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Autore: Efthalia    17/05/2014    7 recensioni
{Pernico} {Forti accenni alla Percabeth}
È Pasqua, e Nico si sente più solo che mai. Passa le festività tra morti, Coca Cola e Happy Meal, ma un ragazzo di nostra conoscenza cambierà le sue tradizioni...
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Annabeth Chase, Nico di Angelo, Percy Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rimasi pietrificato quando vidi un atletico corpo femminile una volta aperta la porta. I lunghi e ondulati capelli biondi, gli occhi grigi che brillavano di intelligenza, i lineamenti delicati e l’espressione infastidita, come se lei fosse Medusa e io la sua preda e la cosa la irritava. Annabeth mi aveva sempre fatto quell’effetto quando mi sorprendeva, e si era abituata. O meglio, si era rassegnata.  
– Percy... – fece a mo’ di saluto, il tono seccato.
– A-Annabeth? – dissi incerto, sentendomi sempre più stupido. 
– Sì, Percy. Proprio Annabeth – mi schernì incrociando le braccia.
La guardai con timore: non avevo molta voglia di farla entrare perché proprio in cucina c’era Nico, ma lei sembrava stesse attendendo il peggio. 
Alla fine la feci entrare, e prima che potessi invitarla ad andare nella mia camera, con passo altero raggiunse la cucina. 
Sentii la temperatura abbassarsi di diversi gradi quando Nico e Annabeth si squadrarono ancora prima di salutarsi. Lei lo fissava come se volesse tagliargli la gola da un momento all’altro, mentre Nico aveva un’espressione indecifrabile. Io, invece, assistevo a tutto sullo stipite della porta: un punto perfetto per darsela a gambe da un momento all’altro. 
– Ciao, Annabeth – disse Nico con nervosismo. Evidentemente anche lui aveva avvertito l’improvviso calo di temperatura.
– Ehi – salutò freddamente lei. 
Nico le rivolse un sorriso che gli costò parecchio, considerato che sembrava più una smorfia. 
– Vi divertivate? – chiese Annabeth sarcasticamente, lo sguardo duro e impassibile. 
A Nico gli arrossirono le orecchie. – Be’, sì, abbiamo cucinato le... – ma si interruppe quando vide che non gli prestava attenzione. 
Lei stava guardando me. – Sono venuta qui per parlarti. 
Il mio cuore fece un salto mortale, ma non capii se fosse causato dalla speranza di chiarire tutto o dal timore di concludere la nostra storia. – Okay...
– Da soli – specificò.
Nico ci fissava con rabbia e risentimento malcelati. – Percy, io vado in camera tua. Spero di trovare dei vestiti più decenti. 
– No... – disse Annabeth, poi schioccò le dita e alzò gli occhi al cielo, come se volesse ricordare qualcosa, – mmh, Nico. Sì, Nico. Noi andiamo a fare una passeggiata.
Nico serrò la mascella e abbassò lo sguardo, e prima che potessi replicare, Annabeth mi afferrò per la manica della felpa e mi trascinò verso l’entrata. 
Ovviamente, con un diluvio universale in corso, non potevamo mica fare un’allegra passeggiata (e dubitavo anche che sarebbe stata tanto allegra), così scendemmo le scale e andammo in garage. 
– E così adesso siete diventati anche cuochi provetti? – chiese con amarezza.
Non risposi. Non avevo intenzione di replicare, di dire che tra me e Nico non c’era niente, perché non era vero. E se c’era una cosa che non mi andava di fare, quella era mentire ad Annabeth. 
– Credevo che fosse facile per me fare quello per cui sono venuta, ma... ma non lo è. Ti ho amato tanto, Percy – aveva abbandonato il tono accusatorio, amaro e disgustato. Adesso sembrava più tranquillo, ma io la conoscevo bene. Annabeth era spaventata, titubante.           
– Possiamo ricominciare – dissi, ma la realtà era che non ci credevo nemmeno io. 
– No... non servirebbe a nulla. Credevo che... credevo che noi due fossimo destinati a stare insieme, ma siamo troppo diversi. E qui Nico c’entra poco. Noi due non possiamo stare insieme, non dirmi che non l’hai capito – rispose, come se stesse riflettendo su un enorme errore fatto durante la progettazione di una sua creazione.
Sì, lo avevo capito, ormai. Non ne ero sicuro il giorno prima, ma i momenti passati con Nico quella mattina... be’, non mi sentivo leggero e contento da tanto tempo. Era la stessa sensazione che provavo con Annabeth quando avevamo iniziato a frequentarci. 
– Annabeth, mi dispiace tantissimo. Ero convinto anche io che noi due avessimo un futuro insieme, ma... no. Non voglio che tu continui a soffrire o a uscire pazza descrivendo nel minimo dettaglio lo sguardo di chiunque mi guardi – dissi, concludendo la frase con un sorriso triste. 
Mi rivolse un’occhiataccia stizzita, poi distese le labbra in un piccolo sorriso. – Mi mancherà la tua stupidità. 
– E a me mancherà la tua intelligenza. Mi mancherai tu in generale. 
Lei mi rivolse un altro sorriso, si mise in punta di piedi e mi diede un affettuoso bacio sulla fronte, tipo quelli che mi dava mia madre prima che partissi per un’impresa. – Stammi bene, Testa d’Alghe.
– Lo farò, Sapientona – riuscii a dire, poi mi voltò le spalle e uscì dal portone del garage.
Il rumore che fece il portone fu assordante, e lo associai alla conclusione della mia storia con lei. 
Mi sentivo le gambe molli e il cuore improvvisamente vuoto. Nonostante tutto, era la Sapientona a riempirlo e la sua mancanza sarebbe stata difficile da colmare.
Mi sentii improvvisamente solo, il freddo del garage penetrava sulla mia pelle e il rumore della pioggia mi spingeva ad accasciarmi per terra ed esplodere, e io non volevo. Volevo ricordare Annabeth come la prima persona che mi aveva fatto battere il cuore, la prima di cui mi ero innamorato davvero, la ragazza con cui avevo condiviso i momenti più belli e quelli più difficili; non volevo ricordarla per quello che era diventata negli ultimi due mesi, non volevo ricordarla come la ragazza acida e paranoica. 
 
