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Autore: Bloomsbury    17/03/2014    15 recensioni
[Storia in revisione] Capitoli revisionati: 14/35.
Jay era un ragazzo come tanti, con qualcosa in più o in meno degli altri, un ragazzo normale, un ragazzo omosessuale: particolare insignificante per ogni persona di buon senso.
Si vergognava di tante cose, tranne che di questo.
Jay bramava la luce, la libertà.
Fece la scelta sbagliata nel contesto meno appropriato e quel particolare insignificante diventò la spada che lo uccise, la macchia scura che lo inghiottì.
«Mio figlio è morto il giorno stesso in cui ha tradito la natura che gli ho donato con orgoglio.»
«La natura che mi hai donato è quella che ti ho confessato…»
«È una natura che mi fa ribrezzo!»
Così comincia la storia di Jay Hahn, fatta di dolori, di abbandoni, di amore, di amicizia, di segreti, di bugie, di tempesta.
E le tempeste intrappolano nel proprio occhio ogni cosa, risputandoti fuori lacerato, diverso, un mostro.
Jay uscirà ed entrerà da quelle raffiche di vento, diventerà lui stesso la tempesta e annienterà ogni cosa al suo passaggio.
Compreso se stesso.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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dodicesimo capitolo
"It's holding me, morphing me
And forcing me to strive
To be endlessly cold within
And dreaming I'm alive."

Hysteria- Muse




12. Hysteria


Svegliarsi, fare colazione, andare al college, fare una passeggiata per rilassarsi: come una automa, Chaz aveva vissuto i giorni a seguire cercando il più possibile di staccare i suoi pensieri dalle cose che più gli facevano male, nascondendosi nei gesti più ordinari.
La serata all’Escape era finita nel peggiore dei modi perché, uscendo, aveva visto Jay aggrappato alle spalle di Izaya, e se prima aveva avuto dei dubbi questi vennero totalmente soppiantati da una conferma a voce affilata come la lama di un coltello: “Io e Izaya stiamo insieme.”
Queste furono le parole di Jay quando, tornando a casa, accorgendosi dello strano mutismo di Chaz, aveva scelto di mettere a conoscenza l’amico delle novità che avrebbero cambiato le loro vite. Non proferì parola quella sera e Jay neanche lo pretese, ma vegliò su suoi passi quando, arrivati vicino casa, dovette lasciarlo andare ignaro di cosa gli passasse per la testa.
In realtà, Chaz provava disprezzo per l’uomo che gli aveva portato via l’unico pezzetto di realtà al quale poteva aggrapparsi, perché Jay, oltre ad essere un amico e l’unico suo vero amore, era l’anello di congiunzione tra se stesso e i suoi segreti. Era l’unico a sapere chi era veramente e aveva la meravigliosa capacità di farlo sentire bene perché, nonostante tutto, non l’aveva mai giudicato per le sue scelte.
Chaz aveva preferito condurre la sua vita come un rifugiato, in perenne contrasto con la sua stessa personalità, desideroso di trovare un mondo parallelo nel quale nascondersi senza necessariamente esporsi. Pura utopia la sua, poiché non esiste un mondo nel quale si può vivere evitando di fare i conti con se stessi, di conseguenza si nascondeva e a furia di fingere quasi si convinceva di essere realmente la persona che lasciava scorgere agli altri, tuttavia c'era Jay a fargli da specchio ed era l'unica persona che gli aveva permesso di guardarsi per ciò che era senza nascondersi e quello specchio, adesso, era andato in frantumi portandosi via il suo riflesso, per sempre.
