso locale per quelli come me».
Izaya sorrise teneramente avvertendo la rabbia, l’insofferenza e il disagio che avevano animato le parole sfrontate di quel novellino fin troppo provato dagli eventi per poter prendere le cose con la sua stessa leggerezza.
Posò gli occhi su Chaz sperando di poter trovare qualcosa da dire per stuzzicarlo e farlo arrabbiare, tanto per trovare un diversivo. L’espressione del ragazzo era tesa e seria ed Izaya, trovando il cavillo giusto, iniziò a solleticargli le corde della permalosità: «Dai, Chaz! Non avere sempre questa faccia da funerale. Quasi non ti riconosco più.» Appena finita la frase chiese segretamente perdono al ragazzo, scusandosi tra sé e sé per il trattamento che aveva scelto di riservargli; ormai sembrava una vittima sacrificale: ogniqualvolta aveva bisogno di alleggerire l’atmosfera usava la suscettibilità di Chaz come antidoto.
L’amo era stato gettato e, come previsto, il ragazzo non tardò ad abboccare: «Mi viene difficile avere altre espressioni in tua compagnia.»
«Mi stai dicendo che ne hai altre? Stento a crederci».
L’attenzione di Jay, a quel punto, si proiettò interamente sul viso dell’amico e come sperato da Izaya quell’apparente attacco ebbe gli effetti auspicati. «Chaz ha molte facce, quella che preferisco non è questa, ma quando ha il broncio è comunque il mio Chaz.» La frase di Jay, nella sua semplicità, scatenò un duplice effetto: devastante per uno, benefico per l’altro.
Izaya si morse le labbra e sentì di provare per la prima volta nella sua vita la morsa vigorosa e demolente della gelosia. Si maledisse per aver servito a Chaz, su un piatto d’argento, una soddisfazione così grande, ma deciso a procedere con la sua condotta continuò a provocarlo: «Si vede che sei abituato, Jay. Ogni tanto gradirei vedere quel bel visino acceso da un bel sorriso.»
«Non uso dare le perle ai porci» sibilò l'esca, ritornando al mittente le sue provocazioni.
«Ma che cazzo avete? Sembrate due zitelle» protestò Jay ammonendo con lo sguardo Izaya che, scioccamente 
forse anche in modo un po’ infantile  si beò di quel rimprovero riconoscendo in quelle parole una vena d’intimità che solo chi ama riesce ad apprezzare.
Lizzie, che nel frattempo aveva continuato a dondolarsi sul divano accompagnata dalla musica, raddrizzò la schiena fissando tutti con severità: «Siamo qui per divertirci, non cominciate a litigare. Oggi è il compleanno di Jay.» Succhiò il cocktail dalla cannuccia, spostò l’attenzione su Chaz e buttò lì in mezzo una domanda a caso con il proposito di cambiare discorso: «Sei venuto altre volte qui o è la prima volta?»
«Sì, ci sono venuto, due o tre volte, forse».
Jay sgranò gli occhi incredulo: non conosceva quel piccolo particolare della vita di Chaz e spostando energicamente il bicchiere sul tavolo 
– facendone cadere un po' del contenuto  si chinò in avanti appoggiando i gomiti sulle ginocchia. «Tu sei un traditore.»
«No. Sono solo più bravo di te a farmi i fatti miei. Non ho bisogno di informare il mondo delle mie tendenze né sono costretto a dire ciò che faccio nelle mie serate libere.» La risposta di Chaz 
nella sua schiettezza stizzì Izaya, tanto da sconvolgere la compostezza del suo animo; se avesse potuto dire tutto quello che gli passava per la mente avrebbe certamente alzato un bel polverone, ciononostante il desiderio di rispondergli per le rime non coincideva affatto con l’ambizione di regalare a Jay una serata diversa e tranquilla.
Portarlo all’Escape non era mai stata 
fin dall’inizio  un’idea basata solo sulla semplice e superficiale speranza di fargli passare qualche ora senza pensieri, anzi affondava le proprie radici in un terreno molto più profondo: voleva eludere la possibilità di far abituare Jay al bar.
