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Autore: TheUnknownDevice    19/06/2014    5 recensioni
1775, Contea di Boston. Isabel Williams è una ventenne piena di energie, solare, di una bellezza autentica.
Jack Anderson è un giovane al quale la vita non ha regalato nulla: la sua ricchezza non è ereditata, bensì guadagnata con anni e anni di duro lavoro e sacrifici. Ma questo Isabel non può saperlo. Non può sapere quale segreto nasconda l’avvenente Black Jack, dietro la sua maschera di perfidia e indifferenza. Ed entrambi non possono sapere, inoltre, che il loro matrimonio d’interesse li unirà molto più che sulla carta.
Perché il filo che li lega fin dall'infanzia è talmente sottile che basta poco perché si spezzi. Riuscirà Jack a riconquistare il cuore di Isabel?
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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Capitolo 11


Is the game worth the candle?

 
 
 

Quanta differenza potevano fare cinque settimane? Quanto profondamente potevano cambiare il pensiero di una persona a tal punto da ribaltarne le convinzioni?

Erano giorni che Isabel si trastullava in simili pensieri, senza mai venirne a capo. Troppo confusa e troppo angosciata per riuscire a riflettere lucidamente.

Dopo la spiacevole visita del signor Ferguson, Isabel aveva passato ogni suo singolo momento libero a rimuginare su quanta verità potessero contenere le parole che – un po’ per giustificarsi, un po’ per proteggersi – aveva rifilato al signore.

E, paradossalmente, si era resa conto con una punta di terrore che, pur non volendolo ammettere, l’assenza di
Jack la faceva stare ancor peggio di quanto già non stesse.

Non aveva fatto granché per meritare la sua attenzione, il caro signor Anderson, ma con la sua tempra decisa ed influente aveva scavato nel cuore di Isabel fino a trovare un posto in cui permanere.

E Isabel non riusciva a capacitarsene, non pienamente: era uno sporco ricattatore, un malfattore senza scrupoli, un uomo che era stato capace di strapparla alla sua famiglia per un insano capriccio. Com’era possibile che fosse in pena per lui? Dopo tutte le sue malefatte meritava di restarci secco, in quella battaglia.

Eppure le mancava. Le mancava la sua figura alta e prominente che andava a controllare ogni sera se fosse andata a dormire, pur non augurandole mai la buonanotte; le mancavano gli ordini che le impartiva, nemmeno fosse una serva al suo cospetto; ella si rifiutava di obbedirgli per pura ribellione, mentre Jack voleva solo ammonirla su ciò che era giusto o sbagliato. Tante piccolezze all’apparenza insignificanti, ma che facevano trasparire il lato quasi umano di Jack. 

Tutte quelle congetture l’avevano portata a tanto;  le avevano aperto la mente su quante facce potesse nascondere Jack Anderson e su quale fosse quella vera, soprattutto. Non che lei l’avesse compreso, tutt’altro: avrebbe dovuto scavare a fondo prima di scoprirlo.

Signor Jack Anderson, cosa mi avete fatto?

Non le aveva fatto proprio niente, lì era il problema. L’aveva trattata sempre con freddezza, non aveva mai provato ad instaurare con lei un rapporto quantomeno civile; figurarsi se avesse tentato di fare il buon marito!

Era lei che cercava di trovare il buono in ogni persona, persino in chi – come Jack – il buono non sapeva nemmeno dov’era di casa.

Si prefissò mentalmente di affrontare il suo buon marito a muso duro una volta ripresosi dalle fatiche della guerra, per rischiarare ogni dubbio che annebbiava la sua mente.

Prima che ciò accadesse, pensò Isabel, sarebbero passati millenni. Perciò decise di acquietare almeno qualche mera curiosità domandando a Maria circa ciò che sapeva riguardo il signor Anderson.

La trovò che sminuzzava una quantità sproporzionata di verdure, in cucina. Probabilmente quella patata era davvero molto difficile da tagliare, poiché Maria la stava infilzando esattamente come farebbe un assassino con la sua vittima. Lo sguardo della messicana era rovente, così come parevano le sue gote, eccessivamente arrossate.

Mentre accoltellava l’ennesima patata, Maria parlottava tra sé in una lingua non propriamente riconosciuta da Isabel. Doveva essere spagnolo.

«Increíble... todos los hombres son iguales

«Maria?», Isabel interruppe il flusso di parole che usciva dalla sua bocca. «State bene?»

