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Autore: Polaris_Nicole    19/04/2014    5 recensioni
Ciao a tutti, questa è la mia prima fanfiction.
Ero un po' diffidente dal pubblicarla, ma mi sono lasciata convincere da un'amica.
Ho sempre ritenuto Nico e Leo come due sfaccettature del mio carattere: Nico rappresenta la parte ribelle, che ha sofferto e simboleggia il mio desiderio di rivalsa; Leo invece rappresenta la voglia di vivere, il non voler mai far soffrire i propri amici, anche se dentro si nasconde un dolore ancora più grande ...
Ho sempre immaginato il contrasto che si sarebbe creato tra queste due parti che, pur essendo così diverse, sono capaci di completarsi.
Spero che la storia vi piaccia, non dimenticate di recensire!
[Valdangelo] [accenni alla Pernico]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Leo Valdez, Nico di Angelo
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Angolo dell'autrice: Comincio a pensare che la mancanza di recensioni nonostante le innumerevoli visite - più di 100! - sia dovuta ad una coalizione contro di me ... Ma voglio illudermi pensando che scrivo troppo bene per ricevere delle critiche - scherzo! non sono una montata -.
Comunque, ecco il terzo capitolo, avevo intenzione di pubblicarlo ieri, ma ho dovuto riscriverlo per paura che risultasse troppo OOC.
Prima che cominciate a leggerlo, vorrei prendermi un attimo per ringraziare Dorov, EvyTheStrange e Anonima_14 per aver messo la storia tra le preferite, vi stimo ragazzi!
Polaris_Nicole Il sole era calato quasi completamente, ma la notte tardava ad arrivare, come se la scena si fosse bloccata all’improvviso.
Le onde del mare s’infrangevano silenziose sulla sabbia calda che aveva assunto un colorito aranciato e, nonostante nessuno lo sapesse, rappresentava uno dei miei colori preferiti oltre il verde.
Adoravo fare passeggiate sulla spiaggia, in genere, mentre gli altri ragazzi si allenavano con la spada o col tiro con l’arco, io me ne stavo in riva al mare a osservare l’orizzonte.
A volte prendevo un manichino da allenamento e mi esercitavo con la spada da solo, non mi piaceva stare con gli altri.
Inoltre, era come se io non facessi parte del Campo Mezzosangue: non ero obbligato a seguire gli allenamenti, potevo uscire ed entrare liberamente dal Campo e se non fosse stato per me, Ade non avrebbe neanche una cabina a sé dedicata!
Ma in un certo senso non mi dava fastidio, se fossi stato obbligato a seguire regole, orari, allenamenti, lezioni di combattimento … probabilmente sarei morto dopo una settimana, specialmente se mi avessero costretto ad indossare la maglietta del Campo! Non ci voglio neanche pensare a quella possibilità …
Ad ogni modo, stavo passeggiando sulla spiaggia con le mani sepolte nelle tasche della felpa e tenevo lo sguardo fisso sulle converse nere che ad ogni passo affondavano sempre di più nella sabbia dorata.
Attorno a me vi era solo il silenzio, mi piaceva il silenzio, perché a mio avviso si potevano capire più cose stando in silenzio che parlando in continuazione, ma quel silenzio non mi piaceva per niente, era un silenzio imbarazzato e – decisamente troppo – carico di aspettative.
Il punto era che non ero solo, infatti avevo accanto a me il più folle, iperattivo e inarrestabile falò ambulante di tutto il Campo, meglio conosciuto come Leo.
“e così … sei capace di evocare i morti, non è vero?” chiese all’improvviso la Torcia umana richiamandomi nel mondo reale – che detestavo con tutto me stesso – .
“… cosa?” chiesi con tono brusco rendendomi conto troppo tardi della domanda che mi era stata posta
“ti ho chiesto se sei capace di evocare i morti” ripeté Leo con sicurezza.
