Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
Segui la storia  |       
Autore: thefireplanet    01/05/2014    1 recensioni
Ci sono dei pesi, quando sei regina, che non hanno niente a che fare con una maledizione. Ci sono dei doveri, quando sei principessa, che non hanno niente a che fare con l'essere una sorella. E la strada per il vero amore non è mai stata in discesa.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna, Elsa, Hans, Kristoff, Nuovo personaggio
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 7

 

 

È una mattina da inizio estate, e non da fine, un giorno più primaverile che autunnale. Elsa osserva il cielo azzurro intenso attraverso le finestre piombate, tamburellando l’indice contro la coscia. A malapena lo avverte, attraverso il velluto pesante del vestito; con ogni tap, un singolo fiocco di neve cade ai suoi piedi. Nell’ incubo, Hans la sovrasta, e le rompe il naso.

Elsa scuote la testa, permettendo alla luce tiepida del sole di inondarla, e sospira, attraverso il naso, riservata. Si volta via dalla finestra, la città che si sveglia, il fiordo che luccica, e continua giù per il corridoio. La porta della stanza di Anna è ancora chiusa. Si ferma, appoggiando l’orecchio alla porta. Sente un russare soffocato e fa un sorriso, piccolo e luminoso. Poi va avanti.

Il corridoio dei ritratti si allunga infinito davanti a lei. Lo percorre nervosa, ignorando gli occhi accusatori, le bocche sottili, quasi afflosciandosi per il sollievo quando raggiunge la biblioteca, la porta bianca si apre, la porta bianca si chiude. Era presto, e i servitori non avevano ancora iniziato le proprie faccende. La finestra chiusa, il fuoco spento. Agita la mano, e un venticello gelido apre piano la finestra. Il tenue scampanare e le urla dei mercanti arrivano fino a lei.

Elsa si avvia alla scrivania. Ecco la missiva. Sembra stupido, non aprirla adesso, dopo quello che era riuscito a fare la scorsa notte. Si sistema sulla sedia a schienale alto, contro l’imbottitura sontuosa color porpora, e riesce a immaginare suo padre, seduto nella stessa posizione, che la guardava placido quando apriva la porta, e quando si aggiustava i guanti.

Elsa prende la lettera a mani nude, e spezza il sigillo.

A Sua Altezza Reale, Regina Elsa di Arendelle,

Non esistono precedenti di perdono per eventi gravi quanto le azioni di mio fratello, ma posso solo sperare che possiamo—e che lo faremo, davvero—andare avanti. La prego di accettare le mie più sentite scuse, e la prego di accettare le gentili richieste dei miei ambasciatori, Viktor e Tomas, due dei miei fratelli, che invio in mia vece per aiutarci a stabilire la pace dopo questo terribile evento. Sappia che è tutto quello che desidero.

Una grossa firma, piena di svolazzi, poi: Re Alfons delle Isole del Sud.

La carta si ghiaccia attorno ai polpastrelli. Elsa riesce solo a pensare no. Non vuole intrattenere altri fratelli. È contenta di continuare a vivere come se le Isole del Sud non esistessero, ed è abbastanza sicura che sua sorella sia dello stesso parere. Guarda fuori dalla finestra, il porto.

La porta bianca si apre. La porta bianca si chiude.


Si sveglia congelata, raggomitolata su un lato del letto. C’è una specie di dolore persistente che le parte dal petto e arriva alle spalle, un pulsare soffocato che inizia più o meno dalle parti del cuore. Geme. Ha la bocca che sa di fieno.

Urgh.

Schiocca le labbra, sedendosi e sbadigliando. Ha la pelle d’oca sulle braccia, e controlla—però no, la finestra è chiusa, e non c’è ghiaccio sul pavimento, e non sta guardando quel baldacchino di un blu orribile. Tutto è leggermente disordinato e molto molto suo. Il cuscino che Kristoff aveva usato giace ancora sul pavimento.