«Oh, Miss Isabel!», disse Maria, totalmente sorpresa dalla sua presenza, «Certo che sto bene! Mai stata meglio.»
Il tono velatamente sarcastico della mora mise in guardia Isabel. Forse non era in vena di chiacchiere.

Ma io voglio sapere!

«Siete sicura? Dalla vostra faccia non si direbbe.»

«È solo un po’ di stanchezza, signorina. Mi serve solo una dormita, siate tranquilla.» Maria le sorrise, «C’è qualcosa che posso fare per voi, invece?»

«Niente che vi possa affaticare, credo. Volevo solo fare due chiacchiere.»

«Oh. Sono indaffarata con queste verdure, ma...»

«Vi do una mano!»

«Oh, non siate sciocca, Miss! Potreste procurarvi un taglio e... no, è pericoloso per chi non sa maneggiare certi strumenti.»

«E chi vi dice che io non sappia usare un coltello? Non sono affatto cresciuta in una campana di vetro, perdinci! Saprò pur tagliare una misera zucchina!», rise Isabel.

Maria la imitò. «Come volete, Miss. Io v’ho avvisata!»

«Una cortesia, Maria... vorrei che d’ora in avanti mi chiamaste Isabel. O, se proprio volete, signora Anderson.» Lo aveva detto davvero?

«Dite sul serio? Insomma, pensavo che non vi facesse piacere esser chiamata in tal modo, poiché voi...»

«So bene di essermi sempre opposta a questo... contratto matrimoniale... ma credo che, per rispettare il suddetto, io debba, come dire... calarmi nella parte. Almeno per questi mesi a venire. Quando tutto ciò sarà finito potrò dire di essere una donna libera. Fino ad allora, il contratto sentenzia che io sono sposata al signor Anderson, e tale devo apparire. Non lo trovate corretto nei suoi confronti?»

«Oh, ehm... certo, certo. Più che giusto.» Maria era a corto di fiato e di parole. Inoltre non pareva tanto convinta di ciò che affermava.

«Bene. Ma sento che c’è qualcosa che vi turba. Ve ne prego... vi siete rifiutata più volte di confidarmi con me, ma sappiate che ho due orecchi anch’io e sono totalmente disponibili a sentire le vostre parole. Sempre.»

Le due giovani si fermarono in contemporanea, pur impugnando ancora ognuna il proprio coltello. Alzarono entrambe lo sguardo, scrutandosi per un lungo istante. Maria fu la prima a cedere, quando sentì gli occhi inumidirsi. Non poté trattenersi oltre; si coprì il volto con entrambe le mani e scoppiò in lacrime davanti ad una Isabel a dir poco attonita.

Presa alla sprovvista, la rossa le andò incontro abbracciandola per le spalle, mentre Maria abbandonava il capo contro il petto di Isabel, che era leggermente più alta di lei.

«Maria...»

Isabel era sconvolta; non sapeva che dire né che fare. Quel pianto poteva avere mille significati ed Isabel non ne conosceva nemmeno uno. Poteva esser stato causato dalla sua famiglia, dai suoi colleghi, dal padrone... come poteva solo essere un pianto liberatorio, provocato da un miscuglio di tutte le cause possibili.  E quello era il peggior pianto che potesse esistere.

«Maria, ditemi... che vi succede?»

La ragazza s’asciugò in fretta le lacrime, come se provasse vergogna a mostrarle. «Succede che gli uomini sono tutti uguali, Isabel... tutti, nessuno escluso!» Il tono rabbioso era ancora insito di singhiozzi, ma il risentimento di Maria poteva benissimo trasparire.

«Vi riferite ad uno in particolare, immagino...»

«Certo che sì... non posso mettermi a frignare come una creatura per tutti gli uomini di questo mondo... sarebbe un tortura, non trovate?» Maria cercava di ritrovare la sua aurea spiritosa, ma Isabel notava chiaramente che le costava uno sforzo immane.

«Maria, non v’è bisogno di fingere. Raccontatemi di questo gran galantuomo che vi ha spezzato il cuore.» Il tono dolce di Isabel fece quantomeno arrendere la messicana.

«Non crederete ai vostri orecchi, signora... non ve l’immaginate proprio!» Maria si era di nuovo infervorata.

«Dunque? Chi è costui?»

«Charles Cameron», sussurrò afflitta Maria, sospirando.

«Che? Come è possibile?»

«Ve l’avevo detto che non m’avreste creduto.»