 
In quell’infinita mezz’ora, non feci altro che pensare a Percy e Annabeth che facevano pace, mentre si baciavano con le mani intrecciate. Mi sentivo cattivo ogni volta che pregavo Afrodite di non farli chiarire, ma dubitavo che mi avrebbe ascoltato di nuovo: l’avevo già pregata, quel giorno, quando avevo deciso di tagliarmi da solo i capelli. 
Probabilmente, Percy aveva già dimenticato quel bacio che mi ero deciso a dare giusto per farci morire insieme e il modo in cui ci eravamo guardati un secondo prima che Annabeth fosse così tempestiva da suonare il campanello, e probabilmente lo avrei fatto anche io se fossi stato etero e avessi avuto una ragazza splendida e decisa come lei.
Non ricordavo Annabeth così acida e brusca, non mi ero proprio preparato per affrontarla con quel carattere. Non capivo che cosa le avessi fatto di male... o meglio, lo capivo, dato che ero innamorato del suo ragazzo, ma non glielo avevo mica detto. Poi ricordai che la ragazza in questione fosse una  figlia di Atena e che probabilmente aveva scoperto il mio segreto ancora prima di me. 
La cucina fino a qualche minuto fa mi sembrava un posto allegro e festoso, ma adesso quei banconi sporchi, quelle buste di ingredienti vuote e l’odore che aleggiava la facevano apparire deprimente, anche perché c’era un silenzio innaturale. 
Strinsi i pugni e mi imposi di fare qualcosa, e senza sapere perché me ne andai in camera di Percy. Era qualcosa di fantastico, sembrava di stare sott’acqua. Le pareti erano blu, così come i pavimenti, i mobili, i soprammobili, il letto e la trapunta. Non c’era niente di nauseante, però, perché Sally aveva utilizzato diverse tonalità di blu che facevano un effetto fantastico viste tutte insieme. 
Mi avvicinai al letto e vidi che sulla testiera c’era una foto con Annabeth, la stessa che Percy aveva utilizzato per l’uovo di Pasqua, che si trovava proprio accanto al letto. Sembrava fosse nascosto, perché non era facile notarlo. Immaginai che Percy non voleva regalarglielo perché non era sicuro di amarla, poi mi dissi che mi stavo solo illudendo. 
Sulla parete c’era un collage di foto del Campo Mezzosangue, così feci qualche passo e lo raggiunsi per studiarlo meglio. 
Oltre al numero incalcolabile di foto con Annabeth, c’erano anche foto con gli amici. Vidi che aveva la foto di gruppo, quella fatta dopo la guerra contro i Titani. Chirone aveva detto di farla in modo da ricordare per sempre i sopravvissuti e naturalmente io non volevo farla. Certo, ero sopravvissuto ai Titani, ma mi sentivo morto ogni volta che vedevo Percy e Annabeth che si sbaciucchiavano e tutto il campo che li adorava. Ricordai quando mi avevano raccontato del loro bacio subacqueo, ricordai che volevo sparire per sempre da quel posto gioioso che per me era un incubo. 
Mi concentrai sulla foto e studiai i nostri volti. Io ero distante da Percy di tre persone: Annabeth, Grover e Juniper, ed ero piuttosto arrabbiato per quello. Stavo per accarezzare il punto in cui c’era il viso sorridente di Percy quando notai un’altra foto. La foto rappresentava Clarisse e un’altra ragazza di cui non mi ero preso la briga di conoscere il nome, e in secondo piano c’erano Percy e Annabeth sorridenti, le mani intrecciate. Poi c’ero io, palesemente triste e geloso, che li fissava. La foto non era per niente carina e loro due erano venuti pure sfocati... ma allora perché l’aveva tenuta addirittura nel collage?
Per un istante mi venne in mente di staccarla e ridurla a brandelli, ma poi Percy se ne sarebbe accorto, così decisi di non strapparla. Cercai di dimenticarla e me ne tornai in cucina ad aspettare che Percy tornasse. 
 
