Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: thefireplanet    31/03/2014    2 recensioni
Ci sono dei pesi, quando sei regina, che non hanno niente a che fare con una maledizione. Ci sono dei doveri, quando sei principessa, che non hanno niente a che fare con l'essere una sorella. E la strada per il vero amore non è mai stata in discesa.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna, Elsa, Hans, Kristoff, Nuovo personaggio
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2.

 

 

 


La piccola candela balugina triste, proiettando ombre sui muri. Fuori il cielo estivo è del colore delle prugne, e sarebbe riuscita a distinguere le stelle, se non fosse stato per la luce della luna che entrava dalle finestre. Elsa si ferma davanti a una di esse; c’è il lago, e ci sono i boschi, e oltre, le montagne, ancora baciate dalla neve. La mano che non tiene stretto il candeliere di metallo ha uno spasmo involontario. Aveva avuto tanto a che fare con il freddo da bastarle una vita, ma stare lassù, non l’aveva fatta sentire—
Confinata.
Elsa fa un passo indietro. Volta le spalle alle montagne, e al freddo. Oltrepassa la porta della propria stanza da letto. E’ chiusa, serrata. Guarda dritto avanti, e non può fare a meno di pensare che una camera da letto non dovrebbe sembrare una prigione nemmeno la metà di quanto lo sembra la sua.
Attraversa un’altra porta, e arriva in un altro corridoio, quello che dà a destra, e verso l’interno del palazzo; quello che contiene file di volti. Non ci sono finestre, lì, solo oscurità; il tappeto di moquette rossa, pannelli ai muri, carta da parati blu; ritratti incorniciati d’oro, che la fissano con aria accusatoria. Elsa si ferma, la schiena rivolta alla luce della luna. La candela trema per la brezza gelida; il respiro forma una nuvoletta di vapore.
Scuote la testa, in fretta, e arriva in fondo al corridoio, ma, come ogni volta—quella sera, e quella mattina, e ieri, e ieri l’altro, e tutti i giorni da quando era stata incoronata—deve fermarsi. Voltarsi. Alzare gli occhi.
Quel ritratto, nel corridoio dei precedenti re e regine, non era così enorme come quello appeso a parecchie stanze di distanza; era una copia perfetta, comunque, dal pervinca del vestito della regina  alla lunghezza dei capelli del re. Sta ancora imparando a provare sentimenti, e questo sa di—vuoto. Sposta la candela, verso lo spazio vuoto che un giorno avrebbe ospitato il suo ritratto. In quel momento, non era altro che un muro spoglio.
Elsa fa un respiro profondo, sentendo il ghiaccio insinuarsi nelle vene. Si volta. Respira. Conta. Ecco, vedi. Respira. Conta. Ecco. Si concentra sulla calda luce arancione della sua piccola candela e volta le spalle. Dovrebbe seguire il proprio consiglio- addormentata. Da qualche parte, se non in camera sua, invece di vagare—
Spera che Anna sia andata a letto.
Il dipinto che si trova direttamente di fronte è scolorito, e vecchio, nonostante l’assenza di luce diretta. Elsa riesce a guardarlo con occhio critico, perché non conosce i volti di persona, non li ha visti piegati sopra di lei, a sussurrarle ninnenanne spaventate all’orecchio. Sono piuttosto scoloriti; e lo stile dell’epoca aveva dettato l’uso di ampie, grasse pennellate. C’è un sentore di viola e bianchi, eleganza—un uomo dal naso a punta e sua moglie, più delicata. La regina Hanna e il re Rolf, i primi sovrani di Arendelle. Elsa ricorda la piccola figura nel libro di storia, gli alberi geneaologici—e lui sposò lei, e lei generò lui, e—
La pittura ha una crepa nell’angolo sinistro, in basso; c’è qualcosa di bianco che splende da sotto lo sfondo blu scuro. Elsa si avvicina, la candela che oscilla pericolosamente, ma almeno non lo sente più—il ghiaccio, che minaccia di consumarla. Avvicina un’unghia alla superficie, e, piuttosto furtiva, controlla il corridoio. È sola, e non sa perché si sia presa la briga di farlo, perché se lo aspettava, eppure, mentre avvicina l’unghia alla vernice, le sembra quasi di commettere un sacrilegio. (La stessa sensazione che le aveva dato giocare a fare le tempeste di neve con la sua sorellina alle due del mattino.) Gratta una volta, due—una scorticatura breve, piccola, non se ne sarebbero accorti—
In effetti c’era qualcosa; solo che Elsa  non riusciva a capire bene cosa. La candela si avvicina alla base di metallo, la cera  si accumula sul fondo; aveva delle cose di cui occuparsi. Avrebbe dovuto tornarci al mattino.