«Ma, ma... io vi credo, solamente... Charles? Il giovane più onesto e perbene che esista su questo pianeta?»

«Non si direbbe.»

«Io non capisco, Maria.» Isabel era praticamente un ammasso di dubbi dalla forma umana.

«Non c’è nulla da capire... me ne sono innamorata, durante questi anni all’Illunis. Proprio qualche sera fa ci siamo scambiati una promessa... mi aveva fatto capire che anche lui, ecco...» Maria non sapeva districarsi bene con le parole, era un dato di fatto.

«Ho capito, andate avanti», la rassicurò Isabel.

«Bè, ecco... era ubriaco e il mattino dopo non rimembrava niente di tutto ciò che c’eravamo detti.»

«E voi? Non gliel’avete ricordato?»

«Non ne ho avuto le forze, Isabel. Non sapevo cosa avrebbe potuto dire, come avrebbe reagito... e un rifiuto da parte sua mi annienterebbe del tutto. Preferisco vivere col pensiero voltato a quella notte, l’unica in cui ci siamo appartenuti veramente. È tutto ciò che mi sta facendo andare avanti ormai, quella promessa è la mia ancora.»

«Ma, ma... non potete vivere per sempre attaccata a quella promessa... dovete parlargli, chiarire...»

«Giammai! Col carattere che si ritrova, finirà per negare tutto ed io, lo ripeto, non ne uscirei viva», asserì Maria, «e poi... il gioco non vale la candela, a questo segno.»

«Ascoltate, Maria... capisco la vostra paura, ma... non potete tenervi a quest’ancora per sempre. Lo comprendete anche voi perché?»

«Non mi interessa... io ce l’ho sempre fatta e ce la farò anche questa volta. Non sarà un uomo come lui ad impedirmi di vivere.»

«Affatto! Ma proprio perché è lui, Maria... l’uomo che amate da così tanto tempo... non trovate che l’amore possa cambiare le carte in tavola, una volta tanto?»

«Vi confesso una cosa che non ho mai rivelato a nessuno», sibilò a denti stretti Maria, deglutendo più e più volte,
«Ho sempre creduto nell’amore, poiché i miei genitori si sono amati con la forza di cento terremoti. Eppure... guardate un po’», singhiozzò nuovamente, allargando le braccia in segno di rassegnazione, «ciò non è bastato per far rimanere con noi mia madre. Non sarebbe bastato tutto l’amore del mondo per farla rimanere in vita!» Maria avrebbe voluto urlare, ma la voce calava per via del pianto e le impediva persino di respirare a pieni polmoni.
Isabel pareva paralizzata. Una lacrima silenziosa le trapassò la guancia, mentre si scagliava contro Maria e la stringeva a sé.

«Mi dispiace così tanto, Maria... così tanto...» Ora anche Isabel aveva preso a singhiozzare.

«Anche a me, signora, anche a me. Immaginate come io possa sentirmi... Charles è stato la mia unica nuova speranza, ma nemmeno lui è rimasto. Pur inconsciamente, ha solo riaffermato la mia tesi: l’amore non è abbastanza.»

«Sì, Maria. Lo è!», esclamò Isabel, convinta.

«No, Isabel... ho smesso di illudermi ormai. Rimanere attaccata ad una mera promessa mi basta. Ma fantasticare ancora... quello non posso farlo più.»

«Io vi comprendo, Maria... ma ricordate: l’ancora alla quale siete aggrappata prima o poi vi farà affondare giù insieme a lei. Lasciatevi salvare da qualcuno, piuttosto che da qualcosa.»

«Non credo che ci sia qualcuno in grado di farlo, ma grazie comunque del conforto, Isabel... era tanto che non riversavo tutto il mio dolore su qualcuno. Mi scuso se ho scelto voi come vittima...» Maria rise amaramente.

«Sono contenta di esserlo stata.»

Maria sorrise più apertamente, già più sollevata. «E voi? Di cosa volevate parlarmi?»

«Oh, nulla... volevo solo, ehm... farvi alcune domande sul signor Anderson...»

«Oh!» Maria si portò una mano alla bocca.

«Non fate così! Era solo pura curiosità...»

«Ascoltate, io non so granché sul mio padrone, ma una cosa è palesemente certa: tiene a voi come non ha mai tenuto a nessun altro. E questa è una gran cosa. Perciò fate in modo che si apra, almeno con voi... sono sicura che quell’uomo nasconde un cuore d’oro all’interno di quel corpo sempre ombroso!»

