12.
Easily torn
Un pigro sole faceva
capolino da dietro nuvole grevi di pioggia. L’aria fredda del primo pomeriggio
portava con sé profumo di temporale, ma quei raggi delicati, che lottavano per
farsi strada tra la coltre pesante di nuvole cineree, lasciavano sperare un
possibile miglioramento.
Il centro di Londra era
come sempre frenetico, e risuonava di un brusio delicato, accompagnato dal
cinguettare di alcuni passeri ritardatari e dello sfrecciare delle auto. Il
ticchettio costante e rapido delle sue falcate era quasi muto, invisibile in
mezzo al rumore di una città in movimento.
Camminava a testa alta,
il giovane, eppure la linea sottile delle labbra era increspata in una smorfia
che di sicuro non aveva nulla, se non il dolore che si intravedeva nelle iridi
azzurre, scintillanti d’incertezza e malinconia. Camminava a testa alta, Ronald
Weasley, ma aveva i pugni chiusi, le nocche sbiancate
dalla tensione e il cuore sporco di colpa.
L’appartamento verso
cui si dirigeva si trovava in un piccolo quartiere pacifico e sereno, tanto
anonimo che gli era stato difficile individuarlo nel dedalo di strade della
grande metropoli. Il portiere dello stabile era un anziano dal sorriso bonario
che non gli fece domande quando lo vide varcare la soglia del portone,
spalancato – ma forse, dipendeva dal fatto che gli aveva lanciato un silenzioso
Incantesimo Confundus. Mentre saliva i gradini a uno
a uno, lentamente, modulando il respiro su ritmi tenui, il ticchettio dei suoi
passi risuonò tetramente nella tromba delle scale. Quando giunse al secondo
piano si fermò davanti la porta con sguardo assente. Il numero ricamato sulla
porta, in ottone ossidato, riluceva alla luce che filtrava dalla grande vetrata
alla sua destra. La sua mano tremò appena mentre si alzava per bussare: sotto
le dita, crepitava un nervosismo quasi tangibile. Il suono sordo e secco che si
levò nell’aria quando le sue nocche toccarono due volte, con decisione, la
superficie lignea della porta, somigliava molto a quello del suo cuore.
Quando la porta si
aprì, tutto il suo corpo ebbe un sussulto. Per un istante, fu accecato dalla
fortissima luce proveniente dalla finestra di fronte a lui: chiunque avesse
aperto la porta, al momento era solo una sagoma, esile e minuta, bagnata d’oro
dai raggi del sole. Ron socchiuse gli occhi, feriti
dall’intensa e improvvisa luminosità, per cui non riuscì a vedere il sorriso
tenue e sereno che scivolava via dal viso della donna, improvvisamente pallido
e posseduto da un’espressione sorpresa, ma dura. Quando riuscì a riaprire le
palpebre, il fremito che attraversò la sua schiena gli sfuggì dalle labbra
sotto forma di un singulto.
« Che ci fai, tu, qui?
» La voce di Hermione aveva la stessa morbida
tonalità di quando lei aveva diciannove anni. Dietro alla severità di quella
domanda, oltre l’occhiata inquieta che lei lanciò alle sue spalle, Ron vide la ragazzina che aveva amato e che, nonostante gli
anni di lontananza e assenza, continuava ancora ad amare.
« Ho provato a scriverti, ma non hai risposto » Scoprì con sorpresa che la sua voce era ferma: il tremolio
delle sue mani sembrava essersi fermato alle sole dita. « Devo parlarti » aggiunse in
un soffio. Aveva la gola secca, ogni sillaba gli bruciava l’esofago e graffiava
la trachea, dolorosa, difficile.