Il susseguirsi dei giorni si cibarono a poco a poco della sua pazienza, dei suoi sentimenti, della sua anima stessa senza che Chaz potesse fare nulla per contrastarli. La sua attenzione veniva intenzionalmente spostata su altro per non dover accettare passivamente la delusione, per non essere vittima del suo stesso dolore. Il menefreghismo imperò nel suo animo e si allargò a macchia d’olio su ogni cosa. Continuava a recarsi al bar incontrando quelli che non riuscivano a diventare i suoi amici sebbene in passato si fosse sforzato a giudicarli come tali, invero erano solo amici di Jay, non suoi, eppure seguitava ad andare come se volesse farseli venire a nausea, in modo che fosse risultato più semplice farli sparire dalla propria vita senza rimpianti.
Faceva da spettatore non pretendendo da se stesso grandi sforzi per avere rapporti con qualcuno di loro.
Jay stava diventando un estraneo 
era Chaz stesso che lottava per renderlo tale  e non volendosi rassegnare all'evidenza cercava il più possibile di comportarsi normalmente sperando che l'amico potesse confessargli ciò che pensava, ma Chaz, ormai, non apprezzava niente di quello scenario, neanche i suoi tentativi goffi di distaccarsi da Izaya in sua presenza, lui li vedeva come comportamenti ipocriti e meschini.
Jay era un ipocrita e un meschino.
Si chiese più e più volte il perché continuava ad onorare quella gente della sua presenza e la risposta non era l’amore per colui che aveva scelto di non essere più suo, il motivo era un altro e lo capì a breve: l’unico suo scopo era quello di rendergli la vita un inferno.
Sapeva che Jay non avrebbe mai mollato la presa e Chaz stabilì che con la sua stessa presenza muta e disapprovante avrebbe torturato chi l’aveva costretto a soffrire, avrebbe giocato l’ultima carta a suo vantaggio: avrebbe fatto leva sui sentimenti di Jay per farlo crollare e far finire per sempre il ridicolo rapporto che l’aveva unito ad Izaya. La loro storia d'amore, seppur nata spontaneamente, pareva comunque ostacolata da faccende in sospeso che nessuno, compresa Lizzie, riusciva a chiarire nel modo più naturale possibile.
Per non ferire Chaz e per non accrescere ulteriormente le paure di Jay di perderlo, l’omertà regnò sovrana impedendo a tutti di comportarsi serenamente.
Ognuno di loro camminava sui carboni ardenti, tacendo e sperando di non fare o dire quel qualcosa di sbagliato che avrebbe fatto sbriciolare l’equilibrio sottile che il silenzio di Chaz e il senso di colpa di Jay avevano prodotto.
L’unico ad avere la reale consapevolezza delle sue intenzioni era proprio Chaz,
che comprendendo appieno la situazione, la utilizzava a suo vantaggio imponendosi come intralcio al giusto e naturale corso degli eventi.
Osservava con gli occhi affilati e lo sguardo fintamente assente lo scorrere dei giorni, arricchiti dai discorsi vaghi e infecondi che facevano da padroni.
Affrontare discorsi inutili era un modo per evitare di dover sostenere un silenzio ancora più pesante e Izaya, consapevole del fatto che, prima o poi, tutta quella farsa sarebbe finita, attendeva. In verità, aspettava che Chaz sbottasse perché sapeva che un giorno o l’altro l’avrebbe fatto.

***

Dicembre.
Per molti anni fu il suo mese preferito.
Natale, le feste, i preparativi. Quel dannato mese conteneva in sé tutto ciò che Jay amava perché ogni piccola cosa veniva racchiusa, a sua volta, da un qualcosa di molto più grande: la sua famiglia.
Il suo primo mese di Dicembre senza sua madre, suo padre e suo fratello.
Il suo primo mese di Dicembre con Izaya e con Lizzie.
Chaz era il suo unico punto interrogativo.
Se avesse voluto pensare egoisticamente l’avrebbe ancora trattenuto a sé, con le unghie e con i denti, ma sentiva di fargli male come non aveva mai fatto e vedere le sue stesse mani sporcate dal dolore di Chaz, lo straziava più di qualsiasi cosa.
Aveva perso tutto, eppure sentiva di non essere pronto a perdere anche il suo migliore amico.