«Io non ci scommetterei...»

«Io sì, invece! È tutta apparenza, fidatevi.»

«Se lo dite voi...»

«Orsù, non fate quella faccia!», esclamò quindi Maria, carezzandole energicamente un braccio, «Il padrone è un grand’uomo.»

La giovane sembrava così sicura di ciò che proclamava, eppure ammetteva di non sapere quasi nulla sul conto di Jack. Come faceva, dunque, a dirsi così indubbia, se non aveva la benché minima prova?

«E smettetela di torturare quella misera cipolla! Date a me, ci penso io. Voi andate a fare una passeggiata, mentre io preparo la cena.»

«Ma era così divertente...», scherzò Isabel, abbandonando subito l’ortaggio che la stava facendo già lacrimare.
 
 
 
 



Nel frattempo, mentre Maria era impegnata nell’allestimento della cena – alla quale avrebbe presenziato anche il marchese – Isabel si concesse una cavalcata per godersi il tramonto leggermente nuvoloso e spegnere il cervello per un po’.

Prima che qualcuno potesse dire di averla notata, Isabel era già in groppa di quello che ormai era il suo più caro e fedele animale, il cavallo dal pelo color caramello e la criniera scura. Caramel l’aveva chiamato, proprio per la spettacolare sfumatura del suo vello.

E ogni qual volta i suoi piedi si saldavano alla sella e le sue mani s’ancoravano alle briglie, niente e nessuno avrebbe potuto obiettare sul fatto che lei stesse volando. Era una libellula, una farfalla o semplicemente era così leggera da poter volteggiare in aria senza nemmeno aver bisogno di un paio d’ali.

«Vai, piccola Caramel, vai! Portami in alto, voglio vedere quanto sono soffici le nuvole stasera.»

Si sentiva libera, Isabel, libera come non lo era da tanto, ormai. Segregata in una villa dalle mille stanze vuote, la quale vuoto aveva fatto diventare pure il suo cuore, non sapeva più chi essere né che piega avrebbe preso la sua vita. Se fosse rimasta a casa, avrebbe continuato i suoi studi scientifici col signor Bennett, finendo per sposare un galantuomo e vivere in una villetta con tanti bambini. Un sogno giovanile che s’avvera, in pratica. Però, c’era un però... da quando aveva intrapreso quella nuova vita, lì all’Illunis, aveva pensato a quanto sarebbe stato bello poter diventare qualcuno d’importante in futuro. Non una semplice signora, un moglie o una serva, ma qualcuno. Dopo aver conosciuto Maria, i due gemelli e il signor Kramer, tutte persone che giudicava di un certo spessore morale, aveva capito di non volersi accontentare della solita vita. Pensava che attendere il proprio marito a casa, dopo aver preparato un buon pranzo ed aver cucito una nuova federa per il cuscino, fosse ciò che desiderava di più. Ma si era trovata in pieno disaccordo con le sue stesse idee quando persino il perverso signor Ferguson l’aveva incoraggiata nelle sue ricerche e nei suoi studi. Non esistevano molti uomini che apprezzassero le donne al di fuori dei doveri coniugali, ma aveva ammirato il signor Ferguson proprio perché le era apparso come un uomo di larghe vedute... fino a scoprire che le sue vedute erano fin troppo larghe.

E tutte le sue ricerche? I suoi studi? Il matrimonio – quello vero – l’avrebbe sicuramente tenuta lontano da ciò che non concerneva casa, famiglia e ancora casa.

Ciò per lei era qualcosa di altamente inconcepibile.

Già il fatto che il signor Anderson le avesse permesso di continuare i suoi studi – seppur con nessun insegnante al suo seguito – era riguardevole.

Altro punto a favore di Jack che lei non aveva pienamente considerato.

Il suo cuore ebbe un sussulto, un po’ perché il pensiero di Jack era sempre una mazzata in pieno viso, un po’ perché grosse gocce d’acqua la stavano colpendo senza pietà.

Il tramonto leggermente nuvoloso s’era tramutato in una sera di fine primavera oltremodo buia e tempestosa, se non per qualche raggio di sole che ancora non era scomparso sotto le nubi e al di là dell’orizzonte.

Isabel pensò bene di fare dietrofront, sperando di non inzupparsi totalmente durante il tragitto.

Speranza vana, poiché già nei pressi dell’Illunis era fradicia dalla testa ai piedi e Caramel stentava anche a camminare, per via del terreno pesante e melmoso.