Hermione serrò la mascella. Le sue dita, piccole e
affusolate, appoggiate allo stipite della porta, ebbero un fremito lieve che,
tuttavia, a lui non sfuggì. Il suo corpo, per quanto piccolo e minuto, sembrava
una barriera impenetrabile: schermava tutto l’appartamento impedendogli di
guardare dentro. La donna gettò un’altra occhiata alle sue spalle e poi, dopo
aver emesso un lunghissimo sospiro, fece un passo indietro per lasciarlo
entrare. I suoi occhi non si staccarono mai dal viso di Ron.
L’uomo si guardò intorno, facendo il suo ingresso
nel piccolo appartamento. Era caldo e accogliente proprio come l’aveva
immaginato. La finestra alle loro spalle gettava una luce dorata nel salottino
ordinato, arredato in modo semplice ma elegante. Tutto, lì dentro, profumava di
pesca, come la pelle di Hermione, e mentre lui la
guardava, per un istante, gli sembrò di tornare indietro di dieci anni. Ma era
passato tanto tempo, troppo per poter anche solo pensare di tornare indietro:
lo testimoniavano piccole bombe che esplodevano al tocco lieve dei suoi occhi,
frantumandogli il cuore.
L’orologio maschile poggiato sulla cassettiera
alla sua sinistra.
I due bicchieri di vino adagiati sul tavolino del
salotto.
La giacca da uomo appesa all’ingresso.
Le lenzuola disfatte che si intravedevano oltre la
porta della camera da letto.
Segni silenziosi di una vita che lei passava
serenamente con un altro, quell’altro che non era lui.
Hermione era ferma, immobile, al centro del salotto. Le
braccia conserte e lo sguardo fisso su di lui, lasciava trapelare un certo
nervosismo dallo sguardo. Batteva ritmicamente il piede destro contro il
pavimento, in attesa che lui parlasse. La fronte, increspata in una smorfia
ansiosa, pareva lasciar trapelare un sentimenti indefinibile di piacere e
dolore insieme.
Ron la guardò a lungo, prima di parlare, godendosi
quei particolari del suo viso che gli erano sfuggiti durante quegli anni di
lontananza. Intorno agli occhi, le si erano formate rughe sottili, appena
visibili al di sotto dei riccioli scuri che le incorniciavano l’ovale del
volto. La sua pelle sembrava morbida come sempre, al tatto, e lui dovette fare
un enorme sforzo di volontà per non protendere la mano verso di lei e toccarla.
« So che quello che ho fatto è stato terribile, non mi aspetto
che mi perdoni » esordì l’uomo, guardandolo negli occhi con
intensità, quasi volesse trasmetterle una sicurezza e una calma che lui, in
fondo, non aveva.
« Non ti preoccupare, non lo farò » La naturalità con cui lei rispose, fu un pugno nello
stomaco. Hermione aveva lo sguardo fermo su di lui e
la voce dura, eppure la sua espressione tradiva in un certo senso l’idea di
rigidità che la sua posa, invece, donava, e quella, più dolorosa, di
inflessibilità che la sua voce gli comunicava. Forse, fu proprio il baluginio
vivo degli occhi a convincerlo a restare.
Ron aprì la bocca per ribattere, ma un’altra voce,
maschile e roca, che lui conosceva fin troppo bene, gli fece morire le parole
sulle labbra. Prima ancora di poter vedere la luce di una possibile redenzione,
quell’unica domanda fece sprofondare il suo cuore in un’agonia di dolore senza fine.
« Che ci fa lui qui? » L’acredine con cui Draco Malfoy marcò quel pronome
rispecchiava perfettamente la smorfia d’astio puro del suo viso. Era più
pallido di come lo ricordava, e cominciava a stempiarsi, ma in fondo, era
assolutamente simile al ragazzino arrogante che aveva visto per l’ultima volta
dieci anni prima al funerale del suo migliore amico. I capelli biondissimi
erano incollati sulla testa, e dalle ciocche sulla nuca scivolava ancora
qualche goccia d’acqua, segno che era appena uscito dalla doccia. Indosso,
aveva solo un paio di pantaloni dal taglio elegante e l’aria costosa, quel
genere di abbigliamento che lui non si sarebbe mai potuto permettere.