I pensieri lo tormentarono incastrandosi fra loro, formando un groviglio incomprensibile di ragionamenti inadoperabili e del tutto inefficaci, l’unica certezza, in mezzo a quel nodo soffocante di dubbi e paure, era Izaya che comprendendo perfettamente le difficoltà nelle quali Jay annaspava lo aveva preso per mano, un giorno, e gli aveva parlato.
L’aveva afferrato una mattina qualunque 
Jay non ricordava esattamente che giorno fosse, sapeva solo che era uno dei tanti che l’aveva reso prigioniero dei suoi stessi sensi di colpa – e trascinato nel bagno del locale spogliandolo dei vestiti bagnati dalla pioggia, aveva cercato di convincerlo a ritornare sui suoi passi.
Aveva acceso l’asciugamani elettrico per permettere al getto di aria calda di privare la maglietta zuppa di Jay dell’ultima goccia di pioggia.
“Sai cosa penso, Jay?” Aveva urlato per farsi sentire, cercando di sovrastare il frastuono dell’apparecchio. “Penso che stai mancando di rispetto a te stesso. Non a me, non a Chaz, ma solo a te stesso!”.
Jay aveva corrucciato la fronte cercando di capire il significato delle sue parole.
“Voglio dire che comportandoti in questo modo stai solo assecondando il volere degli altri. Chaz è un viziato ed io sono uguale a lui. Siamo entrati nella tua vita come uragani prendendoci quello che volevamo senza alcun tatto. Tu hai dato il tuo affetto a Chaz per tutti questi anni e lui ha deciso di disporne come meglio credeva, senza metterti al corrente dei suoi reali sentimenti. Io sono entrato nella tua vita e ti ho costretto a considerarmi, approfittando della tua fragilità. Non era il momento giusto per te. Avresti dovuto mettere ordine nella tua vita…”. L’asciugamani si era spento d'improvviso facendo udire le ultime parole con più forza ed Izaya, arrestandosi, aveva pigiato il bottone per avviarlo di nuovo con l'intento di inondare ancora il piccolo locale di quel frastuono, come se fosse fondamentale avere quel baccano come sottofondo. "Dicevo: devi prenderti i tuoi tempi e ti prego di comportarti con entrambi come ti senti. Non devi farci piacere. Diventa davvero egoista, pensa a te e non assecondare più nessuno. Concentrati a salvare il salvabile con la tua famiglia, metti da parte il resto.”.
Jay si era soffermato, più che sulle parole, sul motivo che spingeva Izaya a parlare e ad affrontare quel discorso con quel fracasso.
Aveva visto le mani di lui prendersi cura della sua maglietta fradicia, le parole prendersi cura della sua anima, ciò che invece si prendeva cura di Izaya era proprio quel rumore assordante che copriva in parte le sue parole, ma quasi del tutto il tono della sua voce. L’aveva ascoltato attentamente: la voce era incerta, rotta dalla rabbia e dal dispiacere, in contrasto con il contenuto del discorso che lo esortava a prendersi cura di sé, senza interessarsi a chi gli complicava la vita.
Le labbra di Izaya snocciolavano frasi per il bene di Jay, non di certo per il proprio, e quel rumore serviva a questo, a nascondere i suoi sentimenti lasciando spazio al razionale sgorgare delle sue parole.
Jay, con uno scatto, si era aggrappato a lui interrompendolo, l’aveva tenuto stretto a sé come se avesse avuto paura di lasciarlo andare via. Lo aveva cinto forte al petto con tutto l’amore che riusciva a sentire. “Tu sei speciale, Izaya!”
“No che non lo sono…”.