«Forza Caramel... siamo quasi arrivati. Fa’ un ultimo sforzo, o moriremo assiderati di questo passo...»

Niente da fare, l’incoraggiamento della fanciulla non valse a nulla. Il cavallo avanzava come se stesse andando al macello.

«Cocciuto d’un cavallo! Avrei dovuto portare con me Isolde, sicuramente lei non avrebbe fatto cilecca in una simile situazione!», gli sussurrò stizzita.

È proprio vero: gli uomini sono tutti uguali, non v’è distinzione nemmeno fra animali o persone.

Decise dunque di scendere da cavallo e proseguire a piedi, sperando di non dover trascinare letteralmente l’animale.

Dopo pochi minuti – che a Isabel parvero secoli – si ritrovò alle porte dell’Illunis cosparsa di fango e praticamente affondata nelle sue stesse scarpe – o almeno in quello che ne era rimasto.

Munita di determinazione, mentre ancora il vento le sferzava le gote e l’oscurità prorompente della sera le impediva la vista, avanzò alla meglio aggrappandosi di tanto in tanto a Caramel.

D’un tratto udì uno scalpiccio, un procedere indeciso di passi quasi sicuramente umani.

La paura prese il sopravvento in lei, che non poté non gettare un urletto di terrore. Anche il cavallo – codardo qual era – nitrì di soprassalto, facendola rovinare a terra.

Isabel levò in alto lo sguardo, distinguendo a malapena una figura umana avanzare dalle sue parti. Non pareva averla vista, tuttavia. Aveva un portamento lento, stanco, pareva quasi un morto vivente dal movimento rigido degli arti.

La ragazza tremò. «Calma, Isabel», si ripeté più volte, per auto convincersi.

Era nel panico più totale. La spiegazione plausibile per giustificare la presenza di quel losco individuo lì era solo una: probabilmente si trattava di un malvivente così esperto da potersi permettere d’agire da solo, il quale era giunto lì con l’unico scopo di depredare la villa e uccidere ogni suo residente.

Il suo pensiero non faceva una piega. Perciò ebbe un altro brivido di orrore.

Per un momento, Isabel aveva pensato addirittura che potesse trattarsi del signor Ferguson, il quale aveva affrontato la tempesta pur di tener fede alla promessa fattale.

A quel segno, avrebbe preferito il delinquente professionista al malefico James Ferguson.

Non esitò ad indietreggiare, nascondendosi dietro al cavallo che ovviamente aveva deciso di non collaborare, battendo nel terreno viscido le zampe pelose.

Il nitrito nervoso di Caramel si fece più insistente, finché anche l’individuo errante non si voltò nella loro direzione.

Ed Isabel concluse che era ormai spacciata.

«Oh no!», sibilò. La prima cosa che le passò di mente fu quella di darsela a gambe, sperando con tutto il suo essere di macinare in fretta quei pochi metri che la separavano dall’ingresso della villa. Prese allora a correre, incespicando più volte nella veste lunga ed ingombrante.

Mai speranza fu più vana, poiché, quando ormai poteva dire di avercela fatta, due mani possenti la agguantarono, facendola ruotare su se stessa.

«Gran delinquente! Ora anche le donne si mettono a far rapine nelle case altrui!», esclamò furioso l’individuo che ancora le teneva le braccia.

Quella voce.

Non l’avrebbe mai detto, Isabel, ma aveva imparato a riconoscerla. A memorizzarla. A portarla dentro di sé.
 
 
 
 
 
 



Nel buio pesto di quella notte primaverile e tempestosa, Jack Anderson non poté avere accoglienza migliore.

Aveva avuto la testa dura – testuali parole di Oliver LeBrun – di partire alla volta della sua cara dimora solo per riavere con sé la fanciulla dai capelli rossi.

Era stata una partenza in gran segreto, poiché la guerra per l’indipendenza non era ancora terminata; era stato costretto dunque a partire di sana pianta, a piedi, per non destare sospetti. Non s’era servito nemmeno di un cavallo, un mulo, un asino per il viaggio, nel caso qualcuno dei suoi compagni desse l’allarme di un’infiltrazione con furto.

Tutto quello solo e soltanto per vedere la sua adorata Isabel. Ma egli sapeva bene che il gioco valeva la candela.

Per lei, ne sarebbe sempre valsa la pena.