Se verosimilmente il locale di Lizzie era l’unico luogo nel quale Jay sentiva di stare a casa, Izaya sapeva che con buone probabilità sarebbe potuto diventare un posto come tanti 
poiché l’abitudine porta ogni essere umano all’assuefazione e tutto quello che percepiamo come speciale diventa ordinario in un battito di ciglia.
Aveva scelto di cambiare ambiente per non permettere agli affanni del ragazzo di sedimentarsi nell’unico suo rifugio, intaccando l’incorruttibilità di quelle umili mura imbiancate. Il jukebox, i tavoli, il bancone avevano ancora molto da fare e se avessero perso la loro magia Jay avrebbe perso per sempre il loro sostegno.
Con la risposta di Chaz ancora impressa nella mente, Jay afferrò il bicchiere come se si trattasse di uno scudo, si alzò di scatto e si allontanò dagli amici con passo deciso, dirigendosi verso la pista.
«Ma, dove vai?» urlò Chaz piegandosi in sua direzione con l’intento di alzarsi, ma nulla poté fare contro la stretta di Izaya che lo tratteneva saldamente dal polso: «Lascialo andare».
Jay si fece spazio tra la folla, colpito frequentemente dai corpi danzanti che convergevano sempre più massicciamente al centro della pista. Era quello il suo obiettivo: si sarebbe comportato come ogni gay presente in quel locale, ostentando sicurezza e audacia.
Arrivato al centro si fermò, piantando i piedi sul pavimento come se una forza invisibile l’avesse incatenato in quell’esatto punto; stringeva il bicchiere fissando persone imprecisate davanti a sé.
L’odore persistente di sudore e il calore provocato dall’euforia dei movimenti altrui sapeva di sesso. Il sesso era la vena pulsante e principale che dava vita all’Escape, ai corpi seminudi della gente intorno a lui. Gente: non erano nulla di più, nulla di meno. Estranei accalcati che si scambiavano effusioni appassionate e fuori luogo, e parevano non curarsi dell’unico alieno che li fissava incredulo e confuso; avrebbe dovuto mescolarsi a loro e sentirli familiari, avrebbe dovuto ballare e permettere a qualcuno di toccarlo, magari. Il corpo inviolato di Jay sapeva di unicità in mezzo alla calca: una luce bianca avvolta da mille colori.
«Sei solo?» Una voce estranea richiamò la sua attenzione.
Non riuscì a connettere subito, lo squadrò disordinatamente per qualche secondo di troppo, senza proferire parola.
«Ti ho chiesto se sei solo!»
«Mi vedi con qualcuno?» chiese ironico.
Il ragazzo sorrise e avvicinandosi languido all’orecchio di Jay parlò senza alzare troppo la voce: «Posso offrirti qualcosa?»
«Non credo tu abbia qualcosa da offrirmi. Non cerco niente, stavo facendo una passeggiata».
L’improvvisa risata affilata e acuta del ragazzo
– contro ogni previsione lo divertì, tanto che il suo viso si rilassò, producendo una smorfia quasi simile ad un sorriso di intesa.
«Sorridi, ragazzo. Non ti trattenere. Sei qui per divertirti, no?»
«Il problema è che io non mi sto divertendo per niente».
Un gruppo di ragazzi presi della danza coinvolsero Jay come vittima di una mareggiata, trascinandolo ai margini della pista; si divincolò in tempo, prima di ritrovarsi nuovamente fagocitato da quel delirio.
Si arruffò i capelli come era solito fare in momenti di difficoltà e dirigendosi con passo lento e incerto verso il bar tentò di sbirciare nel privè. Non riuscì a localizzare i suoi amici, così decise di prendersi qualche altro minuto di solitudine prendendo posto su uno sgabello davanti al bancone, poggiando i gomiti su di esso.
Fissava un punto davanti a sé perdendo lo sguardo tra le bottiglie allineate, reggendosi la testa tra le mani.
