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Autore: Delirious Rose    11/05/2014    2 recensioni
La nouvelle peau de la Couleuvre – Tom Riddle è riuscito a liberarsi del diario e a riottenere un corpo fisico, ma i piani non vanno come avrebbe sperato. (Flash)
American Beauty – Ginny riflette su come la sua vita assomigli alle rose.(Flash)
Un air de famille – Anno scolastico 1993/'94, Ginny incontra uno studente di Beauxbatons: perché il malaticcio Thomas Jedusor le ricorda, forse un po’ troppo, un vecchio amico?
{Questa raccolta partecipa al contest "Storie d'amore" di Mitsuki91}
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Tom O. Riddle
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Più contesti
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Un air de famille

 

 

Lo sguardo di Ginny si era posato quasi per caso su quel ragazzo, uno degli studenti di Beauxbatons arrivato a Hogwarts per il Torneo Tremaghi.

“Tom?!” aveva pensato con un groppo alla gola, mentre lo studente raggiungeva il tavolo Serpeverde per sedersi accanto a un quattordicenne dalla pelle mulatta. No… il diario era stato distrutto e il basilisco era morto, quel ragazzo non poteva essere Tom, anche se guardandolo da quella distanza non poteva esserne certa. E il dubbio risvegliò un sentimento che credeva assopito – morto – da due anni, facendolo esplodere improvvisamente nel suo basso ventre, tanto che l’istinto di andare da lui fu quasi impossibile da sopprimere.

 

«Bonsoir, joli-frére, je t’en prie de me faire une petite place, s’il te plais.»

Blaise alzò gli occhi dorati sul ragazzo che era comparso al suo fianco, e dopo un attimo d’esitazione si scostò in modo da lasciargli sufficientemente posto per sedersi.

«Il mio nome è Blaise, non joli-frére,» bofonchiò, guardando di tralice il nuovo arrivato, poi la sua bocca si stirò in un sorriso tagliente. «Suppongo che tu stia meglio, si t'a bravé le climat anglais. Però ti avverto, Thomas, non contare su di me per leggerti le fiabe della buonanotte quando sarai in Infermeria a sputare i polmoni.»

Thomas ricambiò lo sguardo e il sorriso, quindi si tolse gli occhiali e pulì le lenti con un fazzoletto, rispondendo mentre sollevava appena il mento: «È questo il modo di ringraziarmi per aver consolato Vahïna dopo la morte del povero René? T’es mechant, joli-frére

Blaise si morse la lingua per non rispondere, perché voleva troppo bene a sua madre e non voleva che certi suoi sospetti peggiorassero la fama di Vahïna. Studiò il fratellastro oltre il bordo del bicchiere, mentre l’altro sembrava fissare una testa imprecisata al tavolo Grifondoro: ricordava Thomas Jedusor come un ragazzino malaticcio, insipido e completamente succube della matrigna, mentre il giovane seduto al suo fianco possedeva solo la prima di queste caratteristiche, tanto che Blaise si chiese se fosse davvero il figlio di primo letto del quarto marito di Vahïna.

 

 

 

 

L’attacco di tosse fu così forte e improvviso che gli occhiali gli scivolarono dal naso, cadendo sul pavimento di pietra assieme alla pila di libri. Tom maledì per l’ennesima volta quel corpo tanto agognato quanto fragile, e maledì anche Biagio e quella sua sadica idea di fargli l’incantesimo per la presbiopia e che lo aveva reso miope come una talpa: era innegabile che fosse partito da una buona intenzione, ma il vecchio Serpeverde aveva esagerato. Cercò di soffiarsi il naso nel modo più discreto possibile prima di iniziare a raccogliere libri, occhiali e appunti.

«Ehm… hai bisogno di una mano?»

Tom ghignò dentro di sé: avrebbe riconosciuto quella voce fra mille, anche a distanza di anni. Sapeva che la Bambina lo aveva osservato fin dalla prima volta che lo aveva intravisto nella Sala Grande, cinque settimane prima, e che aveva aspettato un’occasione o forse solo di racimolare sufficiente coraggio per rivolgergli la parola: la Bambina era cresciuta ed era meno acerba rispetto un anno e mezzo prima, lo guardava titubante come se aspettasse una sua parola o un suo gesto per sapere che cosa dovesse fare.

«Vi ringrazio mademoiselle, ma non è necessario. Où sont mes lunettes?» disse, le parole appena colorite da un leggero accento.

