NB: ho
paura
che in questo capitolo la nostra tanto adorata regina di ghiaccio
risulti un
tantino ooc, questo perché ho cercato di portare
all’esasperazione il suo stato
di nervosismo. Spero non mi malediciate per quello che le
farò dire e fare XD
Capitolo
14:
Ad ogni azione corrisponde una reazione
Elsa sedeva
composta alla sua scrivania, sfogliando dei resoconti stilati per lei
dai suoi
ministri, arricciando le labbra in disappunto, alle pessime notizie:
una nave
merci, che trasportava un prezioso carico di beni di prima
necessità destinati
ad Arendelle, aveva fatto naufragio, a causa di una tempesta
scatenatasi lungo
le coste del regno delle Isole del Sud. La notizia non poteva che
aggravare il
suo stato di nervosismo, che sembrava crescere minuto dopo minuto.
Aveva
riaccompagnato Anna nelle sue stanze già da un
po’, lasciandola riposare. Il
vederla in quello stato di serafica remissività,
l’aveva lasciata interdetta: la
sorella l’aveva salutata sul molo e poi aveva taciuto per la
maggior parte del
tempo, rispondendo alle sue domande con semplici monosillabi,
sussurrati a fior
di labbra, come se avesse paura di alzare la voce. Anzi, la sua
impressione era
stata proprio quella che Anna avesse paura di lei, che temesse anche il
solo
contatto visivo.
Quando aveva
ricevuto la lettera di Rapunzel, l’aveva letta con mani
tremanti, lasciando che
la paura regnasse sovrana nel suo cuore: l’aveva
accartocciata subito dopo,
mentre un leggero strato di brina cominciava a crearsi sulle pareti e i
suoi
occhi si riempivano di lacrime; aveva appena ritrovato la sorella ed
ora, a
causa di uno stupido incidente, l’aveva persa di nuovo.
Qualche ora più tardi
aveva cercato di autoconvincersi che sarebbe potuta andare peggio, che
Anna
sarebbe potuta morire dopo aver battuto la testa; ma quel placebo
mentale che
aveva cercato di somministrarsi non aveva funzionato. Non sarebbe stata
tranquilla finché non avesse riabbracciato la sorella. Erano
stati i cinque
giorni più lunghi della sua vita: nemmeno quando era rimasta
rilegata nella sua
stanza, il tempo era passato così lentamente: più
cercava d’intrattenersi con sedute
straordinarie del consiglio e la lettura di noiosissimi trattati di
alleanze,
più la sua mente le riproponeva l’immagine di Anna
inerme tra le braccia di Kristoff.
Già,
Kristoff. La colpa era la sua. Che idiota era stata ad affidargliela,
che
stupidaggine aveva fatto ad accordagli la sua fiducia, a trattarlo
quasi come
un suo pari. Ma non l’avrebbe passata liscia, lo avrebbe
punito severamente,
anzi l’avrebbe fatto giust…
I suoi piani
di vendetta vennero interrotti da un bussare ritmico alla porta del suo
studio:
“Elsa, sono Olaf, posso entrare?”- la voce acuta e
sempre solare del piccolo
pupazzo di neve le giunse ovattata da fuori.
‘Olaf!’-
pensò.
Si era proprio
dimenticata di lui, in tutto quel trambusto di eventi: poverino, lui le
era
stato accanto in quelle due settimane, confortandola con il suo affetto
e i
suoi abbracci gelati, e lei l’aveva a malapena ringraziato,
troppo concentrata
sul suo dolore per prestare attenzione anche al dispiacere del suo
piccolo
amico: “Entra pure, Olaf.”- gli rispose con voce
controllata.
Subito la
porta si aprì e Olaf entrò, rivolgendole quel
sorrisino contagioso che non
abbandonava mai la sua bocca: “Ehi! Come va? Hai visto, Anna
è tronata sana e
salva, e tu che eri così preoccupata.”-
ridacchiò divertito, all’oscuro di
quella situazione tutt’altro che rosea.
Infatti non
gli aveva detto che Anna aveva perso la memoria, ma semplicemente che
era
caduta da cavallo, che aveva battuto la testa e si era rotta un
braccio: anche
solo con quelle poche informazioni, l’umore del piccolo
pupazzo di neve, si era
rabbuiato; non voleva deprimerlo ulteriormente dicendogli che molto
probabilmente Anna non si sarebbe ricordata di lui.
-“Già.
Hai
ragione.”- cercò di sorridere, ma le venne fuori
una smorfia.