Il broncio ridisegnò i suoi tratti, offrendo all’uomo che lo scrutava a poca distanza uno spettacolo curioso ed estremamente divertente. «Ti va di bere qualcosa con me?»
Jay alzò il sopracciglio senza voltare del tutto lo sguardo, come se volesse non dare a nessuno la soddisfazione di avere la sua totale attenzione.
«Sto già bevendo» rispose poggiando le labbra roventi sul bordo del bicchiere, ritrovando un sottile conforto nel contatto con il ghiaccio.
«Vedo. Ma vorrei offrirti ancora qualcosa.» L’uomo appariva distinto, maturo, di bell’aspetto e con un’accuratezza nei modi quasi ipnotica. Sorrideva impercettibilmente accompagnando le parole che pronunciava con gesti eleganti e attraenti. Nonostante fosse riuscito a stuzzicare l’interesse del ragazzo non riuscì, allo stesso modo, a togliersi l’etichetta dello sconosciuto da evitare 
perché era esattamente così che lo vedeva Jay: un estraneo elegante, distinto, ma pur sempre un estraneo da tenere lontano.
«Non sei di molte parole, ragazzo.»
«Abitualmente non parlo con chi non conosco.»
«Sei diffidente, ho capito!» esclamò, prendendo posto accanto a lui. «Voglio solo bere qualcosa con te, non ci sto provando.»
«Vai a raccontarlo a qualcun altro» lo canzonò con sarcasmo.
L’uomo rise di gusto, stuzzicato dal modo diretto con il quale Jay provava a levarselo di torno, ma più lo respingeva più si sentiva attratto. Raramente aveva incassato dei rifiuti ma quella volta sentiva di aver ricevuto il più attraente della sua vita.
Jay non lo guardava, stava con le labbra attaccate al bicchiere fissando le mensole in cristallo del bar. Le ciglia lunghe curvate verso l’alto svelavano occhi di ghiaccio così intensi da emergere nel buio della sala: occhi irresistibili e sguardo fanciullesco, incurante, sfrontato.
«Io sono Bradley, puoi chiamarmi Brad» si presentò porgendogli la mano. Il ragazzo la fissò come se si trattasse di un serpente a sonagli e indugiando per qualche istante l’afferrò velocemente. «Hah… Jay, mi chiamo Jay.»
«Ho la sensazione che tu ti sia presentato con un nome falso» disse Brad, corrucciando la fronte.
«No, affatto. Il mio nome è Jay.» Bevve ancora un altro sorso, sperando capitasse qualcosa che fosse in grado di mettere fine alla conversazione.
Brad era attraente ed educato 
se l’avesse conosciuto altrove avrebbe avuto un’impressione di lui molto più piacevole  ma le luci dell’Escape trasformavano l'immagine di chiunque, li facevano sembrare felini pronti all'attacco..
Le sue rassicurazioni non servirono a molto perché il suo modo elegante di placcarlo aveva qualcosa di poco raccomandabile, così Jay si voltò dando le spalle al bancone; cercava con gli occhi qualcuno.
Cercava Izaya.
«Sei un novellino, vero?»
«No, vengo spesso qui…»
«Non è vero!» esclamò ridendo, come un giocatore eccitato da uno scacco matto inequivocabile.
Jay tentò disperatamente di apparire naturale, come se quel luogo gli appartenesse e, soprattutto, come se fosse perfettamente in grado di gestire un tentato approccio. Quell’uomo lo metteva in soggezione benché i suoi modi fossero gentili. Il fondo dei suoi occhi celava qualcosa di poco rassicurante.
«Sei un pesce fuor d’acqua, Jay. Se vuoi ti porto in un posto più tranquillo».
La mano di Brad si azzardò verso il braccio di Jay ma prima che potesse afferrarlo un’altra mano sopraggiunse sicura, ostacolando il contatto tra i due. «Il ragazzo è con me». La voce di Izaya rombò in salvezza di Jay che, senza nascondere l’entusiasmo per il suo arrivo, sorrise felice.