 

Ginny non era riuscita a liberarsi dal dubbio che quel ragazzo potesse essere Tom fino a quando non aveva colto l’occasione e il coraggio di avvicinarsi e parlargli: adesso che poteva studiarlo da vicino, poteva notare piccoli dettagli e differenze. I capelli del ragazzo di Beauxbatons non erano corvini e lisci ma bruni e leggermente increspati; il suo viso era meno affilato e un po’ più pieno ma i tratti avevano una certa magnificenza che le ricordavano quelli superbi di Tom come se ne fosse un cugino; la sua corporatura era un po’ più esile e lo faceva sembrare un po’ più alto di quanto non dovesse essere in realtà; la voce era profonda come quella di Tom ma alterata dal raffreddore e dal mal di gola. Ma quando Ginny incrociò il suo sguardo, si sentì lo stomaco attorcigliarsi come se fosse un nido di serpi aggrovigliate in un nodo gordiano: il ragazzo di Beauxbatons aveva gli occhi dello stesso verde putrido di Tom. Deglutì aria e fece un passo indietro, sentendo qualcosa sotto il tacco della scarpa: raccolse gli occhiali di tartaruga e tirò un sospiro di sollievo vedendo che non li aveva rotti e, con la mano un po’ tremante, li porse al ragazzo.

«Ce-cercavi questi?» Anche la sua voce era un po’ tremula.

Il ragazzo la ringraziò e terminò di raccogliere le sue cose, quindi la salutò con un cenno del capo e un sorriso affabile – un sorriso così simile e così diverso da quello di Tom – e andò via: Ginny fissò la sua schiena come pietrificata, poi scosse la testa e fece per andarsene anche lei.

«Ci… ci siamo già incontrati da qualche parte?» esclamò prima che potesse trattenere le parole.

Il ragazzo di Beauxbatons volse la testa, studiandola. «Probablement: noi rappresentati di Beauxbatons siamo arrivati cinque settimane fa qui a Hogwarts.»

«No, intendevo prima… tipo qualche anno fa…» rispose Ginny, imbarazzata.

«Volete dire che assomiglio a un personaggio famoso, un cantante o un giocatore di Quidditch? Je suis désolé, ma sono stonato come una campana e sono l’ultima persona che vorreste vedere su una scopa. Au revoir, mademoiselle.»

 

Tom si allontanò, compiaciuto del modo con cui aveva interpretato la sua parte: parlare con la Bambina gli aveva fatto rivalutare gli incantesimi che Biagio gli aveva fatto per alterare il suo aspetto fisico, incantesimo per la presbiopia incluso. La Bambina era una delle poche persone ancora in vita che avrebbero potuto riconoscere il giovane Tom Riddle: aveva letto il dubbio nei suoi occhi, a malapena fugato da quel rapido scambio di battute. Si rese conto che gli sarebbe piaciuto prolungare la chiacchierata, giusto per sincerarsi se la Bambina fosse davvero cambiata, tanto quanto supponeva Biagio, ma che cosa ne avrebbe ricavato di utile? Nulla, forse solo il ridestarle quel sospetto appena assopitosi.

“Mantieni un profilo basso, Tom,” si ripeté per l’ennesima volta, ricordando tutta la serie di motivi per la quale non gli conveniva farsi notare, soprattutto a Hogwarts: sbuffò, ripensando a come cinquant’anni prima avrebbe fatto di tutto pur di essere al centro dell’attenzione, per essere osannato e temuto al tempo stesso. “Non ho altra scelta, almeno fino a giugno.”

Per un attimo ebbe l’impressione che il pavimento traballasse come il ponte di una nave e che la vista gli si annebbiasse: libri e appunti scivolarono dalle sue braccia una seconda volta e di certo sarebbe caduto anche lui se qualcosa – qualcuno – non lo avesse fermato. Sentì una mano piccola e fredda sfiorargli la fronte, udì un incantesimo d’appello mormorato appena.

«Hai la febbre, ti accompagno in Infermeria.»

Avrebbe riconosciuto la voce della Bambina fra mille e anche a distanza di anni, ma c’era qualcosa nel suo tono che non ammetteva un rifiuto, qualcosa che – lo sapeva – aveva imparato da lui. Per il più breve degli attimi, Tom sorrise del suo sorriso ferino.

«Chi devo ringraziare?» chiese con ben simulata remissività, anche se la risposta la conosceva da tempo.

«Weasley, Ginevra Weasley. Ma tutti mi chiamano Ginny,» rispose lei secca, quasi di controvoglia. «E tu sei…»

«Thomas Jedusor.»

