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Autore: afterhour    23/03/2014    15 recensioni
Sakura Haruno aveva una meta precisa nella vita, diventare ricca, e per questo non intendeva perdere tempo frequentando poveracci e perdenti.
Non che avesse niente di personale contro di loro, o contro Sasuke Uchiha (a parte il fatto che assieme a tutti i ragazzi del quartiere era sospettato di avere messo incinta sua sorella, un crimine orrendo che non avrebbe perdonato mai), era solo che aveva tutto pianificato.
Ma il destino ha uno strano modo di prendersi gioco di noi, dei nostri piani e delle nostre certezze.
AU OOC, triangolo: SasuSakuSaso
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akasuna no Sasori, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Eccomi qua con l'ultimo capitolo, non sono pienamente soddisfatta e ci sarebbero ancora alcune cosucce da sistemare, ma non riesco più a rileggere.

Grazie per aver recensito il capitolo precedente, e per i saluti ci ritroviamo alla fine!



21.




Vederlo andare via con sua madre e sua sorella mi aveva fatto male.
Non sono proprio così terribile, ero stata contenta di vederlo felice, di sapere che le cose si erano sistemate almeno in parte, ma inevitabilmente mi ero sentita anche esclusa, come se fossi in un gradino differente.
E lo ero in fondo.

Con la sua famiglia ci sarebbe sempre stato un legame, faticoso magari, a tratti spezzettato, ma mai dimenticato, mentre io…
Non so.
C’era questa cosa sospesa, tutto questo grumo di parole non dette, di dubbi non chiariti, e mi pareva che ormai non ci fosse più tempo.

E poi, ripercorrendo i miei momenti con Sasuke, mi rendevo conto che in fondo ero stata sempre io a cercarlo, a chiamarlo, a parte l’ultima volta.
Paradossalmente, anche quando mi dicevo che non era niente, anche quando mi ripetevo che era solo per amicizia, ero io che gravitavo attorno a lui, come una falena attratta dalla fiamma, e lui mi accoglieva sempre, ma sotto un altro punto di vista mi teneva anche a distanza: non facevo parte della sua vita come lui faceva parte della mia, e lo capivo in fondo, lo capivo eccome, si difendeva.
Come facevo io.
Ma…
Cosa c’era che mancava tra noi, cosa, quando poteva essere tutto?

Non lo cercai durante quel week end e rimasi quasi sempre chiusa nella mia stanza,
a studiare, a pensare.
A noi, a lui, e a me.

Che ne sarebbe stato della mia vita, che ne sarebbe stato di me, di Sakura Haruno, questa persona ancora indefinita, così ambivalente, incoerente, incompleta?

Passai l’intera settimana isolata da tutto e da tutti, alla ricerca di una via d’uscita, di una risposta, della soluzione perfetta e definitiva, per me, per la mia vita, fino a quando non capii che non ce n’era nemmeno una: avrei dovuto andare avanti, e vivere al meglio, giorno per giorno, un passetto alla volta, fino a quando non sarebbe stato tutto un po’ più chiaro, e forse non sarebbe stato chiaro mai, ma avrei dovuto continuare ad andare avanti lo stesso, che altro potevo fare.

L’unico indizio che avevo era il mio disagio, perché sapevo, per esperienza personale, che quando lo sentivo stavo facendo qualcosa di sbagliato, qualcosa che non andava bene per me, che non ero io.
Era già un inizio.

Alla fine decisi che avrei fatto proprio così, avrei vissuto al meglio, avrei cercato di essere il più possibile onesta con me stessa e magari anche un pochino più generosa con le debolezze altrui, se ci riuscivo, e conclusi dicendomi che forse non avrei mai incontrato il mio ricco principe azzurro, non avrei mai vissuto nel lusso e non avrei mai seppellito interamente le mie paure di una catastrofe improvvisa, ma al momento non mi importava poi così tanto: avevo toccato con mano quella possibilità e non mi era bastata.

Avrei studiato, e lavorato, e avrei cercato di essere felice di quello che avevo, ecco.

Eppure sentivo che c’era ancora qualcosa di stonato in questo ragionamento.
Qualcosa di orribilmente stonato.
_

Quella settimana avevo pensato più volte di cambiare scheda telefonica, stanca del fiume infinito di messaggi che Sasori continuava ad inviarmi, ma dal momento che mi pareva che stessero diminuendo avevo deciso di resistere ancora un po’.
Non che mi facesse pena: capivo che stava male, ma c’era un limite che lui aveva abbondantemente superato, e comunque credo ci sia una specie di regola non scritta per cui ognuno si deve tenere il proprio mal di cuore e guarire da solo, tanto prima o poi tocca a tutti.
Ne sapevo qualcosa.

