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Autore: Isandre    03/05/2014    2 recensioni
Le giratempo sono un'antica tecnologia dei Signori del Tempo. La loro distruzione durante la battaglia al Ministero ha creato dei problemi nel flusso temporale, che solo il Dottore può sistemare.
La Seconda Guerra Magica è finita da qualche mese e Hermione Granger si gode la ritrovata tranquillità e il suo ultimo anno di scuola finché in un pomeriggio di Novembre non si imbatte in qualcosa di strano: cosa ci fa una vecchia cabina telefonica della polizia nell'unico villaggio completamente magico della Gran Bretagna?
Genere: Avventura, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Godric, Hermione, Granger, Priscilla, Corvonero, Salazar, Serpeverde, Tosca, Tassorosso
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Dopo la II guerra magica/Pace
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Capitolo 1: Una strana cabina blu

 
 
 
Era un sabato vivace e stranamente caldo per essere metà Novembre. Le vie di Hogsmeade brulicavano di giovani e studenti, riconoscibili dal mantello della scuola, e per i locali e i negozi c’era un allegro via vai di gente. Guardandoli adesso non si sarebbe potuta immaginare la devastazione che, solo pochi mesi prima, aveva toccato quel villaggio e il castello che lo sormontava, epicentro di una guerra che aveva messo i maghi di fronte alle atrocità di cui erano capaci.
Hermione Granger passeggiava per il sentiero che partiva dalla scuola e pensava a come le erano apparse quelle stesse strade durante la Guerra: il villaggio era deserto, i negozi barricati e su tutto sembrava aleggiare un senso di disperazione e morte. Ma ciò che l’aveva più colpita era stato il silenzio, un silenzio carico di rassegnazione e sospetto, il silenzio sgomento e incredulo che era calato quando aveva visto precipitare dalla Torre di Astronomia l’ultimo appiglio alla sua infanzia. Ora il villaggio assomigliava di più alla sua Hosgmeade, quella su cui aveva fantasticato per tutta l’estate prima del terzo anno. L’aveva esplorato per la prima volta con Ron che le faceva da guida e non poteva credere di dover essere lui, per una volta, a doverle spiegare le cose.
Hermione sorrise al ricordo. È vero, somigliava alla sua Hogsmeade ma non lo era, non lo sarebbe stata più, non dopo tutto quello che avevano perso: l’ingenuità, i sorrisi spensierati, quella convinzione, tipica degli adolescenti, che in modo o nell’altro tutto sarebbe andato bene. Non che Hermione avesse qualcosa di cui lamentarsi, Harry aveva sconfitto Voldemort, avevano vinto la Guerra e tutti si sforzavano di tornare a una specie di normalità, per quanto la normalità, adesso, sembrasse l’unica cosa impossibile da raggiungere.
Scosse la testa per allontanare quei pensieri, si era ripromessa una giornata serena, nonostante tutto. Avrebbe dovuto raggiungere Harry ai Tre Manici di Scopa, per una burrobirra e un po’ di chiacchiere. Ginny era uscita presto quella mattina, dicendo di non voler sprecare neanche un minuto di quelle ultime giornate di sole. In realtà non voleva sprecare neanche un minuto del tempo da passare con Harry e Hermione la capiva benissimo. Anche lei la settimana prima si era alzata di buon’ora e aveva ingurgitato la colazione per poi fiondarsi al pub dove l’aspettavano, Ron, il suo fidanzato (suonava ancora strano riferirsi a lui con questo termine, anche solo nella sua testa) e Harry, il suo migliore amico. Entrambi avevano deciso di non tornare a Hogwarts per concludere gli studi e lei sentiva la loro mancanza, ‘Soprattutto quella di Ron’ ammise a se stessa con un po’ di senso di colpa nei confronti di Harry. Era più che normale, si disse tentando di eliminare quell’imbarazzo inopportuno, lei voleva bene a Harry e di sicuro la sua permanenza a Hogwarts non era la stessa senza di lui, ma ci erano voluti anni a lei e a Ron per riuscire a essere chiari con l’altro, e soprattutto con se stessi, sui loro sentimenti, e adesso che finalmente avevano abbattuto quel muro di incomprensioni, omissioni e negazioni che si erano costruiti intorno dal loro terzo anno, era la distanza a separarli.