Dopo un quarto d’ora, sentii la porta aprirsi. Nessuno parlava, quindi capii che Percy era da solo. 
Quando venne in cucina, notai che aveva gli occhi rossi, ma mi rivolse un sorriso forzato. 
– Scusa se ti ho lasciato qui da solo – disse con voce roca, poi si sedette accanto a me sul divano. 
– Non fa niente – risposi.  
Volevo assolutamente sapere cosa fosse successo con Annabeth, ma chiederglielo mi imbarazzava. 
– Ehm... stai bene? – chiesi dopo un po’. 
– Se per “stare bene” intendi sentirsi perso come uno straniero in auto senza il navigatore satellitare... be’, allora sto bene.
– Mi dispiace per il tuo navigatore satellitare – dissi con un piccolo sorriso, ma non perché avevo capito che lui e Annabeth non erano una più una coppia. Erano stati il paragone stupido e l’ironia a farmi sorridere.  
– Hai bisogno di stare solo – affermai quando nella stanza calò nuovamente il silenzio. – Meglio che vada.
Feci per alzarmi, ma lui mi afferrò il polso. – Resta. Ti prego. So di averti rovinato la giornata, ma da solo impazzirei – supplicò. 
In quel momento mi venne lo stesso istinto di prima, quando avevo deciso di baciarlo mentre guidava. I miei pensieri si affollarono e per una volta il mio cuore e la mia mente andavano d’accordo su qualcosa: baciarlo. Baciarlo fino a fargli dimenticare il sapore di Annabeth. Lui era lì, seduto scompostamente sul divano a pochi centimetri da me, la sua mano che stringeva il mio polso, la mia pelle che scottava proprio in quel punto. Aveva un’espressione da cucciolo ferito e l’aria di uno che aveva bisogno di essere curato. Capii che se lo avessi baciato lui non mi avrebbe respinto, e non mi avrebbe respinto nemmeno se fossi andato oltre il bacio, ma non era quello che volevo. In quel momento era triste e spezzato, e io non avevo intenzione di approfittarmi di lui, volevo solo essere me stesso e non occorreva baciarlo o altro. Mi servivano solo le parole. Riuscii a frenare i miei istinti solo grazie alla coscienza. 
– Okay. 
Mi risistemai accanto a lui e stavolta fui io ad avvolgere le sue spalle con il braccio. Non dissi niente e lui nemmeno, non sentivamo il bisogno di parlare. 
 Continuava a studiarmi con lo sguardo, come se mi stesse valutando, e il fatto che fossimo così vicini da sentire il suo respiro caldo sul mio collo non aiutava i miei bollori.
– Posso scartare il tuo regalo? 
Per poco non sobbalzai: mi ero così abituato al silenzio rotto solo dai nostri respiri corti che dimenticai l’uso della parola. 
Ed ecco, era arrivato il momento del regalo. Avevo concentrato su me stesso il coraggio di tutta una vita per acquistarlo e no, non per i duecento dollari. Quello non era uno stupido regalo senza significato. Quel regalo aveva un suo perché, era quello che mi avrebbe aiutato a sistemare la situazione o a distruggerla completamente. 
Fui tentato di dire che non doveva aprirlo, che dovevamo cucinare il tiramisù, ma mi dissi che sarebbe stato inutile. Non aveva senso rimandare, avrei solo tormentato me stesso a causa dell’ansia del momento. 
– S-sì – risposi con un filo di voce. 
Andammo quindi in camera sua, e mentre scartava velocemente il regalo, pensai di non spiegare la motivazione, di inventare una scusa. 
Percy scartò il regalo con più fretta di quanto avessi previsto, così non riuscii a inventare nulla. 
– Nico... wow! Di solito non me ne importa niente della bellezza delle cose che mangio, ma all’idea di mangiare questo mi si chiude lo stomaco, anche perché somiglia a Blackjack! – esclamò stupito. 
Sul suo letto, tra carta blu e pupazzetti blu, il pegaso al cioccolato fondente che gli avevo comprato si stagliava imponente ancora dentro la sua scatola trasparente. Nonostante lo avessi già visto, rimasi comunque colpito dai cinquanta centimetri di scultura e dai minimi particolari con cui era stato creato. Aveva le ali spiegate, gli occhi erano stati colorati di nero e non sembrava nemmeno cioccolato. A tradirlo, però, era il fantastico odore che emanava. 
Percy sembrava davvero felice, adesso, perché sorrideva con sincerità. Per un momento, lo avevo distratto da Annabeth. 
– In realtà non ho scelto il pegaso perché somiglia a Blackjack, né perché ti piacciono – ammisi, incespicando nelle parole. 
– E allora perché? – chiese, ammirando ancora l’opera d’arte. 
Non risposi, o almeno non subito, così lui posò lo sguardo accigliato su di me in attesa di una risposta. 
Ecco, era arrivato il momento di fargli il discorso, solo che avevo paura di spaventarlo. Dopo tutto quello che era successo con Annabeth avrebbe pensato che me ne stavo solo approfittando, ma non era così, perché io mi sono innamorato di lui anni fa, ancora prima di Annabeth. 
– Il pegaso... io ho scelto il pegaso perché mi ricorda te. Sai, questa creatura è conosciuta per la sua forza. È speciale... immagino che quando vola, esso si senta più maestoso di quanto non sia già, immagino che si senta libero e leggero, assume la sua vera forma che lo fa sentire se stesso, e me lo ricordi quando con un sorriso mi fai volare via dai miei problemi, mi fai sentire... vivo. Il pegaso è una creatura meravigliosa, Percy, come te, anche se ti reputo anche piuttosto ottuso. Sei libero, sei forte e sei così bello... – mi fermai. Il mio era un discorso così stupido, così degno delle melense telenovelas argentine che stavo per ordinare al pavimento di aprirsi in due e farmi cadere nel baratro.
Percy era rimasto senza parole e fissava prima me, poi il pegaso. Io mi avvicinai a lui. – Non voglio perderti, ma non ce la faccio a esserti amico. Scusa se ti sto dicendo tutto adesso, giuro che te lo avrei anche se stessi con Annabeth – sussurrai. 
Ci guardammo negli occhi, ed eravamo così vicini che potei contare le chiare lentiggini sparse sul suo naso. Buffo, non me ne ero mai accorto. 
Mise le mani sulla mia schiena e mi attirò a sé, e per un istante le nostre labbra si sfiorarono. Non mi sentii il cuore, non mi sentii più il corpo, non mi sentii più Nico Di Angelo, perché Nico Di Angelo non poteva trovarsi in un momento così bello con un ragazzo così splendido. Percy interruppe il nostro contatto visivo chiudendo gli occhi e respirò tremante. Compresi che aveva paura di fare quel passo, di baciarmi, di cambiare il nostro tipo di relazione. Dopotutto, era ancora troppo presto. 
Mi allontanai un po’ da lui. – Io ti posso aspettare. 
Aprì lentamente gli occhi. Era deluso da se stesso, era confuso. – Tu... credimi, Nico... tu sei qualcosa per me. Ma ho bisogno di tempo. Ho bisogno di capire alcune cose. 
– Va bene, Percy – sussurrai, fissando la sua espressione triste che mi faceva stare così male. – Adesso però voglio andare. È meglio se stiamo entrambi da soli.  
Nonostante l’espressione ancora più triste, Percy stavolta non obiettò. – Almeno ti do il passaggio. 
– Non serve. Amo la pioggia, e ormai non mi importa bagnarmi. I tuoi vestiti... te li do adesso?
– Tienili – disse con sicurezza.
Mi accompagnò all’entrata.
– Mi dispiace che te ne stai andando. E poi dovevamo ancora preparare il tiramisù – disse pensieroso. 
Non riuscii a non sorridergli. Naturalmente, lui in quel momento pensava al tiramisù.
– Sono sicuro che un giorno lo faremo – replicai. 
Lui annuì, e feci per girargli le spalle.
– Aspetta... 
Non mi diede nemmeno il tempo di pensare per quale motivo mi stesse ancora intrattenendo che le sue labbra salate si poggiarono sulle mie. Fu un bacio a stampo, come quello della macchina, ma il tocco fu più delicato e potei concentrarmi meglio sulla morbidezza delle sue labbra. 
Sentii il mio cuore sciogliersi. Percy non mi aveva comprato nulla, ma per quell’innocente bacio fu il miglior regalo pasquale, natalizio, di compleanno e di qualsiasi altra sciocchezza di sempre. 
– Buona Pasqua, Nico Di Angelo – sussurrò Percy sulle mie labbra, e capii che stava sorridendo. 
– Anche a te – dissi una volta fatti diversi passi indietro, poi con le gambe tremanti scesi le scale e affrontai il diluvio. 
 