Jay aveva udito rassegnazione nella sua voce, come se si fosse arreso al fatto che se avesse continuato a tenerlo legato a sé avrebbe dovuto combattere per sempre contro la presenza costante di Chaz. Si sarebbe messo da parte, era disposto ad aspettare. “Io dico che tu devi prenderti ancora del tempo…”
“Izaya, io ho scelto te ed ho imparato che l’amore non è una parola. L’amore racchiude gesti, intenzioni, cure. Dire ti amo è facile se poi si scappa. Dire ti amo e rimanere: quello è difficile e tu sei rimasto sempre. Non ti sei imposto, mi hai solo fatto sapere cosa provi senza pretendere niente in cambio, dimostrandomi continuamente che tieni a me. Anche adesso, ti vedo lì a prenderti cura di me, ad asciugare la maglietta per non farmi prendere un accidenti e nel frattempo mi parli di cosa dovrei fare per me stesso, mentre la tua voce trema perché le parole che vorresti dirmi sono altre.”
“L’amore non è un sentimento egoista. Se ami qualcuno lo vuoi vedere felice e tu, adesso, non lo sei. Temo che tu sia stato fin troppo tempestivo.”
Jay aveva accarezzato il suo viso 
era diventato piccolo nonostante la sua grandezza  scorgendo nei suoi occhi scuri tutto l’amore che non aveva ricevuto da nessun altro.
“Adesso fai parte della mia vita, e scordatelo, io non ti mollo.”

In quell’attimo avevano suggellato un patto inscindibile e sebbene Izaya avesse tentato di far ritornare tutto alla normalità, consigliandogli di riflettere ancora come se nulla fosse successo, la determinazione di Jay l’aveva zittito confermandogli la sua sacrosanta scelta di volerlo amare liberamente.
Chaz avrebbe dovuto accettarlo e mettersi l’anima in pace, così decise di affrontarlo non appena lo vide entrare nel bar con la solita e pungente aria di sufficienza.
Il ragazzo, appena entrato, fece una veloce panoramica della sala e vedendo Jay insolitamente seduto su un tavolo prese posto altrove, lontano da lui, come a voler sottolineare il distacco incolmabile che li aveva resi estranei.
Chaz era lì, a pochi passi da lui, eppure sembrava così irraggiungibile, così assente.
Era arrivata l’ora di chiarire.
Una luce di risolutezza accese le pupille grigie di Jay che avevano assorbito in profondità il colore freddo del suo stesso stato d’animo. Con un balzo toccò il suolo, accorciando le distanze a poco a poco, misurando con cura il tragitto, sondando attentamente i suoi pensieri per poter estrapolare dall’intricato nodo delle sue riflessioni le parole giuste da dire.
Come di consueto, si ritrovò a pensare ad Izaya e sorrise tra sé e sé perché il ragazzo che stava imparando ad amare c’era sempre e, immancabilmente, si ripresentava nei momenti più difficili.
Il solo pensarlo facilitava le sue stesse azioni, avercelo nella mente ridimensionava tutto: Izaya era diventato indispensabile e questo, ormai, era un dato di fatto.
Prese posto accanto a lui esaminando ogni tratto del suo volto tirato e inespressivo, non sembrava neanche più il solito Chaz, ma negli occhi vi era un evidente conflitto che difficilmente sarebbe sgorgato dalle sue labbra in modo spontaneo.
«Mi spieghi che ti passa per la testa?»
Chaz inarcò le sopracciglia deponendo lo sguardo sulle mani intrecciate di Jay 
non aveva neanche il coraggio di guardarlo negli occhi, come se avesse paura di svelare prematuramente un sentimento negativo che sapeva di non dover scatenare in quel momento. Ciò che pensava doveva essere tenuto al caldo, in attesa di svelarlo nel momento giusto, nell’attimo preciso in cui avrebbe potuto devastare Jay per ripagarlo con la sua stessa moneta.