« Voleva parlarmi » Dato che
lui era ammutolito, Hermione rispose al posto suo.
Mentre i suoi occhi scuri si posavano sul biondo, scorrendo con una certa
disinvoltura sul suo corpo liscio e mezzo nudo, ancora inumidito dalla doccia,
la sua espressione si ammorbidì in maniera così evidente che Ron fu costretto a chinare il capo, ferito e colpito dalla
spiacevole sensazione di essere di troppo, in quella casa. Si sentì un
estraneo, colto in flagrante mentre spia una scena intima, e personale. Quello
sguardo era intimo e personale, e lui non potè fare a
meno di pensare che un tempo quei occhi erano solo suoi, e che lo sarebbero
potuto essere per sempre, se solo non fosse stato così stupido e avventato.
« Parlarti di che? » Lo sguardo
di Draco si spostava da lui a Hermione,
in un alternarsi d’emozioni e sentimenti incredibilmente percepibili.
« Del terribile errore che ho fatto » Ron piantò due enormi occhi
azzurri sul volto di Malfoy, con una decisione che
sorprese prima di tutto se stesso. Sostenne il suo sguardo con fierezza,
tentando di scacciare la spiacevole sensazione d’essere in torto e di non avere
alcun diritto di guardarlo in quel modo.
« Voglio essere sincero con te. Sono indeciso se strozzarti a
mani nude oppure prendere la bacchetta e lanciarti una Maledizione Senza
Perdono » La voce di Draco era
pacata e bassa, un sibilo strisciante che pareva distillato nell’odio.
« Ero giovane, non sapevo cosa stavo facendo » cercò di giustificarsi Ron,
cercando con lo sguardo Hermione, come sperando di
trovare un appiglio, in lei. Ma quella ragazzina che lui aveva amato non
esisteva più: il volto della donna che ora lui guardava era scivoloso e
sfuggente. Dietro il movimento di ciglia con cui lei abbassò lo sguardo, c’era
tutta l’intenzione di non schierarsi da nessuna parte, per non ferire nessuno
dei due.
Quanto era cambiata? Quanto lui l’aveva cambiata?
« Giovane? Quanti anni bisogna avere per capire la differenza
tra giusto e sbagliato? » Draco fece un passo
verso Ron e si fermò ad appena un metro da lui. Il
suo corpo era proteso verso di lui, e sembrava sul punto di picchiarlo davvero:
tremava e sussultava, trattenendo l’ira tra i denti come un animale dentro una
gabbia, che lotta e scalpita per uscire. Si calmò solo quando Hermione poggiò sulla sua spalla una mano, tiepida e
piccola, minuta e rassicurante. Allora, con un ultimo sguardo feroce, lui sbuffò
e gli voltò le spalle, sparendo a grandi passi dietro una porta.
Hermione seguì quella ritirata con lo sguardo, poi emise
un sospiro e tornò a guardare Ron.
« Adesso è meglio che tu vada » Dentro i
suoi occhi, l’uomo riuscì a leggere un barlume di tenerezza, come un briciolo
di freddezza sfaldata e crollata sul pavimento. Un pezzo della sua armatura
aveva ceduto il passo a una lama di luce che lui accolse senza nessuna
speranza, consapevole che quell’incontro era stato sterile quanto la guerra che
l’aveva provocato.
Mentre voltava le spalle al suo primo e unico
amore, Ron non poté fare a meno di pensare alla
misteriosa circostanza per cui le cose del nostro passato continuano ad
esistere anche quando escono dal raggio della nostra vita, e anzi maturano, portando
frutti nuovi ad ogni stagione, per un raccolto di cui non sappiamo più nulla.
Non potè fare a meno di pensare alla persistenza
illogica della vita.