Decisi di fare quattro passi sotto la pioggia nella strada sovraffollata in cui avevo incontrato Percy. Non c’era affatto confusione, solo una mezza dozzina di persone che correvano via con i cappotti alzati sulla testa e con ombrelli che si distruggevano a causa del forte vento. Mi rivolgevano occhiate stranite, molto probabilmente perché stavo passeggiando tranquillamente a maniche corte nel corso della tempesta, ma a me non importava. Probabilmente mi sarebbe venuta qualche malanno, ma non mi importava nemmeno quello. Nonostante non ci fosse nessuno, avevo deciso di andare lì per dimostrare di essere un ragazzo normale (fino a quanto possa essere normale un semidio) con problemi normali che faceva idiozie (a)normali, tipo sorridere alle nuvole scure come se fossero vecchie amiche. 
Non avevo concluso la Pasqua con un litigio dimenticato con un bacio, non c’era stata nessuna famiglia ad obbligarmi di abbuffarmi di hamburger e cose del genere, ma mi andava bene così. Per una volta nella vita ero felice, ero felice dei piccoli cambiamenti con Percy. Ero felice di essermene andato senza nemmeno aver finito di cucinare, perché era giusto così. 
Ero sicuro che ci sarebbero stati un sacco di momenti da condividere insieme a Percy, ed ero felice di attenderli. 