«Sono stanco! Non mi passa niente per la testa. Mi divido tra college, famiglia e amici, non spreco il mio tempo a girare a zonzo senza una meta.» La frecciata scoccata malamente non urtò il freddo impassibile che Jay aveva posto come barriera, non avrebbe permesso alle battutacce di contaminare il punto focale del discorso: voleva sapere. Così passò oltre, puntando gli occhi sulle vetrate per cercare nella frenetica confusione dei passanti un motivo in più per distrarsi e riprendere da dove aveva lasciato. «Mi spiace se sei stanco. Perché non sei rimasto a casa a riposare?»
«Mi stai cacciando? Non mi vuoi qui? Se non ti sta bene, tolgo il disturbo.»
Non fece in tempo ad alzarsi perché Jay, con mano ferma, lo trattenne dalla manica del giubbotto, incastrandolo tra le sue domande e la volontà di andare via.
Se fosse riuscito ad uscire dal bar avrebbe certamente dato luogo alla scena che sperava di mettere in atto da tempo, sarebbe uscito per sempre dalla vita di Jay dicendo a se stesso che era stato l’amico stesso a rifiutarlo, ma non poté chiudere il discorso da vincitore perché la mano salda dell'amico lo aveva in pugno.
«Siediti» intimò a denti stretti, con il capo chino.
Jay era fermezza, severità, tenacia. Chaz poté assodarne la forza attraverso la presa decisa e stabile, non poté sfuggirgli, a meno che non se ne fosse sottratto con la forza.
Si sedette docile e arrendevole, senza parlare. “Ti accontento, bastardo!”
«Riformulo la domanda, premettendo che non è mia intenzione cacciarti, voglio solo capire. Perché non mi dici quello che pensi e continui a venire qui, tutti i santi giorni, quando si vede da lontano un miglio che vorresti essere altrove?»
«Speravi che io facessi i salti di gioia per la tua scelta? Pretendi che io mi congratuli?»
«Affatto. Se tu mi avessi preso a pugni sarebbe stato meglio. Mi tratti con indifferenza e, forse, me lo merito. Ma tu, te lo meriti?»
Chaz rise a quella domanda, suscitando in Jay una sorta di disgusto.
La risata sguaiata, ironica e a momenti disumana dell’amico lo spinse a chiedersi se fosse stato davvero il momento giusto di affrontare l’argomento.
Non sembrava più lui, non era più il suo Chaz e sapere che era stato lui stesso a renderlo così impietoso e feroce lo devastava ma, allo stesso tempo, gli rendeva sempre più nitida la ragione della sua scelta.
Izaya era calma, pacatezza, leggerezza.
Chaz era instabilità, istinto, rabbia.
Era inadeguato.
Se avesse affidato il suo amore e la sua vita ad uno come lui quasi certamente si sarebbe ritrovato solo, perché con lui non condivideva alcuna aspirazione di una vita migliore.
Chaz viveva nelle bugie e senza neanche rendersene conto ci sguazzava continuamente, anche in quel momento lo stava facendo poiché celava agli occhi di Jay la realtà dei propri sentimenti. L’avrebbe sempre fatto perché, di fatto, era un codardo.
«Sei un vile». La risata cessò nel momento esatto in cui l’accusa di Jay trovò il suo termine in un sospiro afflitto.
«Come hai detto?»
«Sei un vile» sottolineò con maggiore forza la sua critica, spingendo l’acceleratore sulla rabbia repressa dell’amico che, senza remore, si alzò di scatto afferrandolo dalla maglietta, trascinandolo a ridosso del muro del locale dopo averlo fatto scontrare violentemente coi tavoli e le sedie che caddero sul pavimento, sparpagliandosi intorno a loro.
Jay si ritrovò costretto al muro con gli occhi serrati per scacciare il dolore provocato dagli urti e dopo averli aperti vide la collera inaudita di Chaz che prendeva forma nelle sue iridi, nella sua presa, nelle labbra deformate dal rancore.