Olaf
sembrò
non accorgersene: “Dici che potrei andare a salutarla?
Insomma mi è mancata e
credo di essere mancato anch’io a lei!”- fece una
smorfietta carina
ridacchiando -“Non per vantarmi, ma sai, credo di essere il
suo migliore amico,
dopo te ovviamente e…Kristoff, ma lui non conta, lui
è un più-che-amico.”- Elsa
non gli rispondeva, quindi continuò-“ Okay, forse
non sono proprio il suo
migliore amico, ma sicuramente il suo miglior confidente e
potrei…”-
Elsa lo
interruppe, prima che potesse andare oltre: glielo doveva dire, non
poteva
nascondergli oltre la verità, lui meritava di sapere, ora
faceva parte della
famiglia.
-“Ascolta
Olaf, ho una cosa molto importante da dirti.”- prese un
respiro profondo,
guardando negli occhietti neri del piccolo amico, cercando di trovare
le parole
adatte per non ferire i suoi sentimenti -“Ricordi che ti
avevo detto che Anna
era caduta da cavallo battendo la testa?”-
Olaf
annuì
convinto: “E che per fortuna o per sfortuna, non saprei
ancora bene come definirla,
si era rotta solo un braccio. Si, mi ricordo!”-
-“Bene,
c’è
una cosa che non ti ho raccontato, ma l’ho fatto solo per non
farti
rattristare. Non voglio vederti triste e depresso come me: una Elsa
basta e avanza,
che dici?”- cercò di smorzare la tensione con una
battuta, peggiorando solo la
situazione, perché Olaf la guardò in modo strano.
Tacque per quello che le
sembrò un tempo infinito, rimanendo immobile a fissare le
sue dita intrecciate
sulla scrivania, incapace di incrociare lo sguardo interrogativo
dell’omino di
neve.
-“Elsa,
va
avanti. Non c’è nulla che potresti dirmi di tanto
spiacevole da farmi
rattristare” - la esortò, gesticolando con i due
rametti che aveva al posto
delle braccia.
-“Olaf…Anna
non si ricorda di te, né dei miei poteri, né del
viaggio che avete fatto insieme
per venire a cercarmi. Il colpo alla testa le ha cancellato i ricordi
ed
inoltre, credo abbia modificato anche il suo carattere: non
è più la Anna che
conoscevamo, purtroppo.” – fece silenzio,
aspettando una reazione da parte di
Olaf.
-“Oh…”-
fu
l’unico suono che uscì dalla sua fredda bocca.
Abbassò mesto la testa,
lasciando cadere le braccia ramose lungo i fianchi, mentre la nuvoletta
sulla
sua testa si rabbuiava come il suo umore.
-“Olaf,
mi
dispiace, ma dovevo dirtelo, non potevo rischiare che Anna ti vedesse e
desse
di matto. Insomma, hai capito, no?”- si affrettò a
precisare.
-“Q-quindi,
non potrò più vederla per un
po’,giusto?”- chiese alzando i suoi occhietti
tristi e lucidi su Elsa. Il dolore di quello sguardo,
penetrò la giovane regina
fin nelle ossa, lasciandole l’impressione che con il solo
contatto visivo, Olaf
le avesse scavato involontariamente una buca nel petto.
-“Si,
mi
dispiace.”-
-“Per
quanto
non potrò vederla, insomma prima o poi dovrà
tornarle la memoria, no?”- chiese
speranzoso, abbozzando un sorriso.
-“Non
lo so
Olaf. I medici di Corona hanno detto che potrebbe anche non tornarle
mai più.
Ma non preoccuparti: pian piano racconterò ad Anna tutto
quello che ha dimenticato
di questi ultimi mesi, cominciando dal mio potere, e ovviamente le
parlerò
anche di te, così potrete tornare ad essere amici come una
volta. Ma credo che
ci vorrà del tempo per farla abituare a tutto questo,
capisci?”-
-“Capisco.”-
rispose in un sospiro, facendo traballare la carota che aveva al posto
del
naso.
-“Dovrai
avere un po’ di pazienza, e non dovrai perdere la speranza.
Insomma questa è
solo la peggiore delle ipotesi, potrebbe anche ricordare tutto nel giro
di
qualche settimana.”- cercò di consolarlo, tentando
allo stesso tempo di
convincere se stessa.
-“Questo
significa che non posso andare a trovarla, allora.”-
constatò malinconico.
