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Autore: skippingstone    30/04/2014    1 recensioni
"Mi avevano detto che pensare troppo fa male, mi avevano detto che sarebbe passato tutto eppure la testa mi scoppia, gli occhi bruciano e respirare sembra la cosa più difficile da fare. Rifletto sulla mia probabile morte e sorrido, almeno potremmo stare vicino. Posso affermare di aver combattuto per tutti quelli che non sono riusciti a farlo: ho combattuto anche per te.
Se, invece, riuscirò ad uscire da questa Arena, non sarò più lo stesso: tutte le cicatrici si stanno aprendo nell'interno della mia bocca lasciando un retrogusto di sangue e troppe sono nel cuore. Anche se uscissi da questa Arena, non ne uscirei vincitore. Ho già perso tutto.
Tutto tranne una cosa: la voglia di vendetta.
Possa la luce essere, ora, a mio favore!"
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Altri tributi, Presidente Snow, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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16. Mi ripetono e ripeto: corri!
 
Questa è l'ultima lettera che ti scriverò Livius. Non perché non voglia scrivertene altre, ma perché credo che, nell'Arena, non ci siano né carta né penna e né tempo da utilizzare per farlo.
Ci pensi? Se fossimo in un universo parallelo, adesso tu staresti al mio posto. Se tu non avessi deciso di spararti il cervello, tu saresti il tributo del distretto 2. Anche tu avresti dovuto sopportare tutto quello che sto sopportando io? Anche tu avresti avuto uno strano rapporto con il Presidente? Anche tu avresti bevuto veleno? Anche tu avresti deciso di giocare da solo, secondo le tue regole o avresti cercato degli alleati?
Io, poi, cosa starei facendo? Starei fermo, davanti alla televisione, a cercare sempre te? Starei morendo dentro? Starei, forse, facendo solo il codardo nel guardarti senza muovere un dito. 
Starei facendo tante cose senza di te.
Peccato che, anche nella realtà, io stia facendo tante cose... comunque senza di te.
Perché volevo scriverti questa lettera? Non lo so neanche io adesso.
Vabbè, meglio lasciar stare. In questo momento non riesco neanche a pensare lucidamente.
Nella speranza di poter cogliere qualche rosa bianca nell'Arena, ti saluto.
Controllami da lassù o da quaggiù, ovunque tu sia.
Tuo, C. Snow.

«Quindi questo è un addio?»
«Temo di sì.»
Guardo Cosima. Abbiamo entrambi gli occhi lucidi ma siamo troppo orgogliosi e presuntuosi per lasciare che le lacrime scorrano. Caesar, invece, ci guarda con aria fiera. Victor, in un angolo, guarda la scena.
Ormai anche Cosima si è rassegnata all'idea che non sopravvivrò e che, quindi, non ci saranno altri discorsi, altre risate, altre stramberie, altre strane dimostrazioni d'affetto.
Ci abbracciamo e lascio che Caesar mi saluti. Lo fa come quando ci siamo incontrati il primo giorno: mi dà una pacca sul culo e io sorrido questa volta.
«Caesar, come farò senza i tuoi consigli?»
«Ti ho detto tutto quel che sapevo. Mi raccomando, non fare stupidaggini e...» - l'uomo si blocca: cosa potrebbe dirmi? Non può augurarmi la vittoria perché lui stesso lo sa. Sa fin troppo bene che io non tornerò vincitore. Quindi cosa può fare se non augurarmi una morte felice?
«Caesar, grazie.»
Lo abbraccio e questo è abbastanza per dirci addio. Lui passa da Level e ritorna Cosima da me.
«Sai che puoi vincere, vero?» - il membro più strano, ma a cui voglio bene di più, della famiglia Flickerman sorride e cerca di darmi forza.
«Sai che è impossibile, vero?»
«Se parti con questo presupposto...»