In compenso non avevo ricevuto messaggi da parte di Sasuke, avevo controllato attentamente, forse anche ossessivamente il cellulare, e infine, venerdì, non lo avevo visto, non era venuto al bar.

Avevo passato il week end, probabilmente l’ultima mia occasione di vederlo prima della partenza, pensando a cosa c’era ancora di sbagliato, a cosa mi impediva di andare da lui e dirgli che mi ero innamorata.
Avevo pensato a lui, alla sua famiglia smembrata e al dolore e alla solitudine che nascondeva, a come questo non gli avesse impedito di essere una persona così forte ed onesta.
Avevo pensato a come ci eravamo fusi in un solo corpo, un solo pensiero, un solo cuore, e al suo umore pessimo dopo che lo avevo baciato e dopo che avevo fatto l’amore con lui la prima volta, al fatto che sapevo che era perché avrebbe voluto di più, e avevo ricordato che ero stata la sua prima donna, e riflettuto su quello che doveva significare per una persona come lui.
Avevo ripensato a quando mi aveva chiesto cosa volevo da lui e non avevo risposto, al suo dolore così evidente quando avevo ammesso che ero stata a letto con Sasori, anche se probabilmente lo aveva già immaginato.

Avevo ripercorso tutto quello che gli avevo detto, e tutto quello che gli avevo taciuto, tanto, troppo.

Avevo continuato a pensare ancora e ancora a lui.

Non era stata una rivelazione improvvisa quella che mi aveva svegliata il sabato successivo, dopo un’orribile notta inquieta, e un’orribile pomeriggio in cui non lo avevo visto al bar e non sapevo neppure se fosse già partito, era qualcosa che avevo maturato a lungo dentro di me, ma solo ora mi appariva chiaro, e in un certo qual modo semplice.

Ero un’egoista, lo sapevo, e avevo sempre considerato solo me stessa, ma mi pareva di essere cambiata con lui, di avere visto lui, solo lui, di avergli dato tutto quello che avevo nei momenti in cui eravamo stati insieme, per la prima volta nella mia vita, senza remore.
Ma non era vero, non gli avevo dato tutto, avevo sempre trattenuto qualcosa, perché avevo paura, troppa paura.

Mi alzai in fretta e mi sistemai alla meno peggio, che era comunque sempre molto più della media delle persone perché, diciamocelo, non sarò mai una sciattona, o magari semplicemente una che osa farsi vedere in giro senza trucco, poi scesi giù e corsi fino a casa sua sperando che ci fosse ancora, dicendomi che non poteva essere partito senza neppure un saluto, un misero messaggio…qualcosa, qualsiasi cosa.

Spalancai la porta che era aperta tanto per cambiare, perché il mio amore sotto sotto doveva nascondere una fiducia illimitata nell’umanità, e subito notai la valigia vicino alla porta della camera, un rimando al fatto che era tutto vero, che non era un incubo, era reale, che lui se ne sarebbe andato.

Lo cercai immediatamente con lo sguardo e quando lo vidi lì, sul divano, a strimpellare la sua chitarra vissuta, sentii che tutti i miei propositi venivano meno.
Codarda.

Di colpo iniziai a sudare freddo e lo stomaco era tanto chiuso da darmi la nausea.

Ero davvero sicura di voler svelare me stessa, di affidarmi interamente a lui?
Era proprio necessario farlo?
Magari per lui non ero più così importante, magari era già proiettato nel futuro, magari ero solo parte della vecchia vita che voleva dimenticare.
Per questo mi bloccai.
E se…e se non bastava?
Se se ne andava comunque via senza voltarsi indietro, perché non ero così essenziale?

Cercai di dirmi che non era quello il punto, che era qualcosa che dovevo fare per me, ma in quel momento non ricordavo nemmeno più perché mi era parso così importante dover confessare i miei sentimenti, sarebbe partito comunque, no?!

Lui appoggiò la chitarra a lato come per invitarmi a sedermi accanto a sé, ma non potevo, le gambe non si volevano muovere.

 - Quando parti? – mormorai lì impalata, sentendomi una vigliacca.

 - Martedì –

Martedì.

 - Tutto bene? – domandai ancora.

