22 – Cadono le maschere
Per i primi infiniti secondi, Oscar ci guardò stralunata
come se non ci riconoscesse: eravamo
due estranei davanti a lei, di cui pareva non capacitarsi.
In un silenzio denso e saturo di parole interrotte che stava
diventando insostenibile, puntava i suoi occhi spalancati su di noi, indecisa
se credere o meno alla situazione ambigua che si presentava al suo sguardo.
Io, carne della sua carne, sangue del suo sangue, specchio
della sua anima di cui si era sempre fidata, le rivelavo così il mio amore
impossibile per André, compagno di un’esistenza intera, amico e fratello,
amante che ora scaldava le sue notti, e forse chissà, il suo cuore di donna
soffocato dal dovere, dall’educazione e dall’onore.
Ci tenevamo ancora per mano davanti a lei…
Ma sarebbe più giusto dire che ero io che trattenevo con
coraggio la mano dell’attendente; lui era semplicemente arreso, impreparato,
visibilmente imbarazzato di fronte al mio gesto inaspettato e spiazzante.
“Danielle, cosa stai facendo?”
Mi domandò incredulo con un tremolio incerto nella voce.
Sollevai lo sguardo e nelle sue iridi verdi e ombrose
percepii sgomento sincero, un dubbio e forse una scintilla di paura, e quasi
subito sentii André forzare gentilmente la mia stretta per liberarsi e
sottrarsi alla presa delicata delle mie dita.
Bastò quel gesto penoso a far precipitare tutto.
Il mio coraggio e la mia tenacia.
E ritornò a galla lo spirito guerresco di mia sorella.
La sua incertezza non durò che qualche frazione di secondo,
il tempo di riprendersi e reagire alla scoperta clamorosa. Si mosse fulminea.
Sentii le schegge di vetro scricchiolare sinistre sotto le
suole dei suoi stivali, poi la sua mano artigliò il mio polso con una forza
eccessiva; la sentivo stringere e avevo l’impressione che il sangue nelle vene
smettesse di scorrere.
Con malagrazia, quasi strattonandomi mi trascinò con sé,
obbligandomi a uscire dalla stanza. Sentivo i suoi passi rimbombare sul
pavimento di marmo con un eco sordo e cupo. Immaginavo che il suono del suo
cuore fosse uguale.
André tentò di intervenire.
“Oscar, calmati. Che vuoi fare?” Lei si girò appena a
guardarlo.
“Tu resta qui, André. Non
metterti in mezzo!”
Ordinò con rabbia trattenuta a stento. Ma lui non le diede
retta e ci seguì, temendo il peggio, e anch’io iniziai a temere qualche
reazione sconsiderata.
“Oscar, lasciami. Mi stai facendo male!” Protestai
inutilmente.
Tentai di liberarmi senza risultati; la sua stretta era
davvero troppo forte, per le mie deboli dita.
A grandi falcate, attraverso il corridoio del palazzo,
Oscar mi obbligò a seguirla. Nel tragitto urtammo un tavolino che sosteneva un
vaso di preziosa maiolica decorata a mano, che oscillò pericolosamente sul suo
asse prima di finire in frantumi sul pavimento; il trambusto attirò una delle
sguattere della cucina che intimorita, si appiattì contro la parete e quasi
inciampò nell’angolo di un tappeto.
“Signora contessa!” mi chiamò la ragazza con apprensione.
“Non preoccuparti. È tutto a posto.” Le dissi poco
convinta, mentre Oscar continuava a trascinarmi, e io non tentavo più di
opporre resistenza.
André continuava a seguirci. Raggiungemmo una piccola
saletta, anticamera di una stanza più grande e Oscar con la mano libera spalancò
la porta e mi spinse dentro in modo brusco.
Finalmente allentò la presa sul mio polso, ma lo strattone
che mi diede fu così forte che mi fece perdere l’equilibrio e mi ritrovai a
terra sul pavimento, parando la caduta col palmo della mani.