"Che razza di sorella sarei," sbadiglia, con un passo indietro, "se non seguissi i miei consigli?"
Anna era a letto, addormentata; avrebbe dovuto esserlo anche lei.
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Anna per sbaglio gli pianta un gomito nel fianco mentre lotta per tirarsi su a sedere.
"Woah, woah, woah, furia scatenata," rantola, cercando di recuperare il fiato; aumenta la presa sulle sue braccia, "devi rimanere immobile."
C’è una pausa. Il piccolo raggio di luce che filtra da sopra, attraverso l’apertura del crepaccio, non basta nemmeno lontanamente per vederci, e tutto quello che riesce a distinguere è il bagliore rossastro dei suoi capelli. La tiene del tutto ferma; sono praticamente petto contro petto, gambe contro gambe; lui manda giù un groppo alla gola. Lei dice, "Ti rendi conto che per me è quasi fisicamente impossibile farlo?"
"Hai messo assieme una frase, positivo."
"Perché? Perché positivo?"
"Hai battuto la testa mentre cadevi."
Anna lo guarda in modo malizioso, coprendo la distanza in una maniera che lo fa sentire incredibilmente a disagio e incredibilmente—beh, a suo agio—allo stesso tempo. Riesce a distinguere la curva netta del naso. "Come fai a sapere che ho battuto la testa?"
"L’ho sentita."
Mette il broncio.
"No, sul serio, sembrava una roccia che colpisce una—beh, roccia più piccola."
"Stai paragonando la mia testa a una grossa roccia?"
"…forse?"
Lo colpisce sul petto, ma senza molta forza, e Kristoff pensa che forse stia sorridendo; gli piacerebbe vedere. Anna prova a muoversi di nuovo.
"No," dice, e giura a sé stesso che è per il  bene di lei, e non perché vuole chiederle di nuovo se può baciarla, "potresti avere una commozione."
"Una checcos’è?"
"Ma ti hanno insegnato qualcosa in quel palazzo?"
"Francese."
Alza gli occhi al cielo, anche se lei non può vederlo. Apre la bocca per dire qualcosa, ma lei lo fa prima. "Sto bene Kristopher," e ha iniziato a chiamarlo così, quando vuole attirare la sua attenzione, o dargli fastidio, o qualunque cosa, sul serio. Il suo volto è vicino. Così vicino. Sussurra, "Bene."
"Bene," fa eco lei; e poi piuttosto all’improvviso rimbalza all’indietro, piantandogli un altro gomito nello stomaco. "Voglio dire, sarei io a doverti chiedere come stai! Stai bene? Da quant’è che sei quaggiù? Perché sei venuto quaggiù? Vediamo se riusciamo a trovare la torcia, hai qualcosa di rotto—"
Non avrebbe dovuto muoversi; una volta, Kristoff era scivolato e caduto sul ghiaccio, spaccandosi la testa, e si era sentito bene per un’ora o giù di lì, finchè erano arrivati i capogiri e il vomito- e Papi aveva dovuto dargli un qualche antidoto puzzolente per fargli diminuire il gonfiore alla testa—ma, certo, Anna aveva fatto già metà della strada per dove credeva fosse la torcia. Non era altro che un’ombra più scura nell’oscurità. Esclama, "Ho visto del ghiaccio."
"Sei caduto quaggiù per del ghiaccio? Kristoff, c’è una montagna intera lassù."