«Cosima, non parliamo di vittorie o meno. La realtà è una sola e la conosciamo entrambi. Perciò lascia che io ti dica addio nel modo giusto. Vorrei dirti che tu sei una delle donne più belle e simpatiche che io abbia mai conosciuto. E... vorrei farti sapere che, senza di te, tutta questa realtà mi avrebbe ucciso prima del tempo. Avevo bisogno di aria fresca, di qualcuno che mi facesse sorridere, di distrazioni, speranze e tu, per me, sei stato tutto questo. Avrei voluto incontrarti in giorni migliori, in situazioni felici e, se ti avessi incontrato in passato, sento che tu saresti stata per me un faro nella notte. Lo sei stata qua, il mio faro. Spero che, una volta arrivato nell'Arena, riesca ad essere quel fuoco divampante, quella bestia libera, quel veleno tossico. Tu sii sempre la stessa e non lasciare che la vita ti scalfisca: colpiscila come tu hai fatto con me.»
«Ti odio, brutto stronzo.»
Mi abbraccia e mi bacia sulle labbra. Inizialmente sbarro gli occhi scoprendomi sorpreso dalla sua reazione. Non mi sarei mai aspettato una cosa del genere. Mi aspettavo di ricevere una carezza sul pacco oppure una palpata sul sedere, ma mai un bacio sulle labbra. Poco importa quanto, però, sia così non-Cosima questo gesto, chiudo gli occhi e assaporo il suo gusto che sa di lampone. 
«Ecco, il mio ultimo portafortuna per te.»
Victor, sottovoce, annuncia che è arrivato il tempo di andare per me e Level. I fratelli Flickerman si allontanano lentamente quando, improvvisamente, Cosima corre verso di me e mi pizzica.
«Hai detto tutte quelle cose ma non hai detto che, se ci fossimo incontrati prima, avremmo scopato. Guarda... dispiace anche me che perché avrei potuto farti godere in una maniera che tu non puoi immaginare.»
Scoppio a ridere, avevo davvero bisogno di questa spassosa Cosima che non mi abbandonerà mai. Nessuno di loro lo farà. Quando delle persone fantastiche occupano uno spazio, seppure minimo, nel tuo cuore, queste non andranno mai via facilmente da là.
Ora vanno via definitivamente e siamo rimasti in tre. Victor ci spiega come funziona: tra poco partirà un timer. Quando questo partirà, lui uscirà e io dovrò entrare nell'ascensore di destra mentre Level dovrà entrare nell'altro. Questi due ascensori ci porteranno nell'Arena.
«E poi succederà quel che succederà.»
Cade un silenzio imbarazzante tra noi perché dobbiamo dirci addio. Non mi hanno mai insegnato a dire addio, a far andare via definitivamente una persona e, ora che devo farlo, mi sembra essere la cosa peggiore da fare.
Così gli vado incontro e lo abbraccio. Lui è sorpreso più di me di quel gesto, proprio come la sera precedente quando mi sono presentato alla sua porta.
«Grazie.» - solo questo riesco a dirgli, lui mi stringe più forte.
Ecco che parte quello che assomiglia più ad un allarme. È ora di andare, di dover entrare nell'Arena. Devo staccarmi, lasciare quel legame e non vorrei farlo per nessun motivo. Lo faccio, però, perché è così che deve andare.
Un saluto sbrigativo tra il Mentore e Level ed eccoci entrare negli ascensori.
Si chiudono le porte alle mie spalle e penso di essere diventato, per la prima volta in vita mia, claustrofobico perché sento che l'ossigeno sta scomparendo dall'abitacolo.
Dopo essersi sigillate del tutto le porte alle mie spalle, si aprono due porticine sopra la mia testa. Sento un rumore, quasi uno strano lamento e, alzando lo sguardo, vedo qualcosa cadere giù. Questa mi colpisce in testa e, quando finisce sul pavimento, sobbalzo perché capisco cosa sia. È Mohr. A terra, c'è il gatto/ibrido del Presidente Morse. Il suo pelo è bianco e, a terra, si sta allargando una chiazza rossa di sangue. Mi ricorda la camicia che il Presidente indossava durante l'intervista: un chiaro messaggio della mia morte futura. 