***
Marzo del 2000
Era un’alba
vuota, quella della vittoria. Nessuno esultava, perché ognuno era chino su un
cadavere. Fratelli, genitori, amici: tutti avevano perduto qualcuno, in quella
guerra senza clemenza e senza giustizia. E persino la sconfitta del più
malvagio mago di tutti i tempi aveva avuto un prezzo troppo alto per poterlo
sopportare.
Quando Hermione aveva guardato Ron negli
occhi aveva capito subito che la verità delle sue parole le avrebbe fatto
troppo male per poterla accettare, ma non avrebbe mai creduto di diventare
incapace di provare sentimenti. Ma era successo, e dal giorno di quella
battaglia maledetta non era passata una sola ora senza che lei piangesse,
dentro di sé, lacrime amare. Per non esserci stata nel momento del bisogno. Per
aver abbandonato, ancora una volta, il suo migliore amico. Piangeva in
silenzio, Hermione, senza che un solo muscolo del suo
volto si muovesse, senza che una sola lacrima bagnasse il suo viso. La sua
punizione era un’apatia invisibile, nascosta sotto strati di sentimenti e buone
intenzioni che erano tutte false.
Fino al suo
arrivo.
Draco avrebbe riconosciuto il suo profilo tra mille.
Illuminata dolcemente dalla luce metallica di un ospedale asettico e troppo
colmo di gente, la linea dritta del naso piccolo e la curva morbida delle
labbra erano un invito a cui lui non poteva rinunciare. Si avvicinò a lei con
passi che non avevano tempo, e accostò il suo volto affilato e pallido, ancora
provato dalla recente operazione subita, alla chioma ribelle. I ricci sparsi e
disordinati della ragazza gli solleticarono gli zigomi nivei. Profumava di
pesca, e lui si sorprese nel rendersi conto di conoscere già quell’odore.
Hermione non si mosse quando avvertì quel corpo solido
contro di lei. La sua schiena si tese e le sue spalle si irrigidirono con un
fremito, ma non diede segno di essere disturbata da quel contatto, come se lo
conoscesse, o aspettasse, da tempo.
« Ti amo da
quando ho undici anni » La voce di Draco era un sussurro sottile, appena udibile nonostante la
distanza esigua che intercorreva tra di loro. Le labbra del fu Serpeverde sfioravano l’orecchio di Hermione,
lambendolo dolcemente con quelle parole di miele che aveva trovato il coraggio
di dire solo allora. Era una fortuna che non fosse già troppo tardi. « Non sono
mai riuscito ad ammetterlo, perché tu sei… » sospirò, e
il suo fiato caldo solleticò il collo della giovane, che però rimase in
silenzio. Strinse appena le labbra, consapevole che la stoccata che stava per
giungere l’avrebbe ferita, ma che lei avrebbe reagito con il fiero distacco di
sempre «… troppo, per me »
Il sospiro
con cui Hermione rilassò le spalle sembrò convincere Draco che poteva continuare.
« Ho cercato
di sopprimere il mio sentimento fin quando ho potuto, ma alla fine è diventato
così forte che ho rischiato di impazzire » Un’altra
pausa, più lunga delle precedenti. Hermione sentiva
la bocca di Draco sul suo orecchio, aprirsi e
chiudersi senza emettere alcun suono. Il suo corpo, solido e sottile, contro la
sua schiena, tremava appena, scosso da un fremito d’emozione che cominciava a
pervadere anche lei. « Io non ti chiedo niente » Il sussurro
del giovane sembrava provenire da una distanza inarrivabile, percorsa fino
all’ultimo metro, e giunta con una sconfitta esausta e stanca. « Tutto
quello che di bello ho avuto dalla vita è stato il mio amore per te. Lo so che
è troppo-»
Non riuscì
mai a finire. La bocca di Hermione era già premuta
sulla sua.
Questa
volta, Ron non ebbe nulla da obiettare mentre
guardava il suo unico amore sfuggirgli dalle dita. Strinse convulsamente il
pugno, consapevole che Hermione era già lontana.