-“No,
mi
dispiace.”- gli rispose Elsa: vedere il sempre felice e
logorroico Olaf,
diventare improvvisamente triste e silenzioso, le spezzò il
cuore. Il piccolo
pupazzo di neve, strizzava gli occhi, incapace di piangere, cercando un
modo
per esternare il suo dolore.
-“Olaf,
vedrai che presto tutto si aggiusterà e torneremo ad essere
felici come prima.”-
gli sorrise mestamente.
-“Avrei
tanto bisogno di un caldo abbraccio, ora.”- disse alzando lo
sguardo lucido su
Elsa.
La regina lo
guardò per un millisecondo e poi, senza tanti preamboli, si
alzò dal suo posto
e gli si avvicinò. Si inginocchiò alla sua
altezza e poi spalancò le braccia e
il piccolo Olaf vi si tuffò dentro.
Gli
carezzò
la testolina bianca e fredda, consolandolo come una mamma fa con il suo
bambino, mentre il piccolo pupazzo cercava di cingerle la vita con le
sue
braccine corte: “Non so se i miei abbracci siano caldi, ma
spero ti basti anche
questo abbraccio ‘congelato’.”-
scherzò Elsa allontanandosi di poco.
-“Ma
tu non
sei fredda, almeno non per me. Questo è il migliore
abbraccio caldo che io
abbia mai ricevuto. Non che ne abbia ricevuti molti, in
realtà, ma tra quei
pochi che posso ricordare questo è certamente il
migliore!”- gli disse con la
sua vocetta acuta, tornando ad essere per un momento il solito
sorridente Olaf.
-“Sono
felice. Allora, quando vorrai un abbraccio non esitare, vieni a bussare
alla
mia porta, ce ne saranno sempre per te.”- gli promise con
voce dolce.
Olaf
annuì.
Poi Elsa tornò seria: “Ascoltami bene Olaf, il
palazzo è casa tua e tu puoi
andare dove più ti aggrada, ma ti pregherei di non
gironzolare dalle parti della
camera di Anna. Se dovesse vederti non so come reagirebbe. Inoltre, mi
raccomando: nel caso tu dovessi sentirla o scorgerla per i corridoi,
non
andarle in contro. So che è chiederti molto, ma fallo per
lei. Più la terremo
tranquilla, più probabilità ci saranno che le
torni la memoria.”-
-“Afferrato,
non mi farò vedere, sarò un’ombra
silenziosa che striscia nell’oscurità.”-
disse con tono cospiratorio, alzando un braccio legnoso
all’altezza degli
occhi, come se volesse nascondersi –“A proposito di
agire nell’ombra, ma non è
che per caso Arendelle ha un corpo speciale di spie che proteggono la
regina e
il palazzo ed evitano le congiure eccetera eccetera? No sai
com’è, nel caso ve
ne fosse uno potrei entrare a farne parte e potrei
addirittura…”-
-“No,
Olaf, non
esiste niente di tutto questo. Basterà che tu non ti faccia
vedere, promesso?”-
ridacchiò la regina, difronte alla capacità di
Olaf di fronteggiare il cattivo
umore.
-“Promesso.”-
confermò il piccoletto.
-“Ora
dovresti andare, aspetto una persona e non sarà piacevole
essere nei paraggi
quando questa arriverà.”- constatò
irritata.
-“Come
vuoi.”- si avviò verso la porta bianca dietro di
lui, lasciando delle piccole
impronte bagnate sul pavimento ricoperto da un tappeto, ma si
fermò-“ La
persona che stai aspettando è per caso Kristoff?”-
chiese alzando un
sopracciglio.
Elsa si
alzò, lisciandosi le pieghe del vestito:
“Già.”- confermò con voce
piatta,
tornando alla sua scrivania e alle sue sudate carte, mentre la
temperatura
nelle stanza diminuiva impercettibilmente.
-“E
non c’è
la possibilità che io possa rimanere qui mentre parlate,
così da evitare che tu
faccia male a Kristoff? Sai, non credo che Anna sarebbe molto felice di
sapere
che il suo più-che-amico è diventato un
ghiacciolo.”- ridacchiò a quell’ultima
affermazione.
-“No,
Olaf:
devi andare. Ti assicuro che cercherò di trattenermi, di non
fargli molto male,
ma non posso prometterti nulla, sai che quando sono nervosa non riesco
a
controllarmi.”- gli rivolse un sorriso sghembo, un tantino
inquietante,
pregustando già la sfuriata che avrebbe fatto al ragazzo.
