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Autore: 13Sonne    24/07/2008    3 recensioni
Ko Rah è una ragazza asociale, poco incline al contatto umano: Al Aki è suo fratello maggiore, leggermente eccentrico ma allegro ed espansivo.
Insieme decidono (o, per meglio dire, Aki decide) di iscriversi ad un torneo insieme ad altri milioni di partecipanti: il premio finale è la realizzazione di un desiderio.
"Non farmi scegliere fra me e il mio desiderio. Lo sai che non avrei dubbi."
Genere: Generale, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo uno Al Aki
Capitolo Uno

Ovvero

Herr Al Aki, il suo disturbo ossessivo-compulsivo
e la sua brillante ed inarrestabile parlantina


-*-

Venner sospirò impercettibilmente, appoggiato ad un muretto ad un lato della strada. D’innanzi a lui era parcheggiata la carrozza in cui Ko Rah era salita senza perdere tempo: la sua voglia di comunicare col mondo era, come al solito, piuttosto bassa, tanto che aveva già acceso il Wired e aveva cominciato a giocarci furiosamente.

Ogni tanto, però, la ragazzina scambiava qualche parola con sua moglie Maali e la figlia Livet: Venner era abbastanza lontano da non riuscire a sentire una sola parola di ciò che stavano dicendo, ma teorizzò che si trattasse solo di alcuni discorsi d’addio e non volle immischiarsi.
Preferì invece continuare ad osservare Al Aki mentre litigava col cocchiere, la cui unica colpa era stata quella di arrivare leggermente in ritardo rispetto all’orario prefissato. Il ragazzo era un continuo agitare di mani, emettere acuti senza senso, pestare i piedi a terra perché il cocchiere non lo degnava di uno sguardo, troppo occupato a caricare i bagagli.
A Venner sfuggì una risata, unica prova di quanto lo spettacolo lo stesse divertendo: come tutti i Sakiro, infatti, indossava una maschera che non lasciava intuire nemmeno il colore degli occhi.

I Sakiro erano un popolo strano. Estremamente avanzati per quanto riguardava la tecnologia (il Wired che Ko Rah trovava così tanto appassionante era in principio della figlia, Livet), avevano però un preciso tabù nel mostrare anche un solo lembo della propria pelle: di solito, quindi, si vedevano sempre con maglie a maniche lunghe, pantaloni, guanti- e, per l’appunto, delle maschere in quella che sembrava porcellana.
Venner non era un eccezione: indossava degli abiti bianchi, candidi, riprendendo l’argento della sua maschera e il bianco dei capelli che, lunghi, gli ricadevano sulla schiena, alcune ciocche legate da dei nastrini azzurri, altre lasciate semplicemente libere.
L’unica che non si faceva simili problemi era Livet: continuava ad indossare la sua maschera, ma spesso trovava che fosse troppo caldo per indossare qualcosa con maniche lunghe e preferiva delle gonne o dei pantaloncini lunghi fino al ginocchio.
I genitori la lasciavano fare, all’inizio leggermente perplessi ma poi accettando quel cambiamento: in fondo, in quel villaggio disabitato, abitavano solo loro e i due fratelli.