“ehm … sì, anche se una volta ho cercato di evocare mia sorella ed è spuntato fuori John Lennon …” ammisi arrossendo lievemente, Leo scoppiò a ridere e si appoggiò con un braccio alla mia spalla per reggersi in piedi, io tentai di scostarla senza successo. “che c’è di così divertente?” chiesi accigliato.
Lui rise con forza prima di riuscire a calmarsi ed a rispondere alla domanda “è che sei divertente” disse con un sorriso sulle labbra che per poco non mi fece venire il diabete.
Di fronte ad una simile affermazione, mi sarei arrabbiato – e parecchio! – ma fu come se il sorriso di Leo mi avesse paralizzato impedendomi una qualsiasi reazione.
Tra noi si creò di nuovo quello strano silenzio, un silenzio imbarazzante … avrei fatto di tutto per uscire da quella situazione!
Il silenzio però fu rotto da Leo che mi avvolse le spalle con un braccio e con il suo solito – smielato – sorriso prese parola. “comunque, non credere di essere il solo a combinare casini in giro. Pensa che io una volta ho addirittura bruciato i capelli del capo cabina della casa di Efesto nel sonno! Avresti dovuto vedere la sua faccia il mattino dopo! Non riesco ancora a decidermi se fosse più rossa la sua faccia oppure la pelata che aveva in testa per colpa delle fiamme!” a quel punto scoppiai a ridere anch’io, dovevo ammetterlo: con Leo non si poteva mai essere tristi.
“sei carino quando sorridi” disse all’improvviso lasciandomi spiazzato, lo guardai negli occhi e sembrava sincero, così decisi di prendere la palla al balzo.
Gli diedi una spintonata, lui si fermò all’improvviso, lo affettai per il colletto della maglietta e lo avvicinai abbastanza da poterlo guardare dritto negli occhi regalandogli uno dei miei sguardi truci.
“ok, punto primo: io non sono carino e punto secondo: vorrei ricordarti che stai parlando con il Re degli spettri”
“oh! Ma che paura! Cosa posso fare per meritare il suo perdono mio Re?” disse con tono sarcastico divincolandosi dalla mia presa e cimentandosi in un goffo inchino.
Il suo comportamento mi fece venir nuovamente voglia di ridere, ma decisi di tenergli il broncio ancora per un po’, giusto per divertirmi.
Restammo così per un breve tratto di strada, fino a quando Leo – sotto l’effetto di non so quale sostanza di dubbia legalità – non mi spinse, non me l’aspettavo per niente, così precipitai a terra e la faccia mi affondò nella sabbia.
Quando risollevai la testa, Leo era seduto accanto a me e rideva come un matto, io incrociai le braccia ancora convinto di mostrarmi offeso nei suoi confronti.
“andiamo! Non esagerare! Era solo uno scherzo innocente …” riuscì a pronunciare tra una risata e l’altra.
“certe volte mi sembri proprio un bambino di quattro anni!” esclamai risentito.
“e tu mi sembri un vecchietto di 85, ma non ti giudico” disse con voce più adulta, quasi volesse farmi rimangiare le parole appena pronunciate.
“vorrei farti notare che tecnicamente io sono un vecchietto di 85 anni” puntualizzai.
Leo scoppiò a ridere per la terza volta tenendosi il busto con un braccio, mentre, l’altro lo allungò verso di me fino ad arrivare a scuotermi energicamente i capelli.
“Smettila!” lo intimai io, ma lui sembrava ormai appartenere ad un altro universo, mi sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e mi guardò negli occhi per qualche secondo.
Non stavamo ridendo, non stavamo litigando, eravamo solo io, lui e il dolce suono delle onde del mare che faceva da colonna sonora a quel magico istante.     
Fui io il primo a interrompere quello scambio di sguardi, mi sentivo un po’ in imbarazzo, e a mio giudizio, neanche Leo doveva essere proprio a suo agio.