Oscar non si curò del mio poco dignitoso capitombolo.
Chiuse l’uscio a doppia mandata, lasciando fuori André.
Sentivo la sua voce accompagnare dei colpi leggeri sulla
porta.
“Oscar, ti prego, non fare pazzie. Apri la porta, per
favore!”
Lei lo ignorò completamente.
A quel punto, si girò nella mia direzione.
Con vero terrore, sentii il sibilo dell’acciaio che veniva
estratto dal fodero; impacciata a causa delle mie vesti di seta attorcigliate
alle gambe, strisciai dolorante sul pavimento quasi con disperazione, e mezzo
secondo più tardi, la punta affilata della sua spada minacciava la mia gola.
Anche André avvertì il sinistro suono metallico perché si mise a colpire la
porta con maggior insistenza mentre continuava a chiamare il suo nome.
Lei pareva non sentirlo.
Non osai muovermi, né parlare. Paralizzai il respiro
dietro le labbra.
Incrociammo soltanto i nostri sguardi. Nel mio doveva
esserci la paura più ceca che dilatava le mie pupille vitree, ma in quello di
Oscar fui sicura di leggervi un odio furibondo, mai conosciuto prima, che
tingeva di oscurità i suoi occhi. La sua furia era controllata e per questo
ancor più spaventosa.
Gli occhi cerulei e severi di mia sorella mandavano
scintille, ma erano più freddi e duri della lama che mi stava puntando addosso.
La sua mano era salda e ferma sull’elsa.
Nessun tremito tradiva una qualche emozione o incertezza.
Ne fui spaventosamente atterrita e per un tempo che mi
parve interminabile, fra noi non ci fu altro che un silenzio cupo, opprimente,
e nemico.
Alla luce delle candele, la spada baluginava di riflessi
argentei e crudeli. Ne ero ipnotizzata.
Per un oscuro istante, mi attraversò il pensiero perverso
e terrificante che avrei sentito il freddo del ferro affondare senza pietà
nella carne bianca e tenera del mio seno.
*******
“Questa poi! Non posso credere che l’abbiate fatto sul
serio; siete impazzita, per caso?”
Leopold era esterrefatto. Le mani incrociate dietro la
schiena si era voltato verso la sua interlocutrice, distraendosi dalla visione
del roseto che gli restituiva il riquadro della finestra. Lisette era a poca
distanza dietro di lui, tranquilla e composta, con l’aria di chi avesse detto e
fatto la cosa più naturale del mondo.
“Perché lo trovate così strano? Non è forse ciò che
volevate?” domandò con apparente ingenuità.
“Sì, certo! Ma non immaginavo la cosa in questi termini.
Se avessi sospettato cosa meditavate di fare, vi avrei fermata in tempo. Perché
avete agito senza consultarmi, su una questione che mi riguarda molto più di
quanto riguardi voi?”
“Non siate cinico. Riguarda moltissimo anche me… - disse,
un poco contrariata. - Voi non avreste mai preso una simile iniziativa. O
meglio: l’avreste presa per ottenere l’esatto contrario di ciò che vogliamo.”
Rispose risoluta la donna, che sapeva di avere a che fare
con un uomo vecchio stampo, restio a mutare convenzioni e tradizionalismi.
“Vi chiedo scusa, non lo penso davvero. È pur sempre la
madre dei miei figli ed è una Jaryajes, un nome ingombrante; Danielle ha
appoggi e amici potenti. Un’ azione azzardata, e con una parola potrebbe
rovinarci, madame.”
“Non succederà. Fidatevi del mio giudizio. Basta non darle
un motivo.”
“Mi sembra che abbia tutti i motivi che le servono.