-“Mmm,
d’accordo.”- acconsentì titubante Olaf,
mentre apriva la porta –“A più tardi,
allora.”- richiuse la porta dietro di sé.
Elsa
tornò a
fissare il resoconto del naufragio della nave merci, ma un istante dopo
dei
colpi lievi alla porta la interruppero: “Olaf, ti ho
già detto che non puoi
restare. Va a giocare in giardino.”-
Ma quando
alzò la testa per fronteggiare l’insistenza del
pupazzo di neve, trovò
sull’uscio della porta Kristoff, ancora con la mano sulla
maniglia: “P-posso
tornare se ha da fare.”- le disse in un soffio, osservandola
con lo sguardo di
una preda inerme di fronte al predatore.
-“Entra.”-
un ordine perentorio, una sola parola: fu lapidaria.
Lo
osservò
mentre chiudeva la porta, in silenzio. Il ragazzo si voltò
tenendo lo sguardo
basso, non osando incrociare i suoi occhi di ghiaccio, che sembravano
trapassarlo da parte a parte, mozzandogli il respiro: doveva
ammetterlo, aveva
paura.
Elsa lo
fissava intensamente, non sapendo da dove cominciare. Lui rimaneva
immobile
davanti alla sua scrivania, come qualche settimana prima, quando gli
aveva dato
la sua benedizione per stare con Anna. ‘Benedizione un
corno!’- si ritrovò a
pensare, mentre cercava di controllare le sue emozioni e di tenere a
bada le
maledizioni, che gli avrebbe volentieri urlato contro, che le premevano
sulle
labbra. Le sembrò che Kristoff tremasse per la paura e che
alle sue
orecchie arrivasse addirittura il
rumore sordo dei
battiti aritmici del cuore spaventato del ragazzo. O forse era solo il
rombo
potente del suo cuore, che accelerava sotto l’influsso della
rabbia crescente,
che si stava lentamente e inesorabilmente impadronendo di lei.
La regina
prese un respiro profondo: “Prima che tu ed Anna partiste per
Corona mi ero
raccomandata con lei, dicendole di non fare cose stupide, quel genere
di cose
che di solito la fanno mettere nei guai: lei mi ha tranquillizzata
dicendomi
che tutto era sotto controllo e che tu saresti stato con lei, e che
quindi non
c’era da preoccuparsi.”- fece un momento di
silenzio per riprendere fiato, ordinando
le carte sulla scrivania, senza
staccare gli occhi dalla figura intimorita di Kristoff
-“E io ho pensato: ‘ma si, Kristoff mi
sembra un ragazzo assennato, di certo starà attento alla sua
sicurezza.’ E
ovviamente, non potevo essere più lontana di così
dalla realtà!”- disse con
voce strozzata, cercando di mantenere la calma -“Ti avevo
esplicitamente
chiesto di tenerla al sicuro”- chiuse un attimo gli occhi
-“di non farla
soffrire e di fare in modo che non le accadesse
nulla…”- si portò le dita
tremanti alle tempie, sospirando rumorosamente. Ormai era al limite,
sapeva che
in quell’occasione nemmeno la filastrocca che le aveva
insegnato il padre-
celare, domare, non mostrare- sarebbe riuscita ad arginare
l’onda di rabbia che
le stava salendo dal profondo, sommergendo ogni altra emozione,
lasciandola per
un momento incredula difronte a tanta potenza: “Allora mi
spieghi cos’è andato
storto a Corona?”- gli urlò contro, battendo le
mani sul tavolo davanti a lei,
spalancando gli occhi di ghiaccio, mentre la temperatura nella stanza
calava
bruscamente e un vento creatosi dal nulla faceva volare via alcuni
oggetti.
Alla fine
era esplosa.
Kristoff
fece un passo indietro intimorito, riuscendo a scansare un piccolo
soprammobile
che altrimenti l’avrebbe colpito in piena faccia. Non
riusciva a spiccicare
parola: certo, aveva previsto una tale reazione da parte della regina,
ma mai
avrebbe pensato che si sarebbe lasciata andare così tanto.
Inoltre, tutto il
discorso di scuse, che si era preparato nell’attesa di essere
ricevuto, sarebbe
stato praticamente inutile contro le sue accuse.
-“Tu
sai che
ad ogni azione corrisponde una reazione, vero?”- gli chiese
ritornando per un
momento calma.
Kristoff
annuì.