Avevo intenzione di inventarmi una scusa, una qualsiasi, pur di andarmene e non rivolgere mai più la parola ad anima viva – notare il doppio senso – specialmente al ragazzo Torcia.
Ma cosa avrei potuto dire? “scusa, sono troppo stanco, meglio che vada a riposare in cabina”? no, avrebbe insistito per farmi compagnia ed io non avrei saputo dirgli di no. “Ho lasciato Mrs. O’leary nella stalla dei Pegasi”? No, li avremmo dovuti trovare tutti stecchiti – cosa che non erano – e poi avevo Mrs. A Jason che l’aveva portata a Nuova Roma.
Ad un certo punto, però, il mio stomaco brontolò facendomi dimenticare tutti quegli assurdi grattacapi in cui mi stavo andando a ficcare.
“fame, eh?” chiese Leo rovistando nella sua cintura portattrezzi dalle mille tasche e, da una di queste, tirò fuori due sandwich.
“hai davvero di tutto in quella cintura?!” dissi con fare piuttosto sorpreso.
“non di tutto, i panini li ho presi oggi a pranzo, pensavo di passare la serata in officina” disse cominciando ad addentare uno dei sandwich e lanciandomi l’altro.
“in officina? Non al falò? Sei sempre lì la sera” mi accorsi troppo tardi dell’errore che avevo commesso nell’istante in cui vidi una scintilla illuminarsi negli occhi di Leo.
“allora non è vero che mi odi! Anzi, tu ci tieni a me!” esclamò dandomi un lieve pugno sulla spalla sorridendo – ovviamente – .
“Ma come ti viene in mente?! Se proprio lo vuoi sapere sei la persona più odiosa che conosca” dissi con un sorriso sul volto, non ero mai stato capace di mentire, ma era come se avessi voluto farglielo sapere.
“Stai mentendo! Ammettilo!” esclamò puntandomi contro l’indice.
“mai” dissi con voce calma, in contrapposizione con il tono utilizzato da Leo.
Vidi un sorriso maligno formarsi sul suo volto, cercai di alzarmi ma lui mi blocco e cominciò a farmi il solletico.
“Leo … smettila! Non ce la faccio!” cominciai ad urlargli mentre le risate mi assalivano, risi così tanto che per poco non mi vennero le lacrime agli occhi.
“prima ammettilo!” disse continuando a solleticarmi i fianchi: il mio punto – decisamente – più debole.
“ok! Lo ammetto! Lo ammetto …” dissi ormai senza fiato, mentre Leo mi lasciava andare lentamente.
Avevo il fiatone, non ce la facevo più, appena Leo mi lasciò andare gli diedi uno pugno sulla spalla.
“Ahi!”
“Te lo sei meritato” dissi seccato “detesto quando mi fanno il solletico”
“ci sono tante cose che detesti, eppure la maggior parte di queste sono le uniche capaci di donarti un sorriso”  disse con tono naturale, un tono che mi confuse in contrapposizione con la frase da lui pronunciata.
“Da quant’è che ti sei messo a fare il poeta, Valdez?” chiesi sarcastico guardandolo negli occhi.
“secondo me non mi conosci abbastanza e basta” rispose sempre con quel tono che non riuscivo a capire.
“ok, questa me la spieghi” sussurrai, lui  si avvicinò al mio orecchio “mai” sussurrò.
Era scesa la notte, si avvertivano appena in lontananza le voci dei ragazzi del Campo che cantavano – stonati come capre col mal di pancia- vecchie canzoni.
Le onde funeste che avevano reso il mare mosso quel pomeriggio, adesso avevano lasciato il posto ad un mare calmo e cristallino, sulla cui superficie si riflettevano le stelle e la luna donando all’oscurità di quella notte una luce fresca e rinvigorente.
La sera, sebbene fossimo in piena estate, faceva sempre un po’ di freddo, ma non importava.
Lui era accanto a me.       
  
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