Dovremmo essere in vantaggio, per avere una speranza di successo. Se non la mettiamo
con le spalle al muro, non riusciremo a…”
“Ma non possiamo fare nulla di simile, Leopold; ai suoi
occhi voi siete un traditore e io una sgualdrina. Fondamentalmente vostra
moglie ci disprezza e voi non potete dimostrare la sua infedeltà, mentre lei può
dimostrare la vostra. Dobbiamo usare l’ arte del compromesso, sfruttando le
debolezze del nemico – l’unica carta che possiamo giocare - ed è quello che ho
fatto io con vostra moglie.”
“Le sue debolezze? Quali, se dite che non posso dimostrare
che mi è stata infedele?”
“Una debolezza in comune con Madamigella Oscar…” sussurrò
Lisette quasi tra sè, ma Leopold parve non sentirla, troppo preso dalle proprie
esternazioni.
“Oltretutto, credete che Danielle potrebbe accogliere la
soluzione che le proponete? Un divorzio in cambio del nome dei Recamier per
Margot… mi pare una tale assurdità… perché mai dovrebbe accettare?”
Esclamò il conte allontanandosi dalla finestra, per andare
a sedersi sulla poltrona accanto al camino, e lì accendersi la pipa in radica
di noce.
“Ho buone speranze; non dovete mettere ostacoli alla
provvidenza… e ai desideri più reconditi di una donna, soprattutto se è vostra
moglie.” Rispose enigmatica, abbassando lo sguardo sul ricamo del fazzoletto di
batista che teneva in mano.
“A volte madame, ho l’impressione che ci siano cose che
voi non mi dite… – constatò, mentre con solerzia pigiava il tabacco dentro la
cavità della pipa. - Ma che dicevate prima, a proposito di Oscar? Già una volta
mi avete parlato di una strana complicità tra Oscar e mia moglie; che volevate
dire? Cosa c’entra la mia stramba cognata con tutta questa vicenda?”
Lisette si guardò attorno con fare distratto, quasi
annoiato, ma tormentava tra le dita il fazzoletto di batista. La conversazione
con Leopold stava scivolando su una china pericolosa, che era decisa a evitare.
Era meglio omettere certe verità troppo scomode e scandalose, come quella di
una rivalità tra due nobildonne innamorate di un servo, e danneggiare Danielle
agli occhi del marito non sarebbe stato proficuo. Il conte poteva tollerare un
confronto con un suo pari, non con un inferiore sulla scala sociale. Ma era
conscia di dover lasciare una traccia che fosse per Leopold convincente, ma non
troppo pericolosa.
“In verità, ecco… sapete, io ho pensato che Oscar e vostra
moglie Danielle potrebbero essere coinvolte in un insospettabile triangolo,
direi più platonico che altro… oh, badate, è solo un sospetto. Un’ impressione…
probabilmente erronea…”
“Un triangolo che coinvolge Oscar? Abbastanza ridicolo, in
effetti. - Fu il primo commento di Leopold. - Però, potrebbe essere… Ecco, lo
sapevo che c’entrava quel maledetto donnaiolo damerino di Fersen!! Avevo
ragione io, allora! Il colonnello di ferro e lo straniero svedese… Divertente!
Beh, capisco perché possa essere fuggito in America come dicono…” Ironizzò il
conte, senza sapere quanto la sua esternazione fosse stata ampiamente prevista
dalla sua compagna.
“Vi ho già detto che non si tratta di Fersen… senz’altro
qualcun altro, ma non saprei immaginare chi… - Lisette fece un gesto con la
mano come per scacciare un pensiero sciocco e molesto. – Comunque, nulla che
possa essere determinante per noi. Oh insomma, ve lo ripeto Leopold; quando ve
lo chiederà – e io sono sicura che lo farà - concedete a vostra moglie la
separazione con tutti i vantaggi, lasciatele beni e privilegi. Anche la
custodia dei figli col vostro nome.”
“Come anche i figli! Volete che rinunci alla mia
progenie?” esclamò costernato e scettico.
“Non ostacolatela in nulla, vi dico. Lo scandalo per un divorzio
siffatto sarà minimo, poiché nessuno conoscerà i retroscena della vicenda,
finché manterrete il segreto. E alla vostra progenie, come eredi diretti
potrete sempre garantire una rendita vitalizia, e questo starà bene anche a
vostra moglie.”