-“Allora
saprai anche che tradire la mia fiducia in tal modo, non è
certo cosa che passa
impunita, quindi spero tu sia pronto a ricevere una degna
punizione.”- lo vide
inghiottire a vuoto –“Ma prima voglio che mi
racconti per filo e per segno
tutto quello che è successo a Corona. La lettera della
principessa Rapunzel non
è stata abbastanza esplicativa.”- lo
guardò tornare al suo posto e prendere
fiato.
Kristoff
cominciò dapprincipio, prima con voce tremante e poi sempre
più sicuro: le
raccontò del loro arrivo nel regno di Corona;
dell’accoglienza ricevuta dai
sovrani; dei festeggiamenti per il matrimonio; della giornata passata
tra le
strade del regno e della proposta della principessa Rapunzel, di
provvedere
alla sua lunga assenza con una passeggiata a cavallo nella riserva di
caccia
del re.
Omise
accuratamente di farle sapere che aveva dormito nello stesso letto di
Anna,
temendo ovviamente di peggiorare ancora di più la sua
situazione: se la regina
avesse saputo davvero tutto quello che era successo a Corona, lo
avrebbe di
certo messo alla forca.
-“…così
abbiamo passato gran parte della giornata insieme alla principessa e al
suo
consorte, per le campagne del regno e al ritorno è
successo…beh, l’incidente.”-
concluse il suo racconto abbassando lo sguardo. Parlare di quella
faccenda lo
faceva star male, perché non riusciva a capacitarsi che Anna
fosse in quelle
condizioni anche per colpa sua: si era lasciato prendere dal momento
senza
prestare attenzione ai particolari, troppo concentrato su Anna e le sue
parole.
Elsa
assimilò tutte quelle informazioni in silenzio,
concentrandosi sulle sue ultime
parole: “So cosa è successo, ma io vorrei sapere
come e perché. Perché Anna
correva a scavezzacollo su un sentiero che non conosceva e come ha
fatto a
cadere?”- il tono di voce che abbandonò le sue
labbra rispecchiava appieno la
sua frustrazione. ‘Se fossi andata con lei, di sicuro questo
non sarebbe
successo.’- pensò, mentre osservava il ragazzo
cercare una risposta alle sue
domande.
-“S-stavamo
facendo una gara e lei era voltata indietro e…e non lo so,
davvero. È successo
tutto così in fretta, credo abbia sbattuto contro un ramo
basso e poi era a
terra e…”- farfugliò.
-“Voi
cosa?”- esclamò Elsa, scioccata, spalancando gli
occhi.
-“Stavamo
facendo una gara: al mattino mi aveva sfidato e avevo vinto io,
così voleva la
rivincita e quindi…era così felice che non avrei
avuto il cuore di dirle di
no.”- si scusò.
-“Mi
stai
dicendo che mia sorella è rinchiusa nella sua stanza con un
braccio rotto e un
vuoto di memoria grande quanto il fiordo, solo perché tu non
hai avuto il
coraggio di fermarla dal fare una stupidaggine?”- disse
stupefatta, mentre una
sottile lastra di ghiaccio si andava estendendo dai suoi piedi verso il
ragazzo, che non vi prestò molta attenzione.
-“Io
ho
cercato di fermarla, ma lei non mi ha dato ascolto. Cosa avrei dovuto
fare,
ordinarle di fermarsi? Fino a prova contraria è lei la
principessa, quella
autorizzata a dare ordini.”- rispose spazientito, facendo un
gesto con la
mano-“ E poi una corsa a cavallo non mi sembrava tutto questo
gran pericolo.”-
concluse facendo spallucce.
-“Non
ti
sembrava tutto questo pericolo! Sai com’è morto il
padre di mio padre?”- gli chiese
Elsa.
Kristoff si
fermò interdetto: non lo sapeva, ma sapeva perfettamente che
di li a qualche
secondo avrebbe fatto l’ennesima figuraccia.
-“Per
una
caduta da cavallo.”- sentenziò la regina.
‘Come
volevasi dimostrare, sei un idiota!’- pensò tra
sé.
-“Mi
dispiace, se lo avessi saputo avrei cercato di farla
desistere.”- si scusò
abbassando il capo -“Ma avreste dovuto vederla”-
disse tutto ad un tratto
alzando lo sguardo sulla regina, che lo guardava con
un’espressione
interrogativa-“ era così felice e spensierata, si
è divertita così tanto: credo
di non averla mai vista ridere così. Mi sembrava giusto
darle quello di cui
aveva bisogno, di farle provare l’ebrezza della
libertà, di farle gustare
appieno un briciolo di felicità dopo tutto il tempo passato
chiusa nel
castello. Cosa si aspettava, che dopo più di dieci anni di
isolamento e di
inattività, rimanesse ferma a guardarsi intorno?”-
abbassò la voce su quelle
ultime parole, rendendosi conto solo dopo che erano uscite dalla sua
bocca, che
non aveva il diritto di rivolgersi alla sua regina in quel modo.