Rimasi pietrificato quando vidi un atletico corpo femminile una volta aperta la porta. I lunghi e ondulati capelli biondi, gli occhi grigi che brillavano di intelligenza, i lineamenti delicati e l’espressione infastidita, come se lei fosse Medusa e io la sua preda e la cosa la irritava. Annabeth mi aveva sempre fatto quell’effetto quando mi sorprendeva, e si era abituata. O meglio, si era rassegnata.  
– Percy... – fece a mo’ di saluto, il tono seccato.
– A-Annabeth? – dissi incerto, sentendomi sempre più stupido. 
– Sì, Percy. Proprio Annabeth – mi schernì incrociando le braccia.
La guardai con timore: non avevo molta voglia di farla entrare perché proprio in cucina c’era Nico, ma lei sembrava stesse attendendo il peggio. 
Alla fine la feci entrare, e prima che potessi invitarla ad andare nella mia camera, con passo altero raggiunse la cucina. 
Sentii la temperatura abbassarsi di diversi gradi quando Nico e Annabeth si squadrarono ancora prima di salutarsi. Lei lo fissava come se volesse tagliargli la gola da un momento all’altro, mentre Nico aveva un’espressione indecifrabile. Io, invece, assistevo a tutto sullo stipite della porta: un punto perfetto per darsela a gambe da un momento all’altro. 
– Ciao, Annabeth – disse Nico con nervosismo. Evidentemente anche lui aveva avvertito l’improvviso calo di temperatura.
– Ehi – salutò freddamente lei. 
Nico le rivolse un sorriso che gli costò parecchio, considerato che sembrava più una smorfia. 
– Vi divertivate? – chiese Annabeth sarcasticamente, lo sguardo duro e impassibile. 
A Nico gli arrossirono le orecchie. – Be’, sì, abbiamo cucinato le... – ma si interruppe quando vide che non gli prestava attenzione. 
Lei stava guardando me. – Sono venuta qui per parlarti. 
Il mio cuore fece un salto mortale, ma non capii se fosse causato dalla speranza di chiarire tutto o dal timore di concludere la nostra storia. – Okay...
– Da soli – specificò.
Nico ci fissava con rabbia e risentimento malcelati. – Percy, io vado in camera tua. Spero di trovare dei vestiti più decenti. 
– No... – disse Annabeth, poi schioccò le dita e alzò gli occhi al cielo, come se volesse ricordare qualcosa, – mmh, Nico. Sì, Nico. Noi andiamo a fare una passeggiata.
Nico serrò la mascella e abbassò lo sguardo, e prima che potessi replicare, Annabeth mi afferrò per la manica della felpa e mi trascinò verso l’entrata. 
Ovviamente, con un diluvio universale in corso, non potevamo mica fare un’allegra passeggiata (e dubitavo anche che sarebbe stata tanto allegra), così scendemmo le scale e andammo in garage. 
– E così adesso siete diventati anche cuochi provetti? – chiese con amarezza.
Non risposi. Non avevo intenzione di replicare, di dire che tra me e Nico non c’era niente, perché non era vero. E se c’era una cosa che non mi andava di fare, quella era mentire ad Annabeth. 
– Credevo che fosse facile per me fare quello per cui sono venuta, ma... ma non lo è. Ti ho amato tanto, Percy – aveva abbandonato il tono accusatorio, amaro e disgustato. Adesso sembrava più tranquillo, ma io la conoscevo bene. Annabeth era spaventata, titubante.           
– Possiamo ricominciare – dissi, ma la realtà era che non ci credevo nemmeno io. 
– No... non servirebbe a nulla. Credevo che... credevo che noi due fossimo destinati a stare insieme, ma siamo troppo diversi. E qui Nico c’entra poco. Noi due non possiamo stare insieme, non dirmi che non l’hai capito – rispose, come se stesse riflettendo su un enorme errore fatto durante la progettazione di una sua creazione.
Sì, lo avevo capito, ormai. Non ne ero sicuro il giorno prima, ma i momenti passati con Nico quella mattina... be’, non mi sentivo leggero e contento da tanto tempo. Era la stessa sensazione che provavo con Annabeth quando avevamo iniziato a frequentarci. 
– Annabeth, mi dispiace tantissimo. Ero convinto anche io che noi due avessimo un futuro insieme, ma... no. Non voglio che tu continui a soffrire o a uscire pazza descrivendo nel minimo dettaglio lo sguardo di chiunque mi guardi – dissi, concludendo la frase con un sorriso triste. 
Mi rivolse un’occhiataccia stizzita, poi distese le labbra in un piccolo sorriso. – Mi mancherà la tua stupidità. 
– E a me mancherà la tua intelligenza. Mi mancherai tu in generale. 
Lei mi rivolse un altro sorriso, si mise in punta di piedi e mi diede un affettuoso bacio sulla fronte, tipo quelli che mi dava mia madre prima che partissi per un’impresa. – Stammi bene, Testa d’Alghe.
– Lo farò, Sapientona – riuscii a dire, poi mi voltò le spalle e uscì dal portone del garage.
Il rumore che fece il portone fu assordante, e lo associai alla conclusione della mia storia con lei. 
Mi sentivo le gambe molli e il cuore improvvisamente vuoto. Nonostante tutto, era la Sapientona a riempirlo e la sua mancanza sarebbe stata difficile da colmare.
Mi sentii improvvisamente solo, il freddo del garage penetrava sulla mia pelle e il rumore della pioggia mi spingeva ad accasciarmi per terra ed esplodere, e io non volevo. Volevo ricordare Annabeth come la prima persona che mi aveva fatto battere il cuore, la prima di cui mi ero innamorato davvero, la ragazza con cui avevo condiviso i momenti più belli e quelli più difficili; non volevo ricordarla per quello che era diventata negli ultimi due mesi, non volevo ricordarla come la ragazza acida e paranoica. 
 