Lisette si era seduta di fronte a lui e osservava le
leggere volute di fumo uscire dalla pipa e salire in spirali sinuose verso il
soffitto della camera. Avvertiva l’odore forte e robusto del tabacco che
bruciava, per lei un po’ fastidioso da sopportare.
C’era un leggero silenzio e Leopold pareva più tranquillo,
ma non aveva perso lo scetticismo che gli animava lo sguardo. Avrebbe obiettato
di nuovo.
“Temo che resterete delusa, madame. Danielle, non farà mai
quello che voi dite: non è una sciocca, essere la moglie di un uomo nella mia
posizione le reca troppi vantaggi, che valgono bene qualche mia infedeltà
coniugale. Le è sempre convenuto essere tollerante.”
Lisette accennò un lieve sorriso tranquillo.
“Le cose sono cambiate Leopold, solo che voi non ve ne
rendete conto. Volete scommettere che non le andrà più di essere tanto
permissiva?”
Divertito, il conte accettò la scommessa.
*******
Oscar continuava a fissarmi. La spada tagliente puntata
alla mia gola non era minacciosa quanto la luce oscura che trasfigurava il suo
sguardo. L’espressione del suo viso era una maschera immota e indecifrabile, ma
sospettavo che quella freddezza ostentata le sarebbe scivolata via, sull’onda
travolgente delle prime parole che fossero intercorse fra noi.
Non potevo smettere di tremare di fronte a lei.
Avevo paura, e non soltanto per la minaccia reale che lei
potesse farmi del male.
Temevo di sentire parole trasformarsi in macigni, pietre
acuminate che ci saremmo lanciate addosso. Eppure non potevo continuare a
restare in silenzio.
Le avevo lanciato il guanto di sfida, e lei lo aveva
raccolto.
Era tardi per tirarsi indietro.
“Hai deciso di uccidermi, Oscar? Oh, forse è solo una
minaccia… ma lo stato delle cose non cambia.”
“Voglio il nome Danielle. Voglio sentirlo da te…” sibilò
sottovoce.
“Perché stiamo qui a fingere? Lo hai già capito… hai
sempre avuto il sospetto.”
“Dillo.” Proferì gelida.
Il mio petto si gonfiava sotto l’onda del mio respiro
stremato e ansante.
“D’accordo Oscar, io sono pronta a dire quello che tu non
potrai accettare. Ne subirò le conseguenze, anche quelle più terribili. Ma tu?
– domandai fissandola, mentre il balugino sinistro della lama scivolava sul
metallo. - Tu riusciresti a vivere col rimorso? Potresti reggerlo? Sei una
donna soldato, ma non ti sei mai sporcata le mani di sangue. Vuoi iniziare col
tuo?” esitai tremante. Sentii la punta fredda della lama toccare
impercettibilmente la mia pelle. Bastava un movimento della mano di Oscar e tutto
sarebbe finito all’istante: io, lei, il mio amore per André, la sua gelosia,
tutto sarebbe defluito via insieme al sangue.
La maschera immota le cadde dal viso.
“Taci! Dimmi quel nome. Adesso!”
Gridò con maggior forza, spaventandomi, e Andrè, dietro la
porta chiusa, continuava a urlare e battere sul legno, nel disperato tentativo
di farsi aprire.
“Va bene, come vuoi! Ebbene, sì! L’ uomo di cui sono
disperatamente innamorata è André! Proprio lui!- Confessai con disperazione,
mentre lo sguardo di Oscar pareva farsi ancor più adirato. La mano che
impugnava la spada si mosse appena e sulla lama guizzò un taglio di luce fredda
e crudele.
Quando mia sorella parlò, la sua voce aveva un contegno
innaturale, che perse quasi immediatamente.