"No, questo era diverso," sospira, osservando la feritoia in alto. "Vorrei—vorrei che lo avessi visto, come—era—beh, la cosa che ci si avvicinava di più," si ferma, "era al castello di tua sorella."
Anna rimane in silenzio per un battito, due. Poi: "Ma quello era ghiaccio magico; non avrebbe potuto essercene qua sotto."
"So cosa ho visto," semplicemente dice. Ha imparato a fidarsi dei suoi sensi, anni di arrampicate in ambienti selvaggi, e cene di famiglia coi troll. C’era una caverna, e le pareti erano di ghiaccio perfetto—adesso non riusciva nemmeno a distinguerle. La sente sospirare a due, tre metri di distanza. "Non riesco a trovarla."
Si tira su a sedere, Prova a stare in piedi sulla gamba, e all’improvviso si ricorda perché non si era mosso. Sibila di dolore.
"Kristoff?" Sente Anna andare a tastoni al buio. "Che c’è?"
Sospira, afflosciandosi all’indietro. "Niente."
"E’ ovvio che non è niente."
Non ci è abituato. Aiuto. Si sfrega gli occhi col dorso delle mani coperte dai guanti. Della neve gli si accumula sul naso. "La gamba. Ha preso il peggio della caduta." La sente incespicare in avanti al buio, solo che lei non riesce a vedere e—"Ahi. Quella gamba, sì."
"Oops."
Sente le sue mani che gli scorrono piano su per la coscia. "Che—che stai facendo, perché lo stai facendo, ch—"
Si bloccano sul suo viso. "Eccoti qui." Si sistema vicino a lui. C’è un lungo silenzio. Poi, "Mi dispiace. Per prima. Non voglio mica, soffocarti, o così, non è che—è solo che mi piace passare tempo con te. Tutto qui. Voglio dire solo questo, intendo, hai un bel naso. Aspetta, che?"
Non sa come sentirsi. Problemino da sistemare era la definizione giusta. Allunga le mani verso dove crede sia la sua faccia, e i guanti le strofinano la guancia. Dice molto in fretta, "Anche a me piace passare tempo con te." Le parole avevano un sapore strano. Poi lascia cadere la mano. Sobbalza quando lei parla di nuovo, lentamente. Riesce a sentire la pressione delle dita attraverso i guanti.
"Solo che, sai," sta sorridendo, lo sa, "non sul fondo di  un burrone pieno di ghiaccio perfetto."
"Non sono pazzo."
"Ceeeeeeeeeerto." Tossisce. "Dio, che mal di testa."
Una stretta allo stomaco. "Anna?"
"Che c’è?"
Non sa cosa fare. Sa che Sven sicuramente è andato a cercare aiuto, ma nel frattempo erano soli, e lui con una gamba fuori gioco. La mente corre, ma la bocca è aperta, e non fuoriescono suoni.
"Oh," Anna fa all’improvviso. La sente allontanarsi frettolosa di un paio di metri, e poi eccola in preda ai conati, nella neve. Si siede.
"Anna!"
"A cena, ho bevuto—il vino. Un paio di giorni fa. Tutto qui. Sto bene, sto bene. Almeno non ti ho vomitato addosso."
"Torna qui," fa lui, la voce tesa. La riesce a sentire che si muove a fatica nella neve fresca, che è intatta, e piuttosto spessa. Lei  risponde, "Voglio solo stendermi."
"Non credo sia una buona—idea, ok, certo, stenditi lì, va bene."
Si è accoccolata contro di lui, con la faccia nella neve. Non sa, al buio, se ha gli occhi chiusi. La stringe più dolcemente che può; la gamba inizia a pulsargli. La neve riusciva ad alleviare il dolore solo pochissimo. La sistema contro il suo petto. "Sei—è—stai comoda?"
Non risponde.
"Anna, stai comoda?"
"Mmm."
"Sven tornerà presto, porterà delle guardie, forse, o gli altri venditori di ghiaccio—" Kristoff inizia a parlare, perché non sa che altro fare, e questa era davvero, sul serio, tutta colpa sua, perché voleva vedere quel ghiaccio, e perché se ne voleva andare, e prendere la slitta, ma lei era una principessa, la ragazza che tremava tra le sue braccia era una principessa e lui era—era—
Beh. Era Kristoff.