Al Aki si avvicinò a lui, con un sorriso: Venner non poté fare a meno di notare come fosse ancora rosso in volto per la sfuriata.
“Ehi, Venner,” biascicò Aki, la voce leggermente rauca, “visto che roba? Per colpa di questo ritardo mi è slittata tutta la giornata!”
Aki sbuffò, attorcigliando una ciocca di capelli attorno all’indice, ancora leggermente irritato.
Il sospiro che Venner si lasciò sfuggire rimbombò nella maschera. “Sei come tuo padre,” disse poi in un bisbiglio.
Il ragazzo lo guardò, gli occhi spalancati per la sorpresa, mentre Venner continuava con una punta di divertimento nella voce, “ti preoccupi delle cose più stupide.”
Aki tentò in tutti i modi di apparire offeso, ma finì col sfoggiare un sorriso a trentadue denti.
Venner scrollò le spalle, voltandosi dalla parte opposta di Aki. Non capiva il perché di quell’allegria da parte del ragazzo: sicuro, probabilmente aveva voluto bene al padre, ma non aveva mai creduto che sarebbe arrivato al punto di accettare una critica con un sorriso.
“Oh bhè. Il fatto è che l’ultimo giorno per registrarsi è domani, e preferirei poter sbrigare le pratiche questa sera.” Aki sbuffò, facendo un veloce calcolo mentale di quanto tempo quel ritardo potesse avergli sottratto. “Che seccatura. E il viaggio? Vogliamo parlare di quanto mortalmente noioso sarà il viaggio? Non posso neanche dormire, o mangiare fino alla morte- ti ho gia detto quanto buoni sono i panini che ho fatto?” Ridacchiò, orgoglioso di se stesso, prima di rabbuiarsi nuovamente. “Immagino di non poter sperare nella compagnia di Ko. Ngh, morirò!”
“Non sei obbligato, lo sai.”
Biascicò Venner, continuando a guardare da un’altra parte.
Per pochi secondi cadde il silenzio fra i due. Venner non sembrava volersi voltare verso Aki, mentre quest’ultimo fissava il vuoto con sguardo spento, come se quelle parole gli avessero succhiato qualsiasi linfa vitale.
“Non sei obbligato,” ripeté Venner.
Il ragazzo sorrise mestamente, senza rispondere.
“Al!”
Aki fece appena in tempo a rendersi conto che qualcuno l’aveva chiamato prima di venire attaccato da una ragazza ridacchiante.
Venner si voltò, fissando per pochi istanti la figlia abbracciare Aki mentre quest’ultimo emetteva dei gridolini spaventati.
“Livet,” disse poi con calma, attirando l’attenzione dei due diciannovenni, “lascia in pace Aki. È già nervoso per il viaggio e per il terribile ritardo” Venner sottolineò le due parole, esaltandole in modo quasi ridicolo, prima di continuare, “non vorrai forse fargli venire un colpo?”
Aki si gonfiò il petto, tentando di darsi un’aria minacciosa.
Inutilmente. “Ritardo?” esclamò Livet, lasciando Aki e facendo una smorfia incredula, “un ritardo nella scaletta di Al? Al! L’ossessivo-compulsivo Al!”
“Non sono ossessivo-compulsivo!”
gridò Aki prima di incrociare le braccia sul petto e fare un broncio degno di un bambino di sei anni.
Livet gli lisciò i capelli, apparentemente intenerita da quella dimostrazione di immaturità. “Certo che non lo sei.”
Maali arrivò appena in tempo per distrarre Aki dal gridare una seconda volta.
“Al, la carrozza è pronta,” disse lei, chinandosi verso il ragazzo. Aki non poté non addolcirsi: anche se non poteva vederle il viso, Maali riusciva a far avvertire il proprio sorriso attraverso la porcellana.
“Grazie, Maali.”
Aki le sorrise, prima di voltarsi verso Livet, assumendo un’espressione leggermente imbarazzata.
Uhm… Grazie per, uh, il, ehm, sai… uh…” rimase in silenzio per qualche secondo, agitando la mano sinistra in aria e aprendo e chiudendo la bocca, alla disperata ricerca del termine tecnico, “…coso. Che hai regalato a Coco.”
Lei rimase in silenzio per qualche secondo, cercando di capire di cosa stesse parlando, prima di emettere un ‘Oooh!’ di comprensione.
“Il Wired!” Aki scrollò le spalle, annuendo a ciò che aveva detto Livet. Lei non poté fare a meno di continuare a stuzzicarlo. “Voi siete così arretrati! Noi,” e la ragazza batté un pugno sul proprio petto, cercando di dare, con quel gesto pregno di orgoglio, a quel ‘noi’ un significato che si estendeva a tutta la razza dei Sakiro, “li abbiamo inventati secoli fa, quei giocattoli! Mentre voi continuate ad usare le lettere, noi…”
“Livet, per favore.”
Disse Venner, interrompendola prima che potesse continuare con la propria arringa. Sapeva benissimo che avrebbe potuto parlare per molto tempo, ed Aki sembrava già fin troppo nervoso.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, prima di voltarsi verso Maali tornando a sorridere. “Grazie anche a te Maali. E, bhè,” balbettò, imbarazzato, voltandosi verso Venner, “a te, ovviamente. Non c'è l'avremmo fatta senza di voi.”
Maali fece segno con la mano di lasciare perdere, poi si chinò e gli diede un veloce abbraccio.
“Ricordatevi di scrivere, d’accordo?” sussurrò lei lasciandolo andare.
Aki annuì.
“Ti vuoi muovere?!”
Il ragazzo sobbalzò sul posto nel sentire le grida della sorella, spaventato, e prima che potesse davvero rendersi conto di ciò che stava facendo aveva chiuso dietro di se la porta della carrozza.