“André!!? Tu seriamente stai pensando di separarti
da tuo marito, per amore del mio André? È così? – Era furiosa e incredula. [1]
- Dopo che vorresti fare, cara sorella, sposarlo? Quale assurdo capriccio è mai
questo! Tu sei pazza. Per la chiesa il matrimonio è una catena indissolubile.
Non troverai mai un avvocato disposto a sostenere la tua causa.”
“Io lo amo, Oscar, e so che lui potrebbe amare me, se tu
lo lasciassi libero. Tutto il resto, la separazione, le convenzioni sociali
avrebbero poca importanza.”
“Parli come una stolta, la solita egoista che pensa solo a
sé stessa! Dovrebbe seguirti su una strada che porterebbe entrambi alla rovina?
Che ne sai, tu!– Ruggì. - Che ne sai di quello che prova lui per me, o di
quello che provo io? Pensi di sapere cosa ci unisce, praticamente da una vita?
Credi che per me non sia importante?”
“Quanto Oscar! A questo sai rispondere?” Le domandai in
tono accorato.
“Che significa?”
“André mi ha confidato tutto, fin dal principio. Ha aperto
il suo cuore a me, forse perché potevo comprenderlo come tu non riuscivi a
fare. Ho visto la sua sofferenza di cui tu eri la causa, perché ti amava senza
essere corrisposto. Sì! Lo sapevo, lo avevo capito prima di te, Oscar… tu eri
troppo distratta dal conte di Fersen per accorgerti di qualcosa… - Ammisi senza
mezzi termini di fronte alla sua espressione stupita. – E ora dimmi: io sono
pronta a buttare all’aria la mia vita per lui, tu invece, cosa saresti disposta
a fare? So che le cose fra voi sono molto cambiate, già… so che ti sei
spinta oltre l’amicizia, ma così non fai altro che rinnovare la sua sofferenza
in modo diverso.”
“COSA? Questo è veramente troppo!”
Non feci in tempo a ribattere, che la porta cedette di
colpo sotto una poderosa spallata. André piombò in mezzo a noi, e la scena che
si presentò ai suoi occhi lo lasciò senza fiato per i primi secondi: Oscar
gravava su di me, impietosa e minacciosa, con lo sguardo allucinato e quasi
folle.
Guardò lei e poi me, per terra, la spada puntata addosso.
Lo vidi fare un gesto, una mano aperta e tesa verso di noi.
“Oscar, non fare pazzie. Ti stai facendo guidare da rabbia
immotivata. Calmati e rinfodera la spada.”
Ma lei sembrava non capire. Improvvisamente mi parve
fragile e smarrita, e pensai di aver parlato troppo, ma ritenevo giusto che
dovessero cadere tutti i veli: se dovevo lottare per André, dovevo farlo in
campo aperto. Senza allontanare la spada dalla mia persona, rivolse il suo
sguardo stupito e celeste verso l’amico.
“Le hai detto di noi, André?” chiese con evidente sgomento
nella voce.
Ebbi la netta sensazione che all’improvviso si sentisse
tradita. Ma non ero più io, la sola colpevole del tradimento.
André ne fu consapevole, perché lo vidi impallidire
violentemente. Seguì un breve silenzio che scese su di noi come un macigno.
Oscar e André si fissavano l’ un l’ altro, sgomenti, dimentichi di me e della
mia assurda confessione.
Infine, André reclinò il capo ed emise un sospiro
rassegnato.
“Sì. È inutile negarlo. Ma ti prego, non prenderlo come un
tradimento. Non avevo nessun altro con cui parlare, e Danielle si è comportata
da amica discreta e comprensiva. Ho provato a farlo con te, Oscar, ma ti chiudi
come un riccio. Quando cerco di arrivare al tuo cuore, tu mi allontani, come
hai fatto poco fa lungo la strada, mentre venivamo qui… Cosa avrei dovuto fare,
secondo te?”
“Avere maggior fiducia in me.” Rispose perentoria.
Quindi qualcosa era accaduto.