Ma Elsa non
prestò attenzione tanto al tono sfacciato con cui le
parlò, quanto al
significato nascosto sotto quelle parole: “E da
quand’è che conosci Anna così
bene da arrogarti il diritto di scegliere cos’è
meglio per lei, sentiamo?”- lo
provocò, sicura di far cadere il suo muro di convinzioni con
quella domanda.
-“Non
vorrei
essere arrogante, ma forse la conosco meglio io, di Sua
Altezza.”- d’accordo,
aveva passato il punto di non ritorno, ora l’avrebbe di certo
fatto decapitare
e avrebbe esposto la sua testa su una picca, sulle mura del castello:
un
brivido freddo gli scese lungo la schiena al solo pensiero.
-“Io
sono
sua sorella.”- constatò, come se quel semplice
legame di sangue potesse farle
conoscere ogni aspetto di Anna -“Come puoi dire di conoscerla
meglio di me?”-
Il ghiaccio
aveva cominciato a ramificarsi sui piedi di Kristoff, su per le sue
gambe,
bloccandolo lì sul posto, senza speranza di fuga. Il panico
lo colse, ma solo
per un attimo, poi continuò la sua difesa.
-“Si
è mai
fermata ad ascoltarla, si è mai seduta con lei da parte e le
ha chiesto di
raccontarle tutto quello cui era dovuta andare incontro, durante tutti
gli anni
che avete passato divise? Beh, io l’ho fatto e lei mi ha
accordato così tanta
fiducia da aprirsi totalmente, da confessarmi i suoi segreti e tutte le
sue
paure più profonde.”- tutto il timore che gli
incuteva la regina era sparito,
lasciando al suo posto una sorta di sicurezza, che lo spingeva a
risponderle a
tono.
-“Se
la conosci
bene come dici, dovresti anche sapere che se siamo rimaste divise per
così
tanto tempo, è perché volevo proteggerla da me
stessa; ogni mia azione è in
funzione di Anna, ogni mio singolo gesto è dettato
dall’amore per lei. Non
voglio vederla soffrire ancora, non voglio vederla
piangere…voglio solo che sia
felice.”- soffiò fuori quell’ultima
parola, constatando che ancora una volta la
sorella era ancora molto lontana dalla felicità.
-“Oh,
ma me
l’ha detto e sa una cosa? Anna è convinta che lei
non le abbia voluto rivelare
il suo segreto perché non ha fiducia in lei. Sa cosa la
spaventa più di ogni
altra cosa al mondo? Il non essere alla sua altezza.”-
concluse, vedendo le
spalle della regina che si abbassavano sotto il peso di quella
rivelazione.
Elsa
soppesò
quelle parole: “Allora non ha capito nulla se pensa una tale
idiozia. Semmai
sono io a non essere degna di lei.”- si lamentò,
abbassando lo sguardo. Era
vero, lei non si sentiva degna del bene della sorella, né
della sua
incondizionata ed assoluta dedizione, e si chiedeva ancora come Anna
potesse
amarla dopo tutto quello che le aveva fatto.
-“E
poi non
credo che tenerla chiusa sotto una campana di vetro, possa renderla
felice.”-
constatò imperterrito Kristoff.
-“Ed
è per
questo che l’ho inviata a Corona insieme a te, e come vedi
tutti i miei timori
si sono avverati. Avrei dovuto tenerla qui con me.”- si
lamentò la regina.
-“Ma
anche
se fosse rimasta qui non avrebbe fatto differenza: Anna non
è fatta per stare
ferma in una sala ad ascoltare noiosi discorsi su alleanze e piani
economici;
non sarebbe riuscita a trattenerla chiusa nella sua camera o nella
biblioteca.
Lei preferisce correre e saltare, gioire esultante per ogni minima
cosa,
facendo poca attenzione al suo tono di voce o a dove mette i
piedi… Anna è una
furia scatenata.”-
-“Una
che?”-
chiese alzando un sopracciglio chiaro, colta alla sprovvista.