 - Tutto bene, sei venuta a dirmi addio? –

Ero ancora immobile vicino alla porta e di nuovo si voltò a guardarmi dal divano.

Rimanemmo così, a fissarci in silenzio come due stupidi, e avrei voluto che capisse, che potesse leggermi nel pensiero e capire esattamente cosa provavo, cosa volevo, e dirmi che andava bene, che anche per lui era lo stesso, che tutto sarebbe andato bene d’ora in poi, che avremmo trovato un modo.
Ma ero cosciente che non era possibile, che toccava a me, che dovevo espormi.
Avevo creduto di esserne capace, ma ora non ne ero più sicura.

 - Sasuke… – iniziai ancora, ma le parole sembravano impastarsi sulla lingua e fermarsi tra i denti, e tutto d’un tratto ero tornata bambina, con il ricordo di mio padre che mi sorrideva, e poi improvvisamente non c’era più.
Così, senza che avessi potuto farci niente.

Chiusi gli occhi e respirai a fondo, conscia che questa era l’unica occasione che avevo per chiudere un cerchio che altrimenti mi avrebbe perseguitata per tutta la vita, andasse come andasse.

 - Andiamo a fare un giro da qualche parte? – feci uscire vigliaccamente per prendere tempo – ho bisogno di camminare –

Non avevo un piano, qualcosa di preciso in mente, se non continuare a gravitare attorno a lui ancora un poco, perché non sapevo che altro fare.

Lo guardai indossare un tre quarti nero che gli avevo già visto addosso, e in quel momento, vestito di nero, con quel suo sguardo fiero e quel sorriso appena accennato, era più bello che mai, così bello che mi faceva male al cuore.

 - Hai ancora i capelli bagnati – notai – fa freddo fuori –

Sorrise appena.

 - So badare a me stesso –

 - Non so, non ne sono tanto sicura – lo canzonai, e poi rimasi a fissarlo senza più parlare, con l’orribile sensazione di vederlo per l’ultima volta.

Mancava così poco, e io…io…ero così inadeguata, così incapace di fare qualcosa.
Così impotente.
 Eravamo lì, in piedi, a pochi metri di distanza, e pareva una distanza incolmabile.

 Lo seguii fino alla stazione del metrò e lasciai che fosse lui a decidere la meta, e nel frattempo, mentre mi sedevo accanto a lui e mi appoggiavo sulla sua spalla, gli chiesi nei dettagli cosa avrebbe fatto, dove sarebbero andati.
Al momento avevano ben tre mesi programmati, scoprii, poi si sarebbe visto, e gli spiegai che volevo conoscere tutte le loro tappe, per avere un’idea di dove fosse quando pensavo a lui, perché sapevo che lo avrei pensato sempre.

 - Ho un regalino per te – mormorai poco dopo.

Gli presi la scatolina col plettro rosa che avevo rimesso in borsa da un po’ e lo guardai mentre la scartava.
Sembrava sorpreso, e contento.

 - Lo avevo preso per Natale, ma poi non te l’ho più dato…non so se ti piace –

 - Mi piace – sorrise guardandolo – mi ricorderà te –

 - Allora devi usarlo sempre –

Senza neppure rendermene conto avevo preso la sua mano ed avevamo intrecciato le dita, che ora se ne stavano posate insieme sulla mia coscia, come fosse il loro posto.

Quel contatto mi dava sicurezza e cominciavo a pensare che ce l’avrei fatta.

 Scendemmo ad una stazione a sud, molto in periferia, e poco dopo raggiungemmo un sentiero che costeggiava la riva del fiume.
Non ero mai stata da quelle parti e mi piaceva l’idea di essere in un posto sconosciuto assieme a lui, di poterlo aggiungere alla collezione di cose che erano nostre ed avrei ricordato per sempre.

Gli stivaletti col tacco non erano esattamente le calzature giuste, e ogni tanto dovevo controllare dove mettevo i piedi, ma non mi importava.
Camminando guardavo l’acqua che scorreva lenta e mi strinsi il cappotto addosso per proteggermi dall’aria gelida.

 - Vieni spesso qui? – domandai.

 - Mi piace camminare in riva al fiume – confermò, e mi resi conto che c’erano ancora montagne di cose che non sapevo di lui.

Non era giusto, volevo saperle, volevo conoscere tutto di lui.
Tutto.

 - Hai freddo? – mi fece poco dopo.