E non era molto.
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"Aprila e basta," intima a sé stessa. "Veloce. Dai—spezza il sigillo. Poi puoi andare a letto. Aprila e basta."
Elsa continua a fissare quella cosa davanti a lei. L’unica sulla scrivania, e non era stata spostata fin da quando l’attendente l’aveva portata. La sorprendeva il fatto che ancora non avesse lasciato un buco sul tavolo. Il fuoco, che ondeggia dietro di lei, scoppietta e scrocchia nel focolare; è ancora estate, e le serve tanto per la luce quanto per il calore. Non ha mai troppo caldo, o troppo freddo. È difficile sentire.
Sente qualcosa per questa lettera, comunque—odio. E non brucia potente, caldo e rosso come aveva  letto nei libri—no, è freddo, e lento, il morso del gelo che sorprende i mercanti in inverno e porta con sé arti interi.
Il sigillo è rosso sangue, con l’emblema della famiglia reale e dietro di esso una fenice che si alza in volo. Il simbolo delle Isole del Sud.
Doveva aprirla.
Doveva aprirla ora.
Doveva—
La porta della libreria viene spalancata di botto, e si spaventa. Un fiotto di ghiaccio esce fuori dalla mano tesa, e copre il soffitto di una piccola tempesta.
"Vostra Altezza!"
"Sì, mi dispiace, stavo solo—" ha le vertigini, si chiede cosa dire, se la guardia le sarà ostile—è un altro nuovo del gruppo che è arrivato, col naso a punta e capelli biondi e occhi neri come il carbone, ma no, benedetto lui, rimane in silenzio—
"C’è una—renna, nel cortile. La bardatura—sembra quella dell’… amico della Principessa Anna," termina, come se non fosse sicuro di come definire Kristoff, ed Elsa, ancora cercando di recuperare il respiro, non può fare a meno di pensare che è proprio quello il nocciolo di tutta la questione—
"Una renna?"
"Sola, sì."
Si acciglia. "Mostratemela."
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"Hai freddo?"
Kristoff aveva appena finito di raccontare una lunga, complicata storia sulla volta in cui i troll avevano provato a insegnargli a ballare, e come aveva finito, invece, col dare fuoco a mezza foresta. Anna pensa che le sarebbe piaciuta di più, se non le avesse fatto tanto male la testa, o se non le fosse venuto da vomitare. Non voleva vomitare addosso a Kristoff. Sarebbe stato scortese. Qual era la domanda?
"Hai freddo?" Kristoff ripete. Lo sente scuoterla, solo un pochino. Il suo viso è accoccolato tra il collo e la spalla di lui. Il suo braccio, che la avvolgeva protettivo, e la stringeva a lui, doveva aver perso la sensibilità. Come è romantico, pensa, piuttosto sfocatamente, sarebbe stato tutto così romantico, se non avesse avuto la nausea.
"No," fa piano. È come parlare con la bocca piena di miele. Deve faticare per raggiungere i pensieri, e tutto sembra come, cioè, scivolare fuori. "No, mi sento—al caldo. Non—non stavo al caldo da un po’."
"Quanto tempo è un po’?"
"Oh," sbadiglia, "almeno una settimana."
"Resta sveglia, Anna."
"Sono sveglia."
"Settimana?"
"Sì, la sento la mano."
"No, che vuoi dire, che è una settimana che non stai al caldo?"
Sente il bisogno di sussurrare, così lo fa, vicino al suo orecchio, e lo guarda tremare, "Non devi dirlo a Elsa."
"Non lo farò."
"Fin da quando mi ha congelata, ho avuto—freddo." Sbadiglia di nuovo. "Ma adesso no."
"Ridicolo. Siamo sottoterra, coperti di neve, come fai a—"
"Shh, stupido," sospira, e le si chiudono gli occhi. "Sto al caldo."
"Anna?"
Nessuna risposta.
"Anna?"
Nessuna risposta.
"Anna?"

  
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