Ma ogni elemento della natura era contro il suo favore: prima una piena del Mystic River aveva attentato alla sua vita, quando impavido aveva cercato d’attraversarlo a nuoto; poi una serpe selvatica gli si era accanita contro, marchiandolo come, qualche mese addietro, aveva fatto una sua ‘parente’ con Isabel. Infine, non aveva potuto avere un’entrata trionfale nemmeno nella sua stessa casa, poiché difficilmente qualcuno l’avrebbe riconosciuto, infangato e malridotto com’era.

A dargli un caloroso benvenuto, solo la pioggia battente che gli allagava i pensieri e la vista, impedendogli il cammino.

Se non fosse stato per quel nitrito sommesso, non si sarebbe accorto neppure della malvivente che stava ispezionando l’Illunis. A quell’ora della sera, altro non poteva volere che una cosa: rapinare la villa.

Altroché! Se fosse stato un uomo non avrebbe esitato ad assestargli un pugno in pieno viso, sempre se gli arti l’avessero accompagnato. Ma, in quel caso, si trattava d’un donna e non avrebbe mosso un dito su di lei.

Ma in qualche modo l’avrebbe pagata.

Poche forze bastarono infatti per farla voltare. E Jack si scoprì ben presto pazzo, poiché i tratti somatici della canaglia era spaventosamente simili a quelli della sua Isabel.

Sto perdendo il senno per causa sua!

Isabel era dappertutto, persino nei posti più improbabili. Assurdo!

«Gran delinquente! Ora anche le donne si mettono a far rapine nelle case altrui!» Jack non tollerava oltraggi simili alla propria dimora. Meno male che l’aveva fermata in tempo!

A quelle parole, la donna non si mosse. Anzi, per un momento parve sollevata, come dimostrava il respiro non più affannoso.

Un solo nome, pronunciato da una sola voce. «Jack!»

Pochi secondi e tutto fu più chiaro: nemmeno la pioggia che continuava a scorrere sui loro corpi gli poté impedire di distinguere quell’intenso odore di vaniglia.

Era il suo odore. Lui lo sapeva.

Rimase per un attimo immobile, come pietrificato dall’abbraccio stritolatore che la ragazza gli stava donando, dopo essersi avventata su di lui come un fulmine.

Il cuore del giovane perse uno, due, tre, mille battiti quando la stessa voce lo apostrofò ancora: «Oh Jack, Jack... siete tornato...»

Il tono tormentato della ragazza lo convinse a stringersi a lei, ancorandosi a quel corpicino fradicio più del suo. Quanto le era mancata!

«Sì...», fu l’unica cosa che riuscì ad elaborare Jack in risposta, troppo sconvolto da quel profumo idilliaco e da quel corpo ammaliante.

Isabel alzò lo sguardo, puntando gli occhi nei suoi. Pur battendoli alla velocità della luce per via della pioggia, i due giovani si ritrovarono, l’uno nelle iridi dell’altra.

«Pensavo d’essere spacciata! Sembravate un bandito, accidenti!», sorrise timidamente Isabel.

«Anche voi, confesso.»

«Ah, ho notato.» Si erano ormai staccati del tutto, ma le loro mani erano saldamente intrecciate.

Desideroso di quel contatto nemmeno fosse il nettare degli dèi, Jack la tirò a sé nuovamente, depositandole un piccolo bacio nei capelli.

«Mi siete mancata», asserì all’improvviso il signor Anderson, dopo attimi infiniti. Non avrebbe potuto desiderare un'accoglienza più calorosa, a quel punto.

Isabel lo scrutò, aprendo bocca per rispondere.

«Chi v’è là? Alzate le braccia, sono armato!»



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[Is the game worth the candle? significa Il gioco vale la candela?]

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Unknown Voice:
Oramai, ahimè, c'avrete fatto il callo. Però, ehi, eccomi qui. Sono risorta!
Scherzi a parte, mi scuso umilmente dei due mesi di ritardo. Non so che giustifica usare questa volta, poiché il motivo è sempre quello. Ma va bè, questa storia vedrà la fine, prima o poi. Si spera!
Capitolo intenso, tuttavia, che mi ha portato via un bel po' di tempo e di concentrazione... ma devo dire d'essermi emozionata alla fine :'(
Grazie a coloro che hanno inserito questa storia alle seguite, ricordate e preferite. Un ringraziamento speciale a chi ha recensito e a chi lo farà :)
Aspetto commenti ;)
Adios,
Martina.


PS: per chi volesse dare un'occhiata all'altra mia storia -->
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