 - Un po’ –

Mi passò il braccio attorno alle spalle, per scaldarmi, e in un batter d’occhio non avevo più freddo, c’era il suo corpo che mi scaldava, come mi scaldava la sua presenza, mi scaldavano le sue attenzioni, i segni evidenti del suo affetto.
Mi adagiai a poco a poco su di lui sentendomi rilassata e completa come solo lui poteva farmi sentire.

  – Non vorrei dirti addio – feci uscire in un soffio, senza guardarlo.

Lui mi strinse ancora di più a sé, e a tratti mi scrutava, lo sentivo.

- Ho in programma di tornare qui spesso, se vuoi possiamo vederci –

Continuammo a camminare in silenzio e mi ostinai a guardare l’acqua tentando invano di riordinare le idee: era la mia occasione ma i pensieri erano così confusi che non ero in grado di esternarli in parole.

- Che c’è? – mi chiese, quasi mi avesse letto nel pensiero.

 - Mi…mi vuoi bene? – sussurrai imbarazzata.

Suonavo patetica, mi sentivo ridicola, ma avevo un disperato bisogno di sentirlo, di sentirglielo dire.

 - Ti ho sempre detto che mi piaci molto –

 - Sì ma… mi vuoi anche bene? – insistetti.

Solo per questa volta, solo per una volta volevo che me lo dicesse.

- Sì –

 - E…non ti fa male sapere che andrai lontano? –

Sentii che mi stringeva con più forza.

 - Sì…ma va bene così –

 - Perché? – sussurrai, gli occhi sempre fissi sull’acqua per evitare di guardarlo. Tremavo appena, ma non era il freddo.

 - Perché fa male anche vederti –

Faceva male, sì, lo sapevo, lo capivo perfettamente.

Camminammo ancora un poco ma non riuscivo più a distinguere quello che avevo intorno, e quel bubbone di pensieri pareva sul punto di scoppiare.

 - Sai – mi fece – forse, se me l’avessi chiesto, non sarei partito –

Valutai in silenzio quelle parole, quasi stupita.

 - Ma io non te l’avrei mai chiesto – feci uscire di getto – non avrei voluto che rinunciassi per me –

Mi resi subito conto di come suonava ambigua quella risposta.
Ambigua come era sempre stata ambigua la mia posizione rispetto alla sua così netta.

 - Voglio dire…è la tua vita…è importante, non voglio essere un ostacolo per te – provai a spiegare, perché in futuro non volevo essere solo un ricordo negativo.

Non volevo essere solo un ricordo per lui, pensai di colpo.
E mentre camminavamo, mentre mi stringeva e guardavamo l’acqua, mentre mi diceva così serenamente che avrebbe stupidamente rinunciato a qualcosa d’importante per me, proprio per me, ecco, riuscivo quasi ad immaginare un finale diverso, un futuro diverso, un futuro possibile cui non avevo mai creduto veramente, quasi non lo meritassi, quasi fosse inevitabile per me rimanere sola.

Ma lui mi aveva mostrato che non dovevo necessariamente essere sola, non dovevo necessariamente essere cinica, non dovevo necessariamente essere rassegnata ad una media, sicura, infelicità, e a questo punto non importava più se era tardi, non volevo finire tutto così, non volevo lasciarlo così, non potevo, e non era più solo per me, era anche, soprattutto per lui, perché nessuno aveva mai fatto niente per me, nessuno, a parte lui, e dovevo almeno dirgli quanto mi aveva dato, quanto mi aveva insegnato.

- …sono stata una stupida – buttai lì a tentoni, perché in qualche modo dovevo pur cominciare – col tizio della Ferrari è stato un errore fin dall’inizio – continuai un po’ più sicura – …avrebbe potuto andare bene se non ti avessi mai incontrato, avrei potuto continuare a credere che le relazioni potevano essere solo in un modo, senza una vera connessione, ma… – deglutii, e poi lasciai che le parole fluissero liberamente, senza filtrarle – ma adesso non posso più, no…non posso più, perché so che non è così, e non posso più pensare di vivere a metà, capisci? E poi…poi volevo dirti che sei troppo importante per me, che davvero sono cambiata tanto grazie a te, non sono neppure più così egoista, e infatti voglio che tu sia felice…e vorrei fare il possibile per farti felice, e…e ti voglio tanto bene e… –

Mi interruppi.
Serrai gli occhi e continuai a camminare affidandomi solo alla sua guida, sentendomi comunque sicura, perché mi fidavo ciecamente di lui e gli avrei affidato la mia vita senza una sola esitazione.