Brad, dopo aver appurato la veridicità di quelle parole, alzò le mani in segno di resa. Guardò per l’ultima volta il viso di Jay e a malincuore dovette cedere e rinunciare: «Ci rivedremo.»
«Sicuro, Brad!» rispose con altezzosità, forte della presenza di Izaya.
Non appena l’uomo si fu allontanato, Jay dovette scontrarsi con una situazione ben peggiore. «Perché stai facendo lo stupido?»
«Izaya, cos’è? Sei geloso?»
«Non è per gelosia che ti sto parlando. Ti abbiamo aspettato nel privè almeno un’ora, che cazzo di fine hai fatto?»
«Ho ballato, ho chiacchierato, ho bevuto qualcosa. Ho fatto quello che fa qualsiasi altro ragazzo» rispose arrogante, consapevole della sua stessa falsità.
Forse, era proprio una reazione che cercava. Aveva mollato tutti nel bel mezzo della serata con la speranza che qualcuno, di sua spontanea volontà, venisse a cercarlo, e proprio mentre la situazione stava per diventare ingestibile era apparso Izaya: l’unico in grado di proteggerlo.
«Muoviti, usciamo». Il più grande lo afferrò dalla maglia trascinandolo fuori dal locale. Non l’aveva mai visto particolarmente adirato, ma questa volta sembrava avvolto da un’incalzante ed energica nube nera.
Jay rise tra sé e sé trascinato dalla forza vigorosa del ragazzo che lo stava portando in salvo per l’ennesima volta.

***

«Ti ho lasciato andare via senza oppormi ma, cazzo, Jay! Un’ora. Sei sparito per un’ora senza degnarti di farti vedere un secondo». Il freddo accompagnava le parole di Izaya producendo candite e pompose nuvole di fumo che a contatto con il fiato caldo del ragazzo si libravano nell’aria fredda di una notte singolare che pareva sospesa nel tempo, come se lo scorrere delle lancette si fosse fermato o, forse, era la vicinanza di Izaya a rendere tutto così eternamente immobile.
Jay rimase in silenzio adorante, amando ogni sprazzo di fumo, ogni parola pronunciata da colui che l’aveva cercato, afferrato e portato via. Ormai non ascoltava neanche più le sue proteste, ma scrutava idolatrante ogni piccolo particolare: le labbra rosse accalorate dalla rabbia, le mani grandi e forti che si muovevano trascinate dalla veemenza delle sue parole, gli occhi lucidi e fiammeggianti.
«Mi stai ascoltando?»
«No, cioè, sì. Ti sto ascoltando».
Izaya alzò gli occhi al cielo abbandonandosi rassegnato su un motorino parcheggiato accanto a lui. Jay si avvicinò lentamente e per la prima volta sentì l’impulso irrefrenabile di sfiorarlo, di accarezzarlo, di rassicurarlo. Poggiò la mano pallida e gelida sul viso deciso e accaldato del ragazzo difronte a lui che, al solo contatto, alzò gli occhi stupito: la prima carezza, il primo vero contatto fisico palese e non fugace.
Jay sorrise a quegli occhi increduli con tenerezza matura e consapevole. «Io ho scelto.»
Quella dichiarazione investì Izaya così forte da zittirlo definitivamente; dal suo canto, Jay sapeva che procrastinare non sarebbe servito più a niente. Il suo posto era tra le braccia di Izaya e sapeva che se mai qualcuno avesse osato portarglielo via l’avrebbe privato dell’unico uomo che sentiva di amare.
La decisione si palesò chiara ed evidente, emergendo tra le mille preoccupazioni e arrovellamenti
invero, la certezza di desiderarlo c’era sempre stata, ma gli eventi avevano nascosto ogni cosa, costringendolo a chiedersi quale fosse la risposta giusta alle sue domande.
«Tu ne sei certo, Jay?» pronunciò le parole adagio, con la paura di alimentare ipotetiche incertezze.