 

 

 

 

Quando Longbottom l’aveva invitata al Ballo, Ginny era stata tentata di rifiutare il suo invito: Neville era un caro ragazzo ma non aveva alcuna intenzione d’essere associata a lui, tuttavia aveva dovuto ammettere che lei era solo al terzo anno e che non avrebbe potuto partecipare in un altro modo. Poi era stato Harry a chiederle d’essere la sua dama ed era stato più per ripicca che per correttezza che gli aveva risposto che un cavaliere lo aveva già, perché lei non era una mera seconda scelta: un po’ se ne era pentita d’aver lasciato parlare l’orgoglio, perché Harry era pur sempre uno dei quattro campioni ed entrando nella Sala Grande al suo fianco avrebbe attirato su di sé gli sguardi di tutti. Poi aveva visto il vestito che sua madre le aveva procurato all’ultimo momento e si era detta che con quell’obbrobrio addosso sarebbe stata solo l’oggetto di scherno. La previsione di Ginny si rivelò esatta, alla fin dei conti.

Dopo aver aspettato che i Campioni facessero il loro ingresso in Sala Grande, Ginny cercò di rimandare il più possibile il suo perché non le erano sfuggite la derisione e l’alterigia negli occhi delle ragazze Serpeverde, e non fu certa se rimpiangere l’assenza di Luna Lovegood che, ne era certa, si sarebbe vestita peggio di lei.

«Andiamo Ginny?» le mormorò incerto Neville e lei rispose con un sorriso che voleva essere incoraggiante, e dopo qualche passo, il ragazzo si chinò appena verso di lei e bisbigliò: «Scusami, lo so che avresti preferito andare con Harry.»

Ginny lo fissò stringendo le labbra: non era il fatto di avere Neville Longbottom come cavaliere o quell’orrore di tulle rosa confetto e verde giada che aveva dovuto indossare a farla sentire in quel modo, erano solo scuse e bugie. La verità era che, da quando aveva incontrato Thomas Jedusor, aveva sentito crescere il desiderio di rifarsi della festa di Halloween di due anni prima: avrebbe voluto indossare di nuovo quel vestito di velluto verde che si era cucita con le proprie mani – ma non era più una bambina e non conosceva l’incantesimo per allargarlo – avrebbe voluto ballare con quel ragazzo di Beauxbatons e fargli tutto quello che avrebbe voluto fare a Tom Riddle, nel bene e nel male. La mano sinistra di Ginny scivolò istintivamente lungo il braccio destro, sfiorando con la punta delle dita le cicatrici nascoste dalla magia, cercando di ricordare quello che era successo all’interno del diario, prima che Tom s’impossessasse di lei per la prima volta: immagini confuse vorticarono nella sua mente tanto velocemente che le diedero la vertigine.

«Stai bene, Ginny?»

La voce di Neville le giunse come un’eco lontana, ma abbastanza forte da sottrarla a quelle riflessioni.

Ginny e Neville condivisero il tavolo con Seamus, Lavander, Dean e una Tassorosso che lei non conosceva: se la cena era stata memorabile, i balli che concesse a Neville furono una vera tortura per i suoi piedi e cercò di rifarsi accettando l’invito di un paio di Grifondoro e ballando una volta con Percy. Tuttavia, il suo sguardo era attirato da ogni testa bruna, da ogni ragazzo sconosciuto che frequentasse l’ultimo anno.

 

Tom sbadigliò vistosamente, guardando con indifferenza le coppie che ballavano davanti a lui: non gli erano mai piaciuti certi eventi mondani, nonostante l’aver partecipato ai party del Professor Slughorn gli avesse permesso di entrare nell’élite di Hogwarts. Ma da questo ballo, che cosa ci avrebbe guadagnato? Non aveva invitato nessuna delle sue compagne di scuola – Fleur si era sentita tanto piccata di quel non-invito che aveva accettato quello di un Corvonero azzerbinato dallo charme Veela della ragazza – e non aveva danzato con nessuna ragazza: non aveva neanche approfittato più di tanto del suntuoso banchetto di quella sera essendosi appena rimesso da una brutta influenza. Non contare su di me per leggerti le fiabe della buonanotte quando sarai in Infermeria a sputare i polmoni gli aveva detto Blaise la sera in cui le delegazioni di Beauxbatons e Durmstrang erano arrivate. Parole che si erano rivelate premonitrici e, forse, inconsciamente cariche di quella stessa magia arcaica che scorreva nelle vene di Vahïna.

“Gliele ricaccerò in gola, uno di questi giorni,” pensò Tom mentre si allontanava discretamente dalla confusione della festa per scivolare verso la silenziosa penombra dei corridoi.