L’ incomprensione minava il loro rapporto, quella che
proveniva dall’incapacità di mia sorella di affidarsi alla forza autentica
delle emozioni. Era un punto debole di cui dovevo approfittare, e se
l’occasione si fosse presentata, lo avrei fatto.
Oscar restava in silenzio, e non capivo se era più
arrabbiata o costernata, o magari entrambe le cose. Forse tentava di mettere
ordine nel turbinio di pensieri che viaggiavano nella sua testa, pensieri che
riguardavano tutti noi e i nostri strani, contorti sentimenti.
Il suo sguardo saettava febbrile tra me e André e alla
fine si posò definitivamente su di lui.
“Maledizione André! Davvero non capisci? – Sbottò
all’improvviso. - Io cerco di proteggerti, mi sforzo come non immagini di
difendere il nostro rapporto dal mondo esterno che sarebbe pronto a
condannarci, e tu riveli tutto alla sola donna che può davvero mettersi fra
noi, perché innamorata di te? - E fu in quell’istante che le fu tutto chiaro. -
Oh, ma tu lo sapevi fin dall’inizio! Avevi capito tutto. E ne hai
approfittato!”
André parve vagamente turbato.
“Oscar, non…”
“Il cuore di una e il corpo dell’altra! Devi esserti
sentito orgoglioso del tuo successo!”
Oscar ironizzò con crudeltà di donna ferita, senza
abbassare la spada puntata alla mia gola. André protestò con decisione.
“No Oscar. Non pensare che ne abbia approfittato, ma
ammetto che avrei potuto e sono stato tentato. - Esitò e il suo sguardo serio e
malinconico si posò su di me. Ebbi paura. – Questo fatto non ha mai cambiato
nulla, e con Danielle sono sempre stato onesto…” concluse in tono pacato, e mi
sentii sanguinare dentro, ma non era la spada di Oscar ad avermi ferito.
“Beh, a questo punto, che importanza potrebbe avere, visto
quello che ci siamo detti prima del nostro arrivo qui, te lo ricordi?”
“Ero soltanto amareggiato, Oscar: sono pronto a
rimangiarmi tutto.”
“Sei sicuro? Pensaci bene. Perché mia sorella è così
sicura di poterti avere? Come può credere di comprenderti meglio di me? E se
avesse ragione lei? Il cuore umano è libero… tu sei libero, André, ma il tuo
cuore a chi appartiene davvero? Io non lo so più… forse non lo sai neppure tu…”
Terminò esitante.
Avvertii una nota stridula nella voce di mia sorella:
quanto dovevano costarle quelle parole, e quanto potevano essere preziose e
salvifiche per me.
André mi guardò di nuovo e lessi velato rammarico nei suoi
occhi: ammettere l’amore per una di noi, voleva dire ferire a sangue l’altra.
“Hai torto Oscar. Una delle poche certezze che ho sempre
avuto è la consapevolezza dei miei sentimenti… per te.”
Il mio cuore perse un battito. Incrociai per qualche
secondo lo sguardo azzurro di Oscar. E finalmente, rinfoderò la sua spada.
Ma non era serena. Un sospiro pesante e rassegnato le uscì
dalle labbra.
Nuvole d’inquietudine oscuravano il cielo dei suoi occhi.
Potevo immaginare come si sentisse in quel momento, e la colpa era anche mia.
Non potevo fare a meno di sentirmi meschina e miserabile
nelle profondità più intime del mio cuore, ma allo stesso tempo, il trasporto
verso André sovrastava tutto e prevaleva su ogni altro sentimento.
Per quanto mi sentissi combattuta, non riuscivo a
soffocare la volontà irragionevole che mi spingeva a lottare per quello che
era, molto probabilmente, un miraggio.
Ripresi a respirare, ma sentivo un profondo dolore al
petto. Lentamente mi rialzai in piedi, e mi strinsi nelle braccia, ancora
sconvolta dal nostro confronto. Eravamo in una situazione di stallo, e tra noi
restavano ancora troppe parole in sospeso, troppi dubbi da dissipare,
soprattutto nel cuore di Oscar, che si scopriva tradita e delusa da due fra le
persone a lei più vicine, conferma questa che venne dalle sue parole.