-*-

-

-.:.-*-.:.-

-

-*- 

Al Aki non si era sbagliato quando, sette ore prima, in presenza di Venner, aveva detto che il viaggio sarebbe stato mortalmente noioso. Non dormì, non mangiò – no, neanche quando venne l’ora di pranzo, preferendo così lasciare che i suoi favolosi panini venissero divorati da Ko Rah con una voracità che, solitamente, era il silenzioso modo della ragazza per dire ‘è una delle cose più buone che ho mangiato nella mia vita’ – e, come aveva predetto, non riuscì ad instaurare un dialogo duraturo con la sorella.
In compenso si lamentò.
Si lamentò di quanto presto aveva dovuto svegliarsi per una carrozza che alla fine era persino arrivata in ritardo, dell’orario in cui erano partiti, della lentezza del viaggio, del caldo asfissiante, della brezza che non faceva altro che fargli finire i capelli sul viso, della nausea che le buche e i sassi della strada gli facevano venire, di quanto gli sarebbe piaciuto poter sgranchire le gambe, della sua disgraziata scelta di partire il penultimo giorno utile per registrarsi.
L’odio che provava Ko Rah verso il fratello era ormai diventato palpabile - era diventato difficile persino respirare - quando il ragazzo si decise, finalmente, a guardare il paesaggio che sfrecciava dalla finestra della porta e a stare in silenzio.
La ragazza non ci poteva credere. Per cinque secondi rimase incantata, rapita dal silenzio del luogo: poi si buttò a capofitto nel Wired, pronta a battere per l’ennesima volta il suo record personale.
Stava allegramente uccidendo l’ultimo boss del gioco quando suo fratello decise di farle una domanda. “Cosa ricordi della mamma?”
La domanda la prese di sorpresa, facendole rischiare di essere colpita dal mostro.
“Nulla,” mugugnò lei, tornando a pestare tasti con una rapidità che aveva dell’eccezionale.
“Oh, andiamo,” continuò Aki con voce lamentosa, “devi pur ricordare qualcosina!”
L’occhio sinistro di Ko Rah ebbe un tic improvviso. “Avevo tre anni quando è morta. Non la ricordo.”
Qualcosa, nel sorriso di Al Aki, sembrò incrinarsi: fu qualcosa che durò solo pochi secondi, comunque, e nulla che la sorella notò.
“Andiamo, qualcosa ricorderai di sicuro, no?”
Le mani di Ko Rah presero a tremare leggermente, segno dell’estremo nervosismo che le provocava, in quel momento, avere una discussione che implicasse qualcosa di più di un monosillabo. “Non la ricordo.”
“Eddai!”
uggiolò Aki, facendole perdere qualsiasi concentrazione in meno di un secondo.
Mise il gioco in pausa, sospirando. Era ovvio che quel giorno l’unica cosa che potesse fare era giocare nelle brevi pause fra un discorso e l’altro del fratello.
“Bene. Ricordo qualcosa,” ringhiò Ko Rah, esasperata. Se quello era l’unico modo per far smettere il fratello, allora non poteva fare altro.
Aki sembrava rinvigorito dalla notizia. “Davvero?” chiese, allegramente, prima di aggiungere “che cosa ricordi?”
Ko Rah sbuffò. “Le piaceva la calma. Adorava i biscotti. Sorrideva un sacco.” Socchiuse gli occhi, concentrandosi, “e profumava di… arance.”
Il ragazzo aggrottò la fronte, perplesso. “Arance?”
“Se non ti va bene smetto di parlare,”
ringhiò la ragazza. Aki non si azzardò a continuare.
“Hm. Le piaceva stare al sole e… si divertiva a passare il suo tempo con Maali. E, uh, le piacevano i bambini.”
Aki stava sorridendo, e la cosa distraeva Ko Rah, tanto che non riuscì più a continuare. Si voltò verso di lui, squadrandolo con un occhiata interrogativa.
“Lo so benissimo che non ti ricordi niente di lei,” disse Aki, continuando a sorridere.
Per la seconda volta in dieci minuti, l’occhio sinistro della ragazza ebbe un inquietante tic nervoso.
“Volevo soltanto sapere come la immaginavi.” Ridacchiò, divertito da se stesso, “non mi aspettavo che la descrivessi così allegra.”
Ko Rah scrollò le spalle, tornando al suo amato videogioco. “Solo perché io non lo sono non vuol dire che non possa immaginare gli altri esserlo.”
In meno di un secondo l'espressione cambiò, come se avesse accusato un colpo tremendo. Ko Rah non lo stava guardando, eppure riusciva a sentire sulla sua pelle lo sguardo triste del fratello, come riusciva a vedere, con la coda dell’occhio, quella smorfia sofferente sul suo volto. 
Lei non sapeva cosa aveva detto di sbagliato: non lo sapeva e non le importava. Probabilmente erano problemi suoi.
Tutto ciò che importava era che la cosa la stava distraendo.
“Togliti quell’aria da cane bastonato dalla faccia, Aki. Mi stai dando fastidio.”