Inspirò profondamente l’aria che proveniva da una finestra aperta, carica degli odori della notte invernale e dei giardini: ebbe l’impressione di essere tornato indietro nel tempo, quando lui e l’altro se stesso si aggiravano come una fiera in agguato in quei corridoi, una spilla di Prefetto appuntata al petto e il taccuino nella mano. Già, aveva proprio l’impressione d’essere tornato indietro di cinquant’anni mentre ascoltava i suoi passi risuonare nella penombra, seguendo un vecchio percorso di ronda che lo conduceva verso l’entrata della Camera dei Segreti: Tom sentì qualcosa pungolargli il petto, quando meditò sull’opportunità di tornare lì dove era rinato, perché sapeva che Shiva era morto e che del diario non restava altro che un insieme di fogli macchiati di sangue secco e inchiostro vecchio. “Ma la Bambina c’è ancora.”

Come se quel pensiero fosse la battuta d’ingresso in un’opera teatrale, la voce di Ginny giunse alle sue orecchie confusa nelle note di Magic Works: le abitudini di Prefetto tornarono non invitate, come se quel corpo nuovo di zecca avesse le memorie del vecchio sotto la pelle. Tom scivolò lungo i muri, d’ombra in ombra, come se si fosse creata una curvatura spazio-temporale che sovrapponeva il passato al presente e al futuro: la mano del ragazzo glissò fra le pieghe della tunica stringendo la bacchetta e, con un gesto fluido ed elegante, lanciò un incantesimo di protezione verso la Bambina – perché lei era sua e nessuno poteva osare torcerle un capello senza il suo consenso, senza subirne le conseguenze. Tom guardò altero la mezza dozzina di ragazzini – alcuni dettagli che non erano cambiati in più di cinquant’anni li dichiaravano appartenenti alla nobile Casa Serpeverde – come tanti anni prima avrebbe guardato uno studente sorpreso in fallo: non gli interessava sapere che cosa fosse successo esattamente, non era più un Prefetto, ma dal sapore metallico che aleggiava nell’aria sapeva che, qualunque fosse stato il motivo dell’alterco, si era arrivati alle maledizioni e Tom si sentì quasi orgoglioso di vedere che la Bambina era stata capace di tener testa a degli studenti di uno o due anni più grandi di lei.

«Ero convinto che voi inglesi foste dei gentlemen,» disse Tom con la severità di un giudice sul punto di pronunciare una condanna a morte.

«Non impicciarti, ranocchio!» sputò un ragazzino.

«Je suis désolé mais je ne peux pas: Monsieur Zabini si è sempre raccomandato d’essere galanti con le signorine, indipendentemente dalla loro condizione sociale.»

«Tu non sai chi sono io! Quando mio padre lo verrà a sapere…»

“Devi essere il nipote di Abraxas Malfoy. Peccato che la somiglianza sia solo fisica.”

«Non ho il piacere di conoscervi, quanto a vostro padre, voglio sperare che concordi sull’inappropriatezza di tale comportamento.» Per un attimo Tom fu sul punto di sibilare un dieci punti a Casa Serpeverde, ma si trattenne in tempo. «Dois-je appeler un professeur?»

Draco strinse le labbra, lanciandogli uno sguardo che prometteva guai, poi borbottò qualcosa e se ne andò seguito dai compagni di Casa. Tom li osservò in silenzio fino a quando rimasero nel suo campo di visione.

«Votre robe est dechirée, Mademoiselle Weasley,» Tom mormorò infine, guardando Ginny con la coda dell’occhio.

Ginny alzò gli occhi su di lui con aria guardinga, tenendo a posto una bretella del vestito. «Non era necessario che intervenissi, Mr. Jedusor: non sono una bambina, so cavarmela da sola.»

Madam Pomfrey mi ha detto che da oggi non sono più una bambina.

«Io ho visto solo una damigella in pericolo.» Sorrise di quel sorriso affabile e innocente che non gli apparteneva. «Sto aspettando i vostri ringraziamenti.»

«Gr-grazie,» borbottò lei di controvoglia, trovando all’improvviso le proprie scarpe alquanto interessanti.

Rimasero così, senza dire una parola nella penombra del corridoio e con la musica dei Weird Sisters che pulsava intorno a loro. Tom non poté fare a meno di ripensare a quel giorno nella Camera dei Segreti, al pallore cadaverico della Bambina e a come il suo corpo era stato caldo contro la propria non-corporeità – a come aveva rimpiatto che non fosse almeno una studentessa del quinto anno.