“Non dovevi prestarti a questo gioco, André. Non tu. – Poi
si rivolse a me con altrettanta amarezza. – Sappi Danielle, che non potevi
ferirmi più di così… e non so se potrò mai perdonarti per quello che stai
cercando di fare… Ti aspetto di sotto, André. Non abbiamo più nulla da fare qui...” concluse lapidaria e diretta, si voltò e mosse alcuni passi
in direzione della porta.
André ebbe il forte impulso di inseguirla, e lo avrebbe
fatto, se io non lo avessi bloccato, spinta da chissà quale oscuro istinto.
Non riuscivo a rinunciare al mio sogno di felicità, benché
l’evidenza di ogni cosa, mi suggerisse una direzione opposta. Non era la
ragione o la logica a guidarmi. Se le avessi ascoltate sul serio, mi sarei
risparmiata tanta sofferenza venuta dopo.
Non era altro che una stupida, inutile, deleteria
ossessione che governava i miei gesti, la mia mente, il mio cuore di donna.
Ero preda della mia follia, ma non riuscivo a vederlo.
Benché mi sentissi ignobile, agivo come una sconsiderata,
incapace di fermarmi, travolta ormai dalla smania di avere ciò che non era nel
mio destino.
“Lasciala andare, André! Ti prego…” gridai.
Mossi pochi passi e lo afferrai per un braccio per
bloccare la sua fuga. Lui mi restituì uno sguardo costernato. Lungo il
corridoio, giungevano ancora nitidi i passi di Oscar che si allontanavano. Li
sentimmo affievolirsi, fino a scomparire.
“Danielle, ma che fai?”
I suoi occhi verdi, spalancati su di me erano come una
voragine su cui rischiai di vacillare. Mi imposi il controllo delle mie
emozioni e del corpo. Non potevo perdermi adesso.
“Ascoltami Andrè. Lasciala andare, e vieni con me. Andiamo
via, lontano da Parigi e da Versailles.”
“Co… cosa?” Era atterrito.
“Ho una proposta da farti: vieni con me in Normandia.
Laggiù ho una casa di mia proprietà dove potremo vivere liberamente. Potremo
stare insieme, e forse lì, i nostri cuori potrebbero trovarsi ed essere di
conforto uno all’altro. Se Oscar tiene davvero a te, forse verrà a cercarti, e
tu non avrai più motivo di dubitare di lei. Avrai la conferma dei suoi
sentimenti. Ma se come spero, non sarà così, la distanza potrebbe aiutarti a
dimenticare, e magari… nel tuo cuore potresti trovare un po’ di spazio per me.”
Stava per obiettare, ma sigillai le sue labbra posandovi
le dita della mano destra.
“Aspetta, André, prima di dirmi di no, ascoltami
attentamente. Dopo potrai decidere. Ti prego: questa sarebbe l’estrema ed
ultima possibilità che mi concedo. Se non riuscirai ad amarmi, come io ti amo,
allora rinuncerò definitivamente a te, e tu potrai tornare da lei. Mi metterò
da parte, né mai interferirò più fra voi due.”
André mi stava fissando attentamente e lo stupore iniziale
aveva lasciato il posto ad uno sguardo concentrato e più riflessivo.
Sapevo che avrei catturato la sua attenzione.
Contavo esattamente su questo.
Volevo che vedesse i possibili vantaggi di ciò che gli
stavo offrendo.
Non potevo proporgli una fuga d’amore, mancavano tutte le
premesse. Se avesse accettato di seguirmi in Normandia, mi aspettavo lo avrebbe
fatto con motivazioni differenti assai lontane dalle mie, ma il mio non era
niente altro che un rischio calcolato: averlo per me o perderlo per sempre,
giocando sulle nostre diverse aspettative.