«Tu osi chiamare me vile?» ruggì così forte da alterare il suo stesso timbro vocale. A stento si sarebbe riconosciuto e ormai, preso dall’ira che per troppo tempo aveva messo a tacere, si scagliò ancora contro Jay pressandolo al muro con più veemenza. «Io sarei il vile. Lo dice quello che è passato sui cadaveri pur di fare quello che cazzo voleva. Sei felice, adesso? Hai detto a tutti che sei un finocchio e ogni santa sera venivi a casa mia a giudicarmi dall’alto della tua onestà intellettuale, pretendendo conforto e ragione mentre io, innamorato disperatamente di te, subivo le tue scelte. Hai rovinato tutto, anche la mia vita, per il tuo egoismo. Hai scelto alle mie spalle un uomo ridicolo che conosci appena, mettendo da parte il tuo migliore amico, la persona più importante della tua vita a detta tua. Mi hai umiliato e hai permesso a quegli stronzi dei tuoi amici di farlo. Mi hai mollato nel bel mezzo della tua tempesta, hai scelto me come vittima da sacrificare per metterti in salvo. Te ne sei fregato dei miei sentimenti dal primo giorno in cui te l’ho confessato. Che cazzo di colpa avevo io? Ci avevo visto giusto. Ecco perché non dicevo la verità, ecco perché non ti ho mai confessato quanto ti amavo: perché sapevo che tu mi avresti calpestato.»
«Pensi questo di me?» Le labbra di Jay tremarono a quella domanda, le lacrime inondarono il suo sguardo e la mani, inermi, si lasciarono cadere lungo il corpo, incapaci di reagire.
«Penso questo e molto altro di te.»
E quella era la fine.
Jay lo sentiva nelle vene e già da qualche tempo era riuscito ad avvertire il sapore del compimento, dell’epilogo della loro storia. L’aveva sentito nel timore che troppo spesso aveva martoriato la sua mente riempiendolo di dubbi.
In quell’istante piccolo ed eterno, ogni certezza si sbriciolò adagiandosi sui suoi palmi, sfuggendo via dalle sue dita, lasciandolo a mani vuote.
Aveva davanti gli occhi di un estraneo, lo sguardo odioso di chi ti vuole vedere soffrire e distruggerti, l’espressione rabbiosa di suo padre, quella stessa che urlava tacitamente un disgusto profondo e un duro disprezzo, ma stavolta quello non era suo padre, era il suo migliore amico, l’unico del quale si sarebbe sempre fidato.
«Mi odi.»
«Sì. Ti odio.»
«Non era una domanda. Se mi odi, vattene. Se domani mi odierai ancora, non tornare. Se continuerai ad odiarmi, fallo per sempre ma sappi che, se mai tornerai, io sarò pronto ad amarti, amico mio, perché non ho smesso e mai lo farò.»
Le mani di Chaz allentarono la presa e Jay, dignitoso come non mai, si mise dritto aspettando una risposta, sperando disperatamente che quella scenata fosse stata solo una reazione istintiva alimentata dai troppi giorni di silenzio. Ma non fu così, perché Chaz ritornò a ridacchiare fissandolo isterico. «Il solito cavaliere buono senza macchia e senza paura. Mister Perfezione. Colui che ha amato, ama e lo farà sempre. Tu sei solo un egoista, Jay. Tu dici di amare le persone solo perché vuoi raccogliere amore per te stesso, ma sappi, caro amico, che se l’amore non è sincero né reale, ciò che ritorna è polvere. Eccoti, di rimando, la polvere che hai seminato».
E così, accasciandosi sull'unica sedia nelle vicinanze, vide il suo unico amico andare via.
Subì l’addio senza contestare e lasciò andare Chaz astenendosi da ogni protesta.
Strinse i pugni mentre l’affanno gli opprimeva il petto e con l’insicurezza dei bambini negati seguì i movimenti dell’amico che, con risentimento, spalancò la porta facendo rintoccare il campanello con forza, per poi sparire in strada.
Nessuno avrebbe colmato il vuoto che le sue ultime parole avevano lasciato.
Eccoti, di rimando, la polvere che hai seminato.

   
 
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