Non sa. Non sa un sacco di cose e parte di lei dice, sicuro, vai avanti, prosegui, e parte di lei dice, wooooh, ricordi quello che è successo l’ultima volta, vero, con la porta e l’idiota e il Non vedi? L’ho già fatto, te lo ricordi, vero? Potrebbe succedere di nuovo! E le due parti di lei se la risolvono a pugni, ma sono tutte e due, cioè, davvero brave a lottare, quindi non—non è che—

E metti anche il fatto che a lei, beh, piace stargli attorno—un sacco—

Anna dondola i piedi da un lato del letto e li pianta a terra, rabbrividendo tutta. Il dolore è diminuito, ora; abbastanza da mantenersi al margine e permetterle di ignorarlo quasi completamente. Va verso l’armadio e indossa maniche lunghe, e gonna pesante, domando i capelli in qualcosa di quasi accettabile. Fuori il corridoio è vuoto, il sole che lo inonda e il cielo azzurro del mattino oltre le finestre piombate. Anna pattina coi calzini, scivolando nel corridoio dei dipinti, corre fino alle porte della biblioteca. Le apre, aspettandosi di trovare sua sorella appollaiata dietro la grande scrivania di mogano con un’espressione fredda, come quello che suo padre aveva sempre, ma invece è vuota. Aggrotta le sopracciglia.

Kristoff non era Hans, e non sarebbe mai stato Hans, e la più grossa parte del suo cervello che lo sapeva, lo sapeva davvero, ma c’era anche quella parte di lei che non voleva essere messa in imbarazzo, o presa in giro; che all’improvviso non aveva idea, di cosa fosse l’amore, nonostante l’avesse visto tutti quegli anni—beh, almeno nei dipinti, no?

Scivola via da dove è venuta, lasciando le porte bianche che oscillano aperte-chiuse dietro di sé, fiondandosi nel corridoio dei ritratti. Perde l’equilibrio e inciampa perché va di fretta, spiaccicandosi con un oof e un ohi sul pavimento duro. Si alza, massaggiandosi la testa con un sussulto, ed eccolo lì.

I suoi genitori sembrano sereni.

Si erano amati, vero?

All’improvviso era davvero incredibilmente importantissimo che lo sapesse—

Si lancia nel corridoio esterno, spalancando la porta della stanza di Elsa appena è lì, ma è vuota, l’armadio ancora spezzato e smantellato. Passa oltre, giù per le scale, ed ecco—"Gerda! Gerda, hai visto Elsa?"

"No, io—"

" 'kay, grazie, ciao!" si catapulta oltre, saltando sul corrimano della scala curva come aveva fatto altre cento volte prima. Giù, scivola. Era importante che lo sapesse.

"Kai!"

"Vostra altezza?" l’uomo sobbalza, stropicciando la pergamena che ha tra le mani e mandando via alcuni dei servi riunitisi, mentre si preparavano per i compiti della giornata. Anna veleggia giù per le scale finendo dritta dritta nell’armatura più vicina. Si ridà un contegno. "Hai visto Elsa?"

Si acciglia, allacciando le mani dietro la schiena. "Ora che ci penso, no."

Anna geme frustrata, perché doveva saperlo e basta, e forse voleva anche qualche consiglio su Kristoff, su come si doveva sentire, perché come faceva lei a

"La regina?" C’è una guardia accanto alla porta. Non lo riconosce. Probabilmente uno del nuovo gruppo, cortesia dei cancelli aperti. "Si è diretta al porto con un piccolo contingente."

"Il porto?" Anna aggrotta le ciglia. "Huh. Che strano."

"è urgente, Principessa?" Kai domanda, arrotolando la pergamena. "Posso dare ordini affinché la accompagnino—"

"No. Grazie, comunque," sorride, afferrandosi la mano sinistra con la destra. "No, allora—vado—le stalle."

E questa volta, non corre.


"Regina Elsa!" qualcuno grida.

"Vostra maestà," un uomo con spesse sopracciglia e l’aria da fabbro si inchina al suo passaggio. Fa un sorriso riservato. Un cenno col capo a qualcun altro. Un piccolo, quasi-saluto con la mano.

"E’ la Regina!" le arriva un’altra voce, da dietro, forse—non può esserne sicura. La lettera sta scavando una buca nella sua tasca, e le mani nude muoiono dalla voglia di essere coperte. Ci sono troppi occhi, troppe cose che potrebbero andare storte. Un venticello gelido agita la gonna, all’altezza dei piedi, ma sembra che le due guardie—una per ogni lato, e dietro a breve distanza—non l’abbiano notato.

C’era una libertà inebriante, qui; una che le ricordava la cima delle montagne.

Attraversano la piazzetta fino al porto con le banchine di legno, dove le enormi navi dondolano placidamente cullate dal vento sulle acque al largo, calme. Non una nuvola in vista. Osserva di sottecchi alcune bandiere—un sole, fregiato su uno sfondo viola; una croce allungata, tricolore; il bianco di un mercante neutrale—ma nessuna con il simbolo della famiglia reale delle Isole del Sud.

"Vostra maestà!" proclama una voce roca, segnata dalle intemperie. "Quale sorpresa!"

Si volta. In cammino verso di lei c’è un uomo magro come un palo, pelle scura e bruciata dal sole, occhi vividi e acuti, che indossa un cappotto lungo fregiato di oro e blu e un cappello a tricorno con una piuma elegante. Si ferma, rispettoso, a parecchi passi di distanza, questo capitano che aveva sorvegliato e gestito il porto fin da quando regnava suo padre. È consapevole della folla che si riunisce nella piazza alle sue spalle, che indicano, che fissano—la regina, la regina

Il vento si alza.

"Mastro Olin," dice, consapevole di avere sul volto l’onnipresente sorriso, piccolo ed educato. "Mi spiace per la visita inaspettata—"

"Vostra maestà è sempre la benvenuta al porto," urla allargando le braccia, indicando le navi. "Ora, in cosa posso servirvi?"

"Sto cercando la nave del Principe Albert."

"Ah, le Isole del Sud, sì." Olin fa un passo avanti, poi due. Le guardie si irrigidiscono. Il capitano di porto abbassa la voce e dice, quasi in tono cospiratorio, "Abbiamo messo la nave sotto stretta sorveglianza, dopo…gli eventi precedenti. Sta subendo grosse riparazioni." Indica una nave più lontana, ancorata al molo, dove degli uomini sciamano sul ponte e sulle funi. Uno degli alberi è crollato di lato. Le si stringe lo stomaco.

"Quanto tempo ci vuole, perché possa mettersi in mare?" chiede.

"Una settimana, magari?" Il capitano di porto sospira, grattandosi il mento.

Elsa fa cenno di sì col capo, la stima le fa precipitare lo stomaco nelle budella. Non ce l’aveva, una settimana, non se voleva intercettare la visita di questi—ambasciatori. Cosa che voleva fare, con tutto il cuore. "Grazie, Mastro Olin." Sta quasi per continuare lungo il molo, verso la nave in questione, ma si ferma, proprio prima di fare il primo passo. "E tutto il resto come procede?" chiede lentamente.

"Bene, vostra maestà," Olin risponde con un sorriso deciso. "Grazie per averlo chiesto."

Annuisce, come fa sempre, le labbra increspate da un quasi-sorrisetto, prima di stringere le mani avanti a sé e a proseguire sul molo. Tiene la schiena completamente rigida. Ci sono troppe persone e troppi modi in cui tutto potrebbe andare storto—è poi è spinta all’improvviso di nuovo nel presente, con il ricordo del fatto che tutto quello che poteva andare storto già l’aveva fatto, e che tutto ciò che volevano queste persone era solo una Regina. Alza gli occhi, alle fondamenta della città, ed eccoli lì riuniti—giovani, vecchi, alti, bassi. Saluta con la mano, e fanno un largo sorriso.

"La regina mi ha appena fatto ciao con la mano!" strilla uno dei ragazzi più piccoli.

Posso farcela, Elsa dice tra sé e sé, voltandosi di nuovo. La nave si avvicina. Sono la regina, pensa, anche se lo stomaco sobbalza e le fa male, con un’ansia tremenda. Oltre gli sguardi avidi, bramosi, del suo popolo, c’erano quelle navi, alte, silenziose. Non riusciva ad affrontare le navi, proprio come non riusciva ad affrontare il ritratto al castello, nel corridoio dei dipinti. Due settimane, le avevano detto.

È abbastanza vicina da distinguere i volti, ora, degli uomini che vanno avanti e indietro sul ponte, su per le funi, sull’albero. Erano impetuosi, usurati dalle intemperie tanto quanto Olin, con occhi acuti, scaltri. I marinai erano un’altra razza, un tipo di persone con cui raramente aveva avuto a che fare, un tipo di persone che non capiva. Il genere di persone che, sembra, non si facevano impressionare da un titolo nobiliare. Alza una mano. "Aspettate qui, per favore," ordina alle guardie.

"Ma vostra maestà—"

"Ho detto, aspettate qui."

Si fermano, ma lei non lo fa, le scarpe che battono un ritmo nervoso, irregolare sul legno che calpesta. La nave è smisurata, sia per grandezza che per forma; ne è intimidita. Due settimane. Allunga il collo, restia a mettere piede sulla passerella. C’è del gelo che si fa strada dalle sue scarpette fino all’acqua che sciaborda contro la nave. "Mi scusi?" chiama.

L’uomo più vicino a lei, sul ponte, sobbalza. Guarda alla propria destra, poi a sinistra. Poi alla fine guarda in basso. Subito la scorge, ed Elsa se ne accorge, dal modo in cui la grossa bocca si piega impertinente di lato, dalle sopracciglia incredule, dal naso grosso—sta per dire qualcosa di cui si sarebbe pentito. L’unica cosa che lo salva è una fugace seconda occhiata—i capelli quasi bianchi, pensa; forse la corona. In ogni modo chiude subito la bocca, e si raddrizza, da che era appoggiato alla balaustra, facendo un inchino brusco. "Vostra maestà."

"Il Principe Albert è a bordo?" Non voleva salire su quella nave, non sarebbe salita su quella nave.

"No, vostra maestà. È sceso in città più o meno n’ora fa."

"Grazie," annuisce rigida. Clack, clack, clack, protestano le sue scarpette, per tutta la strada fino al molo, il ghiaccio che la segue severo, come una scia, toccando appena le acque vicino agli scafi delle navi, il vento vortica, la temperatura diminuisce.

Due settimane.


Non è nelle stalle. È nel cortile, che carica la slitta su un carro, e controlla i finimenti di Sven. Anna si morde il labbro, afferrandosi la mano destra con la sinistra e decidendo che no, avrebbe dovuto fare—cose da principessa, tipo trovare sua sorella, forse, o dare istruzioni ai paggi, o a imbandire la tavola, o solo—qualcosa

"Oh, ehi, eccoti qui."

"Eccomi qui," ride colpevole, fermandosi mentre si stava girando per andarsene e ri-voltandosi indietro. Oltre i cancelli aperti riesce a intravedere il mercato, gli spigoli del banco dei fiori; riesce a sentire lo sciacquio dell’acqua sotto il ponte. Guardare Kristoff le fa ritornare il dolore al petto in tutta la sua forza. Inizia a massaggiarsi la spalla tracciando cerchi lenti, masticandosi l’interno della guancia.

"Non fa caldo, qui?" le chiede, accigliato, così da sembrare un vecchio barbone acido con la tunica che cade a pezzi.

"Oh, se intendi dire a causa della mia presenza, grazie per averlo notato," ghigna, sollevando suggestivamente un sopracciglio e ancheggiando. Il tutto finisce quando sporge il piede un po’ troppo e il paggio più vicino—che porta un cesto per il mercato, o roba del genere—cade a terra. "Oops! Mi dispiace, ecco qui—" lo aiuta a rialzarsi, senza sentirsi più sofisticata. O aggraziata.

"Bello," Kristoff fa in tono piatto, le palpebre mezzo abbassate e le sopracciglia sollevate. Tira su una sacca e la lancia nel retro del carro. "No, voglio dire, non hai tu caldo?"

"Stai implicando che io non sia attraente?"

"Non sto—non è quello che—hai addosso i vestiti invernali in estate."

"Prima cosa, guardati tu," dice, indicando la tunica, e i pantaloni pesanti, e gli stivali ricurvi. "Seconda cosa, praticamente siamo a fine estate."

"Non l’ho detto a nessuno," Kristoff dice sottovoce, ignorandola, "il fatto che hai freddo. Ma è davvero così? Tutto il tempo?"

"Perché dovrei mentirti?" chiede, in tono noncurante.

"Avevi più o meno preso una botta in testa quando me lo hai detto—"

"Non ho mentito," Anna dice, guardando di lato. Smette di premersi la spalla. "Non è niente comunque, ok? Non mento nemmeno se dico che distruggerò personalmente tutto ciò che ami se lo dici a Elsa. Ha già abbastanza cose di cui preoccuparsi così."

"Non puoi distruggere te stessa," Kristoff dice, premendo le labbra, e poi sembra rendersi conto di quello che ha appena detto, perché diventa rosso come un peperone. Anna sente ancora le parole riecheggiare nel cervello. La fanno sentire strana, bizzarra; la spaventano. Quindi fa la cosa migliore da fare in questi casi—l’ unica cosa—

Allunga il braccio per dare una pacca amichevole, mascolina, sul braccio di Kristoff, e dice: "Stai attento. Non farmi venire a salvarti di nuovo."

"Ti provocherebbe più guai di quanti ne valgo," fa lui subito dopo. Il broncio è ancora lì, le sopracciglia aggrottate. Si sta chiudendo in sé stesso, come un fiore bruciato dal gelo. Anna, mordendosi il labbro preoccupata, pensa che tutto questo si sarebbe potuto evitare se Elsa non avesse deciso di marinare la sala del trono, quel pomeriggio.

"Ehi," dice piano. Kristoff si volta verso di lei, che lo bacia sulla guancia. "Dico davvero. Per favore."

Giura, tracciandosi il cuore. "Forza, Sven."

E con questo, si incamminano via dal cortile, lasciando Anna confusa, perché decisamente non voleva essere solo amica di Kristoff, ma come poteva essere sicura—sicura dell’amore, dopo—

Dopo porte aperte1?

"Perché le cose non possono essere semplici," geme.


"Oh, no, mi ha preso! E con quest’ultima, io—muoio!"

Elsa sente delle risate, chiare e vivide alla luce del mattino, che scoppiano tra le case. C’è un sentiero, su cui le linee dritte delle costruzioni sui due lati proiettano l’ombra, ma oltre intravede un altro cortile—una piazza interna, contornata da case su ogni lato. Riesce appena a distinguere le estremità scintillanti di una fontana al centro, riesce appena a sentire lo scroscio dell’acqua oltre le grida deliziate dei bambini. Fa di nuovo un piccolissimo cenno con le mani.

"Vostra maestà," la guardia alla sua sinistra fa piano, "non possiamo lasciarvi—"

"Preferirei che rimaneste qui, in modo da non spaventare i bambini." Non può permettere che le sue guardie la credano debole. Non lo è. E come per ricordarglielo, un vento gelido arriva dalle montagne lontane. La guardia alla sua destra dice, "Vostra maestà."

Annuisce brusca.

I passi riecheggiano sulla strada polverosa. Non è in rovina, solo sporca, con un paio di pozzanghere stagnanti intorno ai canali di scolo, e un paio di casse di legno in piccoli gruppi. Elsa si stringe forte le mani, evitando i pericoli. Non era un mondo a cui era abituata, questo, e la brina che si forma sotto i suoi piedi lo sa.

Entra nella piazza, stringendo gli occhi contro la luce del sole che si vede di nuovo. Sbatte le palpebre, cercando di riabituarsi alla luce prima di potersi guardare attorno.

C’è della biancheria stesa su delle corde, in alto, alcune camicie sparse sul bordo della fontana. Sembra che ci siano altri accessi alla piazza, di fronte a lei, e alla sua destra; una taverna è all’altro capo sinistro, e riesce a sentire le urla provenienti da dentro, nonostante fosse presto. Due ragazzini, e una ragazzina, la superano correndo, i piedi che sbattono sulle pietre; la ragazza ha in mano una spada di legno. Un terzo bambino è appollaiato su una pila di cassette, e urla, "Aiuto! Salvatemi! Aiuto!"

E poi si sentono altri colpi—passi più grandi, più forti—e la sagoma piuttosto ballonzolante del Principe Albert la supera correndo a tutta velocità. La nota all’ultimo secondo, e tenta di voltarsi, ma inciampa sui propri piedi e cade all’indietro a terra, sbattendo con la testa sulle pietre e facendola sussultare. Ha una spada giocattolo infilata tra il braccio e la spalla.

"Sta bene?" rantola.

"Regina Elsa!" il Principe Albert si tira su a sedere immediatamente, ancora in buone condizioni, come se fosse solito cadere tutti i giorni e ci fosse, ormai, abituato. "Non l’avevo—come—"

"Muori!" la ragazzina strilla, balzando come un lupo e atterrandogli sul petto, schiacciandolo di nuovo a terra. Gli punta la spada alla gola.

"Mi arrendo!" urla, ridendo.

"Brutta stupida!" uno dei ragazzi che la bambina stava inseguendo urla, avvicinandosi per scuoterle la spalla. "Non puoi continuare a giocare, non quando ci sta la regina."

"Che regina, non è vero," risponde la ragazza, tenendo ferma la spada. "Solo questo traditore che voleva rapire il principe!"

"Aiutatemi, aiuto!" grida il ragazzo appollaiato sulle scatole.

Elsa non riesce a trattenersi—inizia a ridere. Si copre in fretta la bocca con la mano.

"è proprio , guarda—Mamma sta dando di matto!"

E come ci si poteva aspettare, le donne che facevano il bucato alla fontana avevano iniziato a inchinarsi, e una stava urlando, "Petter! Mostra un po’ di rispetto!"

Il ragazzo scende dalla pila di scatole e fa un profondo inchino, impacciato. "Vostra maestà."

"Hai vinto questo turno, Klara," il Principe Albert dice, tirandosi dolcemente su a sedere, e afferrando la bambina sotto le braccia. La rimette a terra. "Temo che dovremo interrompere la nostra battaglia mortale per un po’."

Elsa sente uno strattone alla gonna. Guarda in giù, sorpresa. C’è un altro bambino, col pollice piantato in bocca. "Oh, salve," fa un piccolo sorriso. Ha grandi occhi blu, proprio come li aveva Anna. "Come stai?"

"Sei davvero la regina?" le chiede col pollice in bocca.

Annuisce.

Si toglie il dito dalla bocca e le dà un altro strattone alla gonna. Elsa non ha avuto contatti con bambini da tanto, tanto tempo, ma adesso se lo ricorda, la facilità con cui si parla, la meraviglia che fa spalancare gli occhi; si inginocchia, senza pensare alla terra che le avrebbe sporcato le gonne. Il bambino le fa cenno di andare più vicino, e più vicino, e finalmente le sussurra all’orecchio, "Fai la magia?"

Magia. Non maledizione. Magia.

Ma poi pensa all’armadio distrutto, a sua sorella trasformata in ghiaccio, a quegli anni senza poter abbracciare—toccare—provare—

Annuisce lentamente. Sorride quasi. "Sei pronto?"

Lui fa di sì con la testa.

Si ritrova a guardare il principe Albert. Solo un’occhiata veloce, davvero, ma lui la sta osservando con una specie di sorriso sghembo, e gli occhi luminosi. Apre le mani per avere qualcosa da fare, e sente il freddo camminarle nelle vene, fino alla punta delle dita. Fiocchi di neve scintillano tra esse, aggregandosi in una palla bianca brillante. Alza lo sguardo verso gli altri bambini—Petter, che scende dalla sua torre, Klara, che la osserva con aria scaltra—e la lancia in aria. Scoppia. Fiocchi delicati iniziano a cadere. I bambini gridano. Anche gli adulti rimangono a bocca aperta. Il principe Albert osserva la neve che gli si posa sul naso e le punte dei capelli ricci come se non avesse visto niente di più incredibile in vita sua. Elsa tossisce, e si alza, e guarda il divertimento prendere il via.

Pur sempre una maledizione, pensa.

"Lei è incredibile," il principe dice, e la sua voce si incrina. "Voglio dire—no, non è che—" la mano scatta verso la manica. "Come mi ha trovato?"

"Ho chiesto al mastro di porto, a un uomo della sua ciurma, al fioraio, al fabbro, e al fornaio."

"Ah. Ho lasciato, un, ah, sentiero di briciole, allora?"

"Più o meno," sorride quasi. "Cosa sta facendo qui?"

"Un’eccitante partita di Salva il Principe. Credo proprio che Klara un giorno entrerà a far parte della sua guardia reale," sorride, e non è quasi. Gli arriva fino agli occhi. Gli si formano delle piccole rughe d’espressione agli angoli. "Arendelle è veramente bellissima, e le persone sono—" si blocca. Elsa si rende conto, con un sussulto, che non sa davvero come siano le persone. Sono, e basta. "Ma sto farneticando—Io—Io credevo che non volesse vedermi."

Ha le spalle leggermente ricurve, e il suo nervosismo è tornato. La neve continua a cadere a ondate leggere dal cielo azzurro. Ha una voglia matta di costruire palazzi di ghiaccio. Si sente in colpa per il fatto che vuole che vada via, ma poi si ricorda.

Anna aveva detto—le aveva raccontato quello che lui aveva detto, mentre spegneva il fuoco, ed era—Elsa, come erede era preferibile, certo, ma nessuno aveva possibilità con lei

E se avessero mandato questo ragazzo alla buona per—per avere possibilità?

Tira fuori la missiva dal proprio abito, il braccio teso rigidamente. "Ho ricevuto questa da Re Alfons. Ho redatto questa," ed estrae un’altra lettera, che tiene accanto alla prima, "con la mia risposta, ma lo stesso, voglio che la consegni di persona. Re Alfons non ha bisogno di mandare ambasciatori. Desidero tempo per ritrovare stabilità. Questo è tutto." La sua voce è formale, a scatti. Il Principe Albert prende entrambe le lettere e si rivolge alla prima, quella col sigillo spezzato delle Isole del Sud.

"Mi permette?" chiede.

Annuisce.

Esamina i contenuti con un cipiglio crescente. "Viktor e Tomas non sarebbero buoni ambasciatori alla Fine del Mondo, figuriamoci Arendelle," borbotta. Ancora una volta, Elsa pensa che in teoria non avrebbe dovuto sentire quelle parole. "Vuol dire che già li ha mandati?"

"Non lo so," sospira, afferrandosi i gomiti e stringendosi forte le braccia al petto. Parecchi dei clienti della taverna iniziavano a riversarsi in piazza, notando la nevicata fuori stagione. Petter e Klara ridevano felici. Il bambino col pollice in bocca sbatteva le palpebre pieno di stupore.

"Non vuole che vengano inviati," il principe Albert dice, ripiegando la lettera. "In realtà, io stesso non avrei voluto che fossero inviati. Probabilmente non dovevo—avrei dovuto dirlo."

"Le stime sulle riparazioni della sua nave determinano che vengano ultimate in una settimana, circa. Se faccio allestire una nuova nave, e lei prende la sua ciurma—"

"Regina Elsa, se voleva che me ne andassi, doveva solo chiedere," sorride, ma scivola presto dal suo viso. "Scusi, non era div—senta, non voglio che sprechi denaro per allestire un’altra nave, denaro che non potrei restituirle prima del ritorno a casa. E per quel giorno, non è sicuro che riuscirei a intercettare gli ambasciatori. Penso che—con tutto il dovuto rispetto, che adesso la cosa migliore da fare sia aspettare. Sarò presto fuori dai piedi, lo prometto."

"Non la desidero fuori dal mio—"

"Regina Elsa," il principe sorride. Coi capelli disordinati, e il naso storto, sembra uno stalliere, pensa. "Non deve mentire per farmi sentire meglio. Parlerò alla mia ciurma, per vedere se riusciamo a velocizzare le cose." Si infila entrambe le lettere nella giacca. "E riposi serena, il suo messaggio arriverà a destinazione."

"Grazie," annuisce. Elsa, come erede, era preferibile, certo. Non riesce a inquadrare il principe Albert, e non vuole, non vuole nessun tipo di contatto con le Isole del Sud. Gli occhi di Elsa esaminano la piazza ancora una volta. Aveva messo il principe sotto sorveglianza, no? Eppure era riuscito facilmente a sfuggire alle guardie; con la stessa facilità aveva parlato liberamente agli abitanti; aveva vagabondato dove voleva. Inaccettabile, pensa, guardando quegli occhi che si ritrova. Non stanno bene, sulla sua faccia. "Principe Albert, penso che sia meglio che rimanga sulla sua nave, ad interim."

Apre la bocca. Per un attimo, Elsa pensa che abbia intenzione di protestare. Alza gli occhi verso i bambini, poi guarda le donne alla fontana, e la taverna—e poi di nuovo lei. Quegli occhi. Annuisce rigidamente, raddrizzando la schiena, stringendo le mani avanti a sé. "Come desidera, sua maestà."

Lei annuisce elegantemente. Avrebbe mandato un contingente giù al porto, da Olin; avrebbero avuto l’incarico di sorvegliare la nave. Fa per andarsene.

"E qualora—qualora venissero davvero," la sua voce la ferma, e si volta indietro. "Viktor e Tomas—gli ambasciatori—solo—sarò più che felice di occuparmi di loro in sua vece."

Elsa annuisce di nuovo, meccanicamente.

In qualche modo, il pensiero non l’aiuta a sentirsi sollevata.


Passo.

Passo.

Passo.

Non apre gli occhi, si allaccia le mani sullo stomaco. È tranquillo. È calmo.

Sta architettando un piano.

Passo.

Passo.

Passo.

"Principe Hans?"

"Sì?" risponde, senza aprire gli occhi. Ascolta. C’è il tintinnio delle chiavi del carceriere, il clank del metallo quando viene infilato al suo posto nella serratura, la girata, l’estrazione. Il cigolio della porta della cella non appena viene aperta.

Un piano. Ha un piano.

"è libero di andare."

Il ghigno di Hans potrebbe tagliare il ferro, potrebbe spianare montagne. Il suo ghigno potrebbe uccidere padri.

Il suo ghigno potrebbe assassinare fratelli.

"Perfetto," dice.

 

 

 

 

 

 

1Note della traduttrice: Open doors, porte aperte, si riferisce alla canzone che Anna canta con Hans, e che in italiano è stata tradotta con “la mia occasione”. In originale, si intitola “Love is an open door” e si riferisce ovviamente al fatto che Anna abbia sempre sofferto per i cancelli chiusi, come la porta di Elsa. Non ho potuto mettere il titolo o la battuta del film italiano, come ho fatto in altri casi, perché l’autrice insiste molto sul contrasto porte chiuse - aperte.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio / Vai alla pagina dell'autore: thefireplanet