Evidentemente devo aver fatto tanto rumore perché Victor si avvicina alle porte e bussa violentemente per vedere cosa stia succedendo là dentro. Io lo guardo e mi sposto leggermente per fargli vedere il gatto. Lui sbarra gli occhi e mi fa capire, gesticolando, di guardare nella bocca dell'animale. Lentamente mi avvicino al gatto, tentenno nell'aprirgli la bocca perché ho paura che si svegli da un momento all'altro ma non lo fa, resta morto. Allora estrapolo ciò che ha in bocca: è un bigliettino. Lo apro e leggo cosa c'è scritto dentro: Ricorda chi è il vero nemico!
Sbatto il foglio sul vetro per far vedere a Victor cosa c'è scritto e l'ascensore inizia a salire.
Vorrei riuscire a capire cosa sta succedendo, il senso del gatto morto e che divertimento ci sia in questo gioco malsano. Non riesco, però, a pensarci lucidamente perché una luce mi sta accecando. Scivolo a terra e sposto il defunto più in là. Come è mia abitudine, mi sporco le mani di sangue (ormai non vivo più pulito da tempo) e mi sento morire. È come se il cuore volesse uscire dal petto, vorrebbe evitare di continuare a battere, vorrebbe smetterla perché è troppo tutto quello che deve sopportare.
Un cerchio alla testa mi stringe così forte che sento anche il cervello che vuole uscire, non essere costretto a registrare, elaborare tutto.
Ogni singola parte del mio essere vorrebbe lasciare questo corpo e impossessarsi di un altro, di una persona che non ha ansie, tormenti, preoccupazioni.
Perché sono costretto a giocare? Perché mi è toccato avere questo carattere di merda? Perché, per ogni passo, devo preoccuparmi del seguito dell'ombra? Perché, per ogni battito, mi devo preoccupare del prossimo? Perché, per ogni secondo, devo preoccuparmi del prossimo minuto? Perché, per ogni singola puttanata, devo preoccuparmi? 
E ora che sono anche davanti a questa porta di vetro che non vuole aprirsi, io sento ancora di più l'ansia cibarsi di ogni mio angolo.
È questa vita? È possibile continuare così? Conosco già la risposta: è no, non posso continuare a vivere così.
Eppure è l'unico modo che conosco per vivere!
Tremo come una foglia che è vittima del vento autunnale mentre le porte dell'ascensore, finalmente, si aprono.
È alto il sole, gli uccelli cinguettano e un leggero vento primaverile soffia delicatamente. A gattoni mi sporgo fuori e vedo un paradiso, un luogo fantastico, un posto che non suggerisca morte. Può davvero essere questa l'Arena?
Noi tributi siamo su una base rotonda che è divisa in dodici corridoi, ognuna di loro ci porta al centro della Cornucopia che è una struttura simile ad un proiettile gigante. È dorato, maestoso, a tratti spaventoso. Non riesco a scorgere quello che è dietro gli ascensori, mi toccherà scoprirlo nel vivo dei Giochi.
I corridoi sono tutti particolari. Infatti ogni corridoio, al di sotto di una lastra di vetro, ha qualcosa che rispecchi il distretto a cui appartengono i tributi. Ad esempio, il corridoio del distretto 12 è fatto di carbone, quello del'11 è fatto di mille fiori variopinti, quello dell'10 di carne che macchia il vetro da sotto, quello dell'1 è dorato proprio come la Cornucopia, quello del 3 emana strani ronzii e a causa dei vari fasci di elettricità che viaggiano indisturbati, quello del 4 è fatto di acqua. Il mio corridoio è fatto di polvere da sparo. Sfortunatamente non riesco a vedere i restanti.
«Benvenuti alla venticinquesima edizione degli Hunger Games, che i giochi abbiano inizio!» 