-“Furia
scatenata: è uno stupido soprannome che le ho dato io. A lei
piace.”- spiegò in
tono piatto, come se fosse normale che lui avesse appioppato un
nomignolo del
genere, ad una reale.
Elsa lo
fissò con gli occhi ridotti a due fessure, meditando su
tutto quel discorso
assurdo, arrivando ad una conclusione: “D’ora in
avanti per te sarà solo la
principessa Anna, nulla di più. Tu continuerai ad essere il
mastro consegnatore
del ghiaccio di Arendelle, ma per lei non sarai niente.”-
sapeva che quella
sarebbe stata la peggiori delle punizioni che avrebbe potuto
infliggergli,
glielo leggeva negli occhi.
Kristoff,
trattenne il fiato, incredulo: non poteva averlo fatto davvero:
“Sta
scherzando, non può dire sul serio.”
Elsa non gli
rispose continuando a fissarlo imperturbabile.
-“Non
può
farlo.”- gli disse a voce alta Kristoff, con il fiato corto.
-“Ed
invece
si.”- stava facendo valere il suo status di regina, cosa che
non aveva mai
fatto fino ad allora- “Io ti ho dato la mia benedizione e
posso anche
revocarla. Questa è la mia decisione.”- disse
ferma, convinta della sua scelta.
Sapeva che Kristoff teneva particolarmente alla sorella e quale castigo
migliore se non quello di allontanarlo da lei?
Lo vide
stringere i pugni, mentre il ghiaccio si ritirava dai suoi piedi,
incapace di
accettare quella decisone, che alle sue orecchie suonava più
come una condanna:
come poteva allontanarlo da Anna. Lei era diventata…tutto.
Il suo mondo ormai
girava attorno a lei.
Se qualcuno,
qualche mese addietro, gli avesse detto che si sarebbe legato
così tanto ad una
persona da sentirne la mancanza, gli avrebbe riso in faccia. Ed invece
era
proprio quella la sua situazione: lo stare lontano da Anna, anche solo
per
pochi giorni, lo faceva sentire stranamente incompleto. La sua
lontananza lo
pungolava come un dolore fisico. Non voleva nemmeno immaginarla la sua
vita
senza di lei!
-“Cosa
ne
penserà Anna?”- le chiese, sconvolto.
-“Non
preoccuparti, Anna non ne risentirà. In fondo, non si
ricorda di te.”- proferì
atona, ma qualcosa in quelle parole stonava; le lasciarono addosso una
strana
sensazione.
Kristoff
impallidì, rimanendo con la bocca semiaperta per la risposta
ricevuta: quella
donna era davvero di ghiaccio, dura e distaccata.
-“Ora
se non
ti dispiace, ho parecchio lavoro da fare, e anche i tuoi doveri di
mastro del
ghiaccio ti chiamano.”- gli disse ritornando a scrutare le
carte sulla
scrivania, mentre immergeva una piuma nel calamaio.
Il ragazzo
rimase fermo per pochi istanti, indeciso sul da farsi, poi acceso da
una
scintilla di rabbia mista a coraggio, decise di colpire il suo fianco
scoperto,
centrandola nel suo punto debole: “Come prevedevo, ha risolto
la situazione con
quello che le riesce meglio.”
Elsa
alzò lo
sguardo dal foglio che stava firmando: “Cosa
intendi?”- chiese alzando un
sopracciglio chiaro.
-“Sbattere
le porte in faccia.”- sputò fuori in tono aspro,
ripetendole le esatte parole
che gli aveva detto Anna, quando gli aveva parlato degli anni di
isolamento
della regina.
Elsa rimase
pietrificata per un breve lasso di tempo, mentre la mano che reggeva la
piuma
tremava, facendo colare l’inchiostro sul foglio che reggeva
con l’altra.
Kristoff la
osservò per un secondo: aveva gli occhi chiari spalancati
per la sorpresa e il
respiro irregolare, che le faceva tremare le spalle, incurvate sotto il
peso di
quell’accusa. Forse aveva sbagliato, aveva osato troppo,
rispondendole in tal
modo. Lei era pur sempre la regina!
-‘sei
doppiamente idiota!’- gli sussurrò una vocina.
-“Maestà
io,
non…”- cercò di scusarsi per il suo
comportamento.
-“Esci.”-
sussurrò a denti stretti.
Kristoff
tentennò per alcuni secondi, poi si avvicinò alla
porta e appoggiò la mano alla
maniglia. Il crepitare del ghiaccio che stava cominciando ad espandersi
sulle
pareti e la nuvoletta di condensa che gli sfuggì dalle
labbra, lo convinsero a
togliere presto il disturbo.