 


In quell’infinita mezz’ora, non feci altro che pensare a Percy e Annabeth che facevano pace, mentre si baciavano con le mani intrecciate. Mi sentivo cattivo ogni volta che pregavo Afrodite di non farli chiarire, ma dubitavo che mi avrebbe ascoltato di nuovo: l’avevo già pregata, quel giorno, quando avevo deciso di tagliarmi da solo i capelli. 
Probabilmente, Percy aveva già dimenticato quel bacio che mi ero deciso a dare giusto per farci morire insieme e il modo in cui ci eravamo guardati un secondo prima che Annabeth fosse così tempestiva da suonare il campanello, e probabilmente lo avrei fatto anche io se fossi stato etero e avessi avuto una ragazza splendida e decisa come lei.
Non ricordavo Annabeth così acida e brusca, non mi ero proprio preparato per affrontarla con quel carattere. Non capivo che cosa le avessi fatto di male... o meglio, lo capivo, dato che ero innamorato del suo ragazzo, ma non glielo avevo mica detto. Poi ricordai che la ragazza in questione fosse una  figlia di Atena e che probabilmente aveva scoperto il mio segreto ancora prima di me. 
La cucina fino a qualche minuto fa mi sembrava un posto allegro e festoso, ma adesso quei banconi sporchi, quelle buste di ingredienti vuote e l’odore che aleggiava la facevano apparire deprimente, anche perché c’era un silenzio innaturale. 
Strinsi i pugni e mi imposi di fare qualcosa, e senza sapere perché me ne andai in camera di Percy. Era qualcosa di fantastico, sembrava di stare sott’acqua. Le pareti erano blu, così come i pavimenti, i mobili, i soprammobili, il letto e la trapunta. Non c’era niente di nauseante, però, perché Sally aveva utilizzato diverse tonalità di blu che facevano un effetto fantastico viste tutte insieme. 
Mi avvicinai al letto e vidi che sulla testiera c’era una foto con Annabeth, la stessa che Percy aveva utilizzato per l’uovo di Pasqua, che si trovava proprio accanto al letto. Sembrava fosse nascosto, perché non era facile notarlo. Immaginai che Percy non voleva regalarglielo perché non era sicuro di amarla, poi mi dissi che mi stavo solo illudendo. 
Sulla parete c’era un collage di foto del Campo Mezzosangue, così feci qualche passo e lo raggiunsi per studiarlo meglio. 
Oltre al numero incalcolabile di foto con Annabeth, c’erano anche foto con gli amici. Vidi che aveva la foto di gruppo, quella fatta dopo la guerra contro i Titani. Chirone aveva detto di farla in modo da ricordare per sempre i sopravvissuti e naturalmente io non volevo farla. Certo, ero sopravvissuto ai Titani, ma mi sentivo morto ogni volta che vedevo Percy e Annabeth che si sbaciucchiavano e tutto il campo che li adorava. Ricordai quando mi avevano raccontato del loro bacio subacqueo, ricordai che volevo sparire per sempre da quel posto gioioso che per me era un incubo. 
Mi concentrai sulla foto e studiai i nostri volti. Io ero distante da Percy di tre persone: Annabeth, Grover e Juniper, ed ero piuttosto arrabbiato per quello. Stavo per accarezzare il punto in cui c’era il viso sorridente di Percy quando notai un’altra foto. La foto rappresentava Clarisse e un’altra ragazza di cui non mi ero preso la briga di conoscere il nome, e in secondo piano c’erano Percy e Annabeth sorridenti, le mani intrecciate. Poi c’ero io, palesemente triste e geloso, che li fissava. La foto non era per niente carina e loro due erano venuti pure sfocati... ma allora perché l’aveva tenuta addirittura nel collage?
Per un istante mi venne in mente di staccarla e ridurla a brandelli, ma poi Percy se ne sarebbe accorto, così decisi di non strapparla. Cercai di dimenticarla e me ne tornai in cucina ad aspettare che Percy tornasse. 
 