«Dovreste fare qualcosa per il vostro vestito,» Tom mormorò infine, scostando lo sguardo da quella spallina strappata.

«È brutto, non ne vale la pena.»

«Una ragazza che usa la magia per apparire più attraente potrebbe fare altrettanto con i propri abiti.»

Ginny sgranò gli occhi e boccheggiò, poi ringhiò con la voce carica di una rabbia sorda: «Non sai di cosa stai parlando.»

«Bien au contraire, mademoiselle: alterate il vostro aspetto con un potente incantesimo di glamour ed è una cosa che detesto. Finite incantem

Tom ricordava perfettamente come i rami di rose Cherna si erano avviluppati al corpo della Bambina per obbligarne la coscienza a restare nel diario, mentre le spine affilate come rasoi affondavano nelle carni tenere e i boccioli – la sua essenza – si erano nutriti del suo sangue ancora giovane e innocente: allora non aveva pensato che quella dolce tortura floreale avesse potuto avere delle conseguenze sul corpo fisico della Bambina, eppure le cicatrici erano lì, testimone inaspettato di quello che era accaduto. Perché quei segni chiari sulla pelle gli facevano rimpiangere che Ginny fosse solo una studentessa del terzo anno? Perché il ricordo di quello che era accaduto un anno e mezzo prima era esploso nella sua mente?

«Non. Mi. Guardare!» urlò Ginny stringendo le braccia attorno a sé, cercando rifugio nell’ombra di una colonna. «Lo so… lo so che cosa starai pensando adesso ma…»

Perché l’aveva schiacciata contro il muro con tutto il proprio corpo? Perché le aveva afferrato un polso con forza, percorrendo con la lingua le cicatrici sul braccio? Perché sentir tremare la Bambina – non importava se di paura o di piacere – gli dava un senso di onnipotenza?

{Che meraviglia il seno di Lie, gonfio come frutti di papaia!
La loro pelle, prima muta, liscia e insipida
Ora ha scalini regolari
Che portano alla loro sommità!
Percorrerli con le dita e con la bocca
Vederli così rilevati
Come gradini di un tempio
È un piacere che esalta il desiderio e l’amore. }

Ma che cosa ci avrebbe guadagnato dal riconfermare i suoi diritti su di lei? La Bambina era cresciuta e meno acerba, certo, ma restava una bambina e, se un anno e mezzo prima si era trattato di un obbligo necessario alla buona riuscita dell’incantesimo, in quel momento si trattava di un mero capriccio, un bisogno basso e primordiale che gli faceva desiderare di non limitarsi al semplice atto brutale.

Lui, Tom Marvolo Riddle, era superiore a tutto questo.

«Vous êtes un peu jeunette pour ça: attendons encore un an,» mormorò Tom con la voce impastata di desiderio, mentre con riluttanza si allontanava da lei.

 

 

Note

 

Bonsoir, joli-frére, je t’en prie de me faire une petite place, s’il te plais: Buonasera, fratellino, ti pregherei di farmi un po' di posto, per favore.
Si t'a bravé le climat anglais: se hai osato sfidare il clima inglese.
T’es mechant, joli-frére: sei cattivo, fratellino.
Je suis désolé: sono spiacente.
Au revoir, mademoiselle: arrivederci, signorina.
Je suis désolé mais je ne peux pas: sono spiacente ma non posso.
Dois-je appeler un professeur?: devo chiamare un docente?
Votre robe est dechirée, Mademoiselle Weasley: il vostro abito è strappato, Signorina Weasley.
Bien au contraire, mademoiselle: Al contrario, signorina.
Vous êtes un peu jeunette pour ça: attendons encore un an: siete un po' troppo giovane per certe cose: aspettiamo ancora un anno. (pseudo-citazione di una mazurka del Quebec)

Il fatto che Tom usi il “voi” e Ginny il “tu” è voluta per marcare questa differenza fra francese e inglese, così come è voluto che Tom si riferisca a Blaise con joli-frére invece di beau-frére – non è corretto, ma è una citazione, inoltre ho preferito tradurlo con fratellino e non fratellastro.
Mi sono scompisciata a immaginare la faccia che farebbe Tom nel sentirsi chiamare frog da Draco, termine a volte dispregiativo e a volte vezzeggiativo che gli inglesi usano per i francesi.
La citazione nella scena finale è un poema d’amore bantù, inoltre cito un film: biscottini al primo che la trova ;)

Grazie a chi non solo leggerà queste righe, ma lascerà anche un commento.

 

Kindest regards,

D. Rose

   
 
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