-*-

 -

*_/*_*

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Passarono altre otto ore prima che la carrozza arrivasse a destinazione. Il fastidio che Ko Rah provava verso le continue lamentele del fratello erano arrivate al punto di dare dolore fisico: quando scese dalla carrozza non v’era un solo muscolo che non le dolesse. 

La cittadina che, dopo tante sofferenze, avevano finalmente raggiunto si chiamava Nant.
Durante l’anno non era molto di più di un semplice crocevia: la popolazione del luogo non doveva superare le duecento anime. Sopravviveva grazie al commercio e agli avventurieri che si fermavano nelle numerose locande che troneggiavano sulla via centrale.
Il vero momento di splendore, ciò che gli abitanti di Nant aspettavano come una manna dal cielo, era l’inizio del torneo: la cittadina era scelta come luogo neutrale in cui i concorrenti potevano iscriversi e in cui, il giorno dell’apertura della gara, sarebbero partiti per portare a termine la prima prova. Le iscrizioni duravano un mese, e per quel mese tutte le locande erano occupate.

Al Aki era semplicemente entusiasta: con le due borse in spalla e la sorella che lo seguiva senza alzare gli occhi dal Wired, si guardava attorno ricordando un bambino in un negozio di dolciumi.
Non era tanto la cittadina a stupirlo, quanto tutta la gente che, sebbene la tarda ora, continuava a brulicare per strada: quel miscuglio di colori diversi, quel caos di voci era qualcosa di completamente diverso dalla quiete del villaggio deserto in cui era nato e cresciuto.
Sospirò, guardandosi attorno con sguardo trasognato, prima che il suo sguardo fosse catturato dalla costruzione posta in centro alla piazza.
“Coco, entra pure in camera se vuoi,” trillò Aki gentilmente, facendo cadere le due borse a terra, “io ti raggiungo dopo!"
Ko Rah, ancora leggermente confusa dal modo con cui il fratello si era liberato dei bagagli, non diede alcun segno di voler sapere cosa dovesse fare.
Alzò gli occhi dal Wired, seguendo per pochi secondi i movimenti di Aki: con passi leggeri, quasi i sassi che componevano la strada fossero in realtà tappetini elastici, si stava dirigendo verso la chiesetta del luogo.
Borbottando fra se e se, Ko Rah tornò al suo amato Wired, calciando con calma i due bagagli all’interno della locanda più vicina.

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Nota d'Autore: Spero che vi piaccia questo capitolo. Sul serio. Al Aki e Ko Rah devono ancora iscriversi ma... yay!

X meg89: Spero che ti convinca ^O^
X inuziku_rukiaXP: Grazie! Mi scaldi il cuore, mio tessssorro *_* (inquietante? Si. Molto.)
  
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