“Ma sono solo nove mesi” aveva detto Ron, quando lei gli aveva mostrato le sue titubanze “e ci vedremo tutti i week end, te lo prometto”.
Ma oggi era sabato e Ron non c’era. George aveva deciso di riaprire i Tiri Vispi proprio quel giorno e lui, che aveva spinto il fratello a riprendere gli affari e lo aveva aiutato durante tutti questi mesi, non poteva certo lasciarlo proprio il giorno della riapertura. E Hermione non poteva certo essere arrabbiata per questo e infatti non lo era, anzi era felice che Ron si impegnasse in qualcosa e che questo qualcosa entusiasmasse di nuovo George, che dopo la morte di Fred sembrava aver perso la voglia di vivere. Si sarebbero visti l’indomani, aveva scritto a Ron, e avrebbe passato il sabato con Harry e Ginny. Ma adesso che era appena arrivata al villaggio non era più tanto sicura di voler andare. Harry sarebbe stato felicissimo di vederla, come sempre, e Ginny non è il tipo che se la prenderebbe con lei per averle sottratto un po’ di tempo da sola col fidanzato, ma se c’era una cosa che Hermione aveva imparato durante la Guerra era proprio l’importanza del tempo e lei ne aveva passato così tanto con Harry, in quell’ultimo anno, Ginny invece…
Arrivò davanti al pub e vide dalla finestra Harry e Ginny seduti uno a fianco all’altra, lei poggiava la testa sulla spalla del ragazzo che le cingeva la vita, parlavano fitto tra loro, ignorando gli sguardi curiosi che gli altri avventori gli lanciavano. Hermione sorrise e superò il locale prima che qualcuno potesse accorgersi di lei.
 
Aveva preferito lasciare le strade principali e stare al riparo dalla gente. Dopo la Battaglia di Hogwarts molti la riconoscevano e la fermavamo per salutarla, ringraziarla, a volte gente che non aveva mai visto la stringeva in abbracci mozzafiato scoppiando in lacrime. Di solito non le dispiaceva parlare con loro, ma oggi non aveva voglia di incontrare nessuno. Così si limitò a costeggiare il villaggio, dirigendosi verso la stradina che portava alla Stamberga Strillante: voleva andare sul retro della villa per leggere in tranquillità, lì nessuno l’avrebbe disturbata, visto che era ancora considerato uno degli edifici più infestati del paese. Arrivata lì, si assicurò che non ci fosse nessuno nei paraggi, poi aprì il cancello con un colpo di bacchetta e si affrettò sul retro, pregustando il piacere di sdraiarsi sotto quel bel sole, sulla comoda panchina in cui aveva trasfigurato un tronco caduto, qualche settimana prima insieme a Ronald.
Ma appena svoltato l’angolo le fu palese che ci fosse qualcosa che non andava: una cabina telefonica blu, di quelle usate dalla polizia negli anni ’60, era sistemata proprio davanti alla sua panchina. Un sopracciglio scattò in alto in segno di disapprovazione: a parte il fatto che cabine del genere non si vedevano da secoli, e che di sicuro non era lì l’ultima volta che ci era venuta, cosa ci faceva un oggetto così tipicamente babbano nell’unico villaggio della Gran Bretagna completamente abitato da maghi?
Si avvicinò alla cabina con circospezione, le girò attorno e sussurrò un incantesimo che rivelasse la natura magica dell’oggetto. Niente. Poggiò una mano sulla porta per assicurarsi che fosse legno, e bussò restando in ascolto del suono prodotto, tipico di un oggetto cavo. La guardò con le braccia conserte, il piede che batteva con impazienza a terra e l’espressione infastidita: quella cabina era esattamente ciò che sembrava, una semplice cabina, e allora come era spuntata lì da un giorno all’altro?