Lontano da Oscar per un po’, forse sarebbe riuscito a
innamorarsi di me.
Così gli stavo dando modo di azzardare una strategia, che
per lui voleva dire mettere alla prova Oscar e i suoi sentimenti.
André mi guardava ancora un po’ scettico, lievemente
guardingo, ma la sua reticenza stava scemando e intuivo accendersi in lui, una
fiammella ostinata di ignota speranza.
Nel lieve silenzio della stanza debolmente illuminata da
una candela posta in un angolo, le ombre della sera scivolavano sui muri
tingendo l’ambiente coi colori malinconici del crepuscolo, e fu in quell’
istante che sentimmo provenire dall’esterno il rumore degli zoccoli di un
cavallo: era Oscar che si stava allontanando.
A quel suono André parve riscuotersi e corse verso la
finestra.
Io mi avvicinai di nuovo a lui e feci in tempo a scorgere
Oscar che varcava il portone esterno del mio palazzo.
Il mio primo pensiero fu che André l’avrebbe seguita.
Forse era stato lo stesso pensiero di Oscar quando si era
mossa per andarsene da lì.
“Parto fra due giorni, André. Non devi darmi una risposta
subito, ma se decidi di venire, fatti trovare pronto domenica mattina alle otto.”
“Sei sicura di quello che vuoi fare, Danielle? Intendo:
sei certa di volermi con te? Come spiegherai la mia presenza al tuo fianco?”
“Non intendo spiegarla.” Ribadii decisa.
“Neppure a tuo marito? Lo verrà a sapere prima o poi.
Pensi che gradirà la tua fuga in compagnia di un servo?”
“Ho intenzione di scrivere al più presto a Leopold per
metterlo al corrente delle mie intenzioni circa la separazione, nient’altro. Lo
farò prima di partire, o gli scriverò dalla Normandia, non ho ancora deciso. È
una cosa che va fatta.”
“Come vuoi, Danielle. Io devo parlare con Oscar; glielo
devo. Non posso partire senza averlo fatto. Lo capisci, vero?”
A quelle parole quasi inaspettate, il mio cuore sussultò
nel petto, sotto la rincorsa di un’ emozione troppo intensa.
“Ma certo, André. Tutto quello che vuoi…” sussurrai
speranzosa e felice, smarrendo me stessa nel profondo mistero del verde ombroso
e affascinante dei suoi occhi. La natura dolce delle illusioni mi stava
consumando il cuore, senza che potessi saperlo.
Continua…
Scusate questo ritardo di mesi, ma non è
stato un bel periodo per me, per tutta una serie di problematiche famigliari e
personali che mi condizionano ancora adesso, ma che sto cercando di superare.
Voglia di scrivere non ne avevo e
l’ispirazione non voleva saperne di tornare. Ho lasciato incompiuto il capitolo
per molto tempo, perché la seconda parte non veniva fuori nel modo giusto,
anche se avevo in mente quale fosse la direzione da seguire; ora immagino che
molte di voi, arrivate alla fine del capitolo, mi odieranno. André che fugge
con Danielle? E Oscar come reagirà?
Vi prego non saltate a conclusioni
affrettate, tutto ha un suo perché.
Grazie sempre a tutte per l’incoraggiamento.
Ninfea.
[1] L’Ancien Regime non conosce che l’autorità, la rigidità dei principi, e quelli del matrimonio sono i più forti. (…) L’autorità suprema è la Chiesa (che considera il matrimonio indissolubile). Nel Regno di Francia (prima della rivoluzione) il divorzio è permesso a ebrei e protestanti, ma non ai cattolici che sono la maggioranza della popolazione. A questi ultimi è riservata la separazione personale che è ammessa in caso di adulterio della donna e quando la coabitazione mette in pericolo la vita di uno dei coniugi. Oltre alla separazione, si può ricorrere all’annullamento o alle lettres de cachet che sono però una forma ignobile di separazione.