«Se l’amore è fiducia, rispetto, possesso e voglia di prendersi cura di qualcun altro perché senti che nel mondo non esiste altro ruolo per te, allora sì, sono sicuro. Perché mi sono irrimediabilmente e profondamente innamorato di te.»
«Oh! Cazzo!». Fu l’unica cosa che riuscì a dire, tanto che Jay rise di lui senza preoccuparsi troppo di ferirlo.
Izaya aveva vissuto quei giorni con la certezza di non avere alcuna possibilità: l’indissolubilità del rapporto di Chaz e Jay l’aveva convinto che non ci sarebbero state speranze, credeva di non poter competere, 
sebbene non si trattasse di una vera e propria competizione. Non per lui, almeno  ma era sempre stato certo del fatto che Chaz fosse troppo importante per Jay.
Izaya aveva ceduto le armi da un pezzo, anche se aveva tentato di non darlo a vedere. «Spero che tu non abbia scelto cogliendo un bigliettino a caso da una scatola…»
«Mi offendo se dici così».
Izaya lo trasse a sé allargando le gambe per accoglierlo, mentre, seduto ancora sul motorino, cercava di rimanere lucido per non lasciarsi andare troppo alle illusioni, e dopo aver poggiato il mento sulla sua spalla chiuse gli occhi, respirando ogni istante di quel momento impagabile. Jay gli cinse la schiena e sorrise teneramente sentendolo abbandonato su di sé, 
sembrava più piccolo e docile  così chiuse a sua volta gli occhi, e immobili, stretti l’uno all’altro, assaporarono il loro silenzio fatto di sospiri di sollievo.
Jay non l’avrebbe più dimenticato, ormai era suo, lo sentiva scorrere nelle vene e la costante sensazione di conoscerlo da sempre si fece più vivida, come se quell’abbraccio l’avesse risvegliato da un sonno durato una vita.
La barba incolta di Izaya sfiorò la pelle liscia e pallida di Jay, con movimenti delicati e calmi cercava le sue labbra, accarezzando con il viso ogni centimetro del tragitto che restava da percorrere per raggiungere ciò che più desiderava.
Non appena le bocche furono abbastanza vicine da potersi assaporare, il sorriso accennato di Izaya sciolse ogni esitazione accogliendo il timido tentativo di Jay tra le sue labbra, catturando il suo fiato, fino a prenderne possesso completamente.
Il bacio così tanto atteso ebbe luogo in una fredda serata di Novembre, mentre i corpi accalorati dall’emozione e dal desiderio infiammavano ogni piccolo spazio delle loro anime che, unite eternamente da quel contatto intimo e soffice, compresero il luogo nel quale avrebbero dovuto adagiarsi per sempre: l’una nella vita dell’altra.
In quel preciso attimo due vite diventarono una e il resto del mondo, i problemi, i tormenti e le attese si trasformarono in piccoli e lontani puntini insignificanti nella vastità incontaminata dei sentimenti finalmente ammessi, accettati e svincolati da qualsiasi paura che per troppo tempo avevano inibito ogni possibilità di risalita e di unione.
Solo in quell’istante, Jay si sentì libero; nonostante si stesse legando a qualcuno degustò il sapore della libertà attraverso le labbra dell’uomo che amava e che l’avrebbe protetto, amato e curato. Per sempre.



Angolo Autrice:
Ma ciao miei giovani guerrieri (?)
Ho aggiornato tardi, losoloso, però spero di essermi fatta perdonare con questo capitolo.
Jay ha scelto ed è pronto ad affrontare le conseguenze. Voi siete pronti?
Voglio ringraziare Elsker, Ladywolf, Aven, Bijou, Julie, Nahash, Ghost e SNappy.
Se dimentico qualcuno siete liberissimi di menarmi a sangue.
Grazie a Castelli di Rabbia, ad evuzzola, a michyceli e a Moloko.
Grazie a tutti.
Al prossimo capitolo.
Un abbraccio.
Bloom
   
 
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