Mi sollevò di peso perché stavo per inciampare sul terreno sconnesso e riaprii gli occhi ridendo e aggrappandomi a lui, fino a quando non mi rimise a terra.
Ridevo ancora.

Riprendemmo a camminare e gli guardai il profilo colma di un’inspiegabile felicità, che non aveva altra causa se non quella di essere lì con lui.

  – No, non è vero che ti voglio bene…ti amo – confessai con l’eco di un sorriso sulle labbra – sì, ti amo, e sono così felice quando sono assieme a te…e vorrei…vorrei poter rimanere sempre così, assieme a te, costruire qualcosa con te, e non posso rinunciare a te, anche se ora è tardi, se te ne vai e forse non ti vedrò più –

Subito dopo rivolsi ancora lo sguardo sull’acqua che scorreva, improvvisamente impaurita, così vulnerabile.
Ma ormai era fatta.

Continuammo a camminare, lui mi cingeva ancora con un braccio ma non diceva niente, e cominciavo a pensare che mi avrebbe detto che per lui non era lo stesso, e lo sapevo che sarebbe finita male, era ovvio, non capivo come avessi potuto sperare che…
Mi bloccai perché si era fermato e mi tratteneva per la vita, e prima che potessi rendermene conto mi aveva avviluppata in un abbraccio e mi stringeva a lui.
Lo abbracciai a mia volta, non ancora sicura.

 - Ti amo tanto tanto tanto – ripetei sul suo petto – e se vuoi ti aspetto, anni anche, e se vuoi possiamo vederci in qualche modo, possiamo almeno provarci, fare un tentativo, e… –

Mi sollevò la testa e mi chiuse la bocca con un bacio, ed era un bacio lento, pieno di dolcezza.
Mentre lo baciavo capivo, sapevo, che si trattava di una risposta, ma ancora non mi bastava, avevo bisogno di conferme.

 - Se lo vuoi anche tu – mormorai affannata subito dopo – perché… –

Mi baciò ancora, e ancora, mentre mi teneva per la vita e mi stringeva a sé, ma non era sufficiente, non poteva essere sufficiente, dovevo essere sicura, dovevo ascoltare la sua risposta.

 - E tu? – riuscii a proferire senza fiato, tra un bacio e l’altro.

 Appoggiò la fronte sulla mia.

- Ho sperato tanto che me lo dicessi…mi sembra una vita che ti aspetto – confessò pieno di tenerezza, con una luce negli occhi che era amore, che non potevo fingere di non riconoscere – perché credo di essere sempre stato un po’ innamorato di te, fin da quando eri una ragazzetta con la puzza sotto il naso e pensavo che fossi la creatura più bella che avessi mai visto in vita mia…e ancora lo sei per me…ancora di più adesso che ti conosco –

Fui io a stringerlo forte adesso, un po’ commossa.

 - Ora devi partire, lo so... – mormorai.

 - Sono solo tre mesi, passano in fretta, e nel frattempo troverò un modo per vederti –

 - Ti aspetterò, e troveremo un modo, insieme – precisai – …ti farò felice, vedrai – promisi solennemente.

 - Ed io un giorno ti ricoprirò d’oro – promise in cambio, che sembrava una cosa così fuori luogo, ma io sapevo che era una meravigliosa dichiarazione d’amore, lo sapevamo solo noi due.



FINE
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Voi non lo sapete, o magari lo avete immaginato, ma questa storia ha rischiato tanto, ma tanto di finire male, con Sakura che non trovava il coraggio e loro due che si salutavano senza nessuna promessa, e forse sarebbe stato perfino meglio farla finire così, non so.
Però almeno un tentativo di futuro insieme volevo darglielo, poi chissà, starà a loro metterlo a frutto, nel mondo parallelo in cui i personaggi di carta continuano a vivere!
In quanto al resto, devo dire che ci sono diversi aspetti della vita di Sasuke che ho trascurato, purtroppo, ed è quello che mi dispiace di più.

In ogni caso ormai anche quest’avventura è finita, e come sempre mi sento un po’ svuotata e quasi in lutto. :(
Non so quando ci risentiremo, al momento mi sembra impossibile di poter scrivere qualcos’altro, un po’ come quando un amore finisce e sembra impossibile di poterti innamorare ancora. :D

Grazie mille per avermi seguita anche in questa avventura, e un enorme grazie a tutte voi che avete avuto la pazienza di recensirmi e farmi sapere che la storia vi piaceva.

   
 
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