Dopo un quarto d’ora, sentii la porta aprirsi. Nessuno parlava, quindi capii che Percy era da solo. 
Quando venne in cucina, notai che aveva gli occhi rossi, ma mi rivolse un sorriso forzato. 
– Scusa se ti ho lasciato qui da solo – disse con voce roca, poi si sedette accanto a me sul divano. 
– Non fa niente – risposi.  
Volevo assolutamente sapere cosa fosse successo con Annabeth, ma chiederglielo mi imbarazzava. 
– Ehm... stai bene? – chiesi dopo un po’. 
– Se per “stare bene” intendi sentirsi perso come uno straniero in auto senza il navigatore satellitare... be’, allora sto bene.
– Mi dispiace per il tuo navigatore satellitare – dissi con un piccolo sorriso, ma non perché avevo capito che lui e Annabeth non erano una più una coppia. Erano stati il paragone stupido e l’ironia a farmi sorridere.  
– Hai bisogno di stare solo – affermai quando nella stanza calò nuovamente il silenzio. – Meglio che vada.
Feci per alzarmi, ma lui mi afferrò il polso. – Resta. Ti prego. So di averti rovinato la giornata, ma da solo impazzirei – supplicò. 
In quel momento mi venne lo stesso istinto di prima, quando avevo deciso di baciarlo mentre guidava. I miei pensieri si affollarono e per una volta il mio cuore e la mia mente andavano d’accordo su qualcosa: baciarlo. Baciarlo fino a fargli dimenticare il sapore di Annabeth. Lui era lì, seduto scompostamente sul divano a pochi centimetri da me, la sua mano che stringeva il mio polso, la mia pelle che scottava proprio in quel punto. Aveva un’espressione da cucciolo ferito e l’aria di uno che aveva bisogno di essere curato. Capii che se lo avessi baciato lui non mi avrebbe respinto, e non mi avrebbe respinto nemmeno se fossi andato oltre il bacio, ma non era quello che volevo. In quel momento era triste e spezzato, e io non avevo intenzione di approfittarmi di lui, volevo solo essere me stesso e non occorreva baciarlo o altro. Mi servivano solo le parole. Riuscii a frenare i miei istinti solo grazie alla coscienza. 
– Okay. 
Mi risistemai accanto a lui e stavolta fui io ad avvolgere le sue spalle con il braccio. Non dissi niente e lui nemmeno, non sentivamo il bisogno di parlare. 
 Continuava a studiarmi con lo sguardo, come se mi stesse valutando, e il fatto che fossimo così vicini da sentire il suo respiro caldo sul mio collo non aiutava i miei bollori.
– Posso scartare il tuo regalo? 
Per poco non sobbalzai: mi ero così abituato al silenzio rotto solo dai nostri respiri corti che dimenticai l’uso della parola. 
Ed ecco, era arrivato il momento del regalo. Avevo concentrato su me stesso il coraggio di tutta una vita per acquistarlo e no, non per i duecento dollari. Quello non era uno stupido regalo senza significato. Quel regalo aveva un suo perché, era quello che mi avrebbe aiutato a sistemare la situazione o a distruggerla completamente. 
Fui tentato di dire che non doveva aprirlo, che dovevamo cucinare il tiramisù, ma mi dissi che sarebbe stato inutile. Non aveva senso rimandare, avrei solo tormentato me stesso a causa dell’ansia del momento. 
– S-sì – risposi con un filo di voce. 
Andammo quindi in camera sua, e mentre scartava velocemente il regalo, pensai di non spiegare la motivazione, di inventare una scusa. 
Percy scartò il regalo con più fretta di quanto avessi previsto, così non riuscii a inventare nulla. 
– Nico... wow! Di solito non me ne importa niente della bellezza delle cose che mangio, ma all’idea di mangiare questo mi si chiude lo stomaco, anche perché somiglia a Blackjack! – esclamò stupito. 
Sul suo letto, tra carta blu e pupazzetti blu, il pegaso al cioccolato fondente che gli avevo comprato si stagliava imponente ancora dentro la sua scatola trasparente. Nonostante lo avessi già visto, rimasi comunque colpito dai cinquanta centimetri di scultura e dai minimi particolari con cui era stato creato. Aveva le ali spiegate, gli occhi erano stati colorati di nero e non sembrava nemmeno cioccolato. A tradirlo, però, era il fantastico odore che emanava. 
Percy sembrava davvero felice, adesso, perché sorrideva con sincerità. Per un momento, lo avevo distratto da Annabeth. 
– In realtà non ho scelto il pegaso perché somiglia a Blackjack, né perché ti piacciono – ammisi, incespicando nelle parole. 
– E allora perché? – chiese, ammirando ancora l’opera d’arte. 
Non risposi, o almeno non subito, così lui posò lo sguardo accigliato su di me in attesa di una risposta. 
Ecco, era arrivato il momento di fargli il discorso, solo che avevo paura di spaventarlo. Dopo tutto quello che era successo con Annabeth avrebbe pensato che me ne stavo solo approfittando, ma non era così, perché io mi sono innamorato di lui anni fa, ancora prima di Annabeth. 
– Il pegaso... io ho scelto il pegaso perché mi ricorda te. Sai, questa creatura è conosciuta per la sua forza. È speciale... immagino che quando vola, esso si senta più maestoso di quanto non sia già, immagino che si senta libero e leggero, assume la sua vera forma che lo fa sentire se stesso, e me lo ricordi quando con un sorriso mi fai volare via dai miei problemi, mi fai sentire... vivo. Il pegaso è una creatura meravigliosa, Percy, come te, anche se ti reputo anche piuttosto ottuso. Sei libero, sei forte e sei così bello... – mi fermai. Il mio era un discorso così stupido, così degno delle melense telenovelas argentine che stavo per ordinare al pavimento di aprirsi in due e farmi cadere nel baratro.
Percy era rimasto senza parole e fissava prima me, poi il pegaso. Io mi avvicinai a lui. – Non voglio perderti, ma non ce la faccio a esserti amico. Scusa se ti sto dicendo tutto adesso, giuro che te lo avrei anche se stessi con Annabeth – sussurrai. 
Ci guardammo negli occhi, ed eravamo così vicini che potei contare le chiare lentiggini sparse sul suo naso. Buffo, non me ne ero mai accorto. 
Mise le mani sulla mia schiena e mi attirò a sé, e per un istante le nostre labbra si sfiorarono. Non mi sentii il cuore, non mi sentii più il corpo, non mi sentii più Nico Di Angelo, perché Nico Di Angelo non poteva trovarsi in un momento così bello con un ragazzo così splendido. Percy interruppe il nostro contatto visivo chiudendo gli occhi e respirò tremante. Compresi che aveva paura di fare quel passo, di baciarmi, di cambiare il nostro tipo di relazione. Dopotutto, era ancora troppo presto. 
Mi allontanai un po’ da lui. – Io ti posso aspettare. 
Aprì lentamente gli occhi. Era deluso da se stesso, era confuso. – Tu... credimi, Nico... tu sei qualcosa per me. Ma ho bisogno di tempo. Ho bisogno di capire alcune cose. 
– Va bene, Percy – sussurrai, fissando la sua espressione triste che mi faceva stare così male. – Adesso però voglio andare. È meglio se stiamo entrambi da soli.  
Nonostante l’espressione ancora più triste, Percy stavolta non obiettò. – Almeno ti do il passaggio. 
– Non serve. Amo la pioggia, e ormai non mi importa bagnarmi. I tuoi vestiti... te li do adesso?
– Tienili – disse con sicurezza.
Mi accompagnò all’entrata.
– Mi dispiace che te ne stai andando. E poi dovevamo ancora preparare il tiramisù – disse pensieroso. 
Non riuscii a non sorridergli. Naturalmente, lui in quel momento pensava al tiramisù.
– Sono sicuro che un giorno lo faremo – replicai. 
Lui annuì, e feci per girargli le spalle.
– Aspetta... 
Non mi diede nemmeno il tempo di pensare per quale motivo mi stesse ancora intrattenendo che le sue labbra salate si poggiarono sulle mie. Fu un bacio a stampo, come quello della macchina, ma il tocco fu più delicato e potei concentrarmi meglio sulla morbidezza delle sue labbra. 
Sentii il mio cuore sciogliersi. Percy non mi aveva comprato nulla, ma per quell’innocente bacio fu il miglior regalo pasquale, natalizio, di compleanno e di qualsiasi altra sciocchezza di sempre. 
– Buona Pasqua, Nico Di Angelo – sussurrò Percy sulle mie labbra, e capii che stava sorridendo. 
– Anche a te – dissi una volta fatti diversi passi indietro, poi con le gambe tremanti scesi le scale e affrontai il diluvio. 
 