-“Va
via!”-
gli urlò dietro Elsa, mentre temporeggiava ancora sulla
soglia della porta.
Un forte
vento lo spinse fuori nel corridoio e richiuse la porta dello studio
della
regina dietro di lui.
‘Speriamo
solo che non abbia un’altra delle sue crisi agghiaccianti.
’ -pensò tra sé.
Sbuffò contrariato e si fece strada lungo i corridoi del
castello, giù per lo
scalone secondario, fino ad arrivare al cortile interno del palazzo,
dove
stavano le stalle. Sven aveva soggiornato lì per tutto il
tempo che era stato
lontano da Arendelle, rimpinzandosi di carote e zuccherini.
Quando lo
vide, la renna si agitò nel suo box, dimenando le corna per
la contentezza.
-“Ehi,
calmo. Mi sei mancato anche tu.”- gli disse mentre gli
accarezzava il muso.
Sven sporse
di più la testa, cercando qualcuno alle spalle del ragazzo.
-“No,
Anna
non verrà.”- Kristoff aveva capito al volo, chi
l’amico si aspettava di veder
spuntare da un momento all’altro.
-“Dov’è?”-
chiese per la renna.
-“La
regina
ha deciso che non devo più vederla. È…
una lunga storia.”-
-“E sei pronto a rinunciare a lei così
facilmente?”-
-“Cosa
dovrei fare? Lei è la regina.”- sbottò.
Sven
notò la sua faccia triste e attirò la sua
attenzione con un sonoro grugnito. Il ragazzo non aveva bisogno di
esternare in
parole quello che voleva dire il suo amico, la domanda la leggeva
chiara nei
suoi occhi grandi e scuri: cos’è successo?
-“Niente,
ma…ora dobbiamo andare.”- disse aprendo la porta
della stalla e facendolo
uscire nel cortile deserto. Non aveva voglia di parlarne ancora.
Sven si
guardava attorno, inquieto, mentre Kristoff gli infilava i finimenti e
lo
legava alla slitta: era successo assolutamente qualcosa di grave.
Quando
salì
sulla slitta, pronto ad andarsene, voltò per
l’ultima volta lo sguardo alle
finestre del terzo piano, dove sapeva esserci la stanza di Anna. Non
avrebbe
mai voluto che quel viaggio, che avrebbe dovuto segnare
l’inizio di qualcosa,
si concludesse con una prematura e tragica fine del loro rapporto.
Distolse
velocemente lo sguardo: “Pronto Sven?”- fece per
dargli l’ordine di partire, ma
si sentì spiato. Sentiva distintamente gli occhi di qualcuno
puntati su di lui.
Alzò lo sguardo e la vide, lì, dietro i vetri
della grande finestra, aggrappata
alle tende, come se volesse nascondersi. Gli occhi fissi sul cortile,
su di
lui, con un’espressione imperscrutabile sul viso pallido.
Non
riuscì a
sostenere la sua vista e distolse lo sguardo, ma quando osò
alzarlo di nuovo,
lei non c’era più, al suo posto solo
l’oscillare delle tende, che aveva tirato
dietro di sé.
Sentì
qualcosa rompersi nel profondo della sua anima e quando fece partire
Sven, la
sensazione di solitudine lo investì con tutta la sua
familiare presenza.
AngoloAutore:
salve! Non ho molto da dire su questo capitolo, anzi a dirla tutta non
ho nulla
da dire. Non perché lo reputi perfetto da non aver nulla da
ridire, ma per il
motivo contrario: mi fa SCHIFO! Il problema è che
l’ho riscritto tipo cinque
volte e a tutt’ora non mi soddisfa, inoltre ultimamente non
ho molte idee e
quelle poche che mi vengono fanno pena, quindi se avete idee vi incito
a
farmele conoscere, così da riabilitare un po’
questa storia :)
Quindi a voi
le belle cose, se riterrete opportuno lasciarmi un vostro commentino,
ne sarei
immensamente felice.
Vorrei
invitarvi a segnalarmi eventuali errori che potrebbero essermi sfuggiti.
Come sempre
ringrazio tutti quelli che hanno inserito la storia tra le
preferite/seguite/ricordate, siete tantissimi e spero di non avervi
deluso
ulteriormente con l’attesa e qst pseudo capitolo. Se continuo
a scrivere è
anche merito vostro e del vostro sostegno :) Grazie.
Ci si legge
in giro, baci ^.^