Scatta il cupo suono di un cannone in seguito alla voce che ha dato il via ai Giochi e il proiettile dorato si apre. Le mura della Cornucopia dorata si abbassano scoprendo una base piena di armi e tante altre cose utili per noi. I primi a correre verso la Cornucopia sono i tributi del distretto 1, Tacito non può che voler essere il migliore. Inizia a scendere anche Level. Ovviamente deve raggiungere il suo grande amore.
Allora mi alzo, mi faccio forza, ed entro definitivamente nell'Arena lasciando il gatto morto nell'ascensore. Corro per riuscire a prendere più armi possibili.
È una corsa contro il tempo, contro i tributi, contro la morte. Più riusciamo a prendere, più abbiamo possibilità di sopravvivere. Devo riuscire a farcela. Arrivo sulla base della Cornucopia e riesco a prendere uno zaino. Lo afferro, ma mi muovo in fretta per paura dell'attacco di qualcuno. Vorrei riuscire a prendere qualche arma, ma è difficilissimo in quanto c'è tanta confusione. Tutti cercano di accaparrarsi tutto, alcuni già stanno lottando per poter afferrare spade, frecce, pugnali, medicinali. Resto inerme a guardare quel che sta succedendo mentre tutti gli altri corrono. Mi riprendo quando si avvicina a me Tacito con fare aggressivo. Sta sventolando una spada con un'agilità da invidiare. Allora inizio a scappare: non voglio morire. Mi sono lamentato finora di questa vita di merda ma sento di voler almeno combattere, vendicare mio fratello, Livius, i tributi morti e distruggere i miei veri nemici.
«Ti prendo, morto che macchina!» - lui urla perché mi vuole vedere morto. Sono il suo principale obiettivo. Continuo a correre ma guardo indietro per poter vedere quanto vantaggio ho su di lui. All'improvviso colpisco qualcuno. È il tributo del distretto 8. Lui è impaurito più di me. Ha delle armi in mano ma è spaesato, immobile. Glielo leggo negli occhi che ha terrore e non reagisce. Io continuo a correre, però, perché devo difendermi.
Quando mi giro per poter guardare a pieno la scena, Tacito sta infilando la spada nel tributo del distretto 8. Mi blocco e mi destabilizza quella scena. È morto. Quel tributo, bloccato da tutta questa realtà, è stato già ucciso. Per averne maggiore conferma, il rombo di un cannone si estende nell'Arena.
«Corri, Snow!» - qualcuno mi urla e obbedisco al comando.
Mi ripeto più volte, ad alta voce, di correre. Perciò mi addentro al centro della base e controllo quello che è rimasto. Ogni scaffale, tavolo è vuoto. Mi avvicino, allora, al tributo morto del distretto 8 e prendo quello che lui aveva: due capsule, una rossa e una verde, di non so cosa e un pugnale con la lama seghettata.
Mi sollevo da terra e ritorno a correre ma la ragazza del distretto 6, per scansarmi, mi spinge e cado a terra.
Sento un dolore fortissimo ed urlo.
Lascio andare tutto ciò che ho in mano e cerco di rialzarmi, ma è come se mille aghi mi pungessero in ogni parte del corpo. In effetti non riesco proprio ad alzarmi da terra perché non trovo nessuna base solida su cui poter fare forza ma solo altri aghi. Infatti sono caduto in una vasca piena di siringhe. Poi un'intuizione: questo era il corridoio del distretto 5.
Tutte le lastre di vetro che ci hanno consentito di arrivare alla Cornucopia sono scomparse. Ora, per passare dall'altra parte e sfuggire ai tributi, bisogna trovare il corridoio più innocuo.
La fortuna ha voluto che io cadessi in uno dei corridoi peggiori.

Raffigurazione grafica dell'entrata nell'Arena, la Cornucopia (siate clementi, ho sempre odiato il disegno tecnico):

 
  
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