Decisi di fare quattro passi sotto la pioggia nella strada sovraffollata in cui avevo incontrato Percy. Non c’era affatto confusione, solo una mezza dozzina di persone che correvano via con i cappotti alzati sulla testa e con ombrelli che si distruggevano a causa del forte vento. Mi rivolgevano occhiate stranite, molto probabilmente perché stavo passeggiando tranquillamente a maniche corte nel corso della tempesta, ma a me non importava. Probabilmente mi sarebbe venuta qualche malanno, ma non mi importava nemmeno quello. Nonostante non ci fosse nessuno, avevo deciso di andare lì per dimostrare di essere un ragazzo normale (fino a quanto possa essere normale un semidio) con problemi normali che faceva idiozie (a)normali, tipo sorridere alle nuvole scure come se fossero vecchie amiche. 
Non avevo concluso la Pasqua con un litigio dimenticato con un bacio, non c’era stata nessuna famiglia ad obbligarmi di abbuffarmi di hamburger e cose del genere, ma mi andava bene così. Per una volta nella vita ero felice, ero felice dei piccoli cambiamenti con Percy. Ero felice di essermene andato senza nemmeno aver finito di cucinare, perché era giusto così. 
Ero sicuro che ci sarebbero stati un sacco di momenti da condividere insieme a Percy, ed ero felice di attenderli. 

 

 

 

Note noiose dell'autrice

Finalmente ho aggiornato questa storia! Dei, mi sento troppo realizzata. Scusate l'attesa, ma sono stata - e sono - incasinatissima. 

Con questo capitolo concludo la storia. So che non è "del tutto" conclusa, ma ho deciso di dare spazio al lettore in modo che li possa immaginare come vuole. 

Ringrazio coloro che hanno recensito la storia e coloro che l'hanno aggiunta alle preferite/ ricordate / seguite. GRAZIE DAVVERO.


 

 

  
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