Decise di lasciar perdere la questione, magari c’era una spiegazione perfettamente logica e a pensarci bene nemmeno le interessava. L’unica cosa che voleva era stendersi sulla sua panchina, quindi puntò la bacchetta verso la cabina per farla levitare e rendere la panchina accessibile. «Wingardium leviosa» disse agitando la bacchetta, ma il suo incantesimo si infranse contro di essa senza nessun risultato. Hermione rimase incredula, poi diventò furente: non poteva aver sbagliato un incantesimo così semplice, lo conosceva dal primo anno, non lo aveva mai sbagliato nella sua vita. Ci riprovò ma il risultato fu lo stesso. Guardò la cabina ormai sicura che ci fosse qualcosa di molto strano, era quasi tentata di avvisare il Ministero per far controllare l’oggetto, ma voleva prima farsi un’idea più precisa, dopotutto lei era Hermione Granger, la strega più brillante della sua età, eroina della Seconda Guerra Magica, non poteva certo mandare un gufo al Ministero dicendo di accorrere solo perché era apparsa una stupida cabina telefonica che non voleva levitare.
Provò ad aprire la porta ma, come era prevedibile, la serratura era bloccata. Scagliò un incantesimo apri-porte ma, di nuovo, la magia non sembrava funzionare. Che diavolo stava succedendo?
«Le orde di Gengis Khan non sono riuscite a passare da quella porta e non credere che non ci abbiano provato».
Hermione fece un salto indietro: un uomo aveva aperto la porta dall’interno, era alto e magro, aveva addosso un abito blu gessato, che aveva abbinato a delle converse bordeux. Se ne stava appoggiato allo stipite della cabina e la guardava con le braccia incrociate. «Non è che sapresti dirmi dove siamo» riprese l’uomo con aria tranquilla «la mia apparecchiatura sembra impazzita»
 La ragazza, che era talmente stupefatta da trovarsi, per una volta, priva di parola, si riebbe nel sentirsi rivolgere una domanda. «Siamo a Hogmeade, signore, in Scozia» rispose quasi automaticamente.
«Mai sentito» disse l’uomo dopo averci pensato un po’ su. «Sapresti anche dirmi quando siamo» chiese ancora l’uomo con un sorriso.
Hermione lo guardò interdetta, la sorpresa ormai del tutto svanita, mettendo su la sua tipica espressione di sufficienza, che tanto la faceva somigliare alla professoressa McGranitt.
«Come prego?» disse, dando la possibilità a quello sconosciuto di dire qualcosa di sensato.
«Sai dirmi quando siamo» ripeté l’uomo scandendo ogni parola come se Hermione fosse una stupida.
La ragazza gli scoccò uno sguardo risentito.
«Se intende dire che vuol sapere che giorno è, è sabato 14 Novembre 1998, posso sapere chi è lei?»
«Io sono il Dottore»
«Dottore e poi?»
«Solo il Dottore, tu invece come ti chiami?»
Hermione considerò l’idea di rispondere ma l’uomo aveva qualcosa di molto sospetto, non voleva dirle il suo nome (non poteva chiamarsi Dottore e basta) ed erano soli in un luogo abbastanza isolato. Lo studiò attentamente. Non indossava abiti da mago, ma questo non escludeva che fosse un mangiamorte sotto-copertura, non era armato e questo le dava un vantaggio: avrebbe potuto schiantarlo prima ancora che riuscisse a metter mano alla bacchetta. Gli puntò la sua contro.
«Ok simpaticone, ora esci di lì e tieni le mani in vista» disse tenendolo sotto tiro, la Guerra era finita ma non ci si poteva ancora fidare di nessuno.
Lo sconosciuto la guardò fingendosi impressionato e si allontanò dalla cabina